Anno Accademico 2017-2018
Vol. 62, n° 4, Ottobre - Dicembre 2018
Conferenza: L’iperuricemia: una vecchia conoscenza riconsiderata
05 giugno 2018
Già Docente di Nefrologia, "Sapienza" Università di Roma. Centro dell’Ipertensione e delle Malattie Metaboliche e Renali, Casa di Cura San Domenico, Roma
Conferenza: L’iperuricemia: una vecchia conoscenza riconsiderata
05 giugno 2018
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Introduzione.
Per fattore di rischio cardiovascolare s’intende una “variabile attiva che nel tempo sia in grado di incrementare in modo rilevante la probabilità che una specifica malattia si sviluppi in un gruppo di persone esposte a tale elemento, rispetto ad un altro gruppo non esposto”. Tuttavia, non è né causa necessaria, né sufficiente di malattia. Attualmente possono essere distinti in:
a. Maggiori, ove il legame con il danno è alto e la probabilità statistica è ben definita: diabete, dislipidemia, fumo ed ipertensione arteriosa.
b. Minori, ove il rapporto con il danno cardiovascolare è meno sicuro e statisticamente meno certo: omocisteinemia, iperuricemia, frequenza cardiaca, indici spirometrici alterati, sedentarietà, ecc.
Un fattore di rischio, quindi, aumenta la probabilità che si realizzi una malattia, nel nostro caso, cardiovascolare. Dai fattori di rischio si può transitare lentamente e progressivamente verso un danno d’organo, in un primo tempo sub-clinico, quindi non sintomatico, e successivamente sintomatico, che potrebbe progredire nel tempo sino all’exitus, se non opportunamente trattato.
Nel contempo però è difficile che un soggetto abbia un solo fattore di rischio cardiovascolare. Essi tendono prima o poi a presentarsi in maniera associata (cluster) ed integrata nelle stesse persone con effetto sinergico verso il danno clinico. La presenza di più fattori di rischio cardiovascolare, escludendo il fumo, è stata dimostrata con la clinica e con la presenza di legami genetici, che prima o poi tenderanno con differenti modulazioni a comparire insieme.
E l’iperuricemia?
Sino ad un recente passato l’iperuricemia veniva considerata un fattore di rischio cardiovascolare minore, probabilmente perché aveva un numero limitato di studi epidemiologici e clinici, ma anche perché ha sempre ricevuto poca considerazione.
Infatti, è sempre stata valutata in modo settoriale e subordinata ad altre condizioni, come l’ipertensione arteriosa, la sindrome metabolica, la cardiopatia ischemica, lo stroke, ecc.
In tempi relativamente recenti, invece, diversi studi di epidemiologia e sperimentali, hanno iniziato a fornire alcuni interessanti razionali probabilistici per un rapporto favorevole con il danno cerebrale, cardiaco e/o renale. Inoltre, l’iperuricemia tenderebbe a combinarsi con i tradizionali fattori di rischio cardiovascolare (specie con quelli maggiori) incrementandone la lesività, ed in più si ritiene che abbia una propria potenzialità di danno cardiovascolare. Infine, a conferma, è da tener presente che un aumento dell’uricemia è praticamente sempre presente nei soggetti con sindrome metabolica.
Uricemia e metabolismo.
Il metabolismo delle purine esogene (alimentazione) ed endogene (adenina e guanina del DNA), dopo alcune trasformazioni arriva a formare una sostanza idrosolubile (allantoina) e dopo altri passaggi terminali si formano ammoniaca (NH3) ed anidride carbonica (CO2) (Fig. 1). Il precursore acido urico è meno solubile con una concentrazione plasmatica di 2-2,5 mg/dl. D’altro canto, nell'uomo, nelle grandi scimmie o primati (Chimpanzee, Gibbone, Gorilla, Orango) e nel cane dalmata i valori non patologici sono più alti (4-6 mg/dl).
Tale difformità è espressione di una lenta, ma progressiva mutazione temporale, con il risultato ultimo di una perdita di attività del gene dell'enzima urato-ossidasi o uricasi (enzima che degrada l’acido urico in allantoina) (Fig. 1). In particolare, per l’uomo si tradusse in modo progressivo in un vantaggio. Infatti, secondo alcuni studi di paleontologia genetica, fu ipotizzato che questa lenta e graduale sottrazione dell’enzima uricasi si dovrebbe con buona probabilità collocare durante il Miocene (10-20 milioni di anni fa). In questo lungo periodo l’uricemia nell’uomo aumentò progressivamente in relazione all’assunzione della posizione ortostatica, condizione che ha fatto rendere inefficace l’attività dell’uricasi. Tale postura infatti implicava la presenza di una maggiore quantità di sodio plasmatico che non era necessaria in precedenza, ovvero prima dell’ortostatismo perché ci si alimentava in prevalenza di vegetali e frutta che sono poveri in sodio. L’acido urico più elevato forse ha vicariato la bassa sodiemia, almeno in un primo momento. Successivamente, grazie ad un’alimentazione carnea, si sarebbe introdotta una maggiore quantità di sodio necessario all’incremento dei valori pressori.
É stato un evento positivo, in quanto l'acido urico (acido debole e composto organico eterociclico) nell’ambito dei suoi valori normali nell’organismo:
La xantina-ossidoreduttasi trasforma l’ipoxantina in acido urico (Fig. 1) e contiene due principali attività enzimatiche in una sola catena proteica. In relazione alla sua formulazione chimica può pertanto esprimersi con una:
a. la prima è fisiologica e promuove la diversificazione cellulare e l’adipogenesi;
b. la seconda è patologica e consiste nella trasformazione dei macrofagi in «foam cell» e nell’accumulo di grasso (obesità);
c. la terza si attiva per motivi genetici o per una abbondanza di un substrato favorevole la presenza di ROS.
In corso di stress ossidativo o di fenomeni di ischemia-riperfusione a livello tissutale, le modificazioni metaboliche indotte da questi processi trasformano la XDH in XOR. Quest’ultima continua a produrre acido urico, ma genera pure radicali superossidi che trasformandosi in perossido d’idrogeno favorisce uno stato di citotossicità. L’incremento dell’attività di XOR (xantino-ossido-reduttasi) a livello endoteliale, in particolare, facilita lo stress ossidativo e la risposta infiammatoria, favorendo lo stato aterosclerotico con le successive conseguenze. Questa risposta è ovviamente modulata dalla presenza di altri fattori di rischio cardiovascolare, specie di quelli maggiori.
I livelli plasmatici dell’acido urico sono bassi nell’infanzia ed aumentano dopo la pubertà raggiungendo valori nell’adulto, cosiddetti normali, compresi tra 3 e 6 mg/dl nel sesso maschile; nel sesso femminile soltanto in post-menopausa raggiungono tali valori (in età pre-menopausale gli estrogeni incrementano la clearance renale dell’acido urico, per cui l’uricemia è bassa). Molti laboratori considerano normali i valori dell’uricemia sino a 7 mg/dl. In realtà è un valore elevato, in quanto la solubilità degli urati è intorno a 6,8 mg/dl per cui al di sopra di questi valori tende a depositarsi nei tessuti con le varie complicanze. Vi sono inoltre alcuni farmaci che incrementano l’acido urico nel plasma (come l’ASA) oppure lo eliminano per via tubulare. Il trattamento con diuretici in particolare costituisce una delle cause di iperuricemia nell’anziano, riconducibile ad una combinazione tra una deplezione di volume ed una diminuzione della secrezione tubulare di acido urico.
Fig. 1. La via metabolica delle purine. Dalle basi puriniche all’allantoina, attraverso gli enzimi xantina-ossidoreduttasi (xantina-acido urico) ed urato-ossidasi o uricasi (acido urico-allantoina). A questo punto, attraverso altri passaggi enzimatici, si giunge all’ammoniaca (NH3) e all’anidride carbonica (CO2). Nell’uomo, nei primati e nel cane dalmata la via metabolica si ferma all’acido urico, mancando i successivi passaggi.
Viene riportata a lato la formula chimica dell’acido urico.
In sintesi riportiamo nella Fig. 2 l’eliminazione renale dell’acido urico. È opportuno però considerare che molti fattori condizionano la clearance renale dell’acido urico (urato): il riassorbimento tubulare di glucosio, fosfati, calcio, sodio, bicarbonati, secrezione di acidi organici; gli estrogeni, il flusso plasmatico renale, ecc.
Fig. 2. In modo sintetico si rappresenta l’eliminazione renale dell’acido urico. Si consideri che molti fattori possono condizionare la clearance renale dell’acido urico (urato): riassorbimento tubulare di glucosio, fosfati, calcio, sodio, bicarbonati; secrezione di acidi organici; estrogeni (aumentano l’escrezione renale di acido urico); flusso plasmatico renale, ecc.
Sindrome malformativa di Lesch-Nyhan o gotta giovanile.
Sono state identificate alcune sindromi malformative legate ad importanti difetti metabolici dell’acido urico. A titolo di esempio si ricorda la “Sindrome di Lesch-Nyhan” (iperuricemia ed enfefalopatia). La sindrome è dovuta alla mancanza dell’enzima HGPRT (ipoxantina-guanina-fosfo-ribosil-transferasi, che è ubicato nel cromosoma X), determinando un deficit di attività della fosfo-ribosil-transferasi ipoxantina-guanina, che ha la funzione di inibire la sintesi delle basi puriniche. Questo difetto comporta la mancanza di controllo lungo la via principale di sintesi causando, sia un accumulo di prodotti purinici, che del loro catabolismo (acido urico).
Si vengono così a determinare importanti depositi di urati con diffuse alterazioni vascolari. Colpisce in prevalenza bambini di sesso maschile dopo il sesto mese di vita, inducendo: ritardo psicomotorio, coreo-atetosi, grave ritardo mentale, vertigini, disartria, presenza di una «sabbia giallognola» (urati) nei pannolini, iper-riflessia tendinea, spasmo degli estensori del tronco, arresto dell’accrescimento, aggressività verso gli altri e verso se stessi con gravi mutilazioni per il continuo mordersi la lingua e le labbra (probabilmente per anomalie del metabolismo di dopamina e serotonina). L’uricemia è >100 mg/dl alla nascita e la litiasi uratica è una manifestazione precoce con superinfezioni, nefropatia cronica ed in seguito presenza di tofi e di manifestazioni articolari.
Incremento dell’acido urico.
L’iperuricemia può essere indotta da problemi metabolici oppure favorita da alcune alterazioni dell’organismo come una lisi cellulare (rabdomiolisi, trattamento di forme tumorali) o un aumento del riassorbimento tubulare (contrazione di volume per l’assunzione di diuretici). In ogni caso l’incremento plasmatico dell’acido urico determina alcuni effetti:
Una iperuricemia può essere prodotta o favorita da alcuni fattori scatenanti, come gli eccessi alimentari (in particolare, il pesce azzurro e le sostanze ricche in zuccheri, come il fruttosio), l’abuso di alcol, il digiuno protratto, alcuni farmaci (diuretici, ecc.). Spesso, quindi non sempre, all’aumento dell’uricemia può conseguire una manifestazione gottosa.
La gotta è una malattia metabolica, determinata da un cronico aumento dell’uricemia, che colpisce in modo più frequente il sesso maschile generalmente con oltre 40-45 anni ed il sesso femminile in età post-menopausale. Si può presentare, se non opportunamente trattata ovvero nella sua storia naturale, a causa di una deposizione di cristalli con una o nel tempo con più manifestazioni artritiche:
Nella storia naturale della gotta (patologia poligenica e molto complessa) i sintomi il più delle volte iniziano durante la notte (circa tra le ore 01-03) con un dolore acuto (intollerabile è l’aderenza con le lenzuola!). L’articolazione metatarso-falangea di un alluce è la prima ad essere colpita e si presenta arrossata, calda e tumefatta. Una volta superata la crisi, a livello dell’alluce in genere sopraggiunge del prurito seguito da una desquamazione più o meno evidente. Nel tempo questa manifestazione, se non opportunamente trattata, si andrà sempre più ad estendere ad altre articolazioni.
L’iperuricemia, non più con un’attività antiossidante come brevemente considerato, diviene pro-infiammatoria e favorisce la disfunzione endoteliale. Questa esprime un precoce danno vascolare intra- ed extra-parenchimale con il risultato ultimo di una ridotta vasodilatazione per riduzione dell’azione dell’ossido nitrico, favorendo così l’attività del sistema renina-angiotensina-aldosterone. La presenza plasmatica di uno o più fattori di rischio cardiovascolare induce modificazioni redox a livello delle cellule endoteliali e della trascrizione genetica dei leucociti (monociti e T-linfociti), sia rendendoli ipersensibili ai normali stimoli, con il risultato di una maggiore adesività ed infiltrazione a livello endoteliale, sia favorendo una risposta patologica con increzione di citochine e di altre sostanze. Si vengono quindi a produrre un incremento di molecole ad attività flogistica (PCR, interleuchina-6 ed altre), fattori di crescita, chemochine (MPC-1 - monocyte-chemotactic-protein-1) ed enzimi. Alcuni trial clinici hanno a questo proposito evidenziato che il cronico aumento dell’uricemia, con e senza deposito di cristalli, costituisce un fattore di rischio indipendente per malattie cardiovascolari (ictus, infarto del miocardio, nefropatia, arteriopatie).Infatti, l’associazione tra iperuricemia cronica e patologie cardiovascolari sono espressione, oppure facilitate nella loro manifestazione, da questa ridotta attività dell’ossido nitrico (NO) che favorisce uno stato di vasocostrizione.
L’iperuricemia, come abbiamo già osservato, facilmente coesiste con altri fattori di rischio cardiovascolare, specialmente maggiori, e spesso è parte integrante della sindrome metabolica, vuoi in modo diretto, vuoi in sinergia con gli altri fattori di rischio, come dimostrato da numerosi studi.
Iperuricemia e sindrome metabolica.
L’aumento dell’acido urico, se non opportunamente trattato, nella sua storia naturale è fortemente legato alla sindrome metabolica. Infatti, in vari modi è collegato ai vari fattori di rischio cardiovascolare, specie maggiori, e nel contempo anche allo sviluppo del danno d’organo con i successivi eventi (continuum cardiovascolare, per uno stato di infiammazione generalizzata e costante). Secondo la predisposizione genetica si può presentare in modi e tempi diversi: inizialmente da solo, per associarsi successivamente agli altri fattori di rischio cardiovascolare, oppure aumentare in un secondo tempo dopo la presenza emodinamica e/o plasmatica degli altri fattori di rischio.
Secondo studi prospettici (n=8) su un totale di 32.016 soggetti iperuricemici, il 9,15% (n=2.930) ha presentato nel tempo un diabete di tipo 2. Questo dato dimostra come l’insulina giochi un ruolo importante perché ostacola a livello tubulare l'eliminazione dell’acido urico. L’iperinsulinemia inoltre in tempi diversificati e in vari modi si accompagna ad altre manifestazioni che sono proprie della sindrome metabolica (ipertensione arteriosa, eccesso ponderale, diabete di tipo 2 e/o dislipidemia). Alcuni studi hanno dimostrato nell’animale lo sviluppo della sindrome metabolica e, in parallelo, un’alterazione endoteliale che possono essere evitate/ridotte con ipouricemizzanti che inducono una riduzione/normalizzazione, favorendo così l’azione antiossidante. Altre evidenze hanno documentato, come già sottolineato, che l'iperuricemia favorisce a livello degli adipociti flogosi e processi ossidativi, mentre la XOR (attività xantino-ossidasi-reduttasi) è presente pure negli adipociti favorendo e potenziando l’adipogenesi.
Nei soggetti con ipertensione arteriosa un progressivo aumento dell’uricemia “preannuncia” un diabete di tipo 2. Lo “Studio MAGIC” (Microalbuminuria A Genova Investigation on Complications) ha evidenziato a questo proposito che per ogni incremento di 1 mg/dl di uricemia vi è un aumento del 17% per lo sviluppo di un diabete del 2° tipo. La logica consisterebbe in una dieta abbondante ricca in fruttosio che farebbe aumentare l’insulino-resistenza e favorirebbe la glomerulosclerosi a partire dall’arteria glomerulare afferente. Sono state anche ben documentate correlazioni positive tra BMI, peso, adiposità viscerale, HOMA-test, ipertensione arteriosa, dismetabolismo, insulinemia, spessore del miocardio verso l’incremento dell’uricemia.
Iperuricemia ed ipertensione arteriosa.
Tra i fattori di rischio cardiovascolare più importanti che sono presenti nella sindrome metabolica, abbiamo già visto, c’è l’ipertensione arteriosa. L’associazione tra lo stato ipertensivo e l’iperuricemia è stata riscontrata da più di un secolo (ipertesi con iperuricemia 25-40%, ipertesi con malattia gottosa 25-50%). Secondo alcuni studi un aumento dell’uricemia anticiperebbe (specie nell’età giovanile) l’ipertensione essenziale, ma non quella secondaria. Grayson e coll. nel 2011 riscontrarono, confermando, che l’iperuricemia costituiva un fattore di rischio indipendente per l’ipertensione con una relazione lineare e positiva tra l’acido urico e la pressione sistolica, sia nei soggetti bianchi, che negli afro-americani. Un sottogruppo del Framingham Heart Study mostrò che l’iperuricemia favoriva l’ipertensione e un aumento dell’acido urico di 1,3 mg/dl era associato in modo lineare allo sviluppo di ipertensione e/o ad un suo aggravamento. Nello “Studio MRFIT”(Multiple Risk Factor Intervention) i normotesi di sesso maschile con livelli di acido urico superiori a 7 mg/dl presentavano un aumento dell’80% del rischio di ipertensione e tale associazione era più frequente nei giovani.
Gli eventi gottosi sono maggiormente presenti negli ipertesi, specie se anziani (≥65 anni). Infatti, l’ipertensione, con la mediazione dell’acido urico elevato, probabilmente è indotta da fattori genetici e/o ambientali oppure da un ridotto numero di nefroni o da un eccesivo introito di fruttosio o da un’alimentazione in prevalenza purinica. A sua volta l’iperuricemia favorisce l’attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone e può inibire il rilascio dell’ossido nitrico. In ogni caso una vasocostrizione renale può contribuire a determinare ipertensione arteriosa con le conseguenze che ciò comporta.
Per dare un razionale a tale relazione sono stati effettuati alcuni studi sui ratti. La Fig. 3 considera gli effetti sulla pressione sistolica quando viene dato un inibitore farmacologico dell’uricasi (acido ossonico) ed allopurinolo (A e B). Si noti nella figura che quando viene somministrato un prodotto uricosurico (benziodarone), si ottiene una riduzione della pressione arteriosa e dell’uricemia (C e D). Inoltre, nei ragazzi ipertesi con iperuricemia l’assunzione di allopurinolo verso placebo determina una normalizzazione dell’uricemia ed una significativa riduzione pressoria. Un’ulteriore indagine ha evidenziato però che nel tempo si realizza un danno microvascolare di tipo aterosclerotico, che probabilmente altera tale rapporto.
Fig. 3. Effetti sulla pressione arteriosa sistolica di ratti trattati con allopurinolo, quando viene effettuata una inibizione dell’uricasi con acido ossonico. Quando tutti i ratti dall’esperimento 2 e 3 (n=69) sono stati analizzati (non in figura) è stata evidenziata una correlazione significativa e positiva tra l’uricemia e la pressione arteriosa sistolica.
Lo “Studio PIUMA” (Progetto Ipertensione Umbria Monitoraggio Ambulatoriale)ha seguito e studiato per 12 anni (media 4 anni) l’andamento dell’uricemia ed il rischio cardiovascolare in 1.720 ipertesi essenziali, non trattati e di entrambi i sessi che non presentavano patologie cerebrali, renali, cardiovascolari e tumorali. Lo studio ha dimostrato che un incremento dei quartili dell’uricemia determina un aumento significativo di morbosità e mortalità cardiovascolare ed una crescita significativa di eventi per tutte le cause.
Altri studi clinici effettuati nei giovani hanno evidenziato con il trattamento dell’uricemia una riduzione anche della pressione arteriosa elevata. In sintesi riportiamo:
Iperuricemia e danni cerebro-cardio-vascolari.
Alcuni Autori hanno rilevato a livello sub-clinico una significativa e positiva correlazione tra l’iperuricemia cronica verso l’ipertrofia ventricolare sinistra, l’aumento dello spessore intima-media (IMT) nel sistema carotideo e la presenza di placche a livello dell’aorta, delle arterie renali e dei vasi periferici (sistemi carotideo e degli arti inferiori). Altri studi hanno dimostrato con significatività statistica che l’iperuricemia correla in modo positivo e significativo con: la fibrillazione atriale, lo scompenso cardiaco, gli eventi coronarici, la mortalità cardiovascolare e tutte le cause di tipo cardiovascolare.
Alcune osservazioni hanno anche puntualizzato una correlazione positiva e significativa con un andamento elevato dell’uricemia e la presenza di patologia ictale, di declino cognitivo sino alla demenza vascolare. Tali rapporti sembrerebbero più marcati nel sesso femminile e nei soggetti con altri fattori di rischio e/o con pre-esistenti patologie cardiovascolari, come spesso si presentano nella sindrome metabolica. I soggetti che assumevano farmaci per altre patologie, ma con effetti ipouricemizzanti (come losartan e atorvastatina), presentavano meno problemi cerebro-cardio-vascolari, come dimostrato nello “Studio LIFE” (Losartan Intervention For Endpoint reduction in hypertension study) su 1.195 soggetti con ipertrofia ventricolare sinistra.
È stato anche documentato che nella persona anziana l’iperuricemia, moderata o lieve che sia, e a cui sono stati effettuati test della funzione esecutiva, è causa di una riduzione dell’elaborazione ed in particolare delle memorie di lavoro, verbali e visive. La patogenesi di tali modificazioni sarebbero da ascrivere alle alterazioni vascolari secondarie alla disfunzione endoteliale, proprie dello stato iperuricemico.
Sono stati osservati durante sette anni 1.017 soggetti con diabete del 1° tipo (maschi 551, femmine 466) tra i 45 e i 64 anni ed è stata valutata la progressiva incidenza percentuale di stroke (fatali e non fatali) in relazione diretta con l’andamento dell’uricemia espressa in quartili (µmol/l).
Lo “Studio ROTTERDAM” è stato effettuato su soggetti di entrambi i sessi (n=4.385; età media 55 anni) senza pregresse patologie ictali e malattie cardio-coronariche. Il follow-up è stato di 8,4 anni (36.794 anni-persona). Un elevato livello di acido urico, espresso in quintili progressivi, è stato associato agli eventi cerebro-cardio-vascolari in studio; la stima è stata effettuata tra il 1° ed il 5° quintile e l’età ed il sesso sono stati aggiustati con Hazard-ratio (stima di rischio relativo) (Fig. 4).
Fig. 4. Nello “Studio ROTTERDAM” l’associazione tra l’uricemia, espressa in quintili di progressività, e le patologie ischemiche cerebro-cardio-vascolari (coronaropatie e stroke) hanno dimostrato un aumento in relazione all’incremento dell’uricemia. Si noti come lo stroke emorragico non sia legato all’incremento dell’uricemia.
Iperuricemia e rene. L’iperuricemia cronica può favorire alcuni danni a livello renale che possono essere aggravati se il soggetto è portatore anche di altri fattori di rischio cardiovascolare:
La nefropatia uratica (rene gottoso) può determinare una ridotta funzione renale con perdita proteica, ridotta capacità di concentrazione delle urine e, secondo alcuni studi, può indurre un danno microvascolare. Il decremento farmacologico dell'uricemia elevata invece può rallentare la progressione del danno renale, con un netto miglioramento della perdita proteica e del filtrato glomerulare.
È stato anche documentato con l’esame bioptico un certo grado di correlazione positiva tra l’andamento dell’uricemia e la gravità delle alterazioni tubulo-interstiziali nei soggetti con una nefropatia da depositi di IgA.
Iperuricemia e dieta.
Dal 1988 al 1994 è stato effettuato lo “Studio NHANE” (National Health And Nutrition Examination Survey) su 14.761 soggetti sani e con un età ≥20 anni. È stata documentata una correlazione positiva e significativa tra l’assunzione di bevande industriali ricche di fruttosio e livelli plasmatici di acido urico, mentre non è stata dimostrata una correlazione positiva tra l’assunzione di bevande non zuccherate e l’andamento plasmatico dell’acido urico. Infatti, esistono alcuni rapporti tra fruttosio ed uricemia nella degradazione delle due sostanze. Quando il fruttosio si trasforma, con l’enzima fruttochinasi, in fruttosio-1-fosfato, l’AMP-ciclico presente prima dell’ipoxantina è in comune con la degradazione delle purine. Il fruttosio entra così a far parte del metabolismo che porterà a “formare” acido urico. Esiste però una diversa risposta tra il fruttosio presente nella frutta e quello industriale, probabilmente per la presenza nella frutta di fibre ed antiossidanti, in particolare della vitamina C che incrementa l’uricuria.
Vengono riportati e distinti i cibi più importanti da evitare, da limitare e da assumere prima e durante l’assunzione dei farmaci ipouricemizzanti:
Il carico ponderale, il consumo eccessivo di alcol (>300-350 ml/die), la sedentarietà e i grassi saturi (contenuti in prevalenza nelle carni per il grasso visibile e invisibile, nel burro, nello strutto, nel lardo e negli oli di palma e di cocco aumentano la ritenzione degli urati) sono fattori che aggravano lo stato iperuricemico. Anche le diete dimagranti troppo restrittive (quando si saltano i pasti!) e povere di carboidrati (che in qualsiasi regime dietetico dovrebbero rappresentare la fonte energetica principale) possono determinare uno stato di chetosi per sopperire alla mancanza di energia. Lo stato chetosico provoca a sua volta la riduzione del pH (acidificazione) che può favorire l’iperuricemia.
Iperuricemia e trattamento farmacologico cronico.
Tutti i lavori clinici considerati e le principali fonti della letteratura ci suggeriscono che la regolarizzazione dell’uricemia può favorire una prevenzione del danno sub-clinico e clinico, oltre ovviamente alle manifestazioni gottose. Ovviamente, devono essere trattati con cura tutti gli altri fattori di rischio cardiovascolare presenti nella sindrome metabolica, sia i maggiori (ipertensione arteriosa, dislipidemia nelle sue varie forme, diabete, eliminazione del fumo), che i minori. Il decremento dell’iperuricemia, da effettuarsi sempre dopo un attacco acuto di flogosi artritica gottosa con:
Superato lo stato di acuzie gottosa, oppure se ci si trova davanti ad un aumento cronico dell’uricemia, è imperativo effettuare la riduzione dello stato iperuricemico. Questo può essere raggiunto con un incremento dell’uricuria (Sulfinpirazone) oppure con una diminuita produzione (Allopurinolo e Feboxostat).
È possibile effettuare il trattamento uricosurico soltanto nei soggetti con una normale funzione renale ed in assenza di calcolosi uratica, ma viene utilizzato molto poco. Unico prodotto presente in Italia che aumenta l’uricuria è il Sulfinpirazone (100-800 mg/die) che può indurre effetti collaterali come flogosi a livello cutaneo, problemi a livello dell’intestino ed interazioni con il trasporto tubulare di alcuni farmaci. Altre sostanze, utilizzate per altre patologie, come ad esempio l’antiipertensivo Losartan ed il Fenofibrato che riduce i trigliceridi, hanno dimostrato un certo effetto uricosurico, ma non possono essere considerati sostanze di prima scelta.
Allopurinolo.
L’Allopurinolo (100-900 mg/die – in media 100-300 mg/die) inibisce, abbiamo visto, in modo competitivo l’enzima xantina-ossidasi, riducendo il passaggio metabolico da ipoxantina a xantina (Figura 1), le quali vengono eliminate con le urine. L’obiettivo è il raggiungimento di livelli accettabili dell’uricemia (die a 300 mg/die in 15-20 giorni).
Gli effetti collaterali sono molti, ma non frequenti (digestivi, dermatologici, ipersensibilità specie in presenza di insufficienza renale e durante terapie diuretiche, vasculiti, nefriti interstiziali, calcolosi di xantina e di ossipurinolo nei soggetti con elevata uricuria). Le principali interazioni farmacologiche sono con l’Azatioprina e con l’Ampicillina. In caso di insufficienza renale è opportuno ridurre la dose. Merita di essere ricordato un importante effetto collaterale ma molto raro, la “Sindrome di Stevens-Johnson” (caratterizzata da una reazione allergica, tra cui gravi reazioni cutanee con bolle simili a scottature a livello delle mucose).
Febuxostat.
Un secondo farmaco, il Febuxostat (80-120 mg/die), è stato in tempi recenti commercializzato in Italia. Si tratta di una molecola ipouricemizzante che non è un analogo purinico come l’Allopurinolo. È in grado di inibire la xantina-ossidasi e nel contempo riduce in maniera più efficace dell’Allopurinolo le specie reattive dell’ossigeno (ROS) nell’endotelio. Ad 80 mg/die ha dimostrato un effetto superiore all’Allopurinolo a 300 mg/die. Gli effetti collaterali sono in prevalenza disturbi digestivi, varie manifestazioni cutanee ed un lieve incremento delle transaminasi. Anche questo prodotto può determinare alcune forme di ipersensibilità come la “Sindrome di Stevens-Johnson”.
Alcune interazioni farmacologiche possono essere indotte anche con questo prodotto (diminuita bio-trasformazione di Azatioprina e di Teofillina). L'efficacia è ridotta in presenza di insufficienza epatica. Viene eliminato attraverso la coniugazione con un enzima (UDGT – Uridin-Difosfato-Glucuronosil-Transferasi) e per ossidazione (citocromo P-450). Presenta una doppia via per l’eliminazione (epatica e renale) e non richiede aggiustamento di dose. L’eliminazione renale: il 3% come Febuxostat ed il 49% come metaboliti. Il farmaco non è stato studiato nei bambini o in giovani con meno di 18 anni.
Lo “Studio CONFIRMS” (Efficacy and Safety of Oral Febuxostat in subjects With Gout) si è caratterizzato perché ha seguito per 180 giorni soggetti con normale ed alterata funzione renale (n=2.269) e tutti con una uricemia superiore ad 8 mg/dl. In modo casuale sono stati somministrati: Febuxostat 40 mg/die (non presente in Italia), Febuxostat 80 mg/die, Allopurinolo 300 mg/die (200 mg/die nei soggetti con ridotta funzione renale). L’end-point primario è stata la percentuale di soggetti che ha ottenuto una normalizzazione dell’uricemia (<6,0 mg/dl), sia in quelli con normale funzione renale, sia in quelli con un’alterata funzionalità (Fig. 5).
Sempre lo “Studio CONFIRMS” ha dimostrato in un sottogruppo di soggetti anziani (>65 anni) una maggiore efficacia di Febuxostat verso Allopurinolo nel portare l’uricemia a livelli ≤6 mg/dl. La Figura 6 mostra, in ratti trattati con una dieta normale ed una dieta ricca di fruttosio, gli effetti istologici nel rene a livello di un’arteria afferente al glomerulo di Febuxostat (FX) verso il Placebo (P).
Fig. 5. Lo “Studio CONFIRMS” ha evidenziato una superiorità terapeutica (normalizzazione dell’uricemia: die) rispetto all’Allopurinolo (200-300 mg/die) nei soggetti con normale e con alterata funzione renale.
Fig 6. Effetti renali del Febuxostat (Fx) a confronto con il Placebo (P), a livello di un’arteria afferente al glomerulo, in ratti trattati con una dieta normale e con una dieta ricca di fruttosio. Si noti come il diverso trattamento (Febuxostat vs Placebo) influisca sul differente spessore dell’arteria. Per l’effetto iperuricemizzante del fruttosio si veda il testo.
(Colorazione con acido periodico di Schiff [×1,000])
Confronto tra Allopurinolo e Febuxostat.
L’Allopurinolo effettua la cosiddetta “inibizione suicida” della xantina-ossidasi, a cui si lega, determinando la riduzione dall’enzima del “co-fattore molibdeno”. Nei soggetti con ipertensione arteriosa e diabete di tipo 2° la terapia ipouricemizzante con Allopurinolo ha migliorato la disfunzione endoteliale.
Il Febuxostat invece è in grado di inibire in modo non competitivo la xantina-ossidasi, la formazione di urati e sembrerebbe più efficace nel ridurre le specie reattive dell’ossigeno (ROS) a livello endoteliale.
Pegloticase (non disponibile in italia).
Per gli adulti colpiti da gotta o da una iperuricemia asintomatica non-responder oppure non tolleranti al trattamento con Allopurinolo o Febuxostat, l’Agenzia regolatoria degli Stati Uniti (FDA - Food and Drug Administration) ha approvato il Pegloticase (Krystexxa). Si tratta di un enzima che viene somministrato per infusione intravenosa ogni 14 giorni. L’effetto è quello di ridurre, sia i depositi dei cristalli di acido urico nelle articolazioni e nei tessuti, sia i livelli plasmatici dell’acido urico metabolizzandolo ed eliminandolo con le urine.
Rimedi fitoterapici.
Esistono alcuni rimedi fitoterapici che possono coadiuvare o, in casi non gravi, sostituire la terapia farmacologica ipouricemizzante. Se ne possono ricordare alcuni tra i principali:
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