Anno Accademico 2018-2019
Vol. 63, n° 4, Ottobre - Dicembre 2019
Simposio: Infezioni ospedaliere: un problema emergente
14 maggio 2019
Simposio: Infezioni ospedaliere: un problema emergente
14 maggio 2019
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Introduzione
Le infezioni ospedaliere (IO) rappresentano la prima causa di decessi nel mondo. Prevenirle è tra le campagne principali messe in piedi dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Per convenzione si considerano nosocomiali quelle infezioni che si sviluppano almeno 48-72 ore dopo il ricovero, quelle infezioni che insorgono durante il ricovero di una persona in ospedale e che non erano presenti o in incubazione al momento dell'ingresso in ospedale. In alcuni casi, le infezioni ospedaliere si possono manifestare anche dopo la dimissione dall'ospedale.
La possibilità di prevenire le Infezione ospedaliere è correlata in buona parte a procedure assistenziali di ampia diffusione quali il lavaggio delle mani, il rispetto dell’asepsi nelle procedure invasive, la disinfezione e la sterilizzazione dei presidi sanitari.
Negli ultimi 20 anni il fenomeno delle IO è aumentato ulteriormente; per questo motivo, numerose istituzioni internazionali si sono attivate al fine di porre in atto concrete misure di prevenzione. Per esempio negli Stati Uniti esiste un sistema di rilevazione e di prevenzione delle infezioni ospedaliere, il National nosocomial infections surveillance (Nnis).
Secondo i dati del Nnis le infezioni ospedaliere sono così distribuite:
Gli studi effettuati in Italia hanno dimostrato che:
Allo scopo di assicurare un'operatività continua in materia di Infezioni Ospedaliere, in Italia sono state pubblicate due circolari del ministero della Sanità, la n. 52/1985 e la n. 8/1988.
La circolare n°52/85 "Lotta contro le infezioni ospedaliere" afferma che in ogni presidio ospedaliero sia istituita una commissione tecnica responsabile della lotta contro le infezioni i cui compiti sono: definire la strategia di lotta contro le IO; verificare l'effettiva applicazione dei programmi di sorveglianza, controllo e la loro efficacia; curare la formazione culturale e tecnica del personale su tale argomento.
La circolare n°8/88 "Lotta contro le infezioni ospedaliere: la sorveglianza" riporta la definizione di infezione ospedaliera e comunitaria, i criteri di selezione dei pazienti da arruolare negli studi epidemiologici ed alcune definizioni specifiche per la diagnosi delle infezioni di più comune riscontro. Delinea inoltre alcuni sistemi di sorveglianza, da adottare in base agli obiettivi prefissati dal Comitato ed alle risorse disponibili.
Nasce così il Comitato infezioni ospedaliere (CIO), un comitato multidisciplinare in cui più professionisti (direttore medico, medici, infermiere, microbiologo, infettivologo, farmacista ecc.) con le proprie specifiche competenze e responsabilità concorrono per un obiettivo comune: "promuovere la qualità dell’assistenza prevenendo le IO".
A partire dagli anni novanta, l'assistenza sanitaria ha subito profondi cambiamenti. Per il nascere ed il diffondersi di altri luoghi di cura quali strutture di lungodegenza, residenze per anziani, ambulatori, centri di dialisi, day-surgery (cioè interventi chirurgici effettuati in regime di ricovero delle durata di poche ore), assistenza a domicilio ecc., oggi si parla più in generale di infezioni correlate all'assistenza sanitaria (Ica) e non solo di IO.
Il Ministero della Salute stima che in Italia ogni anno si verificano dalle 450.000 alle 700.000 infezioni in persone ricoverate (complessivamente un'infezione correlata all'assistenza si verifica nel 4-7% dei ricoveri).
Secondo uno studio condotto nel 2011 le Ica più comuni sono:
− infezioni respiratorie, soprattutto polmoniti
− infezioni urinarie
− infezioni chirurgiche
− infezioni del sangue (batteriemie o sepsi)
I microrganismi più frequentemente isolati nelle Ica sono Gram-negativi (Escherichia coli, Klebsiella pneumoniae, Pseudomonas aeruginosa) seguiti da batteri Gram-positivi quali lo Staphylococcus aureus. Il germe più frequentemente rilevato nelle infezioni gastrointestinali in ospedale è il Clostridium difficile.
Nelle Ica, la trasmissione dei microrganismi si verifica soprattutto attraverso le mani degli operatori. Il lavaggio delle mani dopo l'assistenza di una persona e prima di assisterne un'altra è la pratica più importante per la prevenzione delle Ica. È molto semplice, a basso costo ed estremamente utile a limitare l'emergenza e la diffusione dei microrganismi responsabili di infezioni. Il lavaggio delle mani deve essere effettuato con acqua e sapone o può essere sostituito dall'utilizzo di soluzioni idro-alcoliche (gel disinfettante). Non solo il personale sanitario ma anche i visitatori sono tenuti a lavarsi le mani (sito del Ministero della Salute “Lavare le mani. Ecco come, quando e perché”) prima di ogni possibile contatto con la persona ricoverata.
Tipologie di infezioni ospedaliere
L’infezione nosocomiale più frequente è quella del tratto urinario, seguono le infezioni della ferita chirurgica, l’infezione dell’accesso venoso (punto in cui si inserisce l’ago per somministrare terapie endovena), la polmonite (WHO 2012).
Il sito in cui si instaura l’infezione dipende dalle procedure mediche a cui il paziente viene sottoposto.
L’inserzione del catetere vescicale espone al rischio di infezione dell’apparato urinario.
L’inserzione di accessi venosi per somministrare terapie endovena, espone al rischio di infezione del sito di ingresso dell’ago con la possibilità che i patogeni possano invadere il torrente ematico.
I respiratori, per consentire la respirazione artificiale nei soggetti ricoverati nelle unità di Cura Intensiva, espongono al rischio di infezione delle vie respiratorie e del polmone.
Gli interventi chirurgici espongono al rischio di infezioni dell’organo trattato chirurgicamente e, più spesso, della ferita chirurgica.
Polmonite
Infezioni delle basse vie respiratorie. Il compito particolare dell’assistenza respiratoria e del reparto di assistenza respiratoria nel controllo delle infezioni è primariamente finalizzato alla prevenzione della polmonite nosocomiale. Perciò la prevenzione della contaminazione del paziente, inteso sia come eventuale fonte o veicolo di infezione, che come mezzo di trasferimento di agenti infettivi tra pazienti diversi, è un compito comune a tutto il personale di assistenza che è a diretto contatto con il paziente. La polmonite rappresenta dal 10 al 20 % di tutte le infezioni acquisite in ospedale ed è, in ordine di frequenza, al terzo posto dopo le infezioni urinarie e delle ferite chirurgiche; è l’infezione nosocomiale più frequentemente associata a morte del paziente. Si ritiene che la polmonite rappresenti il maggior problema in termini di controllo, ed i metodi per la sua prevenzione sono stati formalizzati nelle linee-guida per la prevenzione della polmonite nosocomiale messe a punto dai Center for Diseases Control (CDC). I pazienti a più alto rischio di sviluppare una polmonite nosocomiale sono quelli con insufficienza respiratoria, specialmente quando necessitano di intubazione endotracheale, che hanno subito traumi di notevole entità o interventi chirurgici, specialmente quando questi ultimi interessano la parte alta dell’addome o il torace, nonché i pazienti immunosoppressi. Il fattore che gioca il ruolo più determinante in questi pazienti è la riduzione del riflesso della deglutizione e dei meccanismi di clearance polmonare. Il 75% di casi certi o probabili di polmonite nosocomiale è stato documentato, nel corso dello studio sull’efficacia del controllo delle infezioni nosocomiali, in pazienti postoperatori. Nei pazienti studiati il rischio di polmonite nosocomiale è risultato 14 volte più alto, rispetto ad un gruppo di controllo, nei soggetti sottoposti a chirurgia toracica; 3-4 volte più alto dopo la chirurgia addominale e 38 volte più alto dopo chirurgia toracoaddominale combinata. I batteri comunemente arrivano alle basse vie respiratorie attraverso tre vie:
1. aspirazione di materiale orofaringeo,
2. inalazione di aerosol veicolanti batteri,
3. diffusione ematogena da altri siti.
La fonte di questi microrganismi può essere di tre tipi diversi:
− l’apparato respiratorio del paziente stesso,
− altri distretti del corpo del paziente, come il tratto gastrointestinale,
− l’ambiente che circonda il paziente, inclusa l’aria, gli oggetti inanimati, gli altri pazienti ed il personale ospedaliero.
Il trattamento di singoli pazienti appartenenti a gruppi ad alto rischio ed il controllo delle fonti di infezione costituiscono l’obiettivo principale del controllo delle infezioni nell’assistenza respiratoria.
Infezioni delle ferite chirurgiche
Sebbene gli aspetti della prevenzione delle infezioni settiche delle ferite chirurgiche (incluse tecniche operatorie idonee, attenta gestione del bilancio dei fluidi e degli elettroliti, mantenimento rigoroso dell’asepsi e uso profilattico degli antibiotici) siano stati analizzati in dettaglio nella letteratura recente, il trattamento di un’infezione (una volta che questa si è instaurata) continua a rappresentare un serio problema nel periodo postoperatorio. Si crede generalmente che la prevenzione sia la miglior forma di terapia per le infezioni delle ferite. Le infezioni delle ferite chirurgiche continuano ad essere una causa importante di morbosità, mortalità e costi ospedalieri eccessivi. La pressione economica e sociale, che ha favorito l’esecuzione di alcune pratiche chirurgiche in ambulatorio in modo pratico ed economico, ha aggiunto un’altra variabile nella raccolta e nell’analisi dei dati relativi alle infezioni delle ferite postoperatorie. Da una indagine svolta dall’ISS nel 1983 su 130 ospedali italiani e comprendente 34.577 pazienti, la prevalenza di infezioni su 8.814 pazienti operati è risultata pari al 3,1%, con tassi diversificati a seconda del tipo di intervento. Le infezioni della ferita chirurgica rappresentano una larga parte di tutte le IO. Nei reparti chirurgici il tasso di IO è maggiore rispetto ai reparti medici, proprio a causa del peso rappresentato dalle infezioni delle ferite chirurgiche. Nel nostro Paese ogni anno almeno 3 milioni di cittadini si ricoverano nei reparti chirurgici e circa 180.000 di questi presentano complicanze infettive nel decorso post-operatorio. Questo fatto deve far riflettere in termini di costi sanitari ed economici (allungamento del tempo di degenza, spesa extra per farmaci ed indagini diagnostiche, danni derivanti da morte o invalidità, ecc.; mentre le infezioni delle ferite chirurgiche rappresentano meno di un terzo di tutte le IO, il loro impatto in termini di costi rappresenta più del 50% delle spese provocate dalle infezioni ospedaliere. La lista dei fattori che predispongono allo sviluppo di infezioni di ferite chirurgiche cresce parallelamente al perfezionamento scientifico del controllo delle infezioni. È stato da tempo riconosciuto che il paziente ospedalizzato per un tempo prolungato prima dell’intervento ha tassi di infezione più elevati. Le ragioni per cui un lungo ricovero preoperatorio può aumentare il rischio di infezioni postoperatorie non sono del tutto chiare. Le tecniche usate per preparare l’area delle ferite chirurgiche (rasatura, taglio dei peli e depilazione) ed il tempo che intercorre tra preparazione del sito ed incisione della cute sono eventi di provata importanza. Gli individui che vengono rasati prima dell’intervento hanno un tasso di infezione delle ferite chirurgiche pulite doppio, rispetto ai soggetti ai quali i peli vengono tagliati, ed in entrambi i casi l’incidenza di infezione è più elevata rispetto ai pazienti in cui non viene messa in atto alcuna procedura di rimozione dei peli. In realtà il ruolo della rimozione dei peli nella riduzione delle infezioni postoperatorie è solo presunto ma non provato. L’uso di saponi antibatterici prima dell’intervento può ridurre il rischio di infezione della ferita. La capacità del chirurgo e degli altri medici, nonché degli infermieri e dei tecnici, sono naturalmente importanti. Le infezioni delle ferite sono più frequenti in presenza di traumi o di malattie associate, specialmente se si tratta di infezioni di altri distretti dell’organismo. Le fonti ambientali in sala operatoria, l’apparecchiatura e la disponibilità di materiale giocano un ruolo di modesta entità sui tassi di infezione delle ferite chirurgiche a livello endemico, ma possono essere responsabili di epidemie sia di piccole che di grandi dimensioni. Recentemente molta attenzione è stata posta sia sugli antisettici usati per preparare la cute che possono essere contaminati, che sulle protesi da impianto che possono essere non adeguatamente sterilizzate. I tassi di infezione sono influenzati dalla durata dell’intervento. Il tipo di intervento effettuato, correlato cioè alla possibilità di contaminazione endogena od esogena, influenza significativamente il rischio di infezione. Per tale motivo le misure preventive andrebbero diversificate in caso di interventi puliti (bassa probabilità di contaminazione endogena, rischio di contaminazione esogena) o contaminati (alta probabilità di contaminazione endogena pur persistendo il rischio di quella esogena). Nel primo caso i fattori di rischio principale sono rappresentati dalla durata della degenza preoperatoria, dalla preparazione del paziente, dall’asepsi del campo operatorio e degli operatori, dalle misure di barriera. Nel secondo caso è opportuno, insieme con la scrupolosa osservanza delle procedure applicate negli interventi puliti, intervenire sulla tecnica operatoria, evitando le possibilità di contaminazione endogena. In molti di questi casi è consigliabile anche adottare una chemioprofilassi antibiotica. Le mani degli operatori che partecipano all’intervento costituiscono probabilmente il maggior rischio per il paziente nel caso in cui non vengano adeguatamente decontaminate. Non debbono però essere enfatizzati oltre misura l’importanza del lavaggio chirurgico e l’uso dei guanti chirurgici. È stato suggerito che i guanti non sono probabilmente così importanti come lo è il lavaggio chirurgico. La questione non è se lavarsi o meno, ma piuttosto quanto deve durare il lavaggio.
Prevenzione
Da sottolineare che il 65-70% dei casi di batteriemie correlate al cateterismo vascolare e di infezioni urinarie correlate al catetere urinario ed il 55% dei casi di polmoniti associate alla ventilazione possono essere evitate adottando degli efficaci programmi di prevenzione. L’adozione di tali misure condurrebbe ad una riduzione delle complicanze per i pazienti, ad un miglioramento delle condizioni di assistenza e, conseguentemente, ad un risparmio sui costi assistenziali e sociali con la possibilità di riallocare le risorse economiche all’interno delle strutture assistenziali.
Bundle
Il concetto di bundle è stato sviluppato, a partire dal 2001, dall'Institute for Healthcare Improvement (IHI) come supporto agli operatori sanitari per migliorare la cura dei pazienti sottoposti a specifici trattamenti ad alto rischio.
Il bundle è un insieme contenuto di pratiche evidence-based che, applicate congiuntamente e in modo adeguato, migliorano la qualità e l'esito dei processi con un effetto maggiore di quello che le stesse determinerebbero se fossero attuate separatamente.
Le principali caratteristiche che identificano un bundle sono:
− la legge del “tutto o nulla”, cioè un bundle ha successo solo se tutte le sue componenti
− vengono applicate;
− deve essere facilmente gestibile e quindi composto da un numero limitato di azioni attuabili
− in maniera sostenibile, facili da memorizzare e semplici da monitorare;
− include solo alcune tra tutte le possibili strategie applicabili, quelle più solide in termini di
− evidenze scientifiche, da cui derivano sicuri vantaggi in termini di esito delle cure.
L’applicazione del bundle però non comporta l’esclusione di altre pratiche evidence-based, che non sono state incluse;
− gli elementi del bundle sono tra loro relativamente indipendenti, per cui se una delle pratiche non è applicabile ad un determinato paziente l'applicazione delle altre azioni previste dal bundle non ne viene inficiata;
− la sua compliance, definita come la percentuale di pazienti ai quali vengono applicate tutte le strategie del bundle, deve essere perfettamente misurabile.
Per essere considerato valido, deve vedere applicate in maniera corretta tutte le singole azioni che lo compongono (naturalmente escluse quelle che in determinati contesti clinici e/o situazioni esplicitate dallo stesso bundle risultano non applicabili).
Prevenzioni delle infezioni del sito chirurgico
Fase pre e post-operatoria
1. Assicurarsi che il paziente si sia fatto la doccia (in alternativa, se non è possibile, procedere con bagno o pulizia a letto del paziente) lo stesso giorno o quello precedente l’intervento chirurgico, usando sapone semplice o detergente liquido.
2. Evitare la tricotomia; se necessaria utilizzare il clipper (il giorno dell’intervento) o la crema depilatoria (solo se il paziente non è sensibile).
3. Non toccare o rimuovere, salvo diversa indicazione clinica (es. garza sporca, bagnata), la medicazione della ferita nelle 48 ore successive l'intervento.
4. Usare una tecnica asettica per l'ispezione della ferita e/o in caso di necessità di cambio della medicazione.
Fase intra-operatoria
1. La profilassi chirurgicica deve essere prescritta secondo i protocolli/procedure aziendali (molecola, dosaggio, redosing e durata) e somministrata entro i 60 minuti che precedono l’incisione chirurgica#.
2. Eseguire l’antisepsi della cute con clorexidina gluconata al 2% in alcool 70% e lasciare asciugare prima di incidere (in caso di sensibilità del paziente alla clorexidina utilizzare iodopovidone).
3. Se il paziente è diabetico (o a rischio), mantenere il livello della glicemia
4. Mantenere la temperatura corporea del paziente sopra i 36° C durante tutto il periodo peri-operatorio°.
# non applicabile nel caso dei tagli cesarei perché viene eseguita al clampaggio del cordone ombelicale
° non applicabile nei i pazienti cardiochirurgici
* non applicabile nei pazienti non diabetici o a rischio
Posizionamento del catetere vescicale (CV) a permanenza
Gestione del catetere vescicale (CV) a permanenza
Posizionamento del catetere venoso periferico (CVP)
Gestione del catetere venoso periferico (CVP)
Posizionamento del catetere venoso centrale (CVC e PICC) e del periferico (MIDLINE)
Gestione del catetere venoso centrale (CVC e PICC) e del periferico (MIDLINE)
Prevenzione della polmonite nei pazienti ventilati da più di 48 ore (VAP) sia nei pazienti con intubazione oro-tracheale sia tracheostomizzati
Bundle 1.
Bundle 2.
Clostridium difficile
Clostridium difficile (Cd) è l’agente microbico della più frequente forma di diarrea nei pazienti ospedalizzati. Da circa un decennio, l’incidenza delle infezioni da C difficile (CDI) è in crescita nei paesi occidentali. Il fenomeno si riflette negativamente sulla mortalità, sui tempi di degenza e i costi di terapia. La crescente gravità della CDI è correlata sia alla fragilità dei pazienti anziani (bersaglio caratteristico del microrganismo) che all’emergere di ceppi ipervirulenti
Diagnostica di laboratorio
Una diagnostica di laboratorio precoce, sensibile e accurata gioca un ruolo fondamentale sia per la prognosi del paziente, sia per sorvegliare la diffusione del microrganismo all’interno della struttura sanitaria. Il laboratorio deve garantire tempi di refertazione (Turn Around Time - TAT) rapidi, in pratica contenuti entro la giornata lavorativa in cui il test è stato richiesto. In linea generale, bisogna ricordarsi che, in assenza di altra potenziale causa di diarrea, va sospettata l’origine infettiva: nei pazienti ricoverati da 2-3 giorni, o in quelli provenienti da altre strutture di degenza, l’agente causale più probabile è proprio il CD.
Prevenzione
Per minimizzare l’esposizione al CD sono richieste delle strategie che mirano a:
− identificare tempestivamente
− isolare
− trattare efficacemente, al fine di ridurre la disseminazione delle spore, interrompendo la catena di trasmissione e prevenendo le colonizzazioni / infezioni crociate.
Sospetto: in assenza di altra potenziale causa di diarrea, sospettare una causa infettiva.
Isolamento: ove possibile, isolare il paziente in stanza singola, attivare le precauzioni da contatto in aggiunta a quelle standard e consultare il CIO.
Dispositivi di protezione individuale/mezzi di barriera, ovvero guanti e sovracamici monouso per tutti i contatti con il paziente e l’ambiente che lo circonda.
Igiene delle mani: gel alcolico prima del contatto con il paziente; lavaggio antisettico dopo ogni contatto con il paziente e l’ambiente.
TEST: eseguire rapidamente il test per la ricerca del Cd (se il test è positivo, non inviare altri campioni di controllo).
Gestione pz con diarrea da sospetta CDI
− Collocazione del paziente
− Allestimento area di isolamento
− Igiene delle mani
− Utilizzo dei guanti
− Utilizzo dei DPI
− Posizionamento immediato del diversore fecale, se disponibile
− Gestione dei dispositivi monouso, poliuso e della biancheria
− Trasferimento del paziente
− Igiene ambientale
− Smaltimento rifiuti
Il pz con sospetta o accertata CDI deve essere tempestivamente isolato:
− Camera singola con WC dedicato
− Intera stanza (a più letti) dedicata e/o WC dedicato o letto distale lasciando vuoto quello attiguo (in tal caso, nel passaggio ad altro pz non infetto cambiare abbigliamento protettivo e lavare con antisettico le mani)
− Coorte di pz. colonizzati/infetti con CD (area limitata di contaminazione ambientale, personale dedicato e formato in merito)
− Il pz deambulante dovrà avere dedicato un WC o una comoda, definendone la localizzazione e le modalità di decontaminazione
− Posizionare immediatamente il diversore fecale, laddove disponibile (area intensiva)
− Il pz allettato dovrà utilizzare pannoloni padella/pappagallo monouso (hygienic bag) o dedicati e decontaminati ad hoc.
Igiene delle mani - quando
− Prima e dopo ogni contatto con il pz
− Tra procedure a diverso rischio infettivo
− Dopo ogni contatto con l’unità del pz, l’ambiente circostante e con tutte le superfici del servizio igienico
− Dopo contatto con i dispositivi e i materiali utilizzati per il pz
− Dopo rimozione dei guanti
− Prima di lasciare la stanza
Igiene delle mani - come
L’azione meccanica tramite strofinamento prolungato con acqua e detergente (non meno di un minuto) su tutta la superficie delle mani, inclusi gli spazi interdigitali garantisce la rimozione di una elevata quota di microrganismi (flora transitoria), comprese le spore.
La frizione alcolica, vivamente raccomandata in altre situazioni, non ha indicazione prioritaria in presenza di diarrea da CD, perché l’alcol è efficace sulle forme vegetative ma non sulle spore e, inoltre, manca l’azione meccanica prolungata.
Il gel alcolico può essere utilizzato esclusivamente prima di calzare i guanti per contatto con pz e/o ambiente o in presenza di difficoltà ad effettuare la procedura con acqua e antisettico.
Le salviettine antisettiche garantiscono un risultato inferiore rispetto al lavaggio con acqua e antisettico, ma superiore rispetto alla frizione alcolica
Uso dei guanti
− Indossarli sempre dopo aver effettuato il lavaggio antisettico delle mani
− Rimuoverli sempre dopo gli altri DPI
− Sostituirli per manovre con diverso rischio infettivo sullo stesso paziente (unitamente al lavaggio mani)
− Non toccare superfici al di fuori dell’isola pz anche se ritenuti “pulite”
− Effettuare sempre il lavaggio antisettico delle mani dopo averli tolti
Uso dei dispositivi di protezione individuale dpi
− Tenerli disponibili fuori dalla stanza di degenza
− Indossare i guanti e il camice monouso impermeabile prima di entrare nella stanza o nell’area di isolamento per ogni contatto diretto con il pz; con i suoi liquidi biologici e con il restante ambiente (isola degenza e area circostante)
− Indossare la mascherina con visiera in caso di manovre assistenziali che possono generare aerosol
− Rimuoverli se visibilmente sporchi, sempre dopo aver manipolato feci, vomito, etc. e comunque prima di lasciare la stanza o l’area di isolamento nel seguente ordine: camice, guanti, lavaggio mani antisettico, mascherina e poi nuovo lavaggio mani antisettico.
L’infezione da Clostridium difficile presenta uno spettro di manifestazioni cliniche molto variabile che va dalla sindrome diarroica lieve (diarrea acquosa) o grave (profusa diarrea acquosa, dolori addominali, febbre, disidratazione) fino ad arrivare alla colite senza o con pseudomembrane, alla colite fulminante con megacolon tossico e perforazione intestinale (3% dei pz).
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