Anno Accademico 2022-2023
Vol. 67, n° 1, Gennaio - Marzo 2023
Simposio: Impatto del lockdown e dell’isolamento: ciò che resta del COVID-19 nell’anziano
13 dicembre 2022
Simposio: Impatto del lockdown e dell’isolamento: ciò che resta del COVID-19 nell’anziano
13 dicembre 2022
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L’anziano ricoverato si trova in un nuovo mondo. Al di là della malattia tutto è cambiato!
Spesso indossano pigiami o camici da ospedale. I familiari sono lontani e non sono ammessi a visitare parenti. Rimarranno pertanto soli in una stanza o al massimo con uno o più compagni di stanza poco comunicativi, che spesso si lamentano e danno al degente una maggiore angoscia. Le procedure ospedaliere possono disorientare, avendo orari organizzativi ovviamente diversi da quelli di casa e l'evento di un accesso alla Terapia Intensiva amplifica tutti questi problemi, anche per i segnali acustici di tutti i monitor e la luce forte senza differenza tra giorno e notte. Il tutto finisce per procurare un grave stato confusionale e un declino cognitivo spesso non completamente reversibile.
Pertanto non solo il fisico ne risente, ma anche la salute mentale.
Diversi studi, nella popolazione anziana, hanno descritto le conseguenze dell’isolamento ospedaliero e/o domiciliare, come un maggior rischio di depressione, disturbi emotivi, stress, irritabilità ed insonnia spesso associati a più alti tassi di suicidio.
Tuttavia, gli effetti dell’isolamento da COVID-19 sulla salute degli anziani non sono stati ancora ampiamente approfonditi. Pertanto, lo scopo di questa relazione è analizzare i potenziali effetti dell'isolamento ospedaliero causato dalla pandemia sulla salute mentale e fisica negli anziani.
La solitudine
In una bella pubblicazione uscita su Lancet Public Health a maggio del 2020, Armitage R. e Nellums L. hanno fatto il punto delle conseguenze dell'isolamento negli anziani, mettendo in evidenza come l'avvento del COVID nel 2019 ha costretto la popolazione anziana in Inghilterra ad isolarsi per un lungo periodo, sia per proteggersi da una malattia grave che per evitare un sovraccarico sul sistema sanitario nazionale.
Questo isolamento sociale però, diventa un vero disagio per la salute pubblica in quanto è stato dimostrato che aumenta il rischio di malattie cardiovascolari, autoimmuni, neurocognitive. Inoltre, si è evidenziato che il distacco dai contatti sociali mette gli anziani ad un maggior rischio di depressione, ansia, disturbi del sonno e rischio di demenza.
Le persone che si sentono sole, a differenza dei soggetti che non hanno queste angosce, mostrano distorsioni automatiche dell'attenzione, interpretate come minacce sociali ad personam, coinvolgendo aree cerebrali deputate all'attenzione, alla rappresentazione di sé e al tono dell'umore, quali l'amigdala.
Il ricovero ospedaliero separa bruscamente gli anziani dagli usuali contatti sociali ma con le tecnologie informatiche, attualmente fruibili, si potrebbero correggere questi inconvenienti. C’è però da considerare che le persone anziane spesso non sono ancora in grado di utilizzare, nell’immediato, tali mezzi.
L'isolamento durante la pandemia, non è stato come quello lento e progressivo che spesso si riscontra nella persona anziana in una vita di relazioni normali, ma è stata una repentina esigenza di protezione della popolazione dal pericolo di un contagio potenzialmente mortale. Sicuramente l'isolamento protegge da questa malattia, ma toglie quelle risorse al sostegno del benessere e della normale sensazione del tono dell'umore che il contatto sociale dà all'anziano.
Morire da soli
Un problema messo in evidenza con questa pandemia è quello della solitudine nella parte terminale della vita dei nostri nonni che va risolto assolutamente. Questo avviene specialmente nei luoghi di ricovero dove i malati gravi, che non possono essere tenuti in casa, sono ricoverati in strutture per acuti o per lungodegenti ove però l'accesso ai familiari e agli amici non è consentito.
La solitudine è ancora più dolorosa, sia per i malati che per la famiglia, quando la malattia porta a una fase terminale e quindi vi è il pericolo di morire da soli come la cronaca ci ha narrato ed il libro “Emozioni virali. Le voci dei medici dalla pandemia” ci ha ben descritto. Il dolore e l'angoscia del morire soli coinvolge i nostri malati che non hanno la possibilità di stringere una mano amica e guardare un volto conosciuto. Questa sofferenza è anche il dramma di coloro che amano quella persona e che non hanno avuto la possibilità di essere vicini come avrebbero voluto al momento del trapasso. La mancata conoscenza della progressione della malattia nei minimi particolari e l’impossibilità di avere la notizia di un imminente distacco non comunicato, porta all’impossibilità di elaborare il lutto nei giusti tempi, il tutto aggravato dalla mancata opportunità di vedere la salma e di assistere al rito funebre.
Tali problemi sono stati messi in evidenza da Marco Geddes, presidente di Filicaia, che ha posto l'accento sul fatto che in una situazione ad alto rischio si sia dovuto scegliere tra la lesione dei sentimenti con la limitazione della libertà e la possibilità di diffusione dei contagi. In realtà si è scelto il male minore.
Nelle strutture di ricovero, per favorire i contatti si potrebbero attrezzare spazi appositamente adeguati, permettendo attraverso un vetro e un microfono, il colloquio diretto tra pazienti e parenti con la possibilità sia visiva che vocale. Nel caso di malati terminali, se ritenuto necessario, anche se in periodi pericolosi e drammatici, la presenza di una persona cara correttamente equipaggiata sarebbe auspicabile. Altra situazione dolorosa è quella del decesso di una persona sola senza parenti conosciuti al momento. In questo caso è necessario attivare procedure per conservare la salma, consentire la ricerca e il rintracciamento dei parenti prima di procedere ad una sepoltura o incenerimento.
Sopravvissuti e rinchiusi in casa nel terrore
Molte persone dopo la dimissione, si rinchiudono in casa terrorizzati di avere una recidiva. È stata fatta un’indagine su un campione di 645 ultrasessantacinquenni dall’Associazione Senior Italia che ha evidenziato come la vita degli anziani sia radicalmente cambiata. L’80% è ancora traumatizzata dal COVID-19, il 19,8% di questi ha paura di morire, il 38,6% teme di ritornare in ospedale ed il 34,7% d’incorrere nella possibilità di morire solo. Spaventa più di un terzo degli intervistati l'incertezza del futuro. Questo cambiamento di vita porta alla difficoltà di poter accedere ai controlli programmati per le malattie di base, ma addirittura il 36,3% ha avuto grandi difficoltà a contattare i medici specialisti ed il 19,3% di comunicare con gli uffici pubblici.
È evidente anche una problematicità ad approvvigionarsi sia di medicine che di alimenti consentiti e consigliati dalla dieta prescritta e la difficoltà di restare in contatto col proprio medico di famiglia.
I supporti informatici quali uso del telefono, WhatsApp, email e videochiamate, sono difficili per molti anziani. Questo crea loro un grande disagio ed il rischio di rimanere senza assistenza. Tale situazione è convalidata dal fatto che solo il 19,5% del campione intervistato è riuscito ad effettuare visite specialistiche ed esami diagnostici che erano invece programmati addirittura prima della pandemia. Di questi solo il 35% è riuscito a sottoporsi a queste visite con grande difficoltà e notevoli ritardi.
In una intervista effettuata dall'AGI (Agenzia Giornalistica Italia) ad un operatore del numero telefonico 1500 (numero di pubblica utilità gestita da Almaviva e istituito dal Ministero della Salute per fornire risposte, assistenza e aiuto alle persone in piena pandemia) le telefonate degli ultrasettantenni, soprattutto donne, diventa sempre più drammatica con l’avanzare dell’età. Vi sono inoltre ogni giorno almeno 130 telefonate, il più delle volte di persone non malate ma con necessità di essere rassicurate.
Le conseguenze psicologiche
La pandemia da COVID-19 ha avuto conseguenze drammatiche e continua ad averne su tutta la popolazione, specialmente quella anziana che ne è stata colpita. Molti possono adattarsi ad un graduale ritorno alla normalità, ma le conseguenze dell’infezione nel lungo termine, Sindrome del Long Covid, hanno notevoli ripercussioni sia sul piano fisico che psichico. Il perdurare dei sintomi della sfera emotiva può spingere al rifiuto di lasciare la propria casa e continuare un isolamento volontario protratto, situazione conosciuta anche con il nome di "Sindrome della Capanna".
Una volta superata la fase critica della malattia o dell'isolamento, vi sono segni che in parte riflettono il residuo fisico della malattia ed in parte i danni psicologici (quali dispnea, cefalea, stanchezza, alterazioni del tono dell'umore, stati d’ansia, insonnia e perdita della memoria).
Tali sintomi sono stati evidenziati in una metanalisi (comprensiva di 16 studi - 78255 partecipanti) condotta da Mogesie N et al. in cui si è rilevato come l’ansia coinvolga il 38,12% dei soggetti studiati in Cina ed il 47% ed il 70 % in altri paesi quali l'Italia e l'India. Visto il notevole impatto epidemiologico, non vi è dubbio, quindi, che l'ansia e la depressione siano problemi di salute mentale pubblica potenziale di tutta la comunità globale. Viene suggerita pertanto la necessità di un riconoscimento precoce di queste patologie e di un intervento immediato fin dal sorgere della malattia.
COVID-19 e disturbi del sonno
Numerosi studi si sono occupati delle sequele provocate dall’infezione da SARS-COV2 sul sonno. Un lavoro di novembre 2021 edito su Lancet Psychiatry ha dimostrato, prendendo in esame 60.000 persone ammalate di COVID-19, che l'insonnia occupa in questi malati il secondo posto tra i disturbi psicologici dopo l'ansia e come questa, una volta comparsa, possa divenire permanente.
L'insonnia persistente, una volta comparsa, indipendentemente dalla condizione momentanea del paziente diventa bidirezionale in quanto va ad ampliare i disturbi cognitivi, endocrino-metabolici, cardiovascolari e del tono dell'umore. Per di più, l'associazione medica brasiliana nel supplemento del 2020 del suo giornale, ha messo in evidenza una riduzione della capacità immunologica e la comparsa della fragilità.
Molti studi hanno cercato di dare una risposta a questi disturbi del sonno individuando nell'alterazione dei ritmi biologici, legati all'isolamento forzato, la rottura dei ritmi circadiani normali. In un ricovero si rispettano tabelle ospedaliere e gli orari dei pasti sono programmati in maniera ben diversa dall'abituale domiciliare.
Altro problema che può influenzare il sonno è quello dell’alimentazione scorretta legata alla paura o all’impossibilità di uscire da casa, per cui vi è scarsa varietà di alimenti peraltro solitamente a lunga conservazione.
L’alterazione del sonno fisiologico così indotta, viene definita come “Disturbo post traumatico da stress”. Ad ulteriore conferma una ricerca di mercato ha mostrato che le vendite di sonniferi sono aumentate del 40%.
L'alterazione del ritmo sonno veglia oltre a determinare un aumento dei livelli di stress, ansia e depressione sembrerebbe mostrare negli anziani un legame bidirezionale con le patologie neurologiche (accelerazione nell’insorgenza di disturbi neurodegenerativi quali demenza vascolare, parasonnie e sindromi parkinsoniane).
Declino cognitivo post-infettivo
In un’interessante pubblicazione edita su Molecular Neurodegeneration del luglio 2021, sono stati studiati 1536 ultrasessantenni ricoverati negli ospedale di Wuhan dal 10 febbraio fino al 10 aprile 2020 e paragonati per controllo con 466 ricoverati non COVID. Questo lavoro ha evidenziato come gli anziani con ARDS da SARS-Cov2 presentino un incrementato rischio di declino cognitivo nel lungo termine.
Purtroppo tale pericolo non esiste solo per i malati che hanno avuto una malattia severa, ma anche per coloro che hanno presentato una forma paucisintomatica in quanto predisposti geneticamente o affetti da comorbidità preesistenti che faciliterebbero l’insorgenza di una demenza vascolare.
Cosa ha insegnato la pandemia
Sicuramente la pandemia continua ad avere conseguenze drammatiche su tutta la popolazione (Sindrome da Long COVID) in particolare su quella anziana con ripercussioni sulla salute fisica, psicologica e cognitiva. Dobbiamo quindi aiutare i nostri anziani fornendo loro degli strumenti finalizzati a riconoscere le proprie emozioni, programmare obiettivi concreti e pratici nella vita di ogni giorno per recuperare quelle energie che permettono una vita piena. Fare sport, leggere libri, cucinare, dipingere, prendersi cura delle piante, lavori manuali che andrebbero a stimolare le capacità creative rinforzando il buon umore e la voglia di vivere.
Prendiamo, a questo proposito, in prestito le parole di John Kabat Zinn, medico statunitense Direttore della Clinica per la riduzione dello Stress presso l'università del Massachusetts: "Non puoi fermare le onde ma puoi imparare a cavalcarle".
Compito importante sarà quello delle istituzioni e del terzo settore. Organizzare e coordinare le numerose realtà territoriali e garantire livelli di servizi adeguati ed efficienti per i bisogni della popolazione anziana. È questa una zona grigia dove un'analisi specifica di natura medica potrà caratterizzare le differenze tra soggetti indicando i reali bisogni orientati alla situazione individuale. In questo contesto occorre organizzare e armonizzare i classici interventi più o meno assistenziali, strutturati, di sostegno fisico ed economico già esistenti, con interventi di prossimità all'anziano per non farlo cadere in un vortice di depressione e di abbandono.
L'attività del volontariato, attualmente complementare ed integrativo, si dovrà armonizzare con la rete standard dei servizi sanitari e di assistenza economica. Questi interventi coordinati tra servizi sociali e terzo settore consentirebbero il riconoscimento a livello locale delle necessità individuali e peculiari per la singola persona, attivando le tecnologie moderne per contrastare sul nascere i danni del post COVID nella terza età.
L'insegnamento di nuove tecnologie e l'utilizzo in pieno di quelle già conosciute, aumenterà la vicinanza relazionale per consentire trattamenti terapeutici e contatti informali (telefonate, sms, videochiamate) garantendo un senso di appartenenza ad una comunità. A conferma di ciò vi è una ricerca di Markward T. del 2019, che ha dimostrato come le videochat siano indicate come un rimedio al rischio di depressione. Non ultimo, accanto a queste soluzioni tecnologiche, è stato suggerito l'intervento delle istituzioni per modificare contesti sociali e ambientali applicando modelli europei con il concetto del “Aging in Place", allo scopo di favorire convivenze tra giovani studenti e anziani. Ciò ha evidenti vantaggi sia sul piano economico, derivante dal supporto statale alle due categorie, che per il naturale aiuto reciproco indotto dalla convivenza.
In conclusione, sicuramente la pandemia ci ha fatto capire che il distanziamento sociale, inevitabile per ridurre i contagi, ha provocato un aggravamento dell'isolamento già esistente dell'anziano e che bisogna intervenire subito con una serie di nuove attività. Gli anziani più che prendere solo medicine devono essere educati alla tecnologia per permettere, anche quando la pandemia sarà solo un lontano ricordo, un controllo più serrato ed efficace dei parametri vitali mantenendo nel contempo attive le relazioni interpersonali, vera ed importante cura.
Così solo, si potrà difendere la bellezza e il valore della terza età, patrimonio per la collettività moderna. La società infatti, deve offrire ai suoi anziani uno “spazio” ideale e concreto nel quale possano invecchiare bene. Occorre quindi guardarsi da una sorta di “infantilismo” che vorrebbe privilegiare sotto ogni aspetto la gioventù, mentre l’età senile è considerata quasi uno scarto di esistenza. La riscoperta del senso e della preziosità della vecchiaia, con il suo impareggiabile bagaglio di saggezza e di esperienza non può che risolversi in un grande beneficio per l’intera collettività.
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