Anno Accademico 2020-2021
Vol. 65, n° 1, Gennaio - Marzo 2021
Conferenza: La terza dimensione come nuovo paradigma nella ricerca e nella diagnostica in patologia umana
01 dicembre 2020
Conferenza: La terza dimensione come nuovo paradigma nella ricerca e nella diagnostica in patologia umana
01 dicembre 2020
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La microscopia confocale a scansione laser
Lo studio dei tessuti biologici con la microscopia ottica tradizionale è limitato dal fatto che tutti gli infiniti piani che compongono un oggetto sono osservati simultaneamente (da cui la necessità di ottenere sezioni fisiche dell’oggetto il più sottili possibile); sia il contrasto che la risoluzione dell’immagine del campione, specie se marcato con sonde fluorescenti, sono fortemente limitati dalla sovrapposizione nel cammino ottico dei segnali provenienti dai piani situati al di sopra e al di sotto del piano di osservazione (= piani fuori fuoco).
Due sono i sistemi attualmente utilizzati per eliminare i segnali provenienti dai piani fuori fuoco: uno si basa sul calcolo e successiva sottrazione dei segnali provenienti dai piani non corrispondenti a quello focale (c.d. “deconvoluzione matematica”) e l’altro è l’uso della Microscopia confocale a scansione laser. Negli ultimi anni la popolarità del microscopio confocale a scansione laser (CLSM) tra i ricercatori in campo biologico è aumentata progressivamente, al di là di ogni più ottimistica previsione. Infatti, benché esso sia uno strumento relativamente nuovo nel vasto armamentario delle tecnologie biomediche, si è ritagliato rapidamente uno spazio di tutto rispetto come strumento di analisi di eventi microscopici sia statici che dinamici, e rappresenta ormai una valida alternativa alla microscopia ottica convenzionale nell’osservazione di campioni biologici.
Il CLSM consente di ottenere un miglior contrasto e un aumento di risoluzione del campione istologico o citologico, grazie all’eliminazione del segnale out-of-focus, incrementando così il rapporto segnale/rumore. Recentemente, tecniche avanzate di elaborazione digitale delle immagini che sfruttano algoritmi di deconvoluzione hanno consentito un ulteriore miglioramento della risoluzione delle immagini confocali fino ad arrivare alla super-risoluzione di 140 nm. In estrema sintesi, l’utilizzo della tecnologia confocale, a metà strada tra la microscopia ottica e la microscopia elettronica, consente di identificare, a livello molecolare, una o più strutture biologiche di interesse in modo simultaneo, di valutarne i rapporti spaziali reciproci e di seguirne l’evoluzione spazio-temporale.
L’essenza del microscopio confocale è duplice:
1) l’elevato potere di risoluzione nella singola sezione osservata;
2) la rappresentazione tridimensionale di campioni biologici spessi.
Il microscopio infatti effettua sul campione marcato sezioni ottiche (ad es., per osservare componenti intracitoplasmatiche di cellule intere), evitando quindi gli artefatti dovuti al sezionamento fisico, necessario sia nella microscopia ottica tradizionale che nella microscopia elettronica. Il rapido progresso della tecnologia nei campi del laser e dell’informatica hanno progressivamente migliorato non solo le possibilità analitiche dello strumento (in particolare, il potere di risoluzione e la sensibilità), ma anche la semplicità d’uso e la versatilità.
La differenza fondamentale tra un microscopio confocale e un microscopio ottico tradizionale è data dalle caratteristiche della sorgente luminosa e del sistema di rivelazione, entrambi puntiformi nel primo sistema e invece ad ampia superficie nel secondo. Inoltre, nel microscopio confocale la sorgente di illuminazione, il campione e il sistema di rivelazione hanno tutti lo stesso fuoco. Il campo di illuminazione è ristretto da un diaframma puntiforme, e la luce puntiforme viene focalizzata su di un piano voluto all’interno del campione; la luce fluorescente emessa da quel determinato punto del campione passa attraverso l’obiettivo e quindi attraverso un secondo diaframma puntiforme collocato davanti al sistema di rivelazione. Tutti i raggi luminosi provenienti da punti collocati su piani diversi da quello focale non potranno passare attraverso il secondo diaframma e non giungeranno quindi al sistema di rivelazione. Il campione da osservare verrà quindi scandito punto dopo punto, linea dopo linea, fino alla definizione di un piano (=piano focale); piani differenti saranno analizzati muovendo il campione stesso verticalmente rispetto all’obiettivo. Il segnale fluorescente è “catturato” da un fotomoltiplicatore e trasformato in un segnale elettrico che produce un’immagine sullo schermo; tali immagini sono quindi sezioni ottiche che corrispondono ai piani scanditi in sequenza. Le immagini diventano in conclusione dei file che vengono immagazzinati nel computer e possono essere analizzati, colorati artificialmente, modificati nel contrasto e così via. I progressi nel campo della grafica computerizzata hanno consentito di utilizzare al meglio la sofisticata tecnologia confocale: la miglior risoluzione ottenuta con lo strumento ha valore solo potendo riprodurla nella versione definitiva (stampa o altro) dell’immagine.
Lo spessore del campione da esaminare (e quindi la profondità massima alla quale possono essere effettuate sezioni ottiche) è funzione di numerosi parametri, i più importanti dei quali sono la potenza e l’intensità di utilizzo del laser, il tipo di obiettivo e di lenti (apertura numerica, distanza dal campione, ecc.), il tipo di campione in esame (cellule, tessuti lassi, tessuti compatti, ecc.) e il tipo di fluorocromo impiegato. In pratica, serie di sezioni ottiche di un tessuto fissato e marcato con sonde a fluorescenza possono essere condotte senza grosse difficoltà fino a circa 200-250 μm di profondità.
La distribuzione di più di un fluorocromo può essere agevolmente analizzata con il microscopio confocale sullo stesso campione e in contemporanea; la distribuzione reciproca, e quindi anche la colocalizzazione, di segnali che emettono luce a differente lunghezza d’onda (e quindi con differenti colori) viene valutata mediante sovrapposizione dei colori stessi (“colour merging”). Il colore finale sarà la risultante della sovrapposizione più o meno completa dei due colori di partenza. I progressi nella tecnologia del laser hanno ridotto drasticamente due delle principali controindicazioni della microscopia confocale, ovvero la non perfetta separazione tra le lunghezze d’onda di fluorocromi con picchi di eccitazione vicini (ad es. fluoresceina, 488 nm, e rodamina, 514 nm) e il drastico decadimento dell’intensità dei fluorocromi dovuto alla continua eccitazione necessaria per scansioni multiple. I laser attualmente impiegati sui microscopi più recenti consentono di eccitare contemporaneamente e a potenze molto ridotte i fluorocromi ciascuno alla propria lunghezza d’onda, evitando scansioni sequenziali; usufruire di spettri di eccitazione molto ampi consente di poter utilizzare fluorocromi con spettri di emissione molto distanti, evitando quindi ogni rischio di sovrapposizione non specifica. Inoltre, vi sono stati progressi anche nella produzione dei coloranti, con la commercializzazione di fluorocromi più stabili e più luminosi che emettono segnali di intensità accettabile anche con laser a bassa potenza.
Una volta ottenuta una serie di sezioni ottiche, è possibile ricostruire tridimensionalmente lo spessore analizzato del campione, utilizzando programmi di rappresentazione di volume (“volume rendering”). Come già accennato in precedenza, è proprio in questo campo che negli anni più recenti si è assistito ai miglioramenti più spettacolari, con l’immissione sul mercato di computer sempre più veloci e di programmi specifici per la ricostruzione 3-D sempre più sofisticati. È ormai possibile ottenere in tempi ragionevolmente brevi immagini tridimensionali partendo da serie di sezioni ottiche di notevole estensione lungo l’asse z.
Il CLSM viene frequentemente utilizzato con cellule o tessuti viventi anche per lo studio di eventi dinamici (come ad esempio il flusso di ioni dal compartimento extracellulare a quello intracellulare o viceversa). L'introduzione della variabile "tempo" oltre a quella della terza dimensione ("volume") ha reso necessaria la costruzione di apparecchi sempre più veloci, utilizzando la tecnologia della scansione lineare invece di quella puntiforme. La valutazione qualitativa e/o quantitativa di eventi dinamici (fisiologici o patologici) viene effettuata utilizzando fluorocromi in grado di modificare le loro caratteristiche di fluorescenza col variare della concentrazione di ioni specifici; è in tal modo possibile misurare cambiamenti di pH, differenze di potenziale di membrana, concentrazioni del calcio intracellulare, del cAMP, della protein kinasi C, ecc. La disponibilità di sonde fluorescenti Ca2+‑sensibili rende oggi possibile monitorizzare in continuo modificazioni dell’ordine di 20‑50 nM del Ca2+ citosolico nella singola cellula o in monostrati confluenti.
Tensegrity e trasduzione meccanica
Anche al giorno d’oggi esistono uomini geniali, capaci di gettare le basi per le nuove idee che si svilupperanno nel futuro. È il caso di Donald E. Ingber, uno scienziato americano che ha formulato una nuova teoria sull’organizzazione dei tessuti biologici, raccogliendo i risultati del lavoro da lui stesso svolto nei vent’anni precedenti. L’ispirazione fondamentale nacque da un’inattesa commistione tra i due grandi interessi che Ingber coltivava fin dagli anni dei suoi studi universitari a Yale: la biologia e la scultura. E fu proprio dalla conoscenza delle teorie dell’architetto Buckminster Fuller (1895-1983) e del suo allievo scultore Kenneth Snelson (1927) che il giovane Ingber cominciò a intuire che «la domanda su come si formano gli esseri viventi ha meno a che fare con la loro composizione chimica che con l’architettura».
Da allora Ingber ha proposto un nuovo principio di organizzazione strutturale, la tensegrity (=integrità tensionale), che governa la modalità di organizzazione e integrazione di tutti i componenti dei tessuti biologici, dalle singole molecole agli organi. Il termine “tensegrity” esprime la caratteristica di un sistema complesso la cui stabilità deriva dall’equilibrio delle forze tensionali e compressive presenti al proprio interno. Tali sistemi sono stabili non tanto per la robustezza dei singoli componenti, ma a seguito della modalità con la quale lo stress meccanico è distribuito e bilanciato nell’intera struttura. In estrema sintesi si può dire che i componenti di una organizzazione complessa, sia essa una singola cellula o l’intero corpo umano, possono appartenere a due differenti categorie: la prima di queste è caratterizzata dall’esercitare una forza tensionale, la seconda invece ha la caratteristica di tollerare e controbilanciare la compressione. In sostanza, il sistema si trova costantemente in uno stato di “pre-stress”, nel quale i componenti più rigidi e resistenti tollerano la compressione esercitata dai componenti più elastici e flessibili, che si trovano quindi in uno stato di tensione.
La prima, e forse più importante, conseguenza di questa organizzazione strutturale, è che una forza applicata a una estremità della struttura si propaga istantaneamente a tutto il resto della struttura stessa, modificando lo stato di stress complessivo, e quindi di equilibrio, al suo interno. Questo principio, se trasferito nel modello “cellula”, ha una fondamentale conseguenza, elegantemente dimostrata da Ingber in una serie di brillanti esperimenti in vitro e in vivo: l’applicazione di una forza (sia essa una trazione o una compressione) sulla membrana cellulare (= superficie esterna) viene istantaneamente propagata all’interno, fino a raggiungere il nucleo, con possibilità di modifica dei processi di trascrizione del DNA (= mechanotransduction, trasduzione meccanica). In altre parole, semplicemente modificando la forma della cellula è possibile attivare differenti programmi genetici.
È facile intuire le possibili implicazioni di tale principio; in linea teorica si potrebbe persino pensare ad applicazioni anti-tumorali semplicemente modificando il supporto fisico su cui una cellula si appoggia, accendendo e/o silenziando geni con la modifica della forma della cellula stessa. Donald Ingber ha fondato il Wyss Institute for Biologically Inspired Engineering della Harvard University e non ci stupisce che oggi sia considerato una delle figure chiave in settori di punta come la biologia sistemica, l’architettura ecosostenibile e l’ingegneria bio-ispirata.
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