Anno Accademico 2018-2019
Vol. 63, n° 2, Aprile - Giugno 2019
ECM: Il mondo sorretto da Atlante. L’importanza delle discipline non chirurgiche nel trapianto di fegato
22 gennaio 2019
POIT-Polo Ospedaliero Interaziendale Trapianti, U.O.C. Chirurgia Generale e Trapianti d'Organo, Az. Osp. San Camillo-Forlanini, Roma
ECM: Il mondo sorretto da Atlante. L’importanza delle discipline non chirurgiche nel trapianto di fegato
22 gennaio 2019
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Il trapianto di fegato venne eseguito per la prima volta nel 1963 da Thomas Starzl, il quale nonostante gli iniziali insuccessi, anche a causa dell’assenza di efficaci farmaci antirigetto, ne dimostrò la fattibilità tecnica aprendo la strada alla trapiantologia moderna epatica che conta circa 120.000 trapianti di fegato eseguiti dal 1968 al 2014.
Dal punto di vista tecnico, esistono due metodiche di trapianto epatico ortotopico: quella convenzionale, che prevede l’asportazione in blocco con il fegato della vena cava retroepatica, e quella cosiddetta “piggy-back” che comporta la conservazione della vena cava nativa. Delle due tecniche, quella attualmente preferita è la seconda, di cui verrà di seguito illustrata la tecnica in dettaglio, mentre solo un accenno verrà fatto sulla tecnica convenzionale.
Come già detto, la tecnica convenzionale prevede il clampaggio totale della vena cava sovra e sotto-epatica che successivamente verrà sostituita con la vena cava del graft mediante due anastomosi T-T; ragion per cui, per la sua esecuzione, è generalmente necessario utilizzare un by-pass veno-venoso extra-corporeo che consenta di mantenere la circolazione sanguigna durante il clampaggio cavale, il che si traduce in un aumento dei tempi operatori, il rischio di sanguinamento è maggiore, così come l’instabilità emodinamica e le alterazioni metaboliche tissutali. Per tale motivo, questa tecnica viene riservata preferenzialmente a casi selezionati quali tumori infiltranti la vena cava nativa, fegati voluminosi, pregresse TIPS o interventi addominali con aderenze post-operatorie tenaci, o infine in caso di trapianto “domino”.
Rispetto alla tecnica convenzionale, i vantaggi del “piggy-back” (PB) sono la riduzione dei tempi operatori e delle perdite ematiche, il mantenimento della circolazione senza necessità del by-pass veno-venoso, il che si traduce in una riduzione dei costi. Tuttavia questa tecnica risulta particolarmente complessa in caso di fegati di dimensioni aumentate, con dei lobi caudati voluminosi difficili da mobilizzare e talvolta l’outflow sovraepatico può risultare non adeguato in caso di cuffie anastomotiche piccole.
L’incisione è sempre sottocostale e può essere a J oppure a Mercedes. Il primo passo, dopo aver liberato la regione epatica da eventuali aderenze peritoneali, è quello di aggredire il peduncolo epatico, di cui va eseguita un’accurata dissezione: dopo sezione di dotto cistico e arteria cistica, che consente di migliorare l’esposizione del bordo destro del peduncolo epatico, la via biliare è la prima struttura ad essere isolata e sezionata cranialmente. Tale gesto consente l’individuazione e sezione del ramo destro dell’arteria epatica e successivamente, in senso medio-laterale, del ramo sinistro dell’arteria epatica, scoprendo il bordo sinistro della vena porta. Questa viene liberata da tutto il cellulare linfo-vascolare periportale ed isolata per tutto il suo tragitto dal bordo superiore del pancreas sino all’ilo epatico nei suoi rami destro e sinistro. A questo punto si passa alla mobilizzazione del fegato sezionando il legamento triangolare di destra, scollando il surrene destro, esponendo così la vena cava retroepatica le cui collaterali spigheliane vengono sezionate tra legature, così come il legamento epato-cavale di Makuuchi che va sempre suturato. Si continua sul versante sinistro, sezionando il piccolo epiploon, il legamento triangolare e coronario sinistro. In alcuni casi quali ad esempio la presenza di grossi shunt venosi a destra oppure di tenaci aderenze dell’emifegato destro con diaframma e retroperitoneo (pregressi interventi, radioembolizzazione), può essere più agevole eseguire l’epatectomia da sinistra verso destra. A questo punto si può sezionare la vena porta a raso della biforcazione ilare e completare l’epatectomia sganciando il caudato dalla vena cava e sezionando gli ultimi rami venosi spigheliani sino a raggiungere le tre vene sovraepatiche. L’anastomosi porto-cava temporanea può essere di aiuto qualora non si riesca ad evitare un clampaggio portale precoce oppure in casi in cui non vi sia ipertensione portale (epatiti fulminanti). È nostra abitudine eseguire la manovra di hanging per trazionare il fegato in basso al momento della sezione delle tre vene sovraepatiche, manovra che viene eseguita il più distalmente possibile dalla vena cava in modo da avere una cuffia ampia per l’anastomosi sovraepatico-cavale T-T, che noi eseguiamo di principio su tutti e tre gli osti sovraepatici i quali vengono uniti per formare un’unica ampia bocca anastomotica, in modo da garantire un’outflow ottimale. In alternativa, l’anastomosi può essere eseguita cavo-cavale L-L. Si passa successivamente all’anastomosi portale, che viene eseguita T-T in continuità posteriormente con growth-factor terminale e punti staccati anteriormente. Si può così declampare prima l’anastomosi sovraepatica e poi la porta, per terminare con l’anastomosi arteriosa che viene eseguita utilizzando il patch aortico del graft, che viene anastomizzato generalmente alla biforcazione tra ramo destro e ramo sinistro dell’arteria epatica nativa in modo da avere un’ampia bocca anastomotica. Si declampa l’arteria e si perfeziona l’emostasi. Il trapianto termina con l’anastomosi biliare che convenzionalmente viene eseguita T-T in PDS 6/0. Qualora vi sia discrepanza di calibro tra i due monconi biliari oppure in caso di anastomosi molto sottili e difficili da eseguire (ad esempio in caso di split liver) viene posizionato un tubo a T di Kehr a tutore dell’anastomosi. I drenaggi al termine del trapianto sono due o tre periepatici e perianastomotici.
Oltre al trapianto di fegato intero, esiste il trapianto “split-liver”, in cui l’organo viene separato ottenendo due emifegati: il lobo sinistro (segmenti II-III) che viene trapiantato su ricevente pediatrico e il lobo destro (segmenti IV-VIII) su ricevente adulto, oppure l’emifegato sinistro (segmenti II-IV) e quello destro (segmenti V-VIII) secondo la tecnica full-right full-left (o “splittone”) qualora i due riceventi siano entrambi adulti o comunque di peso idoneo. Tali procedure di split possono essere eseguite “in situ”, cioè durante il prelievo a caldo dell’organo, oppure “ex situ” ossia su banco.
La carenza di organi e l’aumento costante del numero dei pazienti in lista d’attesa, ha favorito lo sviluppo delle tecniche di trapianto da donatore vivente, soprattutto nei paesi asiatici dove non esiste la cultura della donazione da cadavere. Questa è una procedura assi delicata, che comporta un rischio doppio di morbilità e mortalità sia del donatore che del ricevente ed è pertanto riservata a casi selezionati con uno studio meticoloso preoperatorio dell’anatomia strutturale vascolare e biliare del donatore, il quale può donare il lobo sinistro o l’intero emifegato sinistro o destro a seconda delle caratteristiche e dell’età del ricevente.
BIBLIOGRAFIA
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