Dott. Christian Laurini

Facoltà di Medicina e Odontoiatria, Dipartimento di Neuroscienze Umane, “Sapienza” Università di Roma

Articolo pubblicato in:

Anno Accademico 2021-2022

Vol. 66, n° 3, Luglio - Settembre 2022

Settimana per la Cultura

12 aprile 2022

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Tesi di Laurea: “Il ruolo del sistema endocannabinoide nella Sclerosi Laterale Amiotrofica: uno studio clinico, elettrofisiologico e molecolare” (Sintesi)

C. Laurini


Introduzione

La Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) è una rara patologia degenerativa neuromuscolare, fatale in 3-5 anni. La SLA presenta un’eterogeneità fenotipica in rapporto sia alla sede d’esordio dei sintomi sia all’interessamento prevalente del I o del II neurone di moto. I quadri clinici principali sono:

- esordio spinale con una combinazione di segni del I e II motoneurone degli arti;

- esordio bulbare con interessamento di entrambi i neuroni di moto dei muscoli bulbari;

- sclerosi laterale primaria (SLP) con selettivo coinvolgimento del I motoneurone;

- atrofia muscolare progressiva (PMA) con interessamento esclusivo del II motoneurone.

La Fig. 1 riassume le varie sottoclassificazioni a cui si è accennato (Masrori & Van Damme, 2020).

 


Fig. 1. Le presentazioni fenotipiche della SLA. L’interessamento motorio varia in base alla distribuzione regionale ed al coinvolgimento relativo di primo e secondo motoneurone. Fino al 50% dei pazienti può presentare caratteristiche cognitive e comportamentali (Masrori et al., 2020).

Altre varianti si distinguono in funzione del sito iniziale di insorgenza dei sintomi:

- flail arm syndrome;

- flail leg syndrome;

- variante emiplegica di Mills;

- variante pseudopolinevritica.

La Fig. 2 (Swinnen & Robberecht, 2014) riassume graficamente queste manifestazioni.

Nel 70% dei casi il fenotipo predominante è quello spinale, seguito da quello bulbare nel 25% e da quello con iniziale coinvolgimento respiratorio nel 5% (Kiernan et al., 2011). La SLA può presentarsi in forma familiare (fSLA), corrispondente al 10% dei casi (Fig. 3), o sporadica (sSLA) nell’85-90% dei casi.

 


Fig. 2. Pattern di coinvolgimento motorio nei diversi fenotipi SLA. (Swinnen et al., 2014).

 


Fig. 3. Il numero di geni implicati nella SLA è cresciuto esponenzialmente. La grandezza di ogni cerchio riflette la proporzione di fSLA associate a quel gene. I cerchi blu indicano i geni associati soltanto a fSLA, quelli rossi i geni associati soltanto a sSLA, mentre i cerchi metà blu e metà rossi indicano i geni associati sia a fSLA che a sSLA. Il colore con cui è scritto ciascun gene rappresenta il pathway cellulare implicato (Brown et al., 2017).

 

 

 

Nella maggioranza delle fSLA ad esordio nell’età adulta, la malattia è ereditata come tratto autosomico dominante, mentre i rari casi di fSLA a esordio giovanile sono più comunemente associati ad eredità autosomico recessiva (Kirby et al., 2016). Fatta eccezione per le forme familiari, l’eziopatogenesi della SLA rimane tuttora poco chiara. Allo stato attuale, la SLA viene considerata una patologia neurodegenerativa con una complessa eziologia multifattoriale, risultato dell’interazione tra numerosi fattori genetici e ambientali. Recenti evidenze suggeriscono, a monte della degenerazione assonale, la presenza di un’alterazione a livello della giunzione neuromuscolare (ipotesi del “dying-back”): sebbene si dia per noto che il meccanismo patogenetico della SLA abbia origine dalla degenerazione dei neuroni di moto, recenti evidenze sembrano indicare che la denervazione muscolare preceda la morte neuronale (Palma et al., 2011). Ciò è stato inizialmente dimostrato nel modello murino, dove si è visto che l’espressione di SOD1G93A mutato causa dapprima atrofia muscolare, successivamente alterazione della giunzione neuromuscolare (NMJ), degenerazione assonale retrograda e, infine, morte neuronale. Questo pattern di degenerazione retrogrado e progressivo o “dying-back” (muscolo-NMJ-nervo) suggerisce che alcune anomalie del muscolo possano precedere la morte neuronale anziché esserne il risultato (Musarò, 2010). Secondo questa prospettiva, inoltre, la morte neuronale sarebbe l’esito di eventi che accadono fuori dal motoneurone, in particolar modo nelle cellule della glia e nel muscolo scheletrico (Dupuis & Loeffler, 2009). Gli endocannabinoidi sono lipidi endogeni in grado di modulare la risposta neuroinfiammatoria e neurodegenerativa. La PEA (palmitoiletanolamide) è una molecola endocannabinoid-like con azione sul recettore nicotinico dell’acetilcolina (nAChR) e con interessanti proprietà neuroprotettive e anti-infiammatorie.


Obiettivo dello studio

Il presente studio ha lo scopo di descrivere il ruolo del sistema endocannabinoide e l’effetto della PEA in pazienti affetti da SLA. Gli obiettivi primari sono:

  • la valutazione degli effetti clinici ed elettrofisiologici della PEA;
  • studiare l’effetto della PEA sulle citochine infiammatorie muscolari e sistemiche;
  • descrivere le modificazioni molecolari e fisiologiche del recettore nAChR in seguito al trattamento con PEA.


Materiali e metodi

Si tratta di uno studio randomizzato in doppio cieco svolto presso il Centro di Malattie Rare e Neuromuscolari del Policlinico Umberto I di Roma. Ad oggi sono stati reclutati 28 pazienti, 21 dei quali hanno concluso il protocollo, randomizzati in due gruppi: il primo ha assunto PEA + Riluzolo, il secondo placebo + Riluzolo. Il protocollo ha previsto 6 visite, per la durata totale di 16 settimane. Ad ogni visita, ciascun paziente è stato sottoposto a valutazioni cliniche e prelievi ematologici; ai tempi T0 e T5 è stata inoltre eseguita un’agobiopsia muscolare e una valutazione elettroneurografica.


Risultati

Dal punto di vista clinico, nei pazienti trattati con PEA si è riscontrato un rallentamento del declino funzionale (misurato dagli score ALSFRS e MRC) rispetto al gruppo placebo, nonché una stabilizzazione della funzione respiratoria (FVC alla spirometria) (Fig. 4, 5, 6). La valutazione elettrofisiologica non ha mostrato differenze significative tra i due gruppi.

 


Fig. 4. Andamento longitudinale dello score clinico ALS-FRS totale (*p<0,05).


Fig. 5. Andamento longitudinale dello score clinico MRC totale (*p<0,05).

 

 


Fig. 6. Andamento longitudinale del valore di FVC (*p<0,05).

 

Dal punto di vista molecolare, nel gruppo trattato con PEA è emersa un’upregulation della subunità ε di nAChR e una riduzione dei livelli locali di citochine pro-infiammatorie (Fig. 7, 8, 9, 10).

 

   


Fig. 7. Andamento della trascrizione della subunità ε di AChR (**p=0,0079).


Fig. 8. Andamento della trascrizione di IL-1ß.

 

 


 

 
 

 

Fig. 9. Andamento della trascrizione di IL-6 (*p<0,05).

 

 

Fig. 10. Andamento della trascrizione di TNF-α (*p<0,05).

 

Inoltre, lo studio dei recettori nAChR ha mostrato un aumento del tempo di decadimento della corrente IACh nel gruppo placebo, e una sua diminuzione nel gruppo trattato con PEA (Fig. 11).

 


Fig. 11. Correnti evocate in oocita di Xenopus in seguito a microtrapianto di membrane muscolari da paziente trattato con PEA (Palma, 2016) e da paziente del gruppo placebo, ai tempi T0 (A) e T5 (B). Il tempo di dimezzamento della corrente IACh (T0,5) passa da 6,8 secondi a 16,5 secondi nel placebo, dimostrando il passaggio del recettore AChR da una cinetica rapida ad una più lenta. Al contrario, nel paziente trattato con PEA, il tempo di dimezzamento si riduce da 6,5 a 3,2 secondi.

 


Discussione

I risultati fin qui analizzati, sebbene vadano considerati preliminari e parziali, aggiungono nuovi elementi ai dati emersi dal precedente studio (Palma et al., 2016) e rafforzano l’ipotesi che il muscolo eserciti un ruolo rilevante nella patogenesi della SLA e che il recettore AChR possa essere considerato a tutti gli effetti un target farmacologico.

Quanto appena detto trova le sue basi nella convergenza dei risultati clinici e di quelli molecolari. Un dato clinico significativo e inedito riguarda l’andamento dell’ALSFRS totale, che nel gruppo trattato con PEA mostra un declino minore nel corso del protocollo sperimentale. Ciò potrebbe contribuire a dare un nuovo significato agli effetti della PEA dal punto di vista clinico. Secondo questa ipotesi, dunque, la PEA sarebbe in grado di rendere più stabile il declino funzionale, con un deterioramento della disabilità totale (spinale, bulbare e respiratoria) ridotto sia dal punto di vista temporale (ovvero più lento), sia dal punto di vista dell’intensità (ovvero meno accentuato). Tale riscontro è ancora più importante se si considera l’ALSFRS uno score con potere predittivo in termini di sopravvivenza (Kimura et al., 2006). Il ridotto declino funzionale in termini di disabilità trova la sua spiegazione nella preservazione della forza muscolare segmentale, misurata con il punteggio MRC. Anche questo parametro, infatti, mostra un declino più lento e meno accentuato nel gruppo trattato con PEA. Il presente studio ha inoltre confermato l’effetto stabilizzante della PEA sul declino della funzione respiratoria misurata come Capacità Vitale Forzata, che dimostra un andamento più rapido nel gruppo placebo. Questi tre parametri hanno dimostrato di essere strumenti affidabili nel monitoraggio della progressione di malattia, nonché di poter predire la sopravvivenza dei pazienti con SLA in base al loro declino nel tempo (Magnus et al., 2002). L’ipotesi che la PEA possa aumentare la sopravvivenza in questi pazienti necessita di ulteriori studi con numerosità campionaria e tempi di follow-up maggiori.

La stabilizzazione dei parametri clinici trova giustificazione e fondamento nei risultati molecolari. Lo studio avvalora una delle acquisizioni più importanti del precedente lavoro (Palma et al., 2016), ovvero la selettività d’azione della PEA sulla subunità ε dell’AChR. Come precedentemente enunciato, quest’ultima è l’isoforma recettoriale che prevale nell’adulto sano, mentre la γ risulta l’isoforma preponderante nella vita fetale e a seguito della denervazione. Quello che si osserva nei pazienti che hanno assunto la PEA è una up-regulation statisticamente significativa della subunità ε, a scapito di un livello che si mantiene pressoché invariato nel gruppo dei controlli. Dal momento che tale subunità si concentra perlopiù a livello della giunzione neuromuscolare, la sua up-regulation è correlata con la stabilizzazione di questa importante struttura anatomo-funzionale. La subunità γ, invece, può essere interpretata come un indice di denervazione. I livelli di quest’ultima aumentano in entrambi i gruppi senza mostrare differenze significative. L’analisi funzionale del recettore AChR è stata svolta, fino ad ora, soltanto su campioni bioptici provenienti da pazienti nel gruppo placebo. Attraverso la tecnica di microtrapianto di membrane muscolari in oociti di Xenopus, si è dimostrato che in questo gruppo il recettore AChR aumenta il tempo di decadimento della corrente IACh. Questo effetto potrebbe essere dovuto alla diversa composizione in subunità del recettore stesso, che in seguito ai fenomeni di denervazione e reinnervazione sostituisce la subunità ε con la subunità γ. È infatti stato dimostrato che la sostituzione della subunità γ fetale con la subunità ε conferisce al recettore AChR una cinetica di attivazione e inattivazione più rapida, adatta alla contrazione muscolare tipica della vita adulta (Camacho et al., 1993). È lecito quindi ipotizzare che la sostituzione inversa, a seguito dei fenomeni di denervazione e reinnervazione, possa avere l’effetto contrario di rallentare la cinetica del recettore AChR. Questa modificazione interferirebbe con la sommazione temporale dell’impulso nervoso, l’unico compenso disponibile (seppur temporaneo) per poter aumentare la forza di contrazione in seguito alla degenerazione dei motoneuroni e alla perdita di unità motorie, e quindi in seguito alla perdita della funzione di sommazione spaziale. Per sommazione spaziale si intende il reclutamento, all’aumentare della forza da esercitare, di nuove unità motorie secondo la legge di Henneman, secondo la quale vengono reclutate per prime le unità motorie più piccole, specializzate nei movimenti fini, e poi le unità motorie più grandi, meno precise, ma in grado di generare più forza. Per sommazione temporale si intende, invece, la possibilità di generare più forza muscolare con le unità motorie rimanenti, stimolandole a frequenze più elevate. Una cinetica recettoriale più lenta impedisce quindi all’unità motoria di lavorare in frequenza, per cui il SNC perderebbe un importante funzione di compenso. Conseguentemente, il declino funzionale sarà più rapido in quei pazienti che presentano un recettore AChR con cinetica lenta. In questo senso, l’aumento dell’espressione della subunità ε nel gruppo dei pazienti trattati assume ancora maggiore importanza. Inoltre, lo studio citato nella sezione precedente (Palma et al., 2016) ha già dimostrato che la PEA è in grado di ridurre il rundown della corrente IACh, rendendo il recettore AChR in grado di rispondere meglio a stimolazioni di frequenza più elevata.

Le analisi elettrofisiologiche hanno mostrato un andamento paragonabile tra i due gruppi, con una progressiva degenerazione del secondo motoneurone. Questo risultato è coerente con l’ipotesi di lavoro, per la quale l’effetto di stabilizzazione clinica della PEA si esplica conservando il meccanismo di compenso della sommazione temporale con un’azione a livello della giunzione neuromuscolare, piuttosto che rallentando effettivamente la degenerazione del secondo motoneurone.

Per quanto riguarda lo studio delle citochine pro-infiammatorie, diversi lavori ne hanno correlato i livelli con la progressione dell’atrofia muscolare in un’ampia varietà di condizioni cliniche (Haddad et al., 2005; Londhe & Guttridge, 2015; Späte & Schulze, 2004; Thoma & Lightfoot, 2018). Nell’ambito della Sclerosi Laterale Amiotrofica, diversi studi recenti hanno dimostrato un aumento dei livelli delle citochine pro-infiammatorie nel sangue venoso periferico rispetto a controlli sani appaiati per età (Hu et al., 2017; Tortelli et al., 2020) e una correlazione tra i livelli di IL-6 e la riduzione dell’ampiezza del cMAP da stimolazione del nervo frenico (Pronto-Laborinho et al., 2019). Le analisi eseguite finora hanno analizzato l’infiammazione locale attraverso lo studio dei livelli di mRNA delle citochine nei campioni bioptici di muscolo. Al momento questo dato, in questa popolazione, risulta inedito nella letteratura scientifica. Le analisi hanno dimostrato una riduzione dell’infiammazione locale nel gruppo trattato con PEA. Il significato e l’importanza di questo dato andranno approfonditi con ulteriori studi. È possibile che l’effetto anti-infiammatorio della PEA abbia un’azione sinergica con l’effetto a livello della giunzione neuromuscolare sulla riduzione del declino funzionale. In alternativa, potrebbe esserne la causa: secondo questa ipotesi la ridotta infiammazione locale andrebbe a preservare i livelli di subunità ε e quindi la cinetica rapida del recettore AChR. Una terza ipotesi è che l’effetto principale sia a livello della giunzione muscolare, e che la ridotta infiammazione locale derivi dal miglioramento dell’efficacia della contrazione muscolare. Questi dati dovranno essere integrati con quelli relativi ai livelli di citochine pro-infiammatorie nel sangue venoso periferico, indicativi della condizione infiammatoria sistemica.


Conclusioni

Il presente studio consolida l’ipotesi che il sistema endocannabinoide eserciti un ruolo nella SLA e che la PEA possieda potenziali effetti clinici e molecolari sul muscolo affetto dalla malattia. Sebbene i risultati finora analizzati siano promettenti, tuttavia, è necessario consolidare tali dati preliminari con il completamento dello studio tramite l’arruolamento degli altri 6 pazienti previsti. La numerosità campionaria rappresenta, pertanto, uno dei limiti maggiori dei risultati finora presentati. I dati presentati andranno integrati con lo studio dei livelli degli endocannabinoidi a livello del sangue periferico e del muscolo, nonché con l’analisi della funzione fisiologica del recettore AChR nel gruppo trattato e con i livelli di citochine pro-infiammatorie nel sangue venoso periferico.

 

 


Sintesi della Tesi di Laurea discussa il 24 giugno 2021

Facoltà di Medicina e Odontoiatria, Dipartimento di Neuroscienze Umane, “Sapienza” Università di Roma

Relatore: Prof. Maurizio Inghilleri, Dipartimento di Neuroscienze Umane, “Sapienza” Università di Roma

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