Come è noto, tutti i Paesi Occidentali, e l’Italia in primis, stanno assistendo ad un incremento (favorevole) dell’aspettativa di vita, accompagnato da una crescita rapida della prevalenza delle principali malattie croniche frutto - certo - dell’invecchiamento della popolazione, ma correlata -purtroppo- in modo statisticamente significativo (come ha ben documentato l’ISTAT e l’INMP nell’Atlante Italiano delle disuguaglianze analizzando i rapporti standardizzati di mortalità - SMR- per età) con il livello di istruzione e con la vulnerabilità sociale.
Tra le cause di morte più correlate ad un livello d’istruzione inferiore ci sono le malattie cerebro-cardiovascolari (1° causa di morte) e i tumori (soprattutto del sistema digerente e respiratorio).
Se si considera che, in gran parte, la marcata differenza di aspettative di vita (4-5 anni) è dovuta a condizioni e stili di vita peggiori (fumo, obesità, esposizione ambientale …), ad una tardiva formulazione del sospetto diagnostico e ad una peggiore aderenza al percorso di cura (ad es. interrompendo la terapia per l’ipertensione, per lo scompenso cardiaco o per il diabete ..) è facile intuire come l’attuale sistema di assistenza, sostanzialmente ancora concentrato sulle (importantissime) cure ospedaliere, non possa più reggere e che tanto meno potrà farlo per la tumultuosa crescita della cronicità, spesso negli anziani multipla, attesa nei prossimi anni.
Allargando lo sguardo, in particolare sui Paesi più avanzati, è facile osservare come il fenomeno delle diseguaglianze sia ancora più marcato, in altre nazioni, tanto più se organizzate con sistemi di tipo mutualistico (“sistemi Bismark”).
Si potrebbe ritenere che il fenomeno sia prevalentemente legato alla non sostenibilità economica, ma - pur sottolineando la necessità non più rinviabile che venga adeguato il finanziamento pubblico (minore di 3-5 punti percentuali PIL, rispetto ad. es alla Francia e alla Germania, con trend in ulteriore peggioramento) - il paradosso è che numerosi studi di contabilità analitica hanno inconfutabilmente dimostrato che un malato cronico ben curato ha un numero minore di (costosi) episodi acuti (scompenso cardiaco, infarto del miocardio, ictus…) di un paziente non adeguatamente “preso in cura” dal sistema e quindi: costa meno.
Si ricorda, inoltre, come ricorda l’OMS, che le malattie croniche assorbono fra l’82% e l’85% dei costi per la Sanità e sono alla base dell’86% dei decessi.
È il momento, dunque, per un auspicato da anni - cambiamento organizzativo (sollecitato da autorevoli fonti, fra le quali l’OMS e, più di recente, dal G7 salute, Maggio 2019), sfruttando l’onda tecnologica le cui potenzialità, però, devono essere rigorosamente valutate e validate.
Rimanendo, infatti, sull’impegnativo tema delle nuove tecnologie, è evidente come esse vadano non solo essere scelte sulla base di evidenze concrete, frutto di Trial clinici Randomizzati (TCR), ma debbono essere impiegate sulla base della più volte auspicata appropriatezza clinica!
Il sovrautilizzo, così come il sottoutilizzo, di tecnologia, infatti, può essere, oltre che una causa di sprechi immorale, una fonte di rischio evitabile, come accade per la prescrizione di esami radiologici inutili.
Ciò premesso, non possiamo non sottolineare lo straordinario aiuto che può venire, per es., dal corretto impiego dell’ICT, i sistemi informativi “abilitanti”, oggi irrinunciabili se vogliono condividere nel team multiprofessionale i dati clinici indispensabili dei pazienti che a loro si sono affidati, così pure se vogliamo garantire il telemonitoraggio dei pazienti fragili a domicilio, o il tele-consulto fra operatori sanitari attraverso la telemedicina! Su questo tema, sicuramente sfidante, occorre che le Aziende Sanitarie adottino un codice di condotta, come previsto dal Regolamento Europeo, con le relative istruzioni operative, tale da garantire il rispetto delle norme sulla riservatezza dei dati sanitari personali e insieme il superamento dell’attuale pericolosa, frammentazione dei S.W., vere e proprie “isole” separate.
Ancor più evidente appare la straordinaria frontiera offerta dalla medicina di precisione quale la targhet therapy, a bersaglio molecolare e la immunoterapia che, dopo il successo delle terapie basate sull’impiego di anticorpi monoclonali (Mab), ha appena visto approvare l’uso dei linfociti T del malato stesso contro la leucemia linfoblastica (linfociti T-CAR).
Appare, quindi, evidente come il Sistema Sanitario Nazionale (e i sistemi regionali e le direzioni strategiche delle Az. Sanitarie) sia chiamato ad un nuovo ed impegnativo “priority setting”, capace di assicurarsi il maggior valore alle scelte adottate inteso come il miglioramento degli esiti delle cure (ad es. minor incidenza delle complicanze e quindi della necessità di ospedalizzazione), unito al miglioramento della qualità percepita, oltre che al contenimento dei costi finali del percorso assistenziale (si badi bene!) dando il giusto peso, pur monitorandoli, ai costi intermedi.
La chirurgia robotica mini invasiva, ad es. che ha rivoluzionato - in meglio- i percorsi di cura, anche oncologici, ha contemporaneamente ridotto la durata dell’ospedalizzazione, pur avendo aumentato i costi intermedi dei tools chirurgici. Un analogo esempio viene offerto dall’impiego dei nuovi farmaci contro l’H.C.V. che hanno reso possibile la guarigione in poche settimane da una malattia epatica gravissima (con una frequente “costosissima” evoluzione verso la fibrosi, il carcinoma e il trapianto di fegato), pur determinando un incremento -rilevante- dei costi intermedi per l’acquisto del farmaco (sofosbuvir).
Anche a fronte di quanto sopra ricordato, è nata la consapevolezza che, non solo la domanda di salute è profondamente modificata, ma che anche l’offerta può giovarsi del necessario cambiamento di approccio che la tecnologia offre.
Sotto il profilo del modello organizzativo occorre ripensare il Sistema secondo 3 direttrici essenziali:
- Creare un raccordo strutturato in rete fra le cure primarie (attraverso le Aggregazioni Funzionali Territoriali) e gli specialisti per la cura delle malattie croniche ad elevata ospedalizzazione (cardiologiche, neurologiche, respiratorie, renali, oncologiche) e per quelle a bassa ospedalizzazione (salute mentale, dipendenze, cure palliative).
- Promuovere una migliore mobilità, programmata, degli specialisti nella rete degli ospedali, tale da assicurare, anche nei Presidi ospedalieri minori, di riferimento territoriale, l’apporto tecnico - scientifico e il riferimento specialistico necessario (rete specialistica complanare).
- Sviluppare sistemi informativi capaci di assicurare (con il consenso dell’assistito) sia la trasmissione di dossier clinici, dei referti, delle immagini e dei dati di laboratorio, sia il teleconsulto e la televisiva fra i vari setting assistenziali.
Il nuovo modello denominato Reti Cliniche Integrate e strutturate, punta ad eliminare gli “sprechi” di un’organizzazione anche concettualmente pensata quando il quadro epidemiologico e le possibilità di cura erano assai differenti, un’organizzazione che non prevede né favorisce il raccordo fra i vari setting assistenziali.
Il modello ha alla base, oltre che numerosi contributi disponibili nella letteratura internazionale, il Piano Nazionale Cronicità redatto dal Ministero della Salute e quasi 10 anni di esperienza assai positiva (ancorché parziale) di applicazione del Chronic Care Model (la sanità di iniziativa) che, annullando le differenze di accesso fra le varie classi sociali, diverse per cultura e reddito, ha mostrato una riduzione significativa della mortalità per complicanze delle malattie croniche (ictus, infatti, ecc…).
Il nuovo approccio struttura l’organizzazione secondo la regola delle 4 “P”: Prevenzione, Prossimità, Produttività, Personalizzazione delle cure garantendo il superamento della frammentazione (a silos) della risposta socio-sanitaria attraverso un raccordo, sistemico fra i medici delle cure primarie e gli specialisti, ospedalieri e territoriali, così assicurando i percorsi assistenziali individuali e la presa in cura del paziente cronico.
Il raccordo, perché sia efficace, deve essere nominale, nel senso che il malato deve conoscere con certezza (il nome dello specialista) di riferimento del suo medico curante: realizzandosi così una “Comunità di Pratica” (E. Wenger) che - evitando il ping-pong del paziente - riduce sensibilmente (nella nostra esperienza di circa il 20%) la domanda di visite ed esami strumentali.
Il raccordo fra ospedale e territorio (Eldorado agognato e perseguito da anni in Italia, ma solo durante i convegni…!), naturalmente, non deve essere limitato al medico di famiglia, ma coinvolgere pienamente il team multiprofessionale presente sul territorio (infermieri, assistenti sociali, collaboratori di studio) e non solo!
Rilevante è, infatti, il ruolo professionale del farmacista, che opera nelle farmacie territoriali, pubbliche e private: veri e propri presidi capillarmente presenti anche nelle aree più disagiate!
Di fatto, la sua presenza autorevole e di prossimità, oltre cha favorire la correzione degli stili di vita e la promozione della prevenzione secondaria (screenings), può diventare indispensabile supporto per contrastare un fenomeno diffuso e pericolosissimo: la non aderenza alla terapia e la interazione fra farmaci!
In particolare, il fenomeno della non aderenza terapeutica interessa quasi la metà dei diabetici, degli ipertesi e, addirittura, il 65% dei soggetti affetti da bronchite cronica ostruttiva o da asma grave!
Nella storia naturale di tanti nostri cittadini con gravi disabilità post ictus o post Infarto Miocardico Acuto (IMA) o in dialisi o con gravissima insufficienza respiratoria c’è un uso discontinuo del farmaco, scordato o sottovalutato perché il diabete o l’ipertensione non provocano segnali quotidiani (non si sente dolore…)!
La sfida è, certo, contenere ricoveri e accessi al P.S. in urgenza, ma soprattutto, ridurre la mortalità e la disabilità che sono il frequente punto di arrivo di malattie, che invece potrebbero essere facilmente tenute sotto controllo!
A supporto di questo approccio, venga pure la Sanità integrativa (non certo sostitutiva) che, orientata ed integrata per obiettivi assistenziali importantissimi, non inseriti fra i LEA (ad es. assistenza familiare, odontoiatria, oculistica sociale, rimborso ticket…), può facilitare la domiciliarità e l’umanizzazione delle cure. Su questo tema, che come è noto ha avuto un avvio normativo importante, ma che oggi, è oggetto solo di (opportune) indagini parlamentari e di altisonanti opinioni a confronto, è irrinviabile una nuova legge che armonizzi e disciplini la materia con il fine di potenziare l’offerta (anche con la collaborazione del privato) a governance pubblica regionale. Infine, è utile ricordare il contributo - irrinunciabile davvero - del nuovo sistema di Emergenza- Urgenza che, con la sua risposta sul territorio coordinata dalla C.O.118 e nei Pronto Soccorso, ha dimostrato di poter ridurre fino a 20-25% la mortalità per gravissimi eventi acuti, specie di natura cardio-cerebro vascolare.
Anche questo contesto è in fase di profonda revisione organizzativa e tecnologica. L’efficacia e i tempi del soccorso possono essere molto-molto migliorati adottando le nuove tecnologie (ad es. per la geolocalizzazione e per l’atterraggio notturno) e soprattutto attraverso un accresciuto approccio multiprofessionale che prevede l’interazione del volontariato, con gli infermieri e i medici del Dipartimento.
Va qui almeno accennato il ruolo nei fatti insostituibile, per il mantenimento delle funzioni vitali, delle ambulanze infermierizzate che - purtroppo - nella stampa locale vediamo definire come “ demedicalizzate” e che, invece, assicurano - nei tempi opportuni - la sopravvivenza per le 5 patologie (first hour quintet) che richiedono un intervento nell’ospedale adeguato (non il più vicino) entro la 1° ora: arresto cardio-circolatori, ictus, infarto del miocardio, insufficienza respiratoria acuta, trauma; elenco cui noi, adesso, aggiungiamo la sepsi.
La percentuale delle ambulanze con il medico a bordo (ripeto importantissimo) varia - purtroppo -da regione a regione oscillando dall’8% dell’Area Lombarda al 66% dell’area regionale Pugliese (Lecce).
Come si vede, dunque, la sfida per il cambiamento delle Az. Sanitarie, delle Regioni del Ministero della Salute e degli stessi cittadini è impegnativa, ma è giusto sottolineare come questa porti (ed è stato ben documentato) a un contemporaneo triplice risultato:
- la riduzione delle Disuguaglianze di salute e soprattutto di accesso alle cure;
- Il miglioramento della qualità percepita (ad es. riducendosi i tempi di attesa e non per un mero incremento dell’offerta, ma per una riduzione della domanda inappropriata e del “rimpallo” del paziente come accade a causa della mancata cura.
- Il contenimento dei costi per una crescita complessiva del valore dell’assistenza: quindi, sostenibilità senza tagli alla salute.
Moderatore Prof. Antonello Pietrangelo, Presidente della "Società Italiana di Medicina Interna"