Anno Accademico 2020-2021

Vol. 65, n° 4, Ottobre - Dicembre 2021

Conferenza: La Dermatologia e Venereologia nell'antichità

08 giugno 2021

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La Dermatologia e Venereologia nell'antichità

L. Valenzano

Secondo la periodizzazione storica, l'antichità è quell’ampio periodo che comprende la preistoria (dalla notte dei tempi fino al 3000 a.C., ovvero alla scoperta della scrittura) e la cosiddetta storia antica (dal 3000 a.C. fino al 476 d.C., ossia alla fine dell'Impero Romano d'Occidente).

Certamente quando sulla Terra il primo uomo ha visto un altro uomo, anzitutto ha visto il suo sembiante, ovvero la sua pelle, dando così avvio da allora a quel processo di osservazione sistematica della pelle che resterà poi come filo conduttore della Dermatologia che, come sappiamo, è rimasta come prevalente espressione della Medicina per molti secoli.

Ben si comprende quindi l'affermazione di Varotti C.: «la patologia cutanea è quella che per prima si è imposta all’attenzione dell’osservatore, suscitando ora ribrezzo, ora emarginazione, ora pietà, ora paura» (Presentazione in Pistacchio B., Breve storia della Dermatologia, Mediamix Ed., 1997).

Già nella preistoria, una prima forma di Dermatologia (Protodermatologia) è testimoniata da importanti ritrovamenti. Fra questi, forse il più antico e significativo è quello di Ötzi, la cosiddetta mummia di Similaun risalente a 7000 anni orsono che, protetta dalle nevi perenni, è giunta pressoché intatta alla nostra osservazione e che oggi fortunatamente è conservata presso il Museo Archeologico di Bolzano. Infatti sulla pelle di questo nostro antenato sono ben visibili circa sessantuno manufatti sotto forma di linee, croci e punti, possibili esiti di ferite, incisioni, marcature, scarificazioni, causticazioni o forse, più semplicemente, tatuaggi praticati per sottolineare appartenenza tribale, ritualità religiosa, pratiche decorative, terapeutiche e apotropaiche. Nel loro complesso costituiscono una chiara testimonianza del ruolo della pelle nei rapporti interumani, e quindi anche nella Medicina, fin dai tempi più remoti.

Comunque la gran parte degli studiosi è concorde nel ritenere che la Dermatologia sia nata in Oriente e per merito di una successione di popolazioni: sumeri, babilonesi, assiri, egizi, cinesi, fenici, ebrei, cretesi, micenei, greci, etruschi e romani.

Si pensa che la più antica civiltà del mondo, risalente a 7500 anni a.C., sia quella indiana sorta nella Valle dell'Indo e documentata in particolare dalla scrittura pittorica e dai famosi Veda, testi sacri della religione vedica, che sarà poi Brahmanesimo e Induismo, permeati da una costante aspirazione all'integrità e all'immortalità. Molto significativo è il testo di Suśruta Samhita (V millennio a.C.), chirurgo indiano e primo autore di scritti sistematici di Medicina e Chirurgia, fondativi della Medicina ayurvedica e indicativi di un grande interesse per la salute dell'uomo. L’Ayurveda è la Medicina tradizionale indiana, protetta dal Dio Dhanvantari e che per certi aspetti è ancora praticata. Il termine deriva dalla parola ayur (longevità) e veda (conoscenza rivelata) e quindi, a buon titolo, può essere considerata la scienza della longevità. Principio ispiratore è che il corpo sia pervaso da tre Dosha (energie vitali) e che la patologia si realizzi in rapporto ad uno squilibrio fra queste energie. La cura delle malattie prevede cinque rimedi fondamentali sotto forma di oli minerali o polveri di erbe, sostanze erboristiche, corretta alimentazione, sane abitudini di vita e adeguati esercizi fisici (Yoga).

Principio fondativo della Medicina cinese (3000-221 a.C.) è che la natura sia energia in trasformazione e il suo simbolo (Tao) rappresenta l’armonia tra Yin (male) e Yang (bene).

La terapia delle patologie prevede l’impiego di erbe, dieta, esercizi fisici e massaggi.

Il filosofo e politico Ko Hung (3500 a.C.) realizza inconsapevolmente il primo tentativo di immunizzazione attiva contro il vaiolo, prelevando polvere di croste secche da un malato per poi insufflarle nelle narici di un soggetto sano, rendendolo così esente dal contagio. In questa pratica è possibile constatare la stupefacente intuizione del processo della vaccinazione, problematica quanto mai attuale nei nostri tempi.

Di questo antico sapere ci resta il Grande Erbario (3000 a.C.), testo molto significativo per comprendere e valutare quella che da molti è ritenuta «la più avanzata e ricca fra tutte le medicine del passato».

L’Imperatore Shen Nung (2800 a.C.), considerato il padre della Medicina cinese, introduce l’impiego dell’agopuntura, del ferro come antianemico, del solfato di sodio come purgante, dell’oppio come narcotico, del rabarbaro come digestivo e sottolinea l’efficacia di fiori, frutti e piante medicamentose, per le quali ne raccomanda la coltivazione ai suoi sudditi.

Culla della nostra civiltà occidentale è certamente la Mesopotamia (terra tra i due fiumi Tigri e Eufrate), abitata nel tempo da numerose popolazioni che, con diverse modalità, contribuiscono all'evoluzione di questa grande cultura: sumeri, accadi, babilonesi, assiri, ittiti, hurriti e cassiti. La Medicina viene esercitata da esorcisti, veggenti, guaritori e sapienti, già molto evoluti se consideriamo i raffinati strumenti chirurgici rinvenuti a Ninive e l’impiego di unguenti, impacchi, lavaggi, abluzioni e bagni in fiumi e vasche, per lo più in associazione con riti magici. Nel 1800 a.C. viene costruita la prima vasca al mondo nella città di Mari, di cui ci restano ancora suggestivi reperti archeologici.

Fra tutti i popoli che si sono succeduti nel territorio mesopotamico, ci interessano particolarmente i sumeri, creatori della più antica forma di scrittura pittorica, figurativa e simbolica (3000 a.C.), che ci hanno lasciato circa 30.000 tavolette cuneiformi di cui 800 dedicate alla Medicina. Fra queste, molto significative le 15 prescrizioni mediche rinvenute in una tavoletta a Nippur (2200-2100 a.C.) considerate «la prima ricetta medica al mondo». Come pure il codice di Hammurabi (1792-1750 a.C.) che descrive una Chirurgia ed una Medicina alquanto evoluta con riferimento persino a norme deontologiche e alla relativa imputabilità dei medici. Altro testo di grande interesse medico e dermatologico è il Trattato Accadico di prognosi e diagnosi mediche (composto da 40 tavolette cuneiformi provenienti da Accad, primo Impero della storia) in cui viene descritta un'ampia pratica empirica applicata con terapie magiche, erbe e altri elementi naturali.

Altrettanto vasta e interessante è la civiltà egizia (3000-300 a.C.) che, in base ad una concezione magica della malattia, propone formule apotropaiche in scrittura geroglifica, pratiche mediche progredite anche dermatologiche, con una particolare cura della cosmesi e delle sue applicazioni.

Gli egizi, venerano il dio della magia Thoth e affermano che la natura sia il medico delle malattie e che esista un’interrelazione fra il mondo esteriore e quello interiore, per cui la malattia si manifesta quando vi è dissonanza fra queste due realtà. Inoltre il corpo è considerato un'entità somato, emozionale e spirituale che possiede in sé i mezzi per la guarigione.

Imohotep, sommo sacerdote e medico, nel 2700 a.C. descrive un primo tumore della pelle, definendolo: «grave malattia per cui nessun trattamento è possibile».

Il papiro di Edwin Smith (1600 a.C.) testimonia un approccio scientifico alla malattia e si concentra particolarmente sulla cura delle ferite e delle ustioni. Propone inoltre l’impiego del frutto Hemaiet, capace di «togliere le rughe dal capo, rendere più bella la pelle, rimuovendo tutte le macchie, le deformazioni, i segni dell’età e gli indebolimenti della carne». Il papiro di Ebers (1500 a.C.) costituisce un ulteriore riferimento ai tumori dei tessuti molli, curati con pastiglie di arsenico o unguento egiziano. Il tumore viene definito «nuova formazione dura come una pietra, che si cura col coltello e poi col fuoco». Sono anche descritti interventi chirurgici complessi, soprattutto effettuati sulla pelle e anche a fini estetici (prodromi della chirurgia plastica?). Vengono anche illustrate molte dermopatie fra cui le parassitosi con relative e primordiali terapie topiche quali grasso di ippopotamo, miele, zolfo, trementina, oppio, loto, mandragola, cannabis e tanti altri rimedi. In particolare viene indicata la scorza di salice per il trattamento delle algie (una forma primitiva forma di aspirina?) e sono sperimentate muffe per il trattamento di piaghe infette (primo accenno all’impiego della penicillina per il trattamento delle infezioni?).

Di questa straordinaria ed evoluta civiltà ci restano eloquenti testimonianze in molte tombe, mummie, pitture e nei più diversi reperti. Fra questi anche un rudimentale preservativo, realizzato con aponeurosi bovina ed appartenuto al Faraone Tutankhamon (identificato tramite DNA).

Anche la cosmesi ha diversi scopi come salute e bellezza esteriore, cura e igiene del corpo, ma anche religiosi e funerari, non a caso è considerata una modalità di congiunzione con la divinità. Non ci stupisce allora che la regina Cleopatra, emblema dell’indipendenza e del potere della donna, per la cura della sua bellezza sia solita ricorrere a bagni di vapore e a diversi topici fra cui anche i famosi fanghi del Mar Morto, ancora oggi molto apprezzati.

Un dato di particolare interesse dermatologico è l’impiego dell’Amni Majus, pianta umbrellifera che cresce sulle rive del Nilo, per la cura delle macchie leucodermiche (vitiligine) in associazione con l’esposizione solare (antesignano della PUVA terapia?). Oggi sappiamo che l’efficacia di questa pianta è dovuta all’azione fotosensibilizzante e repigmentante delle furocumarine.

Per questa grande e innovativa civiltà, Erodoto di Alicarnasso (484-432 a.C.) considera l’Egitto «precursore della civiltà greca» e afferma che «quando la civiltà egizia era al massimo fulgore, il popolo dell’Ellade viveva nelle caverne cibandosi di radici».

La civiltà fenicia (2200-333 a.C.) e i suoi protagonisti, i Phoinikes (rossi), semiti nomadi del Mediterraneo orientale (attuale Libano) disseminati nelle città di Tiro, Sidone, Cipro, Cartagine (Punici), Sardegna, Spagna (Cadice), Utica, Palermo, sono apprezzati commercianti, artigiani e marinai, ma soprattutto esperti osservatori delle costellazioni celesti e inventori della scrittura alfabetica.

Un loro merito particolare è anche la produzione della porpora, estratta dai molluschi Murex e molto ricercata per l’allestimento di tinture per tessuti e cosmetici.

La Medicina ebraica (1200-550 a.C.) condivide con quella persiana i concetti di purità e impurità associati alla salute e alla malattia. Nella Bibbia, testo sacro ebraico e cristiano (XII sec. a.C.) il termine Zara’at indica impurità, peccato e colpa, per cui la collera divina si concretizza nella malattia come punizione. La parola Lepra (squama, prurito etc.) indica invece una patologia cutanea oscura che sarà poi per molti secoli impiegata per definire le più diverse patologie (lebbra, elefantiasi, peste, tubercolosi, sifilide, scabbia, psoriasi etc.), creando così persistenti confusioni fino all’età moderna e contemporanea. Nel Talmud (II-I a.C.) si stabilisce che «gli esami delle malattie della pelle, eruzioni e lebbra non spettano al medico ma ai sacerdoti». Nell’Antico Testamento vengono raccomandate regole e comportamenti: l’allontanamento dei lebbrosi perché impuri, la quarantena delle persone infette (Levitico 13: 45-46), accurati lavaggi dopo la manipolazione dei defunti (Numeri 19: 11-19), il sotterramento degli escrementi lontano dagli alimenti (Deuteronomio (23: 12-13), la profilassi e la soppressione delle epidemie, delle malattie veneree e della prostituzione, la cura della pelle, l’utilità dei bagni, la corretta alimentazione (no maiale) e una costante attenzione alla casa, all’abbigliamento, al lavoro (non di sabato), all’esercizio del sesso e all’opportunità della circoncisione.

Perciò, secondo un rigoroso concetto teurgico, il medico cura, Dio guarisce e i medicamenti sono un dono divino.

La civiltà etrusca (IX-I sec. a.C.) è cultrice di una Medicina magica, esercitata da aruspici e prevede sacrifici e pratiche estetiche, come si può desumere da brillanti pitture e completi unguentari e balsamari rinvenuti nelle tombe.

La Medicina si realizza con diverse metodologie assai complesse ed avanzate: cura di fonti, fogne e paludi, diffusa frequentazione delle acque termali (calde e sulfuree) per la cura delle malattie della pelle (Saturnia, Viterbo, Chianciano etc.), impiego di erbe, piante, legumi, fiori e frutti medicinali (millefoglie per le ferite e la cosmesi, menta per il prurito, timo, camomilla, aglio, cipolla etc.), medicazioni topiche con vino, aceto, olio e sostanze naturali, utilizzo di metalli e minerali per la fabbricazione di complessi strumenti chirurgici e protesi e una costante attenzione all’igiene personale, alla cosmesi (lavaggi, depilazioni etc.) e alla ginnastica.

E soprattutto nella grande civiltà greca del «καλὸς καὶ ἀγαθός» (1300-400 a.C.), a ragione considerata culla di quella europea, si assiste ad una vera magnificazione della Medicina volta in particolare al corpo, quale ideale di bellezza ed armonia. Si realizza una vera Medicina scientifica di cui sono interpreti e testimoni le diverse scuole filosofiche (Crotone, Kos etc.). Queste eccellenti istituzioni operano per lo più in templi edificati presso sorgenti, fonti, terme, ginnasi e sanatori.

La Medicina greca è essenzialmente laica e perciò impone l’emancipazione del medico dal sacerdote e introduce il concetto di ricerca clinica e di diagnosi.

È essenzialmente una Medicina clinica basata sulla Teoria umorale, per la quale il corpo umano è costituito da quattro umori fondamentali che, se bilanciati fra loro producono salute, se invece alterati generano la malattia. La prevalenza di un umore sugli altri determina poi la costituzione, che può essere sanguigna, biliare, flemmatica o atrobiliare.

Molto praticate ed evolute le cure del corpo, della cute e delle ferite e tenuto in gran conto l’esercizio della dieta e della ginnastica.

Tutto questo senza contrastare la tradizionale componente sacrale, personificata in Asclepio (che sarà poi Esculapio a Roma) in quanto figlio del Dio Apollo, fondatore dell’Arte Medica, e di Coronide. Anche Igea, figlia di Asclepio e sorella di Panacea, è venerata come Dea della guarigione ed è considerata anche Dea della salute e della pulizia perché l’igiene, la cura del corpo e della pelle sono fondamentali e perciò molto raccomandati e sostenuti dalle Istituzioni statali.

Numerosi altri personaggi offrono il loro prezioso contributo all’edificazione dell’Arte Medica.

Per Alcmeone di Crotone (V sec. a.C.) la salute equivale all’equilibrio (isonomia) fra caldo, freddo, secco, amaro e dolce, mentre la malattia è determinata dalla prevalenza di un elemento sull’altro.

Nel suo importante trattato Natura accenna anche alle malattie cutanee e alle relative cure, perciò è considerato, a ragione, «testo fondamentale della medicina classica».

Il grande Empedocle di Agrigento (490-430 a.C.) espone la sua Teoria della respirazione cutanea, per cui la cute è succedanea dei polmoni e a tal fine ipotizza uno scambio di particelle minutissime (molecole gassose) fra l’esterno e l’interno dell’organismo attraverso i pori cutanei, che perciò debbono essere sempre ben curati ed efficienti.

Questa innovativa teoria è condivisa anche da Filistione di Locri (V sec a.C.) che ribadisce che «la respirazione avviene anche attraverso i pori cutanei».

La figura più significativa è certamente il sommo Ippocrate di Coo (460-377 a.C.) detto «padre della medicina» perché fondatore della prima forma di scienza medica. Separa ulteriormente la Medicina dalla religione affermando che «nessuna malattia è divina, la causa è naturale» e deve essere ricercata con il metodo dell’«observatio et ratio».

Codifica la fisiopatologia umorale (Dottrina degli umori) secondo la quale l’Aria (freddo) corrisponde alla bile gialla, la Terra (asciutto) alla bile nera, l’Acqua (umido) al flegma e il Fuoco (caldo) al sangue. L’equilibrio fra questi umori assicura l’eucrasia (salute), ma quando anche uno solo di questi umori è alterato allora si realizza la malattia.

Da ciò l’importanza di una vita sana riconducibile ad una grande attenzione all’ambiente, all’alimentazione, alla ginnastica, alla cura del corpo e della pelle. Quest’organo in particolare dev’essere attenzionato perché ritenuto «capace di ricevere gli umori alterati».

Inoltre, per quanto riguarda la terapia, ci ha lasciato una serie di precetti: «primum non nocere», «vis medicatrix naturae», «contraria contrariis curantur» etc.

In sintesi la sua è una Medicina realistica, basata sul sapere, saper essere e saper fare.

Di questo straordinario personaggio ci restano anche numerosi testi, veri pilastri della storia della Medicina. Si tratta del Corpus Hippocraticus (70 libri), una summa di teorie e pratiche mediche, il Libro delle arie, acque e luoghi, eccellente analisi della natura e il Libro degli aforismi, una vera raccolta di pillole di esperienza e saggezza.

Per le sue enormi conquiste, questa dirompente figura segna un solco profondo rispetto alle culture precedenti e contemporanee, indirizzando da quel momento tutte le future civiltà, a partire dalla nostra, a trovare il loro archetipo nel ricco patrimonio scientifico e artistico della Grecia, particolarmente volto al sapere, all’arte e alla cura della salute e dell’estetica del corpo.

Si giunge così alla Magna Graecia (Μεγάλη Ἑλλάς) di cui, secondo Strabone, Cuma è la prima colonia greca in Italia (760 a.C.). Già Ovidio nei Fasti (IV a. C.) afferma che «Itala nam tellus Graecia major erat» e nel II sec. a. C. Polibio (11-39,7) parla di un «Continuum Grecia - Magna Graecia».

La Medicina della Magna Graecia separa pratiche e teorie mediche dalle concezioni empirico-divine e i romani, oltre alle medicine autoctone, aprono le porte alla Medicina greca («Graecia capta capit Romam»), mantenendo come base la quella etrusca.

La definitiva affermazione della Medicina razionale è patrimonio di importanti Scuole mediche quali la Scuola di Crotone del VI sec. a.C. (primo insegnamento di Medicina al mondo), la Scuola Medica Ionica del VI-V sec. a.C. (Alcmeone), la Scuola di Agrigento (Empedocle) e altre ancora.

Pitagora (580-495 a.C.), filosofo, scienziato, taumaturgo, profeta, guaritore e mago, nel 530 a.C. fonda a Crotone la Scuola Pitagorica, nella quale si realizza la concezione biologica e la Dottrina dell’armonia. Pitagora è anche considerato iniziatore del vegetarismo, forse perché favico e per la sua convinzione che «negli animali vi è un’anima non diversa da quella degli esseri umani» (metempsicosi?).

Il grande filosofo Aristotele (384-322 a.C.) fonda nel 336 a.C. la Scuola di Atene e per primo descrive i pidocchi, ma purtroppo sostiene che questi parassiti compaiano per generazione spontanea, un principio erroneo che durerà nei secoli, condizionando negativamente la ricerca scientifica.

Nella civiltà romana (750 a.C - 476 d.C.) la Medicina primitiva è quella degli altri popoli latini autoctoni, in particolare degli etruschi e dei fenici che poi, fondendosi con quella greca (ellenismo), darà vita alla grande e complessa Medicina greco-romana.

Pur venerando Scabies, Dea preposta alle malattie della pelle, si realizza una vera Medicina scientifica e pratica.

La salute diventa un grande problema pubblico, perciò viene eretto il primo ospedale sull’Isola Tiberina (Insula Esculapii) e il sovrastante tempio di Esculapio è adibito a «ospitale» (stanze per l’ospite) o nosocomio per il ricovero e l’assistenza del malato spesso sottoposto all’incubatio, ossia la guarigione nel sonno (oniromanzia di Freud, psicoterapia?).

Si costruiscono specifiche strutture: la Taberna è lo studio medico (ambulatorio?) e l’Herbarium è il luogo dove si preparano le medicine con le erbe raccolte dai rizotomi (farmacia?).

Da distinguere però la Valetudo (individuale) dalla Salus (pubblica): infatti la Medicina domestica, è esercitata dal pater familias, dagli schiavi e nelle tabernae medicae, mentre quella statale è gestita dal governo e da autorevoli personaggi anche non medici.

Fra questi in primis Giulio Cesare (100-44 a.C.), che nel 46 a.C. concede la cittadinanza romana ai medici stranieri, costruisce i Valetudinaria, ospedali per i militari reduci, e istituisce il medico Vulnerarius, preposto alla cura delle ferite e quindi della pelle dei soldati (forma embrionale della figura del Dermatologo?).

Il massimo trionfo della Medicina a Roma avviene nell’età imperiale, personificata dalla Dea Salus Augusta, riprodotta anche nella facciata del sesterzio dell’epoca.

L’Imperatore Augusto (63 a.C.-14 d.C.), convinto che «Salus populi suprema lex est», nel 14 d.C. fonda le Scuole mediche e regolamenta il meretricio, per cui i lupanari debbono essere ubicati «extramoenia» e operanti solo di sera e le numerose prostitute (circa 32.000) debbono cambiare nome per rispetto dell’istituzione familiare (antesignano della Venereologia?).

Diversi sono gli obiettivi e i campi operativi della Medicina romana: prioritariamente la cura delle acque, per cui si edificano l’Acquedotto di Appio Claudio e la Cloaca Maxima di Tarquinio Prisco sotto il controllo del Curator aquarum e del Comes cloacarum. All’epoca il patrimonio idrico della città ammonta a 14 acquedotti sotterranei o su arcate per un’estensione di circa 600 km e con una portata di oltre 1,5 milioni di metri cubi di acqua al giorno.

Molto curate e praticate sono l’educazione fisica (specie ginnasii, palestre, terme), l’igiene alimentare (gli Edili controllano provenienza, distribuzione, qualità e quantità dei cibi etc.), l’igiene sanitaria (tassa sul celibato, decoro e regolamentazione della prostituzione etc.) e quella mortuaria (sepoltura fuori città o cremazione).

A questa innovativa forma di Arte Medica concorrono importanti personaggi.

Asclepiade di Prusa (129-40 a.C.) elabora la sua Teoria atomistica, secondo la quale l’Universo è costituito da atomi in combinazione e in continuo movimento negli spazi o pori. Considera perciò le lesioni cutanee strettamente localizzate e regolate dalle ristrettezze o dalle dilatazioni dei pori, che possono essere Strictus (eritemi, tumefazioni, infiltrazioni…), Laxus (lesioni pallide, bollose, secernenti…) e Mixtus (ulcere secernenti, bordi duri…). A tal fine raccomanda massaggi con sostanze calde dilatanti o fredde restringenti ed un corretto stile di vita (dieta, ginnastica etc.).

Marco Terenzio Varrone (117-26 a.C.) nel De re rustica libri III parla di «malattie cutanee da punture di insetti in zone paludose» (anteprima della malaria?).

Marco Tullio Cicerone (106-43 a.C.) considera la cute come specchio dell’anima, affermando che: «nihil sine cute, intus et in cute, intus ut in cute» (premessa della psicosomatica?).

Il sesso è praticato in maniera libera e poco controllata: la prostituzione femminile e maschile e l’omosessualità (più l’attiva che la passiva) sono considerate «regalo degli Dei» e quindi da vivere senza limiti e inibizioni. La Dea Venere Ericina protegge le prostitute e Priapo la fertilità.

Anche molti letterati e poeti si sono occupati di varie problematiche sanitarie e fra loro spicca Ovidio (43 a.C. - 18 d.C.) che condensa il suo sapere in diversi capolavori. Tratta la cute e le sue alterazioni in molte opere: Ars amatoria, Medicamina faciei feminae, Remedia amoris e Metamorfosi in 15 libri.

Differenzia la cosmesi fra ornatio (acconciatura) e fucatio (correzione dei difetti) e illustra diverse modalità di amoreggiamento e accoppiamento sessuale. Parla persino di fimosi che può essere ridotta manualmente o incisa, come ancora oggi si pratica.

Aulo Cornelio Celso (26 a.C. - 50 d. C.), perfezionando il metodo sperimentale a base di osservazione, esperienza e ragionamento, descrive i primi sintomi della flogosi: Calor, Rubor, Tumor et Dolor. Nel De Re Medica Libri Octo, enumera e dà il nome a moltissime malattie cutanee e veneree, da lui definite «malattie delle parti oscene», per le quali spesso il pudore impedisce di rivolgersi al medico. Descrive anche molte alterazioni cutanee e genitali come «manifestazioni esterne di lesioni profonde di cui sono sfogo».

Plinio il Vecchio (23 - 79 d.C.), nei 37 libri del Naturalis historia, per primo illustra molti fenomeni naturali e le relative implicazioni mediche, e per questo grande merito è considerato «vero precursore delle scienze biologiche». Si occupa anche di malattie da importazione quali mentagra, carbonchio e lebbra, particolarmente temute e devastanti in quell’epoca.

Denomina Pianta vulneraria la Consolida Maggiore perché guarisce le ferite in quanto contiene allantoina e indica particolari rimedi per cosmesi, zoster, ftiriasi, prurito etc.

Areteo di Cappadocia (81 - 138 d.C.) nel De acutorum descrive due forme di cancro: «fermo al tatto e ulcerato». Inventa il termine Diabete e ne descrive le dermatosi squamose spesso associate alle malattie viscerali (dermatite seborroica, psoriasi etc.), ricollegandole ad alterazioni dietetiche e metaboliche. In pratica sembra già intuire il rapporto tra psoriasi e sindrome metabolica, problema ancora molto attuale e discusso.

Galeno da Pergamo (131 - 201 d. C.), appellato «padre dei Galenici» e autore della Functio laesa, considera la «pelle, involucro di scorie e escrementi morbosi». In 400 libri descrive molte dermopatie anche veneree fra cui gonorrea, ulcere genitali e tumefazioni ghiandolari. Parla poi di tumori cutanei «malattia generale, con manifestazioni solo locali!», che determina una condizione per cui «i malati muoiono presto se curati, vivono più a lungo se abbandonati al loro destino», dando origine così a quel fenomeno che sarà poi tramandato come «ipsedixismo galenico».

Una peculiare caratteristica della Medicina romana è poi la grande diffusione del termalismo (più di 800 stazioni termali), volta a eliminare attraverso la pelle i nefasti umori delle malattie e rispristinare prestanza, efficienza, estetica e salute. Plinio racconta che i legionari al ritorno dalla guerra vengono obbligatoriamente inviati alle terme sulfuree per almeno quindici giorni (ferie termali ante litteram?). L’architetto Vitruvio progetta le grandi terme calcolandone l’esposizione al sole e ai venti al fine di aumentare i benefici cutanei.

Il termalismo, oltre che un fenomeno di igiene, cura del corpo ed estetica, rappresenta anche un’importante occasione personale, sociale, commerciale ma purtroppo anche di corruzione morale, decadenza dei costumi e dei poteri.

Questo fenomeno probabilmente concorre, insieme all’anarchia, alla corruzione e alla decadenza morale e politica, alla successiva caduta dell’Impero romano (476 d.C.). Ma ancor più determinanti sono le molte e ricorrenti pestilenze (5-30 milioni di morti), le invasioni barbariche ripetute e sempre più aggressive (Unni, Goti, Vandali, Visigoti, Franchi, Sassoni…) e la diffusione del Cristianesimo. E proprio il culto di Cristo, medico dell’anima e del corpo, genera una nuova Medicina popolare devota a Santi guaritori e monaci infermieri.

Tutto ciò contribuisce alla decadenza della Medicina di Esculapio. Con l’Editto di Costantino (313 d.C.), sotto l’egida «in hoc signo vinces», il culto di Esculapio viene sostituito da quello di Cristo, il corpo viene rifiutato, come pure i suoi piaceri e la pratica della cosmesi. D’altra parte il malato non è più emarginato perché immondo e punito da Dio, ma diventa fratello da assistere con cure e ricoveri. Scompare così la figura del medico laico-pagano.

Siamo agli albori di quella Medicina monastica e conventuale che, in un diverso scenario storico, con la riscoperta di antichi testi e passati saperi, la coltivazione e l’uso di erbe medicinali, l’imposizione delle mani, le unzioni con olio santo e tante altre nuove pratiche devozionali, apre la successiva fase. Inizia da allora la lunga, complessa e travagliata Dermatologia-Medicina medioevale.