Dott.ssa Adriana Servello

Dipartimento di Sanità Pubblica e Malattie Infettive, “Sapienza” Università di Roma

Articolo pubblicato in:

Anno Accademico 2016-2017

Vol. 61, n° 4, Ottobre - Dicembre 2017

Simposio: Motricità nell’anziano: causa di dipendenza, demenza e depressione. Nuove metodologie riabilitative

16 maggio 2017

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Mens sana in corpore sano: dinamiche psico-cognitive dei disturbi motori

A. Servello

I dati presentati dall’ultimo report dell’Osservatorio Salute del 2016 ci dicono che una grande fetta della popolazione mondiale di età superiore ai 60 anni risulta affetta da patologie croniche ad elevato impatto sulla salute e sulle risorse socio-sanitarie. In ordine di frequenza le patologie croniche più diffuse sono: malattie cardio-vascolari, malattie neoplastiche, diabete, disturbi respiratori e disturbi cognitivi. La cura delle stesse assorbe circa il 70-80% del budget socio-sanitario dei paesi sviluppati. Nonostante ciò, la probabilità di morire precocemente di una patologia cronica nel nostro paese è inferiore al 15%, indicativa pertanto di una buona assistenza socio-sanitaria e di un buon contenimento delle complicanze derivanti dalle patologie. Si evidenzia inoltre un dato rilevante: tutte le patologie croniche sono caratterizzate dall’avere alla base fattori di rischio determinati da stili di vita modificabili, dato di enorme utilità per la prevenzione stessa e per l’abbattimento delle disabilità conseguenti alle patologie croniche. La stessa Organizzazione Mondiale della Sanità ribadisce come la prevenzione delle patologie croniche sia un investimento vitale per i paesi sviluppati. Tra i fattori determinanti vengono ufficialmente riconosciuti: fattori socio-economici, politici, ambientali, fattori di rischio comuni (alimentazione scorretta, inattività fisica, tabacco, assunzione di alcolici), fattori di rischio non modificabili (età, ereditarietà) e fattori intermedi (ipertensione, iperglicemia, dislipidemia, sovrappeso). I dati ISTAT relativi al 2015 sullo stato di salute della popolazione italiana fotografano un paese in cui il 21,7% della popolazione ha un’età >65 aa, con un indice di vecchiaia di 157,7 e con il 40% circa dei soggetti in buona salute, anche se oltre il 70% presenta una patologia cronica ed assume abitualmente farmaci. L’analisi degli stili di vita mostra poi come solo il 10% svolge regolarmente attività fisica, più del 40% dei soggetti è sovrappeso e solo il 5% segue un’alimentazione sana ed equilibrata. Lo svolgimento di una regolare attività fisica risulta un fattore protettivo importante: l’evidenza scientifica parla chiaro, svolgere qualsiasi attività che comporti un dispendio energetico per circa 30 minuti al giorno, per almeno 5 volte a settimana, favorisce uno stile di via sano con notevoli benefici per la persona. L’attività fisica concorre a migliorare la qualità di vita aumentando il benessere psicologico e riducendo significativamente il rischio di sviluppare ipertensione, malattie cardiovascolari, diabete, osteoporosi, depressione, neoplasie, prevenendo la morte prematura. Una regolare attività fisica può prevenire e ridurre i vari cambiamenti mentali tipicamente legati all’avanzamento dell’età andando a contrastare:

–        la riduzione delle capacità cognitive

–        il rischio di isolamento

–        i disturbi del tono dell’umore

È noto come il paziente anziano afflitto da disturbi motori risulta solitamente confinato al proprio ambito domestico, sperimenta spesso una condizione di isolamento sociale, va incontro ad una importante riduzione degli stimoli cognitivi derivanti dalla socialità e progressivamente sviluppa una condizione di vita quotidiana monotona e ripetitiva con sentimenti di depressione, inutilità, sconforto e disagio.

Per tali motivi la riduzione del 10% della sedentarietà è compresa tra i 9 obiettivi globali per la riduzione entro il 2025 delle malattie croniche non trasmissibili (WHO).

Gli studi clinici che dimostrano una stretta correlazione tra mantenimento di un certo livello di attività fisica e buone performance cognitive sono del resto numerosi: importanti studiosi hanno dimostrato come lo svolgimento di un determinato programma di attività fisica sia in grado di rallentare la neurodegenerazione nelle zone cerebrali deputate al controllo della memoria quali amigdala ed ippocampo. Lo svolgimento di un regolare esercizio aerobico coinciderebbe, secondo altri studi, con migliori prestazioni ottenute ai test cognitivi in determinati domini quali le funzioni esecutive. Attraverso immagini di risonanza magnetica cerebrale si è inoltre dimostrato un vero e proprio aumento dei fenomeni di attivazione neuronale in determinate aree cerebrali. Il Train the Brain study ha dimostrato come il training fisico sarebbe responsabile dell’aumento del flusso ematico nelle regioni cerebrali paraippocampali. Tutti questi dati portano a concludere che la stretta correlazione esistente tra svolgimento di attività fisica e buone performance psico-fisiche sono il risultato di tutta una serie di benefici quali: l’aumento dell’attività funzionale del lobo temporale, l’incrementato rilascio di endorfine dalla ghiandola pituitaria, l’aumentato rilascio del fattore di crescita neuronale (BDNF) e una generalizzata riduzione di sensibilità allo stress, alla depressione e all’ansia. Da tutto ciò ne deriva la raccomandazione a svolgere quanto più possibile un’attività fisica moderata, intesa come attività aerobica che può essere sostenuta mentre si tiene una conversazione con un’intensità che può durare da 30 a 60 minuti. Ciò non fa altro che confermare quanto asserito da Giovenale migliaia di anni fa “Orandum est ut sit mens sana in corpore sano”.


BIBLIOGRAFIA

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