Prof. Claudio Bevilacqua

Medico Legale e del Lavoro. Presidente del Conservatorio di Storia Medica Giuliana

Articolo pubblicato in:

Anno Accademico 2016-2017

Vol. 61, n° 3, Luglio - Settembre 2017

Settimana per la Cultura

18 aprile 2017

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Negli usi e costumi del nomadismo un possibile D.N.A. criminogeno

C. Bevilacqua

Parlare degli usi e costumi dei nomadi e di un possibile D.N.A. criminogeno ad essi connesso potrebbe turbare la cenestesi di chi si impegna a diffondere il principio evangelico dell’amare come se stesso il prossimo suo, qualunque esso sia e comunque esso agisca, anche se per fini criminali.

Spero di no, data l’assoluta mancanza di finalità denigratorie nella tradizione.

Ma veniamo al termine generale, cioè al nomadismo, che è un neologismo derivante dalla parola greca antica, nomaàs, che indica chi pascola o erra per i prati per alimentare i propri animali.

I popoli indoeuropei che vivono in Europa, cioè quelli di ascendenza greca, latina, teutonica e slava, non praticano il nomadismo, che, comunque, non ha nulla a che vedere con la transumanza, che è lo spostamento stagionale di mandrie o di greggi verso le terre alte (alpeggio).

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In Europa il nomadismo viene praticato solo da un popolo indicato come rom, originario dell’Indostan, regione nord-occidentale dell’India, dalla quale si è spostato verso Occidente tra il V e il VI secolo, epoca nella quale è stato connotato, anche se pare sia esistito già nei primi secoli d. Cr.

Questo popolo assomma nel mondo a circa quattordici milioni di unità.

Esso, attraverso la Persia, nell’VIII secolo sarebbe giunto nell’Impero Bizantino e da lì, tra il X e XIV secolo si sarebbe spinto, in parte, verso l’Egitto, l’Africa settentrionale e la Spagna, in parte, verso l’Europa.

Ma quali i motivi del nomadismo? Se ne potrebbero indicare due.

Il primo, un fatto culturale atavico, che si trasmette da generazione in generazione, facendo così parte della tradizione del popolo nomade.

Il secondo, un congenito modo d’essere psicologico dei componenti di quel popolo che non sono in grado di accettare una residenza stanziale.

Ovviamente, la non accettazione di una residenza stanziale porta i nomadi, per vivere, ad esercitare attività lavorative che si possono esplicare anche senza risiedere stabilmente in un posto, ma solo sostando in esso per periodi più o meno brevi.

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I lavori che questo popolo e soprattutto i maschi erano in grado di fare, e forse lo sono ancora, in modo ottimale, erano quelli di calderaio, ramaio, stagnaro, maniscalco, mercante di cavalli, intagliatore di utensili in legno, impagliatore, giostraio, lavori, oggi, in gran parte desueti.

Le donne, invece, tendevano a fare le chiromanti, le indovine e a preparare filtri “miracolosi”.

Ai componenti femminili di questo popolo va riconosciuta, inoltre, una grande attitudine alla danza. Si pensi a Carmen, la gitana dell’omologa opera di Georges Bizet, ispirata dalla novella di Prosper Mèrinèed.

Ai componenti maschili, invece, va riconosciuta una grande attitudine alla musica, ed infatti ci sono valenti suonatori di violino e zimbalon, mentre celebri sono le orchestre zigane.

Oggi, essendo scomparsi i loro abituali lavori, vari componenti maschili di questo popolo sono portati a fare lavori di ripiego, quali giostrai, e talvolta a commettere qualche atto criminale, quale la ricettazione di refurtiva, il furto (specie di rame per l’antico mestiere di ramai) e lo spaccio di droga, fino a rapine e sequestro di persona, mentre molte componenti femminili si dedicano all’accattonaggio, al furto domestico e, in qualche caso, al rapimento di bambini.

Ed infatti, non è sempre facile spiegare come alcuni di loro riescano a possedere, se non con azioni illecite, autovetture di grossa cilindrata o pregevoli camper, ottimamente attrezzati.

E qui potrebbe entrare in gioco il loro D.N.A.

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Diciamo subito che il D.N.A. è un acronimo, cioè è una sigla che sta ad indicare il Desoxyribo Nucleic Acid, cioè l’acido desossiribonucleico.

Il D.N.A. è una molecola presente nel nucleo cellulare e risulta di nucleotidi, che sono esteri fosforici.

Dal D.N.A. sono costituiti i geni, i quali sono collocati nei 44 cromosomi della specie umana. I geni, che sono l’unità funzionale dell’informazione genetica, controllano, infatti, tutti i caratteri umani, e li trasmettono per via ereditaria. Questi caratteri possono essere dominanti, per cui compaiono nel prodotto del concepimento, o recessivi, per cui, pur trasmettendosi, non compaiono in esso. I caratteri recessivi, se presenti in entrambi i genitori diventano dominanti, comparendo nel prodotto di concepimento.

Questo spiegherebbe perché popoli di una determinata etnia presentino caratteri simili, probabilmente per la frequenza di matrimoni intraetnici.

Un esempio potrebbe essere quello dell’attitudine alla musica e alla danza di molti rom, come si è detto, la predisposizione alla musica jazz e allo sport dei popoli africani, la capacità commerciale di alcuni popoli semiti, la religiosità di alcuni popoli slavi, ecc.

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Ritornando a parlare dei rom, che sono nomadi, ribadiamo, come anticipato, essi sono originari dell’Indostan e sono presenti, da più di mille anni, in Europa, specie in Romania, Ungheria, Boemia, Polonia, nei Paesi dell’ex Jugoslavia, in Italia e in Spagna.

Essi si indicano con il nome “Rom” o “Manush”, che vuol dire “vero uomo” per distinguersi dai “gayò”, con il quale vengono indicati tutti gli altri uomini presenti sulla Terra, ma che vivono stanziale e sono schiavi del lavoro organizzato.

I rom vengono indicati senza offesa alcuna, ovviamente, con il nome che a loro viene dato nei Paesi nei quali transitano, quale “zigene” in Germania, “czigàny” in Ungheria, “bohémiens” in Francia, “gypsies” in Inghilterra e “gitanos” in Spagna.

In Italia sono indicati con il nome di “zingari”, probabilmente perché, durante la permanenza nei territori dell’Impero Bizantino, crearono in Tracia, nell’VIII secolo, una setta manichea ed una colonia denominata Athingan e da questa presero il nome di atzingani, dal che il nome “zingari”.

I rom, che sono in maggioranza nomadi, si distinguono in “sinti”, cioè ricchi, e in “scaramucciai”, che sono quelli poveri, perché non possiedono un mezzo di trasporto.

La pratica religiosa dei rom rivela la provenienza pagana, anche se risente della religione dei Paesi attraversati, che spesso assumono per utilità.

Nel Medioevo, ad esempio, godettero addirittura di protezione papale perché dicevano di andare pellegrini in Terra Santa per pregare per i loro protettori.

In seguito essi furono perseguitati, specie dall’Inquisizione, sorta nel XII secolo per punire gli eretici. Essa, nel XIII secolo, fu affidata dopo la morte di San Domenico (1221) da papa Gregorio IX ai domenicani.

Dopo qualche secolo di relativa accettazione dei rom, durante il XV – XVII secolo la persecuzione da parte dell’Inquisizione si acuì, per arrivare a quella nazista della prima metà del Novecento.

I rom vivono in tribù, le quali sono guidate, per elezione, da un capo, che è il loro rappresentante legale e giudice. La tribù è divisa in tanti piccoli gruppi, nei quali la famiglia ha una organizzazione di tipo matriarcale.

Sui loro usi e costumi vigila, infatti, una donna rom, che è per lo più la donna più anziana della tribù ed è esperta della vita nomade.

La lingua dei rom è di ceppo neoario vicino al Sindhi, che si parla nell’India settentrionale, ma si diversifica in vari dialetti che si riconducono a fonemi armeni, microasiatici o europei.

La tradizione riferisce che i loro antenati erano spesso coinvolti in ladroneggi e rapine, il che farebbe sospettare che in molti di loro ci fosse un D.N.A. per così dire criminogeno.

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A tutela del loro diritto di conservare gli atavici usi e costumi, tra i quali il nomadismo, nel 1971 è stata fondata a Torino l’Associazione Italiana degli Zingari, A.I.Z.O., federata con la Romani Union (Associazione Mondiale degli Zingari), che è riconosciuta dall’O.N.U.

Fermo restando che la cultura e le tradizioni di un popolo vanno rispettate, tuttavia ci sono usi e costumi che in un mondo civile non possono venir mantenuti, vedi la deturpazione vaginale praticata alle fanciulle presso alcuni popoli africani, il cannibalismo di alcune tribù della Polinesia e della Nuova Guinea, il nomadismo del popolo rom, ecc.

Nel Mondo Civile, a partire dall’Europa, il nomadismo va gradualmente eliminato con il costante richiamo alla corretta vita sociale, e ciò per quattro motivi:

-  ordine pubblico

-  politica fiscale

-  igiene e medicina preventiva

-  educazione scolastica.

E’ indispensabile che una società civile sia ordinata, che abbia, cioè, opportune istituzioni, da essa scelte, e precise leggi che essa si è data, affinché il suo vivere sociale sia regolare, nel rispetto dei giusti doveri e nel godimento degli equi diritti, eguali, gli uni e gli altri, per tutti i membri della società.

Il nomade non ha gli stessi doveri dei componenti della società civile, essendo i suoi per lo più tribali, pur pretendendo egli, nel contempo, i medesimi diritti del vivere civile.

L’ordine pubblico comporta anche l’applicazione di una equa e saggia politica fiscale, talché l’amministrazione della res publica sia attenta, lungimirante ed onesta e dia il meglio di se stessa nell’amministrare, pretendendo il giusto da chi amministra. Essa, pertanto, dovrà basarsi anche per i nomadi su elementi obiettivi, relativi alla concreta resa economica della dichiarata attività produttiva del singolo componente della comunità.

Il nomadismo, invece, non prevede, né la cerca, una regolamentazione della produttività da esso posta in essere, cioè della prestazione d’opera dei suoi esercenti, essendo, così si asserisce, saltuaria. L’asserita saltuarietà della prestazione d’opera e la conseguente scarsa resa economica non riuscirebbero, però, a spiegare il normale sostentamento dei nomadi e il loro possesso di mezzi spesso costosi di locomozione e sosta temporanea.

Un tanto farebbe sospettare che i nomadi, in costante ricerca di un posto adatto ove temporaneamente viverci, siano indotti, da questa aleatorietà e forse anche dalla atavica attitudine, ad esercitare attività che potrebbero sconfinare con atti di una criminalità sia pure minore, quali borseggi e furti di materiale metallico, fino ad arrivare ad atti criminali più gravi, quali, ad esempio, lo spaccio di droga.

Il nomadismo, poi, non consente alla società civile di essere a pieno tranquilla sul mantenimento del suo stato di salute, convivendo nel medesimo ambiente con i nomadi che non seguono il più spesso le comuni norme igieniche, eliminando i liquami e le immondizie a cielo aperto, né quelle di prevenzione, quali vaccinazioni ed indagini epidemiologiche, ove necessarie. Questo farebbe concludere che nomadismo ed igiene pubblica non possano coesistere.

Infine, tenuto conto che, oltre alle donne, anche i minori dei nomadi sono dediti all’accattonaggio, non frequentando le scuole, o solo di rado e saltuariamente, è indispensabile promuovere la loro scolarizzazione, per far comprendere ad essi che al tempo d’oggi non si può vivere come randagi, anche se in branco.

In una società civile, infatti, l’accattonaggio non è accettabile, anche tenuto conto che il nostro Stato ha adeguate strutture di assistenza ed un volontariato sociale molto esteso e validissimo.

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In chiusa si potrebbero avanzare alcune proposte ai nostri governanti.

- In attesa che la cultura nomade gradualmente scompaia per una doverosa acculturazione alla moderna civiltà, vanno eliminati tutti i campi nomadi sorti spontaneamente ed illegalmente su terreni che di certo non sono di loro proprietà.

- Vanno creati dall’Ente Regione, nel territorio di sua pertinenza, uno o più campi nomadi regolari, capaci di ospitare da 100 a 300 persone. In essi però i rom non dovrebbero sostare per più di tre mesi. Solo nel caso che il nomade non riesca, durante la sosta, a trovare una occupazione duratura, la sosta nel campo potrà essere brevemente protratta, in attesa che egli trovi dove andare ad abitare civilmente.

- Il campo andrebbe provvisto, in numero adeguato, di personale ad orario continuo, preposto al controllo della struttura.

- In esso i nomadi che arrivano vanno registrati, identificati e dotati di una scheda personale, che dovrà riportare i dati anagrafici, l’impronta digitale e la fotografia.

- Gli ospiti dovrebbero dichiarare ed attestare il loro reddito, che l’Ente Regione trasmetterebbe ad apposito Ufficio del Ministero delle Finanze.

- Gli oneri fiscali, da imputare ai nomadi, dovrebbero prevedere anche l’assicurazione contro la malattia tramite il Servizio Sanitario Nazionale.

- Nel campo andrebbero approntati opportuni caseggiati prefabbricati, dotati di servizi igienici, cucina e riscaldamento, da destinare a singoli nuclei familiari o parentali.

- Il campo dovrebbe, inoltre, avere un posto di Pronto Soccorso con annessa piccola infermeria.

- Esso, infine, dovrebbe avere un’aula per l’educazione dei minori, ove l’insegnamento fosse di primo livello e multi classe, rilasciando ad essi, alla cessazione della sosta in quel campo, un certificato di frequenza, perché essi possano continuare l’acculturazione scolastica nel nuovo campo di arrivo.

Qualcuno osserverà che pretendere l’acquisizione delle impronte digitali dai rom è una forma di discriminazione, ma non è così.

Oggi, la migrazione massiccia di popoli da un Continente all’altro e ciò per i motivi più vari, impone, per un corretto ordine pubblico, che tutti gli abitanti di un Paese civile, sia perché viventi in esso o perché in esso transitano, devono venir controllati con questo mezzo di identificazione, per sicurezza loro e degli altri.