Prof. Roberto Russo

Già Professore Associato Cattedra di Clinica Ostetrica Ginecologica, “Sapienza” Università di Roma

Articolo pubblicato in:

Anno Accademico 2021-2022

Vol. 66, n° 3, Luglio - Settembre 2022

Settimana per la Cultura

12 aprile 2022

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L’intuizione e l’impegno femminile nella salute umana

R. Russo


Introduzione

Avendo nella mia professione di ostetrico-ginecologo ascoltato, assistito e curato molte donne, ho avuto il privilegio di apprezzarne l’intelligenza, l’intuito il coraggio e l’impegno per la cura della propria e altrui salute.

Prenderò in considerazione l’intuito femminile, l’impegno sociale per la prevenzione e cura della salute riportando la storia, tra le tante, di tre donne non medico: Lady Montagu, per la vaccinazione antivaiolosa, Florence Nightingale per il suo impegno nel nursing, anticipatrice della creazione della Croce Rossa Internazionale, e la regina Elena per la terapia dell’encefalite letargica e suoi reliquati. Nell’antica ricchezza della mitologica greca è proprio Igea la loro Dea. Infatti, Igea figlia di Asclepio e Lampeggia era venerata come dea della salute. Veniva rappresentata sotto l’aspetto di una giovane donna nell’atto di dissetare un serpente con la mano sinistra appoggiata ad un’asta. Il culto era associato a quello del padre Asclepio e di Panacea, sua sorellastra. Oltre che dea della salute e del risanamento era la divinità di ogni cosa pulita, rappresentava la prevenzione dalle malattie e mantenimento dello stato di salute. 

L’intuito (dal lat. guardare e vedere dentro) è l’atto e la facoltà di intuire, è la conoscenza rapida e chiara, e spesso la capacità di avvertire, comprendere e valutare con immediatezza un fatto e una situazione. Può essere considerato come una percezione immediata di una realtà non manifesta senza l’aiuto di prove o del ragionamento. Secondo Carl Gustav Jung, l’intuizione è un processo di intervento dell’inconscio con cui la mente riesce a percepire i modelli della realtà nascosti dietro ai fatti.

Albert Einstein ritiene che “la mente intuitiva sia un dono sacro e la mente razionale un servo fedele; abbiamo creato una società che onora il servo e che ha dimenticato il dono”.

In un convegno della Fondazione Atena “il Cervello della Donna” il neurochirurgo Giulio Maira riferì esserci una differenza tra il cervello maschile e quello femminile. In quest‘ultimo è il risultato di una catena di effetti, avvenuti nel corso di millenni, che coinvolgono la genetica, gli ormoni, il cervello, i comportamenti, e che non implicano alcun giudizio di inferiorità o superiorità. Possiamo dire, in linea di massima, che l’uomo possiede un cervello che segue schemi logici più basati sulla razionalità, mentre nella donna il funzionamento cerebrale sarebbe maggiormente di tipo intuitivo, nell’uomo il funzionamento dei circuiti nervosi è più rigido mentre è più plastico nella donna.

Uno studio condotto tra le università di Granada, Barcellona e Londra pubblicato su Psychoneuroendocrinology riferisce che, nel cervello femminile, l’intuito, è influenzato sin nel grembo materno, perché, esposto a scarse quantità di testosterone, ormone maschile che invece apporta razionalità e capacità riflessive. Forse l’uomo ha un cervello più razionale in quanto i due emisferi cerebrali destro e sinistro sono meno connessi tra loro rispetto a quelli del cervello femminile. La donna avendo più connessioni tra essi, ha un cervello più olistico e intuitivo.

In questo studio è stato preso in considerazione il “Digit ratio” che è il rapporto tra la lunghezza del dito indice (2° dito) e del dito anulare (4°) dito della mano destra, che potrebbe rappresentare con la lunghezza del dito indice più lungo una esposizione del feto a più alti livelli di estrogeni, mentre un dito anulare più lungo maggiore esposizione del feto agli androgeni testosterone. Le donne con un rapporto più basso tra indice e anulare, quindi più esposte a più alte concentrazioni di testosterone in utero, sono meno intuitive di quelle con un rapporto più elevato; segno che in un certo senso hanno un cervello più maschile.

Nel libro di Shakt Gawan “Il Potere dell’Intuizione” quando nasciamo ciascuno di noi possiede una grande capacità di intuizione, nel corso degli anni vivendo, in una società fondata sul culto della razionalità, perdiamo ogni contatto con essa, sino al punto di farne una perfetta estranea. Il cammino che intraprendiamo verso la verità non conosce punti di arrivo, ma solo stazioni di transito.

Infine” Feminine Intuition” è un racconto fantascientifico scritto nel 1969 da Isaac Asimov in cui con un balzo spaziale si cerca di raggiungere altri sistemi stellari con pianeti abitabili. A questo progetto lavora un robot dotato di personalità, perciò inventiva, per di più tendente al femminile il cui nome è Jane.


L’Intuito Femminile


Lady Montagu

Per introdurre Lady Montagu, nota anche “Lady Mary”, è necessario descrivere una breve storia del vaiolo e parallelamente l’antica storia della sua profilassi. Il vaiolo (vario, chiazzato) è una malattia contagiosa di origine virale (orthopoxvirus della famiglia dei Poxviridae); è a contatto con le popolazioni umane da migliaia di anni, il corpo mummificato del faraone Ramsete V nel 1157 a.C. ne porta evidenti segni. Queste epidemie hanno sempre generato terrore per l’elevata mortalità specialmente infantile, oltre che, come conseguenza, provocare cecità e cicatrici che potevano sfigurare il volto, che si diceva butterato. Lunga è la storia della profilassi antivaiolosa: i primi furono i cinesi nel 1014, consisteva nell’insufflare nelle narici polvere di croste di vaiolosi, poi in India i bramini praticavano l’inoculazione sottocute con fili impregnati di materia vaiolosa. Da molto tempo i popoli abitanti vicino al Mar Caspio, come i circassi e i georgiani proteggevano la bellezza delle loro donne dalle deturpazioni provocate dal vaiolo mediante l’inoculazione di questo materiale ed era proprio per questi che i Turchi e Persiani ne traevano delle belle donne schiave per l’harem.

Mary Wortley Montagu (Thoresby Hall 1689-Londra 1762), figlia del conte di Kingston, era una aristocratica colta, aveva studiato il latino e il greco, poliglotta, scrittrice e poetessa, anticonformista e paladina dei diritti delle donne. Nel 1712, contro il volere del padre, rinunciando alla sua eredità, sposò Edward Wortley Montagu, nipote del conte di Sandwich. Nel 1714 lady Mary, donna di affascinante bellezza, una delle donne più ritratte del settecento, contrasse il vaiolo che le deturpò il viso; le cicatrici del suo volto non sono mai apparse nei dipinti stessi; sempre il vaiolo le aveva portato a morte il fratello. Queste tristi vicende la resero protagonista della lotta contro il vaiolo attraverso la sua profilassi.

Per il viso deturpato dalle cicatrici vaiolose è stata usata, come fondo tinta, la biacca, pigmento bianco, costituito da carbonato basico di piombo, adoperato anche in pittura, che poteva provocare avvelenamento da piombo con caduta dei capelli. Ne fece uso, come si può vedere nei suoi quadri, anche Elisabetta I d’Inghilterra che nel 1562 aveva contratto il vaiolo. Il libro di Pierre Darmon descrive il Vaiolo e il mondo nobiliare: “Il vaiolo di Luigi XV e l’inoculazione di Luigi XVI”. Nel 1716 seguì, con entusiasmo e forte curiosità, il marito che era stato nominato ambasciatore inglese a Costantinopoli. Lady Mary è ricordata anche per le sue lettere, che per tutta la sua vita, ci hanno documentato parte del ‘700 sia in Inghilterra che in Europa e in Oriente. Ci ha descritto i suoi lunghi viaggi intrapresi, in particolare quelle scritte dalla Turchia che rappresentano un reportage dei luoghi incontrati, del mondo delle donne dell’oriente musulmano, sia negli harem che nel bagno turco. In un taccuino di Ingres si trovò una descrizione dei bagni turchi fatta da Lady Montagu.  

Lady Mary a Costantinopoli venne a conoscenza parlando con molte donne, di diverso ceto sociale, di lingue diverse, e con vecchie donne greche, secondo una antica sapienza popolare, a scopo profilattico per il vaiolo preferibilmente quando finiva il caldo nel mese di settembre portavano in un guscio di noce del materiale vaioloso prelevato da un malato di vaiolo leggero, pungevano in due o tre punti la cute con un ago intriso di questo pus di un vaioloso. Il soggetto inoculato sviluppava, in ottava giornata dall’inoculazione, una febbre che durava due o tre giorni; nel punto di inoculazione si formava una pustola e successivamente rimaneva una cicatrice.

Questa procedura era una salvaguardia per il soggetto dal terribile vaiolo. Più precisamente questa metodica fu chiamata la variolizzazione o vaiolizzazione, o inoculazione (innesto citato da Giuseppe Parini). Lady Montagu, certa e preoccupata del vaiolo che aveva un esito letale specie nell’infanzia, fece variolizzare dal medico scozzese Charles Maitland, che era al seguito dell’ambasciata inglese, prima il suo figlioletto Edward, successivamente sua figlia senza complicazioni e con ottimo risultato della profilassi antivaiolosa.

Lo stesso dott. Maitland sarà promotore in Inghilterra della vaiolizzazione. Sempre per questa profilassi sono da ricordare due medici, di origine italiana, Emanuele Timoni e Jacopo Pilarino. Emanuele Timoni era un dragomanno. I dragomanni erano figure importanti nei rapporti con l’Oriente, conoscevano molte lingue, usi, costumi e cultura del Paese dove operavano. Erano persone colte, spesso laureati, prevalentemente di origine italiana, provenienti dalle due maggiori Repubbliche Marinare di Genova e Venezia. Emanuele Timoni di famiglia genovese, era il primo dragomanno dell’ambasciata inglese a Costantinopoli, si era altresì laureato in Medicina a Padova. Era a conoscenza della vaiolizzazione e credeva alla sua efficacia. Per informare, anche la comunità scientifica, aveva inviato nel 1714 una lettera in latino sulla vaiolizzazione alla Royal Society, che fu pubblicata nella Philosophical Transaction, descrivendo, minuziosamente, come questo metodo avesse avuto successo nella profilassi del vaiolo.

Della stessa opinione era un altro medico, Jacopo Pilarino, di origine veneta, che si trovava a Smirne e che condivideva l’uso e il vantaggioso successo di questa metodica nella prevenzione del vaiolo, come scrisse nel 1715 in “Nova e Tuta Variolas Excitandi” per Transplantationem  Methodus.

“Lady Mary” tornata in Inghilterra si fece promotrice insieme al dott. Charles Maitland della vaiolizzazione visto che una epidemia di vaiolo nel 1721 aveva colpito il Regno Unito e la sua colonia del Massachusetts. Anche la principessa di Galles Caroline de Ansbach amica ed estimatrice di Lady Montagu fece inoculare i suoi figli. Per sicurezza il medico reale Hans Sloane prima fece inoculare 6 condannati a morte, che non ebbero nessuna conseguenza, salvandosi così non solo dal vaiolo ma dalla stessa condanna. Appena si diffuse la pratica della inoculazione si formarono due gruppi, uno Wigh favorevole, l’altro dei Tory contrario che denunciarono i rari casi di complicazioni e i decessi, sostenendo inoltre che si trattava di una pratica satanica, di origine orientale e femminile, definendo Lady Mary una sanguinaria viaggiatrice della Turchia.

Il binomio donne-scienza suscitò perplessità e spesso intolleranza anche perché era un metodo praticato da donne in oriente e proposto da una donna in occidente. I detrattori, i no vax esistevano anche nel 1700, della vaiolizzazione non riportavano l’importanza di isolare, con norme igieniche, gli inoculati in quanto rappresentavano, per breve tempo, un contagio. I detrattori della metodica ne riportavano la pericolosità, alcuni casi di complicazioni e rari decessi.

In questa diatriba parteciparono matematici tra cui Charles Marie de la Condomine in cui nella memoria dell’inoculazione del vaiolo scrisse “la natura ci decimava ora l’arte ci millesima”. Nel 1761 vi sarà un periodo di riaffermazione dell’inoculazione sia da parte degli illuministi, come Voltaire e Giuseppe Parini, che nell’ode “favoloso innesto” inneggia “al femmineo merto”, anche Pietro Verri ne scriverà sul giornale “il Caffè”.

Inoltre questa pratica verrà riaffermata sia in Inghilterra che successivamente da ogni parte del mondo medico illuminato. Lady Mary Montagu dal 1746, tornata da Costantinopoli, riiniziò a viaggiare in Europa ma la sua predilezione sarà sempre l’Italia, risiedendo a Venezia e Brescia a Lovere, dove recentemente è stata inaugurato con il suo nome una strada lungo il lago d’Iseo da lei particolarmente amato. Tornata a Londra per carcinoma mammario, Lady Montagu morì nel 1762. Lady Montagu con il suo accanito impegno e costanza nella lotta al vaiolo ci ha lasciato la speranza di un mondo migliore. Per approfondire gli argomenti sovraesposti è da segnalare il libro di Maria Teresa Giaveri “Lady Montagu e il Dragomanno” (ed. Neri Pozza).

Doveroso è citare Edward Jenner (Berkeley 1749-1823), padre dell’immunizzazione con il suo vaccino contro il vaiolo. Come medico osservò che contadini, contagiati dal vaiolo bovino, superata la malattia, non si ammalavano più del vaiolo umano. Nel 1796 iniettò materiale di una donna malata di vaiolo bovino ad un bambino di 8 anni e successivamente gli iniettò quello del vaiolo umano ed il virus non attecchì. Nel 1799 Luigi Sacco, primario dell’Ospedale Maggiore di Milano, vaccinò sé stesso e cinque bambini, come aveva fatto Jenner, riscontrandone l’immunità per il vaiolo umano. La lotta al vaiolo, iniziata nei secoli scorsi, nel 1700 si riaccese grazie a Lady Montagu e a Medici illuminati, proseguì dal 1796 e che grazie alla vaccinazione di Jenner ottenne l’eradicazione mondiale del vaiolo comunicata dall’OMS nel 1980.


Florence Nightingale

Florence Nightingale (Firenze 12 maggio 1820-Londra 13 agosto 1910). Nasce a Firenze, da cui deriva il proprio nome, appartenente a una famiglia benestante, appartenente alla borghesia britannica; il padre William le impartì lezioni di latino, greco, italiano, francese, tedesco, storia, filosofia e soprattutto matematica e statistica. Florence era profondamente cristiana; dalla sua adolescenza, si sentiva” chiamata da Dio” a servire le persone malate e indigenti e per questo espresse il desiderio, contro il volere della famiglia, di divenire infermiera. In quell’epoca la professione di infermiera era poco riconosciuta e stimata. Nel 1850 Florence si recò, frequentò, e si diplomò, come infermiera, presso l’ospedale per poveri, di Kaiserwert presso Düsseldorf ammirata per l’elevata qualità dell’assistenza e cure mediche.

Prima di seguire Florence come infermiera in Crimea, è forse necessario parlare di questa guerra. La guerra di Crimea 1853-1856 fu un conflitto nato nella realtà tra la Russia che voleva invadere la Turchia, e come causa fittizia la divergenza fra Russia e Francia sul controllo dei luoghi santi della cristianità nel territorio ottomano. Questo conflitto impegnò la Russia contro la Turchia appoggiata da una coalizione formata da Regno Unito, Francia e Regno di Sardegna. Questa guerra terminata con la sconfitta della Russia costò la vita a 370mila militari che aggiunti ai civili giunse a un milione di morti anche per una epidemia di colera che si era sviluppata in quel periodo bellico. Florence nel 1854 partì con 38 infermiere volontarie, da lei addestrate, per la Turchia facendo servizio nell’ospedale militare inglese presso Scutari. Qui trovò 10 mila soldati feriti in condizioni disumane di sporcizia, di contagi con malattie infettive e mancanza di attrezzature e peggio disinteresse per i feriti che non servivano a combattere. Riferì che l’alto tasso di mortalità del 42% tra questi soldati era per malattia, correlata all’inadeguatezza dell’assistenza, giungendo così ad affermare che “gli eserciti non erano decimati dalle battaglie ma dalle malattie”.  Interessante è un grafico di Minard del 1869 in cui la mortalità dell’esercito napoleonico in Russia fu più per congelamento che per scontro armato. In questa lotta Florence ebbe il contributo della stampa, nel Times, venne rappresentata come “la Signora della Lampada”, l’angelo che anche di notte veglia e assiste i feriti. Da queste denunce iniziò la riforma della Sanità Militare Inglese. Attraverso l’applicazione di modelli matematici riuscì a dimostrare la fondatezza delle sue teorie che avrebbero portato ad una significativa riduzione dei tassi di mortalità e morbilità anche tra la popolazione civile. Questo suo metodo statistico può essere considerato uno dei primi esempi di applicazione assistenziale basata sull’evidenza scientifica. Questo eccezionale lavoro di statistica medica fu così importante che nel 1858 fu eletta membro della Statistical Society of England.

Florence formò anche le prime infermiere americane attraverso la formazione di Linda Richards. Nel 1872 Henry Dunant, ispirato dal lavoro della instancabile Florence, creò la Croce Rossa Internazionale. Nel 1883 la Regina Vittoria le conferì la Croce Rossa Reale. Morì nel 1910.

Florence ricevette sia in vita che in tutti gli anni seguenti numerose onorificenze per il continuo e appassionato impegno nella formazione infermieristica e nella creazione di una nuova sanità pubblica. Tra i numerosi monumenti, in ricordo di Florence, sorti nelle varie Nazioni ricordiamo a Londra, Istanbul e Firenze nella Basilica di Santa Croce vi è una sua statua.

Infine, il personaggio di Florence Nightingale è stato portato diverse volte sullo schermo cinematografico e televisivo.


La Regina Elena di Savoia

A Cettigne, Reggia del Montenegro, l’8 gennaio 1873 nacque Jelena figlia di Nicola I Petrovic Njegos e di Milena Vukotich. A nove anni, Jelena fu iscritta ai corsi di studio per aristocratici presso il severo collegio di Smolnyl di San Pietroburgo. Le materie di studio comprendevano discipline umanistiche e artistiche, la conoscenza delle lingue e rigide regole per essere pronte ad essere mogli di uomini potenti. Lasciato il collegio nel 1890 Jelena tornò a Cettigne, dove, sempre amando la natura, si appassionò a cognizioni ed esperienze mediche, quasi tutte empiriche, tratte da usi popolari montenegrini. In Italia da Umberto I di Savoia e Margherita, cugini di primo grado, nacque a Napoli nel 1869 Vittorio Emanuele futuro re d’Italia. Su consiglio di Francesco Crispi, di etnia albanese, si pensò, come progetto eugenetico-dinastico, di far sposare Jelena di Montenegro con Vittorio Emanuele. Il matrimonio si celebrò a Roma nel 1896. Con il regicidio nel 1900 di Umberto I di Savoia salì al Regno d’Italia il figlio Vittorio Emanuele III, divenendone Regina la sposa Elena che abbandonò il suo precedente nome di Jelena. La regina Elena si dedicò alla cura dei malati e alla loro assistenza, manifestando un particolare interesse per la Medicina e la salute, promovendo opere ospedaliere e soccorso medico anche in situazioni di emergenza, come nel terremoto di Messina del 1908 che uccise tra 50 e 100 mila abitanti tra Sicilia e Calabria. Nella Prima Guerra Mondiale 1915-1918 la regina Elena trasformò il Quirinale in un ospedale da campo che accoglieva soldati mutilati che necessitavano di una riabilitazione. La Prima Guerra Mondiale era costata 16 milioni di morti per i militari e circa 21 milioni di feriti e mutilati. Inoltre, proprio presso il termine di questa terribile guerra si propagò una pandemia influenzale detta “spagnola” che portò a morte 50 milioni di persone, principalmente giovani.

Infine, si presentò una malattia virale che è rimasta sconosciuta che colpiva il cervello, detta anche per la sua sintomatologia encefalite letargica simile alla malattia del sonno. Un neurologo viennese Constantin von Economo si interessò e studiò questa nuova malattia che costò 5 milioni di morti e con gravissime complicazioni successive; scrisse un articolo scientifico “Die Encephalitis lethargica” in cui descrisse questo quadro morboso con sonnolenza quasi da giungere al coma che fu denominata encefalite letargica di von Economo. Questa malattia ignota per la sua capacità di sconvolgere il corpo e mutare la mente dai postumi devastanti come il parkinsonismo post-encefalico è tuttora uno degli enigmi più indecifrabili nella storia della Medicina. La Medicina dell’epoca sembrava impotente a darne una terapia. Tenendo presente quello che diceva il filosofo Rudolf Steiner “per ogni malattia esiste una pianta che ne rappresenta la cura”.

La regina Elena venuta a conoscenza che in Bulgaria, nel 1922, un raccoglitore di erbe e guaritore Ivan Raev aveva ottenuto ottimi risultati sui postumi dell’encefalite letargica con un decotto di radici di atropa belladonna che in bulgaro viene chiamata “staro bilè”, vecchia erba o anche “ludo bilè”, erba pazza, si adoperò tenacemente con la consulenza di illustri medici di introdurre in Italia questa terapia per l’encefalite letargica e i suoi invalidanti postumi.

L’atropa (Atropo inflessibile era una delle tre moire o parche con la cesoia per interrompere la vita) belladonna o solano sonnifero pianta appartenente alle solanacee con proprietà sia venefiche che inebrianti; anche il nome belladonna deriva forse dall’abitudine delle donne veneziane di cospargere il volto con un suo infuso, rendendo gli occhi femminili più luminosi e sognanti; nel francese medioevale “belle femme” indicava le streghe che ne facevano uso. Inoltre, la midriasi che provoca ha permesso indagini e interventi oculari. Questa terapia fu chiamata “cura bulgara” o “cura della Regina”. La direzione medica, per questa terapia, fu affidata al professore Giuseppe Panegrossi, docente di Neuropatologia presso l’Università di Roma che in una accurata relazione sulla encefalite letargica descrisse la fase infettiva dominata dalla fase infiammatoria e la fase cronica in cui predominavano i fenomeni degenerativi. Visto l’aumentare dei pazienti che richiedevano la terapia e successiva assistenza, su interessamento della regina Elena si aprì una sezione presso il VI padiglione del Policlinico Umberto I con annesso laboratorio dove avveniva la preparazione dell’estratto di radici di belladonna che venivano distribuite dalla ditta Molteni sia per gli ospedali italiani che esteri.  Per l’aumentare dei pazienti encefalitici si aprì l’Istituto Provinciale per encefalitici Regina Elena presso la nuova sede di Monteverde in via di Villa Pamphili n. 88. L’impegno continuo e operoso della regina Elena ottenne il suo successo con il Decreto Legge n. 2043 dell’ottobre 1936, in cui il cosiddetto decotto della regina, avallato dalle principali autorità cliniche e mediche, fosse reso obbligatorio per l’assistenza e la cura degli affetti da forme di parkinsonismo encefalitico.

La regina Elena proseguì per tutta la sua vita il suo impegno contro le malattie, promosse iniziative per la formazione ed aggiornamento professionale dei medici ed operatori sanitari per la ricerca contro la poliomielite, per il Parkinson e soprattutto contro il cancro.

La regina Elena morì, in esilio, nel 1952 a Montpellier.

Per approfondire i precedenti argomenti è da leggere il libro di Paolo Mazzarello “L’Erba della Regina. Storia di un decotto miracoloso” (ed. Bollati Boringhieri). Infine è da ricordare il libro “Risvegli” di Oliver Sacks che ci descrive lo stato catatonico dei sopravvissuti all’encefalite letargica che lasciava le vittime in una condizione simile ad una statua senza parole e immobili.


Conclusioni

Ogni donna si è sempre occupata della cura della famiglia e del prossimo per mantenerne la loro piena salute. Si è cercato attraverso la biografia di tre donne, non medico, in tre secoli diversi ‘700, ‘800 e ‘900, di descrivere come il loro intuito e forte impegno, in tutta la loro vita, sia servito alla prevenzione e terapia di diversi e gravi eventi morbosi, anche coadiuvate da medici illuminati. Le tre figure femminili sono in stretta simbiosi tra loro, anche in secoli diversi, volte alla realizzazione dello stesso scopo. Pensiamo a Lady Mary impegnata nella prevenzione del vaiolo, derivata dalla Medicina popolare orientale, che si collega con la “cura bulgara” con atropa belladonna della regina Elena per l’encefalite letargica e suoi postumi, e come il nursing di Florence Nightingale sia parte integrante del trattamento del parkinsonismo postencefalitico. Proprio a questi malati, grazie all’acquisizione di queste terapie e trattamenti, è stata risparmiata la soppressione, nelle camere a gas naziste, non essendo soggetti utili alla società.

Termino con la Laurea Honoris Causa del 27 maggio 1940 conferita dalla Facoltà di Medicina dell’Università di Roma “La Sapienza” alla regina Elena: nella motivazione erano ricordate le benemerenze umanitarie, le sue iniziative sanitarie, la promozione dell’assistenza infermieristica e l’attuazione in Italia di un metodo terapeutico che, con fine intuito, concepì per le desolanti conseguenze di una fra le più gravi malattie, l’encefalite letargica epidemica, la cura del parkinsonismo postencefalitico.

Questa laurea “Honoris Causa” è un riconoscimento a tutte le donne che con la loro intuizione e impegno hanno contribuito alla salvaguardia della salute della collettività nei secoli passati, nel presente e nel futuro.