Prof.ssa Anna Dalle Ore

Ph.D. Bioetica, Servizio di Etica Clinica “G. Rastelli”, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, IRCCS, Roma

Articolo pubblicato in:

Anno Accademico 2022-2023

Vol. 67, n° 1, Gennaio - Marzo 2023

Simposio: Il paziente pediatrico al bivio tra terapie cardiovascolari avanzate e prospettive di vita

22 novembre 2022

Copertina Atti Primo Trimestre 2023 per sito.jpg

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Gli elementi di natura etica emersi nell’ambito delle discussioni sui pazienti

A. Dalle Ore


Introduzione

"La bioetica dalle aule universitarie, dai colleges e dagli studi degli eticisti si sposta sul luogo della sua stessa origine, il letto del malato, laddove si generano i dilemmi che gli eticisti contemplano, e laddove in definitiva le discussioni etiche si concretizzano nella decisione dell’azione particolare”.

Edmund Pellegrino, 1988


L’etica, prima di essere una questione di azioni da compiere, è una capacità di guardare ad una realtà sempre più complessa e in dinamico divenire, in cui si rende sempre più urgente una chiarificazione sui diversi aspetti che vengono ad implicarsi nelle scelte che appartengono al mondo della cura.

L’etica, come servizio all’Operatore Sanitario ed al Paziente/Famiglia, esplicita: desideri, valori ed obiettivi che caratterizzano sempre una scelta in un contesto multiculturale in cui questi si declinano a partire da diverse sensibilità.

L’aspetto interessante che deve cogliere un Ospedale, il nostro, che si confronta con realtà sanitarie afferenti ad altri Paesi, è la condivisione nella testimonianza di una identità che accoglie il pensiero ed il valore dell’altro perché entrambi – il nostro ed ‘altri’ Centri - rispondono al desiderio di sanare il Bambino malato.

Imparare a declinare l’ideale che ci spinge ad affermare il ‘bene cura’ ci permette di costruire rapporti e relazioni fondate sulla verità; e la verità ha sempre maggiore forza persuasiva rispetto al pregiudizio o all’ignoranza. Il nostro benevolo intento è ricercare, proprio per rispondere all’esigenza di cura, la condivisione degli elementi di natura etica che sono emersi attraverso la discussione dei casi clinici.

Se, come saggiamente ha intuito Pellegrino, l’etica è al letto del Paziente, dobbiamo iniziare a raccontare, e condividere, come l’equipe del Cardiotrapianto e Assistenza Meccanica si confronta con gli aspetti di natura etica che, trasversalmente, rappresentano il nucleo della valutazione non per una affermazione arbitraria o formale circa la priorità disciplinare della Bioetica ma perché la disciplina Bioetica indaga sulla ragione che sostiene il percorso terapeutico.

In tal senso rendere espliciti gli elementi che vengono considerati può senz’altro essere di aiuto, non solo per il nostro Centro.


Obiettivo

L’obiettivo di questo contributo è esplicitare gli elementi di natura etica che, implicitamente, caratterizzano la decisione di un ‘piano di cura’ studiato sul paziente. Sentendo, come equipe, la necessità di operare secondo una metodologia etica condivisa.

I due ‘pilastri’ che declinano, generalmente, la discussione in ambito Etico sono:


1.  La relazione Medico/Paziente. MA per la nostra realtà assistenziale pediatrica è sempre mediata dal genitore/tutore; ciò rappresenta una grande sfida: istaurare una relazione inclusiva dalla quale dipenderà, per buona parte, la riuscita del nostro operato. Il paziente è il bambino e sarà a lui che risponderò come clinico, non formalmente ma sostanzialmente, nel declinare un percorso ipotizzato.


2.  Il Principio di Autonomia. Cardine della liceità per ogni scelta che comporta un intervento di natura medica, MA è inapplicabile perché o il piccolo è troppo piccolo o ci troviamo davanti ad un minore consapevole. Ci preme ricordare che, analogamente a tutte le funzioni/capacità che si stanno sviluppando nel periodo dell’adolescenza, anche l’esercizio della personale autodeterminazione valoriale è ‘in formazione’, non possiamo domandare, per fini decisionali, una espressione di Consenso ad un minore.

Qualsiasi adattamento che possa modellare questi due Principi universalmente e trasversalmente condivisi, come il fondamento etico dell’operato del clinico, risulterebbero riduttivi rispetto alla portata del Principio stesso.

Per il rispetto assoluto che dobbiamo all’esercizio dell’Autonomia nella relazione fiduciaria che caratterizza il rapporto medico/paziente accordiamo, così, una priorità al Principio di Beneficialità.

Il Principio di Beneficialità/non maleficenza, come Il Principio di Giustizia, non prevedono una argomentazione relazionale, ma implicano una accurata analisi del Dato Clinico che il medico media/spiega al paziente/genitore perché insieme concorrono a delineare un percorso di cura proporzionatamente volto al bene integrale per l’assistito, sia personale che sociale; proprio su questo accordo condiviso strutturiamo un’analisi che si declina, a partire dalla Medicina dell’Evidenza, in un percorso Personalizzato.

Noi partiamo dal Dato Clinico; o più precisamente, dalla circostanziata manifestazione del Dato Clinico, valutando l’ipotesi di cura in ottemperanza del Principio di Beneficialità.


Metodo

Dobbiamo operare delle scelte che confluiscano in un percorso diagnostico/terapeutico perseguendo il bene medico per il nostro paziente pediatrico affetto da scompenso cardiaco.

Nella consapevolezza che:


• Si tratta di una condizione che comporterà, a prescindere dall’impiego dei diversi rimedi, una cronicità caratterizzata da momenti di riacutizzazione, che accompagnerà il nostro piccolo per tutta la sua vita, lunga o breve che sia.


• L’obiettivo sarà la costante ricerca di una sempre migliore Qualità di Vita come: contenimento sintomatologico del rischio/tossicità legato ai diversi distretti implicati nella cura globale del paziente.


• Qualsiasi intervento pianificato comporta, come condizione, la condivisione/collaborazione del genitore/tutore; in tal senso ogni professionista coinvolto è tenuto ad una informazione che, calmierata sulla capacità di comprensione dell’interlocutore, sia chiara, efficace e condivisa.


•  Il percorso declinato è fluido: deve prevedere l’ipotesi di adattarsi, misurarsi, rispondere a sempre nuove esigenze dettate dalla patologia progressiva.


•  I protagonisti del nostro Percorso di Cura sono il Medico ed il Paziente: genitore/tutore, Psicologo, Personale Infermieristico, Assistente Sociale, Assistente Spirituale ed Eticista sono gli ‘strumenti’ che sostengono questi protagonisti.


• Il nostro Paziente pediatrico è il Soggetto di tutto il nostro operato; non in termini di coinvolgimento nel processo decisionale - in quanto è ideologicamente forviante ipotizzare una assunzione di responsabilità che sia consapevole tanto delle conseguenze prevedibili quanto di quelle non prevedibili - ma come protagonista che detta la linea di condotta terapeutica volta al suo miglioramento/contenimento.


•  Il costante riferimento alla realtà del mondo dell’adulto è dettata, da un lato, dalla maggiore ricchezza di Dati che, operando nell’area pediatrica, abbiamo imparato a ‘leggere’ in ‘riferimento’ al bambino e, dall’altro, riconoscendogli una natura, con conseguente dignità, solo ascrivibile al genere umano dobbiamo, per forza, attingere ai Colleghi che da più tempo e con maggiore frequenza trattano pazienti per i quali hanno dovuto compiere delle scelte e declinare percorsi misurandosi con storie e valori in relazione al ‘Paziente Cardiopatico’. Per noi Pediatri non è un limite ma una affascinante sfida.

Con la necessità di definire:


•  Qualità di Vita. Una equilibrata, quanto esaustiva, indagine conoscitiva, e di riflesso misurabile, su tutti gli elementi di natura fisiologica e valoriale che caratterizzano l’esistenza del nostro paziente nel – NON ‘e del’ - suo contesto familiare e relazionale. Nella valutazione sull’opportunità d’intervenire non si demanda la Qualità di Vita ad un soggettivo percepito familiare perché la Famiglia, giustamente, non possiede tutti gli elementi di natura clinica che si palesano oggi e che, inevitabilmente, comporteranno un certo grado di cambiamento nel futuro, da un lato, e dall’altro alla stessa Famiglia domandiamo di accudire e crescere il nostro assistito; in questo preciso istante si gioca una comunicazione equilibrata ed esaustiva in cui verrà accolto un percorso che comporta un alto livello assistenziale o concordato un accompagnamento nella evoluzione naturale della patologia.  


•  Salute. Come obiettivo perseguibile sempre e comunque “La promozione della salute è il processo che mette in grado le persone di aumentare il controllo sulla propria salute e di migliorarla. Per raggiungere uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, un individuo o un gruppo deve essere capace di identificare e realizzare le proprie aspirazioni, di soddisfare i propri bisogni, di cambiare l’ambiente circostante o di farvi fronte. La salute è quindi vista come una risorsa per la vita quotidiana, non è l’obiettivo del vivere. La salute è un concetto positivo che valorizza le risorse personali e sociali, come pure le capacità fisiche. Quindi la promozione della salute non è una responsabilità esclusiva del settore sanitario, ma va al di là degli stili di vita e punta al benessere”. (OMS, Carta di Ottawa per la promozione della salute, 1986) Proprio in tal senso operano, in sinergia, Psicologi e Assistenti Sociali: nel declinare un programma educativo di sostegno ove si manifestino ‘fragilità’, o difficoltà di accudimento, per garantire l’efficacia prospettata nell’onerosità del percorso terapeutico valutato a beneficio del piccolo.


•  Analisi sulla Allocazione delle Risorse. Come parte integrante di un percorso di cura che declini la fattibilità e l’opportunità, non solo esclusivamente sotto il profilo clinico, ma opportunamente calibrato in relazione alle risorse economiche e sociali che questo percorso comporta. La regola che perseguiamo, sempre in relazione al Principio primo fondato sulla valutazione ascrivibile al Principio di Beneficialità, si può enunciare come: ciò che valuto come ‘bene medico’ per il mio singolo paziente, in un preciso ‘momento’ e davanti ad una circostanziata decisione è un bene reale se, ipotizzandone l’estensione nel tempo e nel numero di pazienti, permane come ‘bene’; viceversa si rischia d’investire risorse economiche e sociali che non affermano la reale Beneficialità neppure per ‘quel preciso momento’ e dinnanzi a ‘quella particolare decisione clinica’

Come procediamo nella valutazione/pianificazione di un piano terapeutico sotto il profilo etico?

Posto come Principio primo la valutazione di un intervento fondato sulla Beneficialità per il paziente, è fondamentale, per il medico, raggiungere un grado di certezza condivisa sulla condizione oggettiva del bambino, o giovane adulto, attuale ed in proiezione al futuro tale da poter essere condivisa con il genitore/tutore.

Procedendo con:


La discussione: avviene, nell’ambito dell’equipe, in modalità collegiale disposti alle diverse osservazioni che provengono dagli specialisti coinvolti - Cardiologo, Cardiochirurgo, Aritmologo, Pediatra, Psicologo, Immunologo, Infermiere, Eticista… - ciò risponde all’esigenza di operare sempre in vista del beneficio, non solo per il Paziente, ma anche per il collega che si dovrà occupare di altro ‘distretto’ in altro ‘tempo’.


•  Il Dato clinico: come primo dato da cui parte un’indagine volta alla individuazione di un percorso di cura che, data la complessità che caratterizza la condizione dei nostri assistiti, comporta un:


Percorso diagnostico: ogni indagine è, a priori, concordata al fine di declinare con sempre maggiore margine di precisione la condizione attuale del piccolo. A differenza del paziente adulto ogni procedura, anche una semplice ecografia, rappresenta un livello di invasività che espone il paziente a esperienza di stress e dolore; ogni intervento diagnostico è valutato rispetto alle attese che nutriamo nei riguardi del risultato: se l’indagine diagnostica ha come obiettivo una maggiore/migliore declinazione terapeutica valutiamo questo esame come un beneficio diretto ascrivibile al paziente; se l’indagine implementa esclusivamente il dato conoscitivo, verosimilmente non sarà un beneficio eseguirla a prescindere dalla invasività o meno della procedura. Nell’ambito assistenziale il valore conoscitivo è in subordine rispetto all’area della Ricerca.


Il percorso terapeutico: sotto il profilo etico si declina sempre secondo i seguenti punti:

    • trasparenza: documentata e tracciata monitorizzazione del paziente nel tempo;
    • appropriatezza: ogni paziente si giova di un percorso terapeutico nel momento in cui può essere garantito il migliore beneficio possibile;
    • equità: la ri-valutazione consente la possibilità di orientare la strategia terapeutica;
    • oggettività: questi criteri sono condivisi all’interno dell’equipe curante multidisciplinare e, nel momento in cui il medico ne ravvisi l’opportunità, con il paziente o la famiglia.


La Ricerca: un protocollo assistenziale non preclude, in subordine alla valutazione del clinico sulla opportunità in vista della Beneficialità, la proposta di un percorso sperimentale previa autorizzazione vincolante dell’Organo preposto: il Comitato Etico. L’opportunità di un arruolamento verrà condiviso con l’equipe curante.


Lo Psicologo: come colui che può declinare gli aspetti di natura personale e valoriale; si tratta di un apporto clinico fondamentale perché permette una relazione sia con il piccolo paziente che con i genitori come ‘spazio di dialogo’ in cui possa emergere l’autonomia decisionale del bambino e le ‘aspettative’ dei genitori. A tal proposito è opportuno ribadire fermamente che, malgrado ci sia una oggettiva immaturità sotto il profilo dell’autodeterminazione, dobbiamo sempre contestualizzare e valorizzare le espressioni che ci provengono dal nostro paziente, perché vivendo personalmente la condizione limitante dettata dalla cronicità il ragazzino può manifestare una maturità valutativa che deve essere considerata in relazione alla Centralità dovuta al Paziente. L’esperienza del dolore, della mancanza e della paura hanno un valore soggettivo e personale, ma nella condivisione delle attese circa una ‘ipotesi’ di miglioramento, acquistano una valenza oggettiva e misurabile ascrivibile al perseguimento di un bene percepito.


L’Aspetto Sociale: merita accurata attenzione perché il calcolo del beneficio non può prescindere dalla capacità di accoglimento ed aderenza di ‘un’ percorso, qualsiasi percorso. Il clinico ha la necessità di operare in sinergia con il caregiver: il piccolo è scrupolosamente seguito dall’Ospedale nel periodo, più o meno lungo, del ricovero MA il nostro obiettivo è il rientro a casa; il beneficio, per pianificare un percorso assistenziale su un paziente cronico, è calcolato anche rispetto all’oggettiva capacità genitoriale di mantenere, secondo le indicazioni mediche, la stabilità/miglioramento del paziente quando tornerà a casa. Compito dei Servizi Sociali è attivare tutte le risorse che possano ‘sostenere’, ove se ne ravvisi la necessità, il gravame della Famiglia.   


•  La Famiglia: come ‘un’ interlocutore privilegiato. Il bene medico, è il fondamento del Principio di Beneficialità che è il Principio su cui si è strutturata la nostra esperienza di Ambulatorio Coordinato per la valutazione del Cardiotrapianto e Assistenza Meccanica, è posseduto nella sua perfetta declinazione dal Medico, anzi per la maggior parte dei nostri assistiti per ottenere questo ‘possesso’ è indispensabile attingere da più e diversi specialisti, in relazione alla circostanziata condizione clinica del suo assistito; così, in virtù di una continuità al di fuori del regime ospedaliero, è indispensabile un accordo che includa anche le aspettative che i genitori nutrono nei riguardi del generato. Ove la decisione clinica, sempre sulla Beneficialità, raggiunge un grado di certezza nella condivisione della conoscenza medica, rientreranno tutti gli elementi ascrivibili alla personale disponibilità di proseguire con un piano intensivo assistenziale, MA nel rispetto della libertà di adesione che attiene, appunto, alla Famiglia. Ove la decisione clinica, sempre sulla Beneficialità, NON raggiunge un ‘certo’ grado di certezza, la discrezionalità del clinico, nella comunicazione con la famiglia, deve essere resa manifesta affinché la decisione che le spetterà implichi un maggior carico di responsabilità. Spesso, nella incertezza dettata dalla complessità, un atteggiamento di trasparente condivisione sostiene tanto il medico quanto il genitore. I nostri pazienti ci insegnano, quotidianamente, che l’Ars Medica è una conoscenza sempre per approssimazione e mai paga di sé stessa   


La comunicazione: è il momento di restituzione del lavoro di equipe.


Conclusione

Fino a che la bioetica è stata confinata come ‘disciplina accademica’ lo scontro tra i diversi presupposti antropologici era la condizione che connaturava il suo contributo; dal momento in cui si è iniziato ad impiegare la disciplina come strumento per la decisione clinica, diviene urgente un ripensamento, non sul fondamento del nostro convincimento, ma sulla ricchezza e varianza della relazione professionale con un ‘altro’ strutturalmente diverso da me che pone/riconosce come fondanti dei valori che, inevitabilmente, sono diversi dai miei.

È orientato al beneficio del nostro paziente pediatrico un ‘determinato’ percorso terapeutico?

Per rispondere a questa domanda è indispensabile costruire un percorso analitico che, motivando la decisione, fornisca le ragioni condivise sulla proposta di cura.

La risposta, che sarà maturata nella relazione tra il medico ed il genitore ha, pur riconoscendo le infinite possibilità circa l’opportunità di fare o non fare diversi percorsi assistenziali data la diversità tra i protagonisti della decisione, una ‘radice’ comune nel dato di partenza: dobbiamo fare una scelta a partire dall’evidenza di operare per il Bene di una persona incapace di manifestare compiutamente la propria volontà.

Nella consapevolezza che:


•  La consuetudine ad ‘esperienza consolidata’ non genera, in automatico, una valutazione a favore della Beneficialità.


•  Percepiamo l’urgenza di una unità di valutazione da cui possano scaturire le proposte sui diversi percorsi clinici.


• La declinazione delle specificità di ogni professionalità non è occasione di affermazione ‘personale’ ma un servizio al collega.


•  La libertà di poter mutare la strategia terapeutica in ogni momento.


•  La scelta di ‘una’ strategia, compatibilmente alla sicurezza per il paziente, deve poter contemplare l’ipotesi di ‘mutare la strategia’.


•  La gradualità terapeutica ha come parametro privilegiato il beneficio per il paziente.


• La valutazione del parametro rischio/beneficio, in alcuni casi, non può esimersi dalla considerazione circa l’impossibilità dettata da una oggettiva mancanza di alternativa terapeutica. Occupandoci di assistenza per un paziente pediatrico che vive una condizione di cronicità, inevitabilmente si istaurano delle relazioni affettive che rendono ‘titanico’ il calcolo del beneficio quando il rischio è rappresentato dall’evento morte. Questa oggettiva condizione reale e relazionale può essere sostenuta – NON vicariata - solo in una condivisione con l’equipe con la quale si è declinato il percorso fondato sulla Beneficialità.