Anno Accademico 2021-2022
Vol. 66, n° 4, Ottobre - Dicembre 2022
Simposio: La malattia degenerativa della valvola aortica: sostituzione transcatetere (TAVI) o chirurgia tradizionale?
10 maggio 2022
Simposio: La malattia degenerativa della valvola aortica: sostituzione transcatetere (TAVI) o chirurgia tradizionale?
10 maggio 2022
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Un po' di storia…
La procedura nota come TAVI (transcatheter aortic valve implantation), fu inizialmente concepita da Henning Rud Andersen, un ricercatore nordeuropeo (Aarhus University Hospital, Aarhus, Denmark), che si ispirò ai principi ed alle tecniche endovascolari proposte da Charles Dotter, Andreas Gruentzig e Julio Palmaz. Il primo prototipo di valvola impiantabile per via percutanea venne impiantato il primo maggio del 1989 in un maiale di 80 kg, con accesso trans-aortico retroperitoneale. L’animale sopravvisse all’intervento e successivamente vennero eseguiti nuovi impianti, “in vivo” ed “in vitro”, rifinendo progressivamente il device e la tecnica.
La nuova procedura fu presentata nel maggio 1990 al XXX Congresso della Danish Society of Cardiology. L’abstract relativo fu proposto al XII Congresso della European Society of Cardiology, senza essere accettato per la presentazione. Nel giugno 1990, il manoscritto scientifico fu presentato senza successo al Journal of American College of Cardiology (“the deficiencies are such that publication now is premature. The authors need to provide a longer follow-up after placement of this valve under pulsatile condition”) e nei mesi successivi analogamente fu rifiutato da Circulation (“this paper is somewhat gimmicky. To simply state that you can do this on an acute basis is poor science and I think that it is giving the wrong message”). Finalmente, nel marzo 1992, il lavoro venne accettato e pubblicato dall’European Heart Journal, suscitando però ancora scarso interesse a livello congressuale.
Nel 1992, Dusal Pavenik sviluppò l’idea di Andersen, impiantando valvole meccaniche nel cane, aprendo la strada ad altre esperienze sperimentali ed al primo impianto umano, eseguito nel 2000 da Philippe Bonhoeffer in un dodicenne affetto da una steno-insufficienza di un condotto prostetico tra ventricolo destro ed arteria polmonare. Nel 2002 Alain Cribier eseguì la prima TAVI in un maschio adulto di 57 anni affetto da stenosi aortica, pubblicando successivamente la propria esperienza su altri 6 pazienti giudicati inoperabili (“they had one foot in the grave and the other on a banana peel”). Altre esperienze cliniche avvaloreranno ulteriormente la TAVI.
Nel 2011, il padre 86enne di Andersen venne sottoposto a TAVI per una severa stenosi aortica, potendo successivamente vivere in buone condizioni fino all’età di 95 anni, regalando al proprio figlio, ideatore della metodica, la gratificazione professionale più significativa.
Gli accessi vascolari
I primi impianti umani sono stati eseguiti per via venosa femorale, realizzando un accesso trans-settale destro-sinistro e sostituendo la valvola aortica per via anterograda, attraverso la mitrale. Dal 2005, vista la complessità dell’accesso trans-settale, viene utilizzata prevalentemente la via arteriosa femorale, con posizionamento retrogrado della protesi valvolare. La via trans-apicale, proposta dal 2000, viene solitamente riservata ai casi in cui non è utilizzabile l’accesso arterioso periferico, anche se può essere gravata da maggiore morbidità e mortalità. Nell’ultimo decennio, l’accesso trans-ascellare e l’accesso trans-carotideo, facilitati peraltro dal miglioramento dei device, hanno guadagnato sempre più favore rispetto alla via trans-apicale, per la maggiore semplicità di esecuzione e la minore invasività.
Inizialmente proposta per casi compassionevoli, la TAVI ha guadagnato sempre maggiori consensi, rivoluzionando il trattamento della patologia valvolare aortica. Parallelamente a quanto accaduto per le endoprotesi aortiche impiantate per aneurisma, è verosimile che la procedura possa diventare la prima opzione terapeutica per un gran numero di pazienti, indipendentemente dalla classe di rischio chirurgico. Naturalmente, saranno necessari studi clinici su larga scala, comprensivi di adeguato follow-up, per definire compiutamente il ruolo della metodica.
BIBLIOGRAFIA
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