Dott. Danilo Alvisini

Infermiere, Terapia Intensiva Cardiochirurgica, European Hospital, Roma

Articolo pubblicato in:

Anno Accademico 2021-2022

Vol. 66, n° 2, Aprile - Giugno 2022

ECM: Esperienza COVID Hospital: aspetti clinici e organizzativi

08 marzo 2022

Copertina Atti Secondo Trimestre 2022 per sito.jpg

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Aspetti organizzativi nel Reparto Terapia Intensiva COVID-19

D. Alvisini

Il 12 gennaio 2020, l'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha confermato la scoperta di un nuovo coronavirus, causa di un'infezione polmonare che aveva colpito diversi abitanti della città di Wuhan, nella provincia cinese dell'Hubei, il cui caso era stato portato all'attenzione dell'OMS il 31 dicembre 2019.

Al 3 gennaio 2022 sono stati registrati 12.134.451 casi positivi, 151.296 deceduti, rendendo l'Italia il 10º Paese al mondo e il 6º in Europa per numero di casi totali, il 9º Paese al mondo e il 3º in Europa per numero assoluto di decessi, il 64º Paese al mondo per casi totali in rapporto alla popolazione e il 27º Paese per decessi in rapporto alla popolazione.

È da questi freddi numeri che inizio la mia presentazione di oggi sulla nostra esperienza con il COVID-19. Erano i primi di gennaio 2021, quando abbiamo iniziato ad allestire la “nostra” terapia intensiva a Città di Roma, ed in seguito i primi ricoveri. Un percorso difficile, affrontato con coraggio e dedizione, con l’ovvia paura iniziale di scontrarsi contro un nemico forte e per certi versi sconosciuto e nuovo. Molti di noi si sono dovuti reinventare, adattare.


La terapia Intensiva: cos’è

Con l’espressione Terapia Intensiva (da cui l’acronimo TI) in ambito ospedaliero si indica il reparto dell’ospedale dove vengono garantite cure più intense rispetto agli altri reparti, dedicate ai pazienti in condizioni più gravi. Le Terapie Intensive sono reparti normalmente presenti in quasi tutti gli ospedali; tuttavia, il numero dei posti in Terapia Intensiva è limitato e varia enormemente in base alla grandezza dell’ospedale. Quando tutti i posti in Terapia Intensiva di un dato ospedale sono saturi, i pazienti in stato critico vengono in genere dirottati verso l’ospedale più vicino che dispone di posti intensivi vacanti. Qualora non siano disponibili posti, il paziente più critico ha un rischio maggiore di decesso: questo è il motivo per cui la recente pandemia da COVID-19 è così pericolosa dal punto di vista dell’organizzazione sanitaria, visto che l’infezione si è dimostrata purtroppo fin troppo capace nel saturare in fretta i posti in Terapia Intensiva disponibili.

Quali pazienti accoglie?

Il posto in Terapia Intensiva viene assegnato a pazienti con particolari stati di salute di media/alta gravità, quali ad esempio:

  • pazienti che hanno bisogno di supporto delle funzioni vitali (respiratore meccanico, farmaci inotropi, ecc.);
  • pazienti politraumatizzati (ad esempio in seguito a gravi incidenti stradali);
  • pazienti con recente infarto del miocardio;
  • pazienti con recente ictus cerebrale ischemico od emorragico;
  • pazienti con insufficienza respiratoria grave;
  • pazienti dopo recente intervento chirurgico maggiore con complicazioni;
  • pazienti che necessitano di monitoraggio continuo e, se necessario, di intervento immediato.


Funzioni

Come intuibile, i posti in Terapia Intensiva sono fondamentali per mantenere in vita i pazienti che arrivano in ospedale in situazioni particolarmente critiche: non è purtroppo infatti raro che si verifichi il decesso del paziente in questo tipo di reparto. Per raggiungere lo scopo di mantenere in vita i pazienti più critici, la Terapia Intensiva è caratterizzata da monitoraggio avanzato del paziente (7 giorni/7, 24 ore/24) e dall’uso di tecnologie particolarmente complesse e costose che supportano in primo luogo le funzioni respiratorie e cardiocircolatorie del soggetto.

Perché il COVID-19 rende spesso necessaria la Terapia Intensiva?

Una delle caratteristiche principali della pandemia da COVID-19 è l’alta percentuale di pazienti (circa il 10%) che vanno incontro ad una grave polmonite interstiziale bilaterale, con possibile progressione verso la sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS) e l’insufficienza respiratoria grave: tale condizione necessita appunto del trasporto del paziente in Terapia Intensiva per sopravvivere.


Organizzazione

La Terapia Intensiva dispone normalmente - per ogni unità letto - di varie strumentazioni, tra cui:

  • respiratore automatico;
  • monitor multiparametrico;
  • defibrillatore manuale;
  • pompe infusionali;
  • impianto d’aspirazione.

Nel reparto di Terapia Intensiva è garantita assistenza infermieristica specializzata in numero non inferiore ad una unità ogni due letti e di un medico, normalmente anestesista-rianimatore. Il reparto di Terapia Intensiva è generalmente costituito da un unico grande spazio di degenza in modo da poter garantire costantemente, da parte di tutto il personale, il controllo agevole di ciò che avviene nel reparto e la garanzia di immediati interventi al letto del paziente in caso di situazioni critiche. Negli ospedali più attrezzati esistono Terapie Intensive specializzate in un campo specifico, come ad esempio Traumatologia, Cardiologia, Neurologia e trapianti. In tutte le culture mediche europee e nordamericane l’espressione “Terapia Intensiva” equivale ai termini “Rianimazione” o “Cure Intensive”.


La struttura della nostra TI

La “nostra” Terapia Intensiva è accreditata per 10 posti letti; l’accesso è esclusivo dalla zona filtro/vestizione nella quale il personale, seguendo le procedure interne, procede alla vestizione/svestizione con gli appositi DPI necessari per l’ingresso nell’Unita Operativa.

All’interno troviamo 3 stanze con 2 letti ognuna, dotate ognuna di un armadio per approvvigionamento di materiale e carrello della terapia dedicato; un grande open space ospita altre tre unità di degenza e una stanza di isolamento al centro del quale troviamo la console a vetri dedicata al personale sanitario.

Ogni unità ovviamente è corredata da monitor, ventilatore, albero con pompe infusionali come abbiamo visto nel paragrafo precedente.


Il paziente Critico di COVID-19: accesso in TI

L’accesso presso il reparto di Terapia Intensiva avviene fondamentalmente attraverso due strade. La prima è attraverso la rete territoriale del 118, la seconda attraverso i reparti ordinari di degenza COVID della struttura Città di Roma.

Tali pazienti, dopo il ricovero, potrebbero presentare un aggravarsi dei sintomi, specialmente dal punto di vista respiratorio. Qui entra in gioco la Terapia Intensiva e la sua equipe, che una volta accettato il paziente in reparto procede con la monitorizzazione invasiva della pressione, saturimetria, cateterizzazione e soprattutto migliorare gli scambi respiratori.


La ventilazione Niv-Cpap

La NIV (Non Invasive Ventilation) è un sistema ventilatorio di natura meccanica a pressione positiva che si sostituisce all'utente nelle varie fasi degli atti respiratori; può essere nasale, facciale, total-face o a scafandro, a seconda delle esigenze e della tollerabilità. Il ruolo dell’Infermiere nella gestione della NIV è fondamentale, soprattutto nella fase del riconoscimento precoce di eventuali compromissioni degli scambi gassosi.


Monitoraggio e indicazioni pratiche

La Ventilazione Meccanica Non Invasiva (NIMV), altrimenti indicata come NIV o NPPV (Non Invasive Positive Pressure Ventilation) garantisce un supporto ventilatorio meccanico a pressione positiva che si avvale di diverse strategie ventilatorie.

Richiede un’interfaccia ventilatore-paziente costituita da diversi tipi di device, che comprendono:

  • maschera nasale;
  • maschera facciale;
  • maschera total-face;
  • casco o scafandro.

L’efficacia della NIV dipende in gran parte dalle competenze del personale infermieristico ben addestrato all’impiego di queste tecniche ventilatorie e con una salda esperienza in relazione a questo genere di pazienti.

Se correttamente applicata, riduce l'intubazione oro tracheale e la necessità della tracheostomia. Facilita anche lo svezzamento (weaning) dalla ventilazione meccanica invasiva.

La ventilazione meccanica non invasiva assicura, inoltre, un grado di efficacia simile a quello della ventilazione invasiva, ma è stata messa a punto allo scopo di evitare le complicazioni legate all’impiego di quest'ultima. 

Un altro importante vantaggio è rappresentato dalla possibilità di evitare al paziente il discomfort del tubo endotracheale e i rischi ad esso connessi, come l'aumentata incidenza di polmonite ventilatore associata (VAP), il prolungamento della permanenza in Terapia Intensiva e in ospedale o l'incremento della mortalità intraospedaliera.

Tra i potenziali svantaggi della NIV, invece, troviamo il disagio causato dall'interfaccia (alcune maschere mal posizionate o lasciate in sede troppo a lungo possono creare lesioni) o la possibilità che il supporto ventilatorio non sia sufficiente a raggiungere un risultato adeguato.

Da qui nasce la necessità di considerare l'efficacia della NIV in dipendenza del contesto operativo in cui è applicata. Un setting adeguato deve possedere dei requisiti di carattere organizzativo atti a garantire un buon risultato oltre che la qualità dell'assistenza.


Ventilazione non invasiva, quando utilizzarla

Requisiti essenziali per l’impiego della NIV possono essere la possibilità di effettuare un monitoraggio adeguato, la presenza di personale addestrato e motivato, la disponibilità del personale h24 e, infine, la possibilità di un rapido ricorso all'intubazione e alla ventilazione invasiva.

L'infermiere responsabile deve saper riconoscere i segni fondamentali di peggioramento di un’Insufficienza Respiratoria Acuta (IRA), conoscere il funzionamento, l'utilizzo e i possibili inconvenienti dei dispositivi per la NIV e avere la capacità di interpretare i dati rilevati dal monitoraggio oltre che essere in grado di agire in modo adeguato in caso di fallimento. La stretta collaborazione medico- infermiere, l’identificazione precoce di segni e sintomi e il riconoscimento dell'evoluzione dello stato clinico del paziente contribuiscono a migliorare la qualità dell'assistenza erogata.


Indicazioni all'impiego della NIV

Le indicazioni alla NIV riportate in letteratura comprendono patologie come:

  • IRA secondaria a riacutizzazione di BPCO: nelle linee guida delle maggiori Società di settore (ATS, ERS, BTS, GOLD) la NIV è indicata come il gold-standard per il trattamento dell'IRA secondaria a riacutizzazione di BPCO;
  • IRA secondaria ad edema polmonare acuto cardiogeno (EPAc): alcuni studi hanno dimostrato come l'utilizzo della pressione positiva continua (C-pap) sia in grado di ridurre la necessità di intubazione e, quindi, la permanenza dell’assistito in Terapia Intensiva;
  • IRA di tipo ipossiemico, non cardiogena: in questo caso la raccomandazione delle maggiori Società di settore è quella di utilizzare la NIV con approccio strettamente individualizzato e in contesto che consenta un rapido passaggio alla ventilazione invasiva in caso di mancato miglioramento;
  • altre indicazioni possono comprendere il paziente politraumatizzato, la sindrome da ipoventilazione dell'obeso, l'insufficienza respiratoria in pazienti con patologie neuromuscolari.


Controindicazioni all'impiego della NIV

La ventilazione non invasiva, invece, è controindicata nei seguenti casi:

  • coma o stato neurologico gravemente compromesso;
  • paziente non collaborante, agitato e confuso;
  • necessità di proteggere le vie aeree, ostruzioni delle vie aeree superiori, secrezioni bronchiali importanti, impossibilità di eliminare le secrezioni;
  • PNX, se non drenato;
  • instabilità emodinamica e severe aritmie;
  • anormalità anatomiche facciali congenite o seguite a traumi, recente trauma cranio- facciale;
  • recente intervento chirurgico delle vie aeree superiori o del tratto gastrointestinale;
  • vomito;
  • epistassi;
  • comorbilità severe.

Negli anni la NIV è diventata un presidio terapeutico ampiamente accessibile ai reparti di degenza ordinaria per assicurare sviluppi dal punto di vista della risposta ai bisogni della persona, ma diventa cruciale avere la possibilità di identificare a priori gli individui nei quali la NIV ha elevate probabilità di fallire, in maniera tale da decidere di gestire questi pazienti in reparti attrezzati (come le ICU), dove sia rapidamente e facilmente disponibile la ventilazione meccanica invasiva.


Fattori prognostici positivi all'utilizzo della NIV

  • PaCO2 elevata in presenza di ipossiemia moderata;
  • pH 7,25-7,35;
  • miglioramento di pH, PaO2/FiO2, PaCO2 e frequenza respiratoria in un’ora e sensorio conservato.


Fattori prognostici negativi all’utilizzo della NIV

  • elevato score fisiologico (APACHE II, SAPS II);
  • presenza di polmonite;
  • secrezioni abbondanti;
  • edentulia (respirazione nasale);
  • stato nutrizionale scadente;
  • sensorio compromesso.

Tra le modalità ventilatorie quelle che più di tutte si sono affermate per l'utilizzo non invasivo sono la Pressione positiva Continua delle vie Aeree (C-PAP) e la Ventilazione a Supporto di Pressione (PSV) eventualmente associata ad applicazione di una Pressione Positiva di fine Espirazione Esterna (PEEP).

La C-PAP consiste nell'erogazione di una pressione positiva costante durante il ciclo respiratorio, mentre la PSV consiste nell'erogazione di una pressione superiore a quella di fine espirazione, che viene selezionata dall'operatore al fine di supportare i muscoli del paziente durante l'inspirazione.


La gestione infermieristica dei pazienti sottoposti a NIV

 La gestione infermieristica della NIV in taluni casi risulta molto complessa in quanto si assiste frequentemente ad una marcata riduzione del grado di collaborazione del paziente conseguente proprio allo squilibrio dei gas nel sangue (ad es. aumento della pCO2) per cui l'infermiere deve stare a stretto contatto con il paziente al fine di garantire l'efficacia del trattamento.

L'infermiere dedicato alla gestione della NIV deve:

  • controllare lo stato di coscienza e di agitazione del paziente, avvalendosi anche di scale di valutazione;
  • informare il paziente, spiegando la procedura;
  • assicurarsi la collaborazione del paziente contribuendo a far accettare al meglio il presidio con la spiegazione dei vantaggi e sulle alternative più invasive;
  • valutare la necessità di inserire un SNG per evitare la distensione gastrica ed eventuali episodi di vomito.

Dopo aver preparato il materiale occorrente, assemblato il circuito, acceso il ventilatore e impostato i parametri (in collaborazione con il medico), l’infermiere poggia inizialmente la maschera al viso del paziente (giusta maschera e di giusta misura) per permettere al paziente stesso di adattarsi. È responsabilità infermieristica ricordarsi di utilizzare protezioni (ad esempio, idrocolloidi) sui punti di maggior pressione (come naso e mento) per prevenire lesioni causate dalla camera pneumatica e, ove possibile, variare i tipi di maschera alternando i presidi.

La corretta adesione della maschera al viso è condizione indispensabile per evitare dispersioni di ossigeno e, di conseguenza, per il buon risultato del trattamento. Per fare questo, l’infermiere fissa la maschera con apposite cinghie adattando il tutto alla morfologia del viso di ogni singolo assistito, con l'aiuto di spessori morbidi nei punti di maggior attrito. In questo frangente l’infermiere, in collaborazione con il medico, valuta la somministrazione di una blanda sedazione che contribuirà all'adattamento del paziente al sistema.

Il monitoraggio deve essere continuo. L’EGA dovrebbe essere eseguita dopo 1-2 ore di NIV e dopo 4-6 ore se la prima mostra solo lievi miglioramenti. Qualora non si verificassero dei miglioramenti significativi entro questo range temporale, si procederebbe a valutare la possibilità di una ventilazione invasiva.


Gli alti flussi o High Flow

I sistemi di somministrazione di ossigeno terapia ad alti flussi permettono di somministrare un flusso di ossigeno da 20 a 80 litri per minuto. È un flusso molto elevato che permette a questa modalità di offrire molti vantaggi al paziente con una insufficienza respiratoria di tipo 1 (o parziale) e cioè al paziente ipossiemico.

Un'altra applicazione frequente è l'applicazione al paziente che non ha indicazione ad intubazione e nella terapia palliativa. Questa modalità si eroga con degli apparecchi specifici e delle nasocannule apposite, con diametro maggiore rispetto alle nasocannule standard, che permettono di far passare flussi molto alti.

I vantaggi degli alti flussi sono tre:

  • migliorano la clearance mucosa;
  • erogano elevate quantità di O2 a FiO2 realmente titolabili;
  • erogano una certa PEEP.


La clearance mucociliare

Flussi così elevati sparati nelle cavità nasali del paziente possono sembrare molto fastidiosi e in effetti lo sono. Gli alti flussi sono quindi dotati di umidificatore e riscaldatore per essere più confortevoli del paziente (i flussi di ossigeno disidratano le mucose e possono portare fino ad espistassi). Ma oltre ad essere più confortevoli per il paziente il riscaldamento e l'umidificazione migliorano la clearence mucociliare delle vie aeree.

Le alte e le basse vie respiratorie in corso producono muco viscoso difficile da espettorare, gli alti flussi caldi ed umidificati rendono più fluido il muco, rompono eventuali tappi mucosi e permettono una migliore clearance delle vie aeree con l'espettorazione (o l'aspirazione) e la disostruzione le vie aeree.


Elevate quantità di ossigeno e FiO2 reali

La modalità standard di somministrazione a muro arriva a somministrare 15 litri al minuto con reservoir (non rebreathing - NRB mask).

Prendiamo un paziente con una polmonite che ha una frequenza respiratoria di 40 atti al minuto e prendiamo un tidal volume di 400 ml. Il flusso di aria che movimenta il paziente in un minuto (ventilazione minuto) sarà di 40 x 400 ml, e cioè 16 litri/minuto.

Con una normale maschera con reservoir non si andrà completamente incontro al bisogno del paziente e quindi si introdurrà oltre all'ossigeno puro una quantità non prevedibile di aria ambiente. In base alle caratteristiche del paziente, alla patologia, alla frequenza respiratoria e al tidal volume avremo una FiO2 che può essere sottostimato in maniera importante.

Con gli alti flussi, impostando per esempio il flusso a 30 litri/minuto, andremo completamente a soddisfare le esigenze del paziente che non introdurrà aria ambiente, garantendo che la FiO2 sia quella impostata fino a garantire il 100% di FiO2. Gli alti flussi soddisfano meglio la ventilazione minuto del paziente.


La PEEP

In letteratura i dati non sono uniformi ma si presume che erogando così alti flussi al paziente si eroghi anche una certa PEEP, pressione di fine espirazione. Questa PEEP non è quantificabile e varia da 1 a 8 cmH2O a seconda della fisiologia del paziente.

Per erogare la PEEP la bocca del paziente deve essere mantenuta chiusa dal paziente.

Se il pazienta ha bisogno di una PEEP elevata e quantificabile dobbiamo passare alla CPAP. Ma se il paziente ha una insufficienza respiratoria di tipo 1 e non tollera la maschera o non ha grandi esigenze di PEEP gli ti flussi sono un metodo efficace.

Gli alti flussi non sono un modo adeguato per ventilare un paziente che necessita di ventilazione (BPCO esacerbata con insufficienza respiratoria ipercapnica) ma possono aiutare la clearance della CO2 nello spazio morto e rendere la ventilazione un poco più efficace.

Gli alti flussi non sono un modo adeguato per ventilare un paziente che necessita di ventilazione (BPCO esacerbata con insufficienza respiratoria ipercapnica) ma possono aiutare la clearance della CO2 nello spazio morto e rendere la ventilazione un poco più efficace


Pronazione del paziente critico in Terapia Intensiva

La mobilizzazione del paziente ricoverato in Terapia Intensiva rappresenta un importante aspetto sia della gestione clinica che di quella infermieristica. Una delle posizioni utilizzate in caso di severe insufficienze respiratorie (ARDS) è la postura prona, ovvero l’esposizione dell’intera superficie dorsale del corpo e la pronazione del paziente attraverso un movimento rotatorio secondo l’asse longitudinale dello stesso.

L’utilizzo della postura prona in Terapia Intensiva viene dedicata ai pazienti con insufficienza respiratoria acuta e viene adottata per migliorare l’ossigenazione e favorire il drenaggio delle secrezioni.

Le evidenze scientifiche dimostrano come nei pazienti con grave insufficienza respiratoria acuta, quando pronati, si assiste ad un miglioramento dei parametri emogasanalitici e, al ritorno in posizione supina, ad un miglioramento della compliance toraco/polmonare e dell’ossigenazione rispetto al periodo precedente la pronazione.

I meccanismi fisiopatologici sottostanti non sono tutt’ora del tutto chiari, ma pare che l’aumento dell’ossigenazione possa essere spiegato da una variazione regionale della ventilazione/perfusione che si è riscontrata essere più uniformemente distribuita tra le regioni polmonari dorsali e ventrali in posizione prona.

Tutti questi aspetti suggeriscono che la postura prona possa modificare l’evoluzione dell’insufficienza respiratoria incidendo su mortalità, frequenza e durata di altre disfunzioni d’organo e quindi sulla durata della degenza in Terapia Intensiva.


Indicazioni alla pronazione del paziente

Alla luce di questi aspetti, le indicazioni alla pronazione del paziente sono grave ipossiemia, inadeguata ossigenazione, insufficienza respiratoria refrattaria alla ventilazione meccanica e ARDS.

In tutti questi gruppi di pazienti, l’obiettivo è quello di reclutare un maggior numero di alveoli precedentemente esclusi, ridistribuire l’acqua extravascolare, mobilizzare le secrezioni, migliorare gli scambi gassosi, facilitare lo svezzamento dalla ventilazione meccanica, migliorare l’ossigenazione del 70-80% dei pazienti con ARDS e diminuire il tasso di mortalità.


Controindicazioni alla pronazione del paziente

Tuttavia, come per ogni procedura, la pronazione possiede delle controindicazioni, che si possono suddividere in:

  • Relative: instabilità emodinamica, emottisi, tracheostomia recente, grave obesità, recente arresto cardiaco;
  • Assolute: trauma facciale, ipertensione endocranica, ischemia addominale, instabilità al rachide cervicale.


Pronazione ed integrità cutanea

Uno dei molteplici aspetti da tenere in considerazione quando si prona un paziente è la protezione della sua integrità cutanea, in quanto questa particolare postura da un lato annulla la pressione esercitata dal piano di giacenza su tutta la superficie dorsale del corpo, contribuendo alla prevenzione ed alla cura delle lesioni da pressione a carico delle zone solitamente più a rischio (calcagni, sacro, gomiti, scapole, occipite), mentre dall’altro espone alcune zone della superficie ventrale del corpo normalmente non a rischio di lesioni (creste iliache, seno/sterno, ginocchia e gli zigomi in base alla posizione del volto), alla possibilità di insorgenza di piaghe da decubito.

Oltre alla diminuzione del rischio di lesioni da decubito nei distretti solitamente interessati, il cambiamento frequente di postura si è rivelato molto efficace anche per la prevenzione di retrazioni tendinee, muscolari e danni alle strutture articolari, in quanto un paziente lasciato a lungo nella medesima posizione può sviluppare contratture e/o anchilosi alle articolazioni che potrebbero condizionare la ripresa dell’attività motoria una volta superata la fase acuta. Per questo motivo durante la mobilizzazione del paziente critico è necessario porre molta attenzione ad evitare movimenti impropri degli arti e posizioni scorrette che potrebbero causare danni a carico del sistema vascolare e/o microtraumatismi articolari. In particolare, una maggiore attenzione deve essere riservata alla mobilizzazione dei pazienti sedati e curarizzati, in quanto non hanno reazioni di nessun tipo e non possono segnalare lo stress; per questo motivo i movimenti vanno eseguiti con delicatezza e rispettando la conformazione anatomica.

Infine, un aspetto che non deve essere sottovalutato, è rappresentato dalla reazione emotiva del famigliare, soprattutto in strutture che adottano la politica delle Terapie Intensive aperte.

L’infermiere avrà quindi il compito di informare su quale procedura si andrà ad effettuare, ma soprattutto su quali sono gli effetti e le complicanze (come l’edema al volto alla ri-supinazione), in modo tale da rendere anche il famigliare partecipe del piano di cura del paziente.


Procedura di pronazione del paziente

Per quanto concerne le manovre di pronazione, queste devono essere sempre effettuate in condizioni di sicurezza, con adeguato personale e monitoraggio. Una volta decisi i movimenti da eseguire, si valuterà il numero di persone necessario ad effettuare l’intervento.

  • preparazione del paziente e del materiale;
  • esecuzione delle attività medico/infermieristiche non eseguibili in posizione prona;
  • informazione del paziente contattabile e valutazione sulla necessità di sedare il paziente o supplementare la sedazione;
  • verifica della tenuta dei cerotti (e loro cambio se necessario) in modo da ottenere un ottimo ancoraggio alla cute e la stabilità durante la rotazione;
  • verifica che ciascuno dei deflussori, tubi, drenaggi, siano sufficientemente lunghi da consentire la rotazione del paziente; in caso contrario organizzare il prolungamento di quelli indispensabili o disconnettere temporaneamente quelli non indispensabili;
  • è preferibile non disconnettere il paziente dal ventilatore durante la manovra e si consiglia di mantenere almeno un sistema di monitoraggio;
  • pulizia e chiusura degli occhi per non incorrere in danni della cornea e/o della congiuntiva;
  • svuotare lo stomaco (se il paziente ha in corso una nutrizione enterale) per evitare episodi di vomito durante la procedura. Una volta eseguita, la nutrizione enterale può essere proseguita;
  • aspirare le secrezioni bronchiali;
  • preparazione dei presidi/supporti utili al posizionamento del paziente al termine della rotazione;
  • scelta del numero di persone necessarie per eseguire la manovra di rotazione in base al paziente (peso, drenaggi, CVC, ecc.) e dal tipo di superficie (alcuni tipi di letto permettono la pronazione con soli 3 operatori);
  • rotazione del paziente in quattro tempi:
    1. allineare il paziente sul letto con le braccia lungo i fianchi;
    2. spostare il paziente sul bordo del letto controlateralmente al senso di rotazione;
    3. iniziare la rotazione sollevando leggermente il tronco e il bacino per consentire il passaggio del braccio che si trova tra il corpo del paziente ed il piano di giacenza;
    4. recuperare il braccio e completare la rotazione coricando il paziente in posizione prona;
  • posizionamento del paziente con dei presidi da posizionare uno sotto la testa, uno a livello del manubrio dello sterno e uno a livello delle creste iliache. I presidi devono essere morbidi e di circa 15/20 cm di altezza;
  • ripristinare il monitoraggio preesistente e ricollegare tutte le vie e i drenaggi precedentemente disconnessi.

Durante questa procedura vanno adottati alcuni particolari accorgimenti:

  • la cannula tracheale non deve mai poggiare sul materasso;
  • l’orecchio appoggiato non deve essere piegato;
  • i genitali devono essere sempre ben posizionati.


Il monitoraggio del paziente in TI

Per monitoraggio si intende la registrazione in modo continuativo e in tempo reale dei dati relativi ai parametri vitali del paziente.

L’infermiere deve essere in grado di conoscere le apparecchiature che usa, conoscere le modalità di rilievo dei parametri vitali, correlare i dati rilevati alle condizioni cliniche del paziente, interpretare i dati, verificandone l’attendibilità, valutare l’opportuna frequenza di rilevazione dei dati in base alla criticità/complessità assistenziale del paziente, pianificando il lavoro. Gli scopi del monitoraggio sono:

    1. permettere una visione globale dello stato del paziente;
    2. segnalare precocemente l’insorgenza di eventi patologici;
    3. ottenere informazioni per la migliore scelta assistenziale e terapeutica e verificarne la corretta applicazione.

I monitoraggi che possiamo utilizzare, durante la nostra attività professionale, sono:

  • Monitoraggio E.C.G. in continuo
  • Monitoraggio della pressione arteriosa (P.A.) con metodica invasiva o non invasiva
  • Monitoraggio della pressione venosa centrale (P.V.C.)
  • Monitoraggio emodinamico con catetere di Swan – Ganz
  • Monitoraggio respiratorio:
    • paO2
    • paCO2
    • Ossimetria
    • Capnometria
  • Monitoraggio della temperatura corporea
  • Monitoraggio della diuresi
  • Monitoraggio neurologico
  • Monitoraggio della pressione intracranica (P.I.C.).


Il monitoraggio ECG continuo

Il monitoraggio ECG continuo permette la visualizzazione costante dell’attività elettrica cardiaca. Si effettua mediante l’uso di monitor collegati alla persona attraverso cavi elettrici e elettrodi posti sul torace che, grazie a un sistema di filtraggio e amplificazione, permettono la costante visualizzazione di:

  • Frequenza cardiaca (F.C.)
  • Ritmo cardiaco.

La tecnica di monitoraggio E.C.G. più completa è quella a 12 derivazioni ma è anche la meno pratica, in quanto richiede un eccessivo numero di cavi e elettrodi. Solitamente, infatti, si usano tre elettrodi da posizionare come illustrato di seguito, privilegiando le prominenze ossee al fine di prevenire al massimo artefatti da movimento del paziente: l’elettrodo rosso deve essere posto al di sotto della clavicola destra, sulla linea medio-claveare, l’elettrodo giallo deve essere posto al di sotto della clavicola sinistra, sulla linea medio-claveare, l’elettrodo verde deve essere posizionato tra il VI° e il VII° spazio intercostale, sulla linea medio-claveare sinistra.

Se durante il monitoraggio compaiono anomalie, si deve:

  • controllare lo stato del paziente;
  • verificare l’attendibilità del dato (elettrodi staccati, cavi lesionati …), correlando il dato agli altri parametri riportati sul monitor;
  • avvisare il medico e effettuare un tracciato elettrocardiografico a 12 derivazioni.


Il monitoraggio della pressione arteriosa

Il monitoraggio della pressione arteriosa può essere eseguito con metodica invasiva e non invasiva. I metodi non invasivi prevedono l’uso di un bracciale pneumatico che, a intervalli pre-impostati dal professionista sanitario, è in grado di rilevare la pressione arteriosa, visualizzandolo poi sul monitor. Quando, però, la criticità del paziente è di particolare gravità può essere necessario ricorrere a una metodica invasiva.

Questo tipo di monitoraggio è necessario, quando:

  • la persona è emodinamicamente instabile;
  • vi è necessità di valutare le reazioni alla terapia impostata;
  • vi è la necessità di valutare altri tipi di valori pressori (es. pressione di perfusione cerebrale);
  • vi è la necessità di monitorizzare i valori emogasanalitici;
  • non vi è la possibilità di utilizzare metodiche non invasive (persone amputate, ingessate…).

Il metodo invasivo prevede l’incannulamento arterioso mediante una cannula arteriosa che viene connessa a un sistema di trasduzione collegato al monitor. Sul monitor troveremo, quindi, sia l’onda pressoria che il suo valore numerico. Le arterie più comunemente incannulate e utilizzate nel monitoraggio invasivo sono:

  • arteria radiale: è la più usata perché permette alla persona massima libertà di movimento e anche in quanto offre la possibilità di verificare la perfusione della mano mediante il test di Allen;
  • arteria femorale;
  • arteria pedidia;
  • arteria omerale e ascellare.


Tecniche e materiali per l’incannulamento arterioso

  • materiale per campo sterile (telini, guanti, maschera, cuffia, camice);
  • catetere arterioso;
  • disinfettanti;
  • siringhe;
  • garze sterili;
  • ferri chirurgici;
  • anestetico locale;
  • filo di sutura;
  • set arterioso (soluzione fisiologica in sacca, sacca a pressione -in cui deve essere inserita la sacca di fisiologica-, deflussore, rubinetto a tre vie già collocato sul trasduttore che ne consente l’azzeramento, sistema di lavaggio).

Il circuito, prima di essere collegato, deve essere completamente lavato e riempito di soluzione fisiologica, assicurandosi che non vi siano bolle d’aria, causa di gravi aritmie e arresto cardiaco. Ogni tre ore circa, e ogni volta che sia necessario (onda smorzata, reflusso di sangue), controllare il gonfiaggio della sacca. Le metodiche per l’incannulamento arterioso sono:

  • metodo percutaneo (metodo di Seldinger). Si utilizza un catetere arterioso e una guida sulla quale viene fatto scorrere il catetere stesso. La cannula viene fissata alla cute mediante punti di sutura;
  • metodo chirurgico, usato molto raramente e solo nei casi in cui il metodo percutaneo non è possibile (es. bambini).

Le complicanze che possono insorgere sono:

  • ischemia;
  • occlusione dell’arteria;
  • formazione di trombi;
  • infezione;
  • ematoma;
  • emorragie/dissanguamento per de connessione accidentale. È importante per prevenire questa complicanza valutare la tenuta del sistema (rubinetti e raccordi).

Dopo aver incannulato l’arteria e dopo averla connessa al sistema di trasduzione/lavaggio, è necessario procedere all’azzeramento. L’azzeramento, altro non è che una definizione di un punto di riferimento tra la pressione atmosferica (valore fisso) e la pressione arteriosa (valore variabile), sfruttando la collocazione del trasduttore su un punto preciso detto asse flebostatico. Per effettuare l’azzeramento si deve:

  1. porre il trasduttore a livello della linea che interseca il IV° spazio intercostale con la linea ascellare media del paziente (asse flebo statico);
  2. aprire il rubinetto del trasduttore, mettendo in collegamento l’aria ambiente con il trasduttore;
  3. premere il tasto zero sul monitor;
  4. attendere il messaggio dell’avvenuto azzeramento;
  5. richiudere il rubinetto e osservare il valore che compare sul monitor.

L’azzeramento deve essere effettuato ogni volta che la persona cambia posizione. È importante che il trasduttore venga posizionato in corrispondenza del punto detto asse flebostatico, in quanto, se è posto al di sopra di questo punto avremo valori inferiori a quelli reali, se, invece, è posto al di sotto, vedremo valori più bassi di quelli reali. Al fine di valutare il buon funzionamento del sistema di monitoraggio arterioso si può effettuare il test dell’onda quadra. Questo test consiste nell’aprire il sistema di lavaggio rapido e valutare la morfologia dell’onda che comparirà sul monitor. Lo smorzamento ottimale si ha se vi è la presenza di una o due oscillazioni.


Il monitoraggio della pressione venosa centrale

Questo monitoraggio avviene mediante l’introduzione di un catetere venoso centrale (C.V.C.) a livello delle grandi vene intratoraciche (vena cava superiore e inferiore, atrio destro). La pressione che andiamo così a rilevare è la pressione dell’atrio e del ventricolo destro al termine della diastole, e ci riferisce la capacità del ventricolo stesso di iniettare sangue in arteria polmonare. I valori di riferimento della P.V.C. sono di 5-12 cm H2O e 1-7 mmHg.


Materiali e metodi

  • materiale per campo sterile (telini, guanti, maschera, cuffia, camice);
  • catetere venoso;
  • disinfettanti;
  • siringhe;
  • garze sterili;
  • ferri chirurgici;
  • anestetico locale;
  • filo di sutura;
  • set venoso (soluzione fisiologica in sacca, sacca a pressione –in cui deve essere inserita la sacca di fisiologica -, deflussore, rubinetto a tre vie già collocato sul trasduttore che ne consente l’azzeramento, sistema di lavaggio).

La preparazione della persona prevede:

  1. informazione sulla manovra a cui, la persona, verrà sottoposta
  2. liberare la zona di venipuntura e introduzione,
  3. eseguire eventuale tricotomia,
  4. monitorare i parametri vitali e il tracciato E.C.G. (specialmente durante l’inserimento, in quanto la manovra può provocare gravi aritmie);
  5. posizionare il paziente in base all’accesso venoso scelto:posizionare il paziente in base all’accesso venoso scelto:
    • vena giugulare interna e esterna: la persona deve essere messa in posiziona supina, con le braccia distese lungo il corpo, posizionare eventuale supporto sotto le spalle, ruotare la testa sul lato opposto alla venipuntura, mettere la persona in lieve Trendelemburg;
    • vena succlavia: la persona deve essere posizionata supina, con eventuale spessore lungo la colonna vertebrale, il braccio omolaterale viene disteso lungo il fianco e, se necessario, leggermente trazionato;
    • vena femorale: paziente supina e arto inferiore abdotto e extra ruotato;
    • vena basilica: paziente supino e supinazione dell’arto superiore.

Il metodo usato per l’inserimento è quello con metodica Seldinger. Una volta punta una vena di accesso, si introduce una guida metallica su cui viene fatto scorrere un dilatatore, per ampliare il foro di ingresso, e poi viene introdotto il catetere stesso. Se si utilizzano C.V.C polilumi, la via da connettere al circuito di trasduzione della P.V.C. è quella distale.

Valori di P.V.C. elevati possono indicare:

  • aumento della massa sanguigna;
  • aumento del ritorno venoso per incremento della massa circolante o per costrizione del distretto vascolare;
  • insufficienza ventricolare destra;
  • valvulopatia tricuspidale o polmonare;
  • aumento delle resistenze del circolo polmonare.

Valori di P.V.C. inferiori possono indicare:

  • ipovolemia;
  • vasodilatazione venosa.


Emogasanalisi arteriosa e interpretazione dei valori

L’emogasanalisi (Ega) è un prelievo di sangue arterioso che si effettua attraverso la puntura di un’arteria, comunemente l’arteria radiale, brachiale o femorale, e che è in grado di fornire dettagli indispensabili per l’inquadramento della condizione clinica dell’assistito. Tutto questo passa dalla corretta interpretazione dei valori, singoli e in rapporto gli uni con gli altri.

Il campione ematico viene poi analizzato da un’apposita macchina (emogasanalizzatore) in grado di fotografarci, in pochissimi minuti, le condizioni del paziente.

Si tratta di un esame che può essere fatto di routine, ma più frequentemente viene fatto se la persona è critica, instabile o con difficoltà respiratoria.

I risultati di questo prelievo permettono di valutare:

  • la ventilazione;
  • il metabolismo;
  • l’emoglobina;
  • gli elettroliti.

L’Italian Resuscitation Council (IRC) nelle Linee Guida dell’ALS indica 6 step fondamentali da percorrere quando si esegue un’EGA:

  1. valutare il paziente;
  2. valutare l’ossigenazione (p02);
  3. valutare il pH;
  4. valutare l’anidride carbonica (pCO2);
  5. valutare il bicarbonato (HCO3);
  6. valutare il compenso atteso.

L’Ega ci fornisce diversi valori, ognuno dei quali dà un’indicazione sullo stato di salute attuale del paziente. Come indicato dalle Linee Guida IRC, il primo passo da fare è quello di valutare il paziente:

  • controllare la sua frequenza respiratoria: è tachipnoico? Bradipnoico? Dispnoico?
  • valutare la dinamica respiratoria: il respiro è superficiale o riesce ad effettuare respiri profondi? Gli emitoraci si alzano in maniera simmetrica? Respira “di pancia”?
  • guardare il paziente: è visibilmente affaticato? Ha un respiro “sbuffante”? Ha difficoltà a trovare una posizione confortevole?

Solo dopo aver osservato la persona che abbiamo davanti possiamo procedere ed eseguire il prelievo arterioso. Il cosiddetto “colpo d’occhio” è fondamentale per capire in pochi secondi come stia davvero il nostro paziente. Un paziente affetto da BPCO potrà avere valori dell’Ega che non rispecchiano i parametri fisiologici e di benessere, ma potrà aver sviluppato una situazione di compenso tale da farlo ventilare adeguatamente anche con scambi gassosi anomali.


Parametri FiO2 emogasanalisi

È importante ricordare che ogni volta che si sviluppa il prelievo arterioso, alla macchina deve essere indicato il valore della FiO2, che ci permetterà di valutare se i parametri ottenuti sono adeguati se rapportati al valore di FiO2 somministrata.

La FiO2 (flusso inspiratorio di O2) indica la percentuale di 02 presente; in aria ambiente la FiO2 è al 21%. Ogni litro/min di O2 aggiunge il 3-4% di FiO2 alla concentrazione di O2, per cui: un flusso di 1Lt/min ad esempio garantisce una FiO2 al 24%, un flusso di 2 lt/min una FiO2 al 28%, e così via.

Le cannule nasali (chiamate comunemente occhialini) sono efficaci fino ad un’erogazione di 6 lt/min e rispettano la proporzione sopraindicata.

La maschera di Venturi, invece, ha il vantaggio di poter impostare la FiO2 desiderata, che può andare da 24%, 28%, 35%, 40% fino a 50%. Per raggiungere queste percentuali è necessario che sia associata, contemporaneamente, una corretta quantità di O2 (Tab. 1).

 

Quantità O2 Percentuale di FiO2
2lt/min FiO2 24%
4 lt/min FiO2 28%
6 lt/min FiO2 31%
8 lt/min FiO2 35%
10 lt/min FiO2 40%
12 lt/min FiO2 50%

Tab. 1. O2 e relative percentuali di FiO2.

 

L’Ega, oltre a permetterci di avere un valore più attendibile della saturazione di O2 rispetto al pulsossimetro (basti pensare la paziente con una vasocostrizione periferica), ci fornisce i seguenti parametri:

1. Ossigenazione e scambi respiratori:

•  PaO2

•  PaCO2

2. Equilibrio acido base

•  pH

3. Stato metabolico

•  HCO3


I valori dell’emogasanalisi Pa02


PaO2

La PaO2 è la pressione parziale arteriosa di O2 nel sangue. Si esprime in mmHg e il valore ottimale si attesta fra 80 e 100 mmHg. Questo valore si modifica all’aumentare dell’età, per cui vi è una progressiva e fisiologica riduzione. In un giovane, la PaO2 si attesta normalmente, in aria ambiente, sui 95-100 mmHg.


Rapporto P/F

Il rapporto P/F è il rapporto tra Pa02 e FiO2 ed è indice della respirazione alveolare: P/F = PaO2/Fi02. In un paziente sano il valore si attesta su 450. Un P/F superiore a 350 è considerarsi normale; inferiore a 200, invece, è indice di insufficienza respiratoria.


Il pH

Il pH indica l’equilibrio acido base. Il valore normale del pH è tra 7,35 e 7,45. Se il pH è:

  • <7,35, si parla di acidosi
  • >7,45 si parla di alcalosi


PaCO2

La PaCO2 è la pressione parziale di anidride carbonica. Si misura in mmHg e il valore ottimale si attesta fra 35 e 45 mmHg. Se la paCO2 è:

  • <35, si parla di alcalosi respiratoria
  • >45, si parla di acidosi respiratoria


HCO3

Con HCO3 si indicano i bicarbonati, il valore ottimale dei quali si attesta tra 22–26 Mmol/l (millimoli per litro). Se gli HCO3:

  • >22, si parla di acidosi metabolica
  • >26, si parla di alcalosi metabolica


BE

I BE sono un parametro che valuta l’eccesso di basi. Il valore di riferimento si attesta tra -2 e +2 mmol/l. Quando questo valore diventa negativo significa che c’è una carenza di basi e che il paziente si trova in una condizione di acidosi metabolica.

È un valore che viene utilizzato per scegliere il trattamento adeguato per il paziente in acidosi.


Elettroliti

L’Ega valuta anche gli elettroliti. Questi sono misurabili anche con un normale prelievo ematico venoso, ma l’Ega ha sicuramente il vantaggio di essere più immediato e veloce. In particolare, misura:

  • sodio: il valore ottimale è 135-145 mEq/l
  • potassio: 3,5 - 5 mEq/l
  • calcio: 8,5 - 10,5 mEq/l
  • cloro: 95 -105 mEq/l

Il controllo degli elettroliti con l’Ega è particolarmente importante nel paziente dializzato. Il trattamento dialitico comporta infatti un’importante variazione degli elettroliti nel sangue; per questo motivo è importante effettuare controlli durante il trattamento per evidenziare tempestivamente delle anomalie.


I lattati

Infine, l'Ega è in grado di misurare i lattati, il cui valore normale è < 4 mEq/l. L'acido lattico è prodotto dal metabolismo cellulare; in condizioni di ipossia le cellule possono utilizzare una produzione di energia meno efficiente causando una produzione eccessiva o una scarsa eliminazione dei lattati.

I valori del pH e della paCO2 sono strettamente correlati. Se presi in esame in associazione forniscono un'indicazione delle condizioni del paziente (Tab. 2).

 

Condizioni del paziente Rapporto pH/ paCO2
Acidosi metabolica pH<7,35 / paCO2<35
Acidosi respiratoria pH<7,35 / paCO2>45
Alcalosi respiratoria pH>7,45 / paCO2<35
Alcalosi metabolica pH>7,45 / paCO2>45

Tab. 2. Correlazione tra valori pH/paCO2 e condizioni paziente.


Valori dell'Ega e condizioni dell'assistito

L’acidosi respiratoria (pH basso e aumento della paCO2) è comunemente causata da:

  • polmonite
  • BPCO
  • depressione dei centri respiratori secondaria a intossicazione da oppiacei o benzodiazepine
  • ostruzione delle vie aeree (ad es. PNX). Il paziente può presentarsi con una frequenza respiratoria bassa, disorientato o soporoso e può lamentare cefalea.

L’acidosi metabolica (basso pH e bassa paCO2) è invece comunemente causata da:

  • diabete
  • insufficienza renale
  • intossicazione da alcol
  • una perdita anomala di bicarbonato (diarrea, vomito, chetoacidosi diabetica, metabolismo aumentato, digiuno prolungato).

Il paziente si presenta soporoso fino allo stato di coma, iperventila al fine di compensare e può essere astenico.

L’alcalosi respiratoria (aumento del pH e riduzione della paCO2) è causata da:

  • esercizio fisico severo, ipossia o anossia, iperventilazione
  • dolore o stress
  • trauma cerebrale
  • danni del centro del respiro (meningite, encefalite)
  • febbre
  • overdose da farmaci.

Il paziente è tachipnoico, con lo stato di coscienza alterato e può presentare convulsioni.

L’alcalosi metabolica (pH alto e paCO2 alta) è causata invece da:

  • vomito protratto
  • ipocaliemia
  • cirrosi
  • riassorbimento di bicarbonato (uso di diuretici, vomito, ritenzione di sodio)
  • eccessiva ingestione di alcali (bicarbonato di sodio).

Il paziente si presenta bradipnoico e con un respiro superficiale. Ha vertigini, ipertono muscolare, è irritabile e disorientato.


Umanizzazione del lavoro nella terapia intensiva COVID

In questi lunghi mesi di emergenza sanitaria ci siamo abituati a sentire quotidianamente termini come terapia intensiva, intubazione, casco-CPAP, e abbiamo visto immagini dei reparti e dei numerosi macchinari che permettono di tenere in vita i pazienti. C’è però un lato umano da enfatizzare: l'impegno quotidiano con il paziente di medici e infermieri per sopperire alla mancanza del contatto e delle visite dei parenti.

Se nella prima ondata pandemica, che ha travolto l’Italia da febbraio 2020, si affrontava una malattia ignota e si era concentrati quasi esclusivamente sulla parte clinica, oggi, definiti i protocolli terapeutici, si può prestare maggiore attenzione all’umanizzazione delle cure.

Con l'avvento della pandemia COVID-19, le limitazioni necessarie al contenimento della diffusione del virus hanno reso inevitabile l'interruzione degli incontri in presenza tra medico-psicologo-caregiver-paziente. Alla drammaticità dell'isolamento dei pazienti si è aggiunta l'altrettanto difficile condizione dei familiari, costretti dalla situazione a vivere a distanza la malattia del proprio caro, relegati anch'essi, quindi, in un isolamento carico di angoscia e di senso di impotenza. Da qui la necessità di enfatizzare l'umanizzazione della cura per cercare di sopperire alla mancanza di "contatto" e delle visite da parte dei parenti attraverso l'uso di strumentazione tecnologica.

Ogni paziente ricoverato, ed in stato di coscienza, riceve la password del wifi interno grazie alla quale con il proprio smartphone può rimanere in contatto con i propri familiari. Inoltre il reparto stesso è dotato di un proprio smartphone dedicato attraverso il quale è possibile effettuare videochiamate ai parenti dei degenti.

Due volte al giorno, inoltre, i familiari possono chiamare in reparto per avere un confronto diretto con gli Anestesisti sulle condizioni cliniche dei propri familiari.


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