Anno Accademico 2019-2020
Vol. 64, n° 1, Gennaio - Marzo 2020
Simposio: La malattia metastatica epatica: una malattia chirurgica?
26 novembre 2019
Simposio: La malattia metastatica epatica: una malattia chirurgica?
26 novembre 2019
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Cercherò rapidamente di introdurre il discorso. Oggi si parla sempre di più di trapianto per metastasi da tumori del colon retto. Sappiamo che i progressi della chemioterapia hanno permesso di migliorare i risultati delle resezioni epatiche per metastasi. Rimane però una quota di malati, intorno al 20% circa, che tuttavia non è passibile di chirurgia resettiva, per cui oggi si parla sempre di più, con delle casistiche sempre più numerose i cui risultati si stanno consolidando bene in letteratura nel medio-lungo termine, di trapianto per metastasi.
L'idea del trapianto di fegato per metastasi come tale non è un'idea nata ieri o l’altro ieri; già vediamo che nelle prime esperienze del registro trapianti sono riportati casi sporadici tra il 1977 e 2004. Anche in Italia ci sono delle esperienze sporadiche, fatte fuori protocollo, in cui si vede che a cinque anni la sopravvivenza è 18%. Questi primi malati trapiantati fuori protocollo sono quelli andati male, non tanto per l'aspetto oncologico, ma soprattutto per aspetti legati al trapianto stesso. Quindi questa esperienza del passato non è stata per niente soddisfacente. Però oggi il discorso del trapianto per metastasi colo rettali è tornata alla ribalta per una serie di motivi. In primo luogo è cambiato il management del trapianto di fegato, i cui risultati sul medio-lungo termine sono ormai migliorati notevolmente. In secondo luogo abbiamo una migliore conoscenza della biologia tumorale, conosciamo le varie mutazioni dei geni implicati. Inoltre sono migliorate le tecniche di imaging soprattutto con l'avvento della PET, sono migliorati i farmaci chemioterapici, si stanno concretizzando nuovi farmaci, con l'immunoterapia abbiamo a disposizione nuovi farmaci immunosoppressori, soprattutto per quanto riguarda il trapianto per epatocarcinoma con riduzione dei tassi di recidiva oncologica.
Quindi, alla luce di tutto questo, è stato riproposto il discorso per metastasi non resecabili. In realtà non è stato riproposto in maniera scientifica, l'idea di utilizzare dei donatori per metastasi resecabili è stata ideata in Norvegia per un motivo molto semplice. In Norvegia ci sono poche epatiti virali, quindi ad un certo punto avevano più donatori rispetto ai sei possibili riceventi ed è stato deciso di investire in questa patologia. Nei primi anni del 2000 nasce il primo studio, il SECA che arruola una ventina di malati. Senza entrare nel merito delle caratteristiche dei pazienti, vengono comunque analizzati i risultati a cinque anni che si dimostrano sovrapponibili a quelli della chirurgia resettiva. Nell’ambito di questa popolazione si analizzano i fattori di rischio, gli eventuali fattori predittivi del successo o dell’insuccesso del trapianto, così come le dimensioni dei noduli metastatici, il livello della CEA, la stabilità di malattia con chemioterapia, in particolare l'eventuale progressione della malattia. In questo modo è stato riproposto e si sta affermando il trapianto per metastasi non resecabili. Sono state quindi confrontate le sopravvivenze tra quei malati delle prime esperienze trapiantologiche del Registro Europeo dei Trapianti con i pazienti arruolati nello studio SECA. Lo studio norvegese ha evidenziato una importante differenza nei due gruppi. Naturalmente questo tipo di malati ha bisogno di immunosoppressione tailored in modo da ridurre i rischi di recidive e in modo particolare ridurre al minino o sospendere rapidamente la terapia cortisonica. Il problema delle recidive permane, perché dopo chirurgia resettiva il malato operato per metastasi ha un rischio nei 2-5 anni a venire di essere di nuovo operato nel 40% dei casi, ed è un problema anche dopo il trapianto di fegato. In questi malati nel momento in cui si toglie dal parenchima epatico tutto il carico di malattia, c'è anche una buona risposta sulle eventuali recidive, in modo particolare sulle metastasi polmonari perché 7 di questi 21 malati, rivalutando l’imaging operatorio, presentavano già delle metastasi polmonari. Queste lesioni sono regredite spontaneamente o con chemioterapia dopo il trapianto. Per quanto riguarda le recidive post-trapianto, il tasso di recidiva è importante, sono per lo più delle recidive a localizzazione polmonare che non impattano molto sulla sopravvivenza a lungo termine, perché ormai siamo arrivati a 5-10 anni, si tengono sotto controllo molto bene con la chemioterapia.
Il TRASMET è il primo studio prospettico randomizzato nato al Hôpital Paul Brousse Brousse di Villejuif con il prof. Adam che confronta due bracci, il braccio trapianto e il braccio chemioterapia, con uguali criteri di inclusione: età fino a 65 anni, stabilità di malattia sotto chemioterapia, nessuna progressione, massa tumorale non grossa. È un protocollo molto stringente, alcuni lo hanno ritenuto poco etico per l’esito spiacevole del braccio che va a chemioterapia. In Italia sta nascendo uno studio simile al TRASMET, lo Studio CLOT al quale sta partecipando anche la nostra unità operativa, che ha come clinical investigator Mazzaferri di Milano. Vedremo nei prossimi anni i risultati di questo protocollo nazionale; finora sono stati arruolati sei pazienti e solo tre sono stati trapiantati.
Il problema del TRASMET è determinato dai criteri estremamente stringenti, probabilmente darà un risultava positivo a lungo termine per i pazienti trapiantati, ma solo perché sono pazienti selezionati. Il rischio sarà di avere sostanzialmente un sottogruppo di pazienti che non rappresenta poi la vita reale, avendo sostanzialmente un trattamento riservato ad una minima percentuale di pazienti. Il CLOT d’altro canto ha comunque come limite di non essere un randomizzato vero, è uno studio disegnato in modo un po' particolare dove un monobraccio unico italiano di trapianti viene comparato a un altro braccio unico indipendente che va a chemioterapia. Sono stati quindi posti dei problemi etici.
In conclusione l’argomento del trapianto da metastasi della mammella va comunque rivisto. Il trapianto che abbiamo recentemente effettuato noi è stato pionieristico: ha visto coinvolti l'Oncologia, la Radiologia Interventistica, l’Epatologia, la Chirurgia che ha trapiantato la paziente. In realtà in questa paziente il trapianto ha avuto l’indicazione per un'insufficienza epatica progressiva in seguito al pluritrattamento di lesioni metastatiche da cancro della mammella. È stato un percorso piuttosto articolato che ha dovuto prevedere anche il parere del Comitato Etico; in precedenza l'unico caso di trapianto epatico per metastasi da tumore della mammella a causa di un'insufficienza epatica risale al 2003, non sono stati descritti altri casi in letteratura. Il POIT ha fatto qualcosa di pionieristico, ma chiaramente andrà verificato il follow-up di questa paziente.