Anno Accademico 2015-2016
Vol. 60, n° 2, Aprile - Giugno 2016
Simposio: L'anestesia e la terapia intensiva agli albori del terzo millennio
08 marzo 2016
U.O. Anestesia, Rianimazione e Terapia Intensiva, European Hospital, Roma
Simposio: L'anestesia e la terapia intensiva agli albori del terzo millennio
08 marzo 2016
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Cos’è l’anestesia
L’Anestesia e più in generale le procedure anestesiologiche sono l’insieme di metodiche che permettono di abolire il dolore e le altre sensazioni spiacevoli e contemporaneamente consentono il mantenimento delle funzioni vitali ed io loro monitoraggio durante l’intervento chirurgico. Diverse sono le tecniche di anestesia utilizzabili ma schematicamente si possono distinguere due grandi categorie: anestesia generale e loco-regionale.
L’anestesia generale
Si ottiene somministrando per via endovenosa e/o per via inalatoria varie combinazioni farmacologiche con l’obiettivo di abolire la coscienza e la percezione del dolore
L’anestesia determina uno stato di “incoscienza indotta e controllata”: ciò significa che il cervello si “addormenta”, i muscoli si rilassano e al risveglio non si avrà alcun ricordo dell’operazione. Durante l’anestesia generale il paziente è costantemente monitorato mediante strumenti che controllano la respirazione, la pressione sanguigna, la funzione cardiaca e lo stato di ossigenazione del sangue ed in alcuni specialistici il monitoraggio sarà ancora più avanzato. Nella maggior parte delle anestesie generali sarà necessario, per assicurare la ventilazione e la respirazione, il posizionamento di un tubo endotracheale e la ventilazione meccanica.
L’anestesia loco-regionale
Il dolore è trasmesso dalla periferie al S.N.C. attraverso i nervi sensitivi, quindi se si bloccano le afferenze della parte del corpo che da esse sono innervate diventano insensibili. Ciò viene attuato iniettando nella zona perineurale una soluzione con anestetico locale.
Gli anestetici locali possono essere somministrati secondo varie tecniche. Seguendo uno schema che, dalla periferia dell’organismo va al centro, segue le vie del dolore e che comprende aree tributarie sempre più ampie, si possono avere i seguenti tipi di anestesia:
- topica, o per contatto: l’anestetico viene posto in contatto con cornea,mucose,cute integra);
- infiltrazione: si ottiene iniettando l’anestetico nel tessuto sottocutaneo e determinando un blocco delle terminazioni nervose libere e dei più piccoli rami dei nervi afferenti per le
sensazioni dolorifiche);
- blocco nervoso periferico: l’anestetico viene iniettato in vicinanza del nervo (per es., mediano, ulnare, sciatico) o del plesso nervoso (per es. il plesso brachiale);
- blocco nervoso centrale (subaracnoideo o peridurale): l’anestetico viene posto nelle immediate vicinanze del midollo spinale.
Anestesia: errore e sicurezza
La moderna anestesia si pone l'obiettivo di essere aderente ai bisogni reali del paziente durante tutto il decorso perioperatorio, sia in termini di adeguatezza, rispondendo alle nuove sfide che i più avanzati percorsi chirurgici pongono, che in termini di sicurezza per il paziente.
Il problema degli errori in anestesia è legato indissolubilmente a quello della sicurezza. Poiché, come riporta “To Err is Human”, la sicurezza è un primo fondamentale passo nel miglioramento della qualità dell’assistenza, è comprensibile quanto l’importanza di quest’argomento sia avvertita a livello professionale e sociale.
L’anestesia può essere ritenuta un’attività rischiosa? Secondo la Normal Accidents Theory (NAT) la risposta potrebbe essere affermativa: l’anestesia rappresenta un sistema complesso; più un sistema è complesso più è propenso ad incorrere in errori. Questi ultimi sono dunque inevitabili/accettabili in un simile sistema.
I dati statistici relativi al 1997 sulla mortalità intraospedaliera negli Stati Uniti rivelano che, su più di 33,6 milioni di pazienti ammessi in ospedale, un numero stimato tra 44.000 e più di 98.000 è morto per errore medico. Ciò vuol dire che, anche riferendosi alla stima più ottimistica, le morti per evento avverso prevedibile superano quelle per incidente stradale o cancro del seno.
I dati del National Institute of Medicine relativi a problematiche anestesiologiche dimostrano comunque che la mortalità direttamente correlabile ad anestesia è diminuita nella seconda metà del secolo scorso da 1 su 5.000 a 1 su 300.000 casi. Questo trend è confermato da quanto rilevato in gruppi di trattamento specifici: nell’ambito della mortalità peripartum, per esempio, quella correlabile ad anestesia è scesa dal 50% all'1% di tutte le morti in questo gruppo.
In base ai dati sulla mortalità l’anestesia può essere quindi ritenuta un’attività sicura, in cui, pur permanendo una rischiosità intrinseca, gli incidenti possono essere prevenuti grazie ad un corretto management ed il lavoro può essere svolto con livelli di performance più che accettabili.
Sebbene importanti, i dati sulla mortalità forniscono una rappresentazione parziale della qualità dei servizi erogati; un quadro più completo richiede anche i dati riferiti ad aspetti organizzativi, processi di cura, outcome.
I dati dell’ASA Closed Claims Project, riferiti all’outcome negli incidenti in anestesia dal 1990, hanno mostrato un outcome di morte o danno cerebrale nel 31% dei casi; il fattore precipitante è stato un evento respiratorio nel 45% dei casi, più precisamente ventilazione inadeguata (7%), intubazione esofagea (7%), o intubazione difficile (12%). Il danno nervoso da posizione, ma anche da anestesia regionale, ha rappresentato, con il 21% dei casi, il secondo outcome in ordine di frequenza. Il German Anesthesia Outcome Database ha evidenziato come il 22% delle procedure in anestesia si sia accompagnato ad incidenti, eventi avversi o complicanze. Un’analisi condotta in Inghilterra sulle richieste di risarcimento presentate a carico del Sistema Sanitario Nazionale contro anestesisti ha indicato l’implicazione dell’anestesia regionale nel 44% dei casi, sebbene questa rappresenti meno del 10% del carico di lavoro dell’anestesia.
Esistono dunque settori dell’anestesia che richiedono ancora attenzione, per cui il miglioramento della sicurezza dei pazienti deve proseguire; questo rimane comunque un processo senza fine, e si dovrebbe considerare ogni paziente che ha subito un danno da anestesia un paziente di troppo.
Cosa si può fare per promuovere la sicurezza del paziente? La risposta a questa domanda può essere articolata in quattro punti: dedicare attenzione alla sicurezza, riportare ed analizzare gli errori, incorporare principi di sicurezza, migliorare il lavoro di team e la comunicazione. E’ essenziale stabilire a priori una “cultura della sicurezza”.
Come precedentemente detto, la sicurezza è un primo fondamentale passo nel miglioramento della qualità dell’assistenza. L’eccellenza clinica non può essere perseguita solo attraverso la conoscenza medica; hanno importanza anche i fattori umani e l’organizzazione dei sistemi di cura. L’esperienza clinica è necessaria ma insufficiente per la sicurezza del paziente: contano anche cooperazione, comunicazione e coordinazione.
Il report e l’analisi degli errori sono processi fondamentali per monitorare la qualità; essi devono avere criteri non punitivi: lo scopo è quello di imparare dagli errori e migliorare, non di giudicare.
La standardizzazione di procedure, tecniche e strumenti consente di effettuare attività similari con le medesime modalità, indipendentemente dal personale coinvolto. Si deve incoraggiare l’uso di algoritmi preimpostati e checklist. Tale metodologia, inoltre, consente di fare comparazioni e ottenere quindi una valutazione dei processi.
I nuovi devices per l’intubazione tracheale: i videolaringoscopi
L’intubazione endotracheale in sala operatoria ed in terapia intensiva o in generale quando sia necessario assicurare una via sicura di protezione delle vie aeree e per la ventilazione meccanica è una procedura difficile e viene spesso associato a complicanze potenzialmente letali.
Negli ultimi anni, gli sviluppi compiuti in questo ambito hanno inciso profondamente sulla gestione delle vie aeree nelle procedure anestesiologiche, in rianimazione e d’emergenza. Appositamente studiate per il complesso ambito delle vie aeree imprevedibilmente difficili, le soluzioni di videolaringoscopia offrono la possibilità di ridurre al minimo le complicanze e, al contempo, di creare condizioni di visibilità ottimali.
L’esigenza di utilizzare devices diversi dal laringoscopio tradizionale ha origine da specifiche e peculiari esigenze: superare una prevista difficoltà nella intubazione secondo i classici indici predittivi (Mallampati 3-4, distanza interincisiva ridotta, escursione atlanto-occipitale limitata, etc); affrontare con relativa sicurezza una prevista intubazione difficoltosa in generale ed in ambiti specifici quale quello della chirurgia ORL oppure maxillo-facciale, come pure nelle situazioni di emergenza urgenza intra ed extra-ospedaliera
I principi ispiratori delle varie tecniche di video laringoscopia sono improntati alla filosofia del “looking around the corner”, ovvero ottenere un accesso ottico, pur mediato, all’aditus ad laringem senza la necessità di allineare fisicamente le strutture anatomiche classicamente coinvolte nella laringoscopia diretta. In questo modo quasi sempre la visione laringoscopica viene migliorata rispetto alla tecnica diretta, assecondando nel contempo la naturale conformazione delle strutture oro-faringo-laringee, e svincolandosi dalla classificazione prognostica di Cormack e Lehane delle linee guida. Ulteriori importanti goals possono essere raggiunti in tema di didattica, in campo di intubazioni difficili e nell’ambito dell’emergenza extraospedaliera.
Di contro, è corretto considerare la necessità del costante uso di mandrini preformati, finalizzati a superare la naturale curvatura delle strutture anatomiche che abbiamo visto essere conservata. Inoltre, un piccolo ma congruo periodo di addestramento è necessario, onde sviluppare gli specifici skills ed evitare lo scoraggiamento che può derivare da un iniziale aumentato numero di fallimenti rispetto alla laringoscopia diretta, o peggio ancora da lesioni delle vie aeree.
Il videolaringoscopio normalmente consiste in un visore (LCD, monitor esterno o sistema ottico a prismi) incorporato o no nel manico, di una lama unica oppure intercambiabile.
Il videolaringoscopio riduce al minimo la forza di trazione necessaria per la corretta introduzione della lama, il visore permette il "look around the corner" in maniera chiara e luminosa. Il sistema di visione può essere orientabile, la lama può essere unica, regolabile o no, con o senza coprilama monouso, oppure intercambiabile, fatta eccezione per l'Airtraq® che è un sistema monouso integrato lama-visore con diverse misure.
Attualmente nell'ambito dell'airway management per quanto concerne i sistemi di videolaringoscopia si può contare su diversi sistemi. Il Trueview EvO2® consta di un laringoscopio con lama specifica collegata ad un sistema ottico tubolare, a cui si può connettere un video esterno; particolarità di tale presidio è il raccordo per l'O2. L'Airtraq® è un dispositivo monouso con luce integrata nel manico dello strumento e lama specifica, il cui sistema ottico è costituito da prismi. L'AWSscope® è un dispositivo dotato di visore LCD che sormonta un manico, e un sistema ottico che viene ricoperto da una lama monouso dedicata; sullo schermo è presente un mirino collimatore utile per centrare il tubo sull'aditus.
Il Glidescope® è un videolaringoscopio dotato di monitor esterno, lama angolata con fonte luminosa e ottica integrati; la visione nella laringoscopia è widescreen; ne esistono anche versioni portatili e con utilizzo di lame monouso. Più recente è il sistema di McGrath®, che nella guisa e dimensione di un laringoscopio integra un visore LCD orientabile, un sistema ottico e una lama disposable. Ancora, citiamo il videolaringoscopio Berci® di Storz, costituito da una lama Macintosh modificata che consente di riprodurre su schermo esterno la visione alla punta della lama. Il vantaggio è quello di avere su schermo esterno un’ immagine molto ampia e nitida. Per ultimo, benché non si tratti di un sistema di videolaringoscopia standard ma di una evoluzione della Intubating Laryngeal Mask® (iLMA o Fastrach®), menzioniamo il C-Trach®, una iLMA modificata in cui alla struttura base del device è stata aggiunto un sistema di fibra ottica per l’illuminazione e per la visione connesso ad un monitor staccabile permettendo un’intubazione non più alla cieca ma sotto visione diretta.
In conclusione, i vantaggi di questi devices sono: guadagno nel grading della scala di Cormack-Lehane, intubazione in pazienti con collare cervicale e ridottissima escursione atlanto-occipitale, intubazione in ambiente extra ospedaliero ostile, visione ampia e nitida, vantaggio didattico di poter condividere la visione dello schermo permettendo un più' facile apprendimento. Le problematiche da affrontare, di contro, sono: un imperativo periodo di apprendimento, utilizzo obbligato di un tubo mandrinato, visione "appannata", non semplice utilizzo in condizioni “ostili” (sanguinamento e secrezioni copiose). E’ anche fruttuoso ribadire che nessun dispositivo guadagna la patente di gold standard, né è attualmente possibile proporne l’impiego in alternativa al laringoscopio di Macintosh, che rimane il dispositivo “più conosciuto, economico, diffuso e disponibile”.
Concludendo, l’ossigenazione del paziente rimane fondamentale e prioritaria, pertanto per garantirla devono essere presi in considerazione tutti i mezzi in caso di difficoltà. Altro punto fondamentale è la strategia comportamentale e l'atteggiamento decisionale di fronte alla condizione di ulteriore difficoltà, con, non ultime, le indicazioni all’uso delle varie tecniche fibrobroncoscopiche.
Blocchi nervosi periferici eco guidati
I blocchi nervosi periferici, largamente praticati in tutto il mondo da oltre un secolo, vivono una seconda giovinezza grazie all’utilizzazione degli ultrasuoni (US) che determinano un miglioramento dell’efficacia e della sicurezza rispetto alle tecniche tradizionali.
L’ecografia ci offre tale opportunità e rappresenta un’importante evoluzione nell’ambito dell’anestesia loco-regionale mostrandoci quello che prima cercavamo di immaginare basandoci sui reperti anatomici, sugli studi e sulla ricerca visiva di parestesie e clonie da noi provocate.
L’esecuzione dei blocchi nervosi periferici utilizzando l’ausilio ecografico è ormai una pratica diffusa e gradita, sia dal medico che la esegue, in quanto offre maggiore sicurezza ed efficacia, sia dal paziente perché meno indaginosa rispetto alle tecniche tradizionali.
Il principale vantaggio consiste nella visione, in tempo reale, delle strutture nervose target e della distribuzione dell’anestetico locale che può essere controllata tramite il riaggiustamento della posizione dell’ago. Esso si traduce in un onset più rapido, una più efficace e prolungata durata del blocco con minore utilizzo di anestetico locale.
È questa l’arma vincente: la giusta dose di anestetico locale che circonda il nostro obiettivo.
Il successo più ampio ottenuto dai blocchi periferici grazie alla tecnica eco-guidata (>95%) è dato dalla garanzia in più che questi offrono soprattutto nelle situazione di maggior rischio nell’utilizzazione dell’anestesia generale o rachidea a causa delle condizioni cliniche difficili del paziente o in caso di rifiuto dell’anestesia proposta.
La tecnica ecografica consente uno studio realistico, indiretto e bidimensionale, dei rapporti anatomici tra le strutture interessate (sono-anatomia) e offre l’occasione di individuare anomalie anatomiche impreviste. L’uso degli US garantisce dunque un migliore tasso di successo rispetto ai blocchi effettuati utilizzando l’elettroneurostimolatore (ENS) che presuppone che un’appropriata risposta motoria indichi la vicinanza dell’ago al nervo. Gli studi realizzati utilizzando US ed ENS evidenziano la bassa sensibilità (<75%) della risposta motoria rispetto al contatto con l’ago. Questo può spiegare le difficoltà nell’esecuzione dei blocchi periferici e il loro minor successo.
I blocchi nervosi ecoguidati possono essere utilizzati sia per interventi a livello dell’arto superiore che dell’arto inferiore, in cui sono sempre più utilizzati al punto da essere concorrenziali all’anestesia neuro-assiale, inoltre, grazie al posizionamento di cateteri perinervosi offrono una ottimale analgesia post-operatoria di lunga durata (utile nelle riabilitazioni post-operatorie).
Le moderne metodiche di terapia intensiva - La decapneizzazione extracorporea
L’importante numero di pazienti ricoverati in terapia intensiva con gravi insufficienze respiratorie sta portando parecchi dei migliori ospedali ad avvicinarsi a tecniche sempre più innovative e specializzate nel settore.
Le patologie polmonari sono una delle maggiori cause di morte nei paesi sviluppati, per questo già in passato soprattutto nei casi neonatali si è pensato di intervenire sul paziente rimuovendo la CO2.
Quando il sistema respiratorio non funziona in maniera adeguata si parla di Insufficienza respiratoria acuta della quale esistono varie forme ARDS (sindrome da distress respiratorio), ALI (danno polmonare acuto), BPCO (bronco pneumopatia cronica ostruttiva). La ventilazione meccanica comunemente usata in queste situazioni, è però provato che in pazienti critici possa causare ulteriori traumi e lesioni polmonari che aggravano ulteriormente il quadro ventilatorio, la cosiddetta Ventilator Induced Lung Injury (VILI).
Da qui l’idea di supportare il paziente con un circuito extracorporeo avente lo scopo primario di eliminare la CO2 dal corpo e fornire un supporto respiratorio senza danneggiare e anzi permettendo ai polmoni di recuperare la loro funzionalità. La prima tecnica utilizzata è stata l’ECMO (ossigenazione extracorporea a membrana). Ma questa tecnica di grande potenzialità è altamente invasiva, richiede un’equipe di medici specializzati e ancora oggi è limitata a pochi centri ospedalieri e soprattutto a pazienti gravissimi che rispondono a dei protocolli pre impostati.
La decapneizzazione rappresenta un livello intermedio tra ventilazione polmonare e ECMO. E’ una tecnica meno invasiva con la quale è possibile rimuovere la CO2 nel sangue senza causare danni al paziente.
L’ipercapnia è l’aumento della quantità di anidride carbonica presente nel sangue. Tale fenomeno si verifica in tutti i casi in cui, per processi patologici di varia natura, vengono ostacolati gli scambi gassosi tra l’aria e il sangue a livello del tessuto polmonare.L’organismo reagisce a questa condizione, per contrastarla, aumentando la frequenza degli atti respiratori: questo meccanismo di controllo della concentrazione dell’anidride carbonica nel sangue si attiva attraverso una stimolazione del centro respiratorio quando questo meccanismo di compenso viene superato, l’accumulo di anidride carbonica esercita un effetto depressivo sul sistema nervoso centrale, con cefalea, confusione e coma. Una ipercapnia si osserva costantemente negli stati di insufficienza respiratoria. La somministrazione di ossigeno può aggravare ulteriormente il quadro, stimolando una riduzione ulteriore della frequenza degli atti respiratori. Tipici esempi di patologie che generano ipercapnia sono l’asma e la bronco pneumopatia cronica ostruttiva ma anche alcune patologie ostruttive delle vie aeree come polmoniti, edema ed embolia polmonare. L’organismo risponde creando una sorta di compenso attraverso l’aumento dei bicarbonati (e dunque di basi) nel sangue, correggendo l’acidosi di base e raggiungendo il cosiddetto stato di ipercapnia cronica compensata. Questo meccanismo compensatorio è efficace fino a quando il rene riesce a riassorbire gli ioni bicarbonato HCO3- ma può, dopo un po’ di tempo, diventare insufficiente e, comunque, è di scarsa efficacia se l’ipercapnia si instaura rapidamente.
Attualmente in commercio sono disponibili diversi sistemi di decapneizzazone.
Il sistema Decap (Hemodec, Italia) è stato il primo sistema VV-ECCO2R moderno prodotto. E’ un circuito extracorporeo veno-venoso che effettua un singolo accesso percutaneo con catetere a doppio lume, dotato di una pompa peristaltica che funziona con portate fino a 400ml/min. Questo garantisce un basso scompenso emodinamico e nessun effetto collaterale tipico dei sistemi artero-venosi.
La terapia Abylcap-AMPLYA (Bellco, Italia) si propone di rimuovere la CO2 in modo preventivo per ridurre l’aggressività della ventilazione meccanica e il contenimento del VILI , favorire lo svezzamento della ventilazione meccanica e l’estubazione, ridurre i giorni di sedazione e il rischio di complicazioni.
La terapia si compone di una circolazione extracorporea di sangue attraverso un
ossigenatore per l’eliminazione della CO2.
Un apposito circuito viene utilizzato per riscaldare il sangue in modo da ridurre il rischio di ipotermia. L’ossigenatore, grazie alla sua particolare membrana in polimetilpentene, garantisce l’utilizzo del sistema per 4 giorni consecutivi.
Certamente l’ECMO è una tecnica fondamentale e insostituibile, di grande potenzialità clinica anche se fino ad oggi è stata utilizzata con grosse limitazioni.
Infatti, i pazienti che ne avrebbero bisogno sono un numero molto più consistente rispetto a quelli che vengono effettivamente trattati con tale metodica in quanto solo pochi ospedali sono dotati dell’apparecchio che richiede peraltro un percorso assistenziale altamente specializzato. E’ una tecnica con costi vivi e gestionali molto elevati e il protocollo di selezione dei pazienti è molto rigido, di conseguenza solo pochissimi pazienti con caratteristiche patologiche specifiche e condizioni di salute gravissime possono essere sottoposti a questo trattamento.
La tecnica della decapneizzazione non sostituisce l’ECMO. In conclusione la decapneizzazione extracorporea, trattandosi di una tecnica differente, ha l’obiettivo di aprire le porte verso una sostituzione della ventilazione meccanica attraverso la rimozione parziale di CO2 ed è utilizzabile dove l’ECMO non viene applicato a causa dei criteri di selezione troppo rigidi. Importante è sottolineare che un trattamento precoce di decapneizzazione può evitare il precipitare della situazione ed evitare così una circostanza tale da essere trattata con metodica ECMO.