Anno Accademico 2022-2023

Vol. 67, n° 2, Aprile - Giugno 2023

Simposio: Rischio clinico e sicurezza del paziente. Conoscere per prevenire

17 gennaio 2023

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La sinergia fra rischio clinico e rischio infettivo

A. Silvestri

Il Rischio Clinico rappresenta la probabilità per un paziente di rimanere vittima di un evento avverso, ossia che subisca un qualsiasi “danno o disagio imputabile, anche se in modo involontario, alle cure mediche prestate durante il periodo di degenza, che causa un prolungamento del periodo di degenza, un peggioramento delle condizioni di salute o la morte” (Fig. 1).

Fig. 1. Definizione del “rischio clinico”.

In altre parole, il rischio clinico è quella situazione non prevista e non voluta in cui medici, infermieri e altri operatori sanitari possono scivolare in un giorno qualsiasi durante l’esercizio della loro professione. Una distrazione, un piccolo errore, una dimenticanza, una cattiva procedura, una mancanza di chiari indirizzi, una assenza di linee guida: le cause di un errore sono molteplici ma le conseguenze di tale errore possono essere assai poche. Nella maggior parte dei casi non succede nulla, in una percentuale più piccola i danni per il paziente sono minimi o comunque recuperabili senza conseguenze, in un’altra piccola percentuale il danno è più serio, pone a rischio la vita stessa, i danni possono essere permanenti fino al caso estremo del decesso.

La situazione più seria, quella più tragica per il paziente, finisce qualche volta sui giornali (come caso di malasanità) e determina conseguenze drammatiche anche per gli operatori coinvolti che avranno il peso di aver determinato un danno irreparabile ad un paziente, le richieste di risarcimento, le indagini della Procura, le indagini interne, il rischio di sospensioni e/o licenziamenti.

In tale contesto, la “mission” affidata al Risk Management è rappresentata dalle attività mirate alla identificazione del rischio sanitario e alla individuazione delle attività da porre in atto al fine di eliminare, o quanto meno ridurre l’occorrenza.

Un “evento avverso” è definito come un evento indesiderabile che comporta un danno al paziente non correlato alle sue condizioni cliniche, ma al processo assistenziale.

Un “near miss” è rappresentato da un errore che ha le potenzialità di causare un evento avverso ma che non si verifica per caso fortuito o perché intercettato o perché non ha provocato danno al paziente.

Fig. 2. Evento “sentinella”.

Un “evento sentinella” è un evento avverso di particolare gravità, che può provare morte o grave danno al paziente e che determina una perdita di fiducia del cittadino nei confronti del servizio sanitario. Per la sua gravità, è sufficiente che esso di verifichi anche solo una volta perché da parte dell’organizzazione si renda opportuna (Fig. 2, 3):

   •  una indagine immediata;
   •  l’implementazione di adeguate misure correttive.

 

 

 

 

Fig. 3. Lista “eventi sentinella” secondo il Ministero della Salute.

 

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha evidenziato, in vari documenti prodotti, la necessità che sia la stessa organizzazione sanitaria ad intervenire per assicurare ai pazienti l’erogazione di prestazioni altamente qualificate e sicure.

Fig. 4. Scheda di segnalazione di “evento avverso”.

L’errore è insito nei sistemi complessi e la sicurezza dei pazienti deve essere continuamente presidiata e le criticità affrontate secondo un approccio multidimensionale, considerando ed integrando i vari aspetti: il monitoraggio e l’analisi degli eventi avversi, l’elaborazione e diffusione di raccomandazioni e pratiche per la sicurezza, il coinvolgimento di pazienti e cittadini, la formazione degli operatori sanitari (Fig. 4).

Tale approccio è definito come Gestione del Rischio Clinico che rappresenta un elemento di Governo Clinico, il quale viene definito come “il sistema attraverso il quale le organizzazioni sanitarie si rendono responsabili per il miglioramento continuo dei loro servizi e garantiscono elevati standards di performance assistenziale, assicurando le condizioni ottimali nelle quali viene favorita l’eccellenza clinica” (Fig. 5, 6).

 

 

 

Fig. 5. Gestione del rischio clinico.

Fig. 6. Strumenti di valutazione del rischio clinico.

 

Le infezioni correlate all’assistenza (ICA) hanno un rilevante impatto assistenziale con una prevalenza nei Paesi ad alto reddito attestata su un range di valori compreso tra il 3.8% al 12%.

Di fatto le ICA sono uno degli eventi avversi più frequentemente riscontrati e determinano un importante aumento della morbosità, della mortalità ed un conseguente costo economico.

Un fattore che contribuisce ad aggravarne l’impatto è la diffusione di ceppi batterici antibiotico-resistenti (AMR) dovuta principalmente ad un utilizzo inappropriato di queste molecole sia nel campo della Medicina umana che veterinaria. Questo tema riveste particolare rilevanza nel nostro Paese dato che l’Italia risulta essere uno degli stati europei con i più alti tassi di incidenza relativi a questo fenomeno e primo per carico stimato di decessi nell’area economica europea (un terzo del totale).

Le istituzioni europee hanno ribadito l’importanza che il controllo e la prevenzione delle ICA rivestono come strumento per garantire la qualità e la sicurezza delle cure. Il Consiglio dell’Unione Europea con la raccomandazione del 9 giugno 2009 “on patient safety, including the prevention and control of healthcare associated infections” nei punti 8 e 9 ha sottolineato l’importanza di considerare le attività di prevenzione e controllo delle ICA come parte integrante dei programmi atti a garantire la sicurezza del paziente. In particolar modo è stata ribadita l’importanza di adottare adeguate azioni specificamente ritagliate sul livello di applicazione (nazionale, regionale e di singola istituzione) e inoltre di integrare attività che favoriscano un uso prudente degli agenti antimicrobici nella Medicina umana.

Il tema delle ICA e del controllo della diffusione delle AMR è entrato a far parte del “Piano nazionale della prevenzione PNP”, dove questi temi sono stati ritenuti di fondamentale e prioritaria importanza per garantire la salute pubblica.

Altro riferimento normativo, che introduce elementi di notevole rilevanza per aspetti correlati al rapporto tra rischio clinico e rischio infettivo, è la Legge 8 marzo 2017, n. 24 “Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie” che prevede l’istituzione dei “Centri Regionali per la Gestione del Rischio Sanitario e la Sicurezza del Paziente” e dell’“Osservatorio Nazionale delle Buone Pratiche sulla Sicurezza nella Sanità” presso l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (AGENAS). Compito del Centro Regionale per la Gestione del Rischio Sanitario e la Sicurezza del Paziente è quello di trasmettere annualmente all’Osservatorio Nazionale delle Buone Pratiche i dati regionali su rischi ed eventi avversi e sul contenzioso delle strutture sanitarie e sociosanitarie pubbliche e private. L’Osservatorio Nazionale delle Buone Pratiche ha sia la funzione di collettore di questi e di altri flussi dati, come quelli provenienti dal flusso SIMES, sia di individuare misure idonee per la prevenzione e la gestione del rischio sanitario, il monitoraggio delle buone pratiche e la formazione dei professionisti sanitari (Fig. 7).

 


Fig. 7. Documento di consenso tra Ministero della Salute e Regioni su rischio clinico e rischio infettivo.

 

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definisce le infezioni correlate all’assistenza (ICA) come una “infezione che si verifica in una persona assistita durante il processo di cura in un ospedale o in un’altra struttura sanitaria e che non era presente o in incubazione al momento del ricovero”.

Ciò include anche infezioni contratte in ospedale, ma che compaiono dopo la dimissione, e le infezioni professionali degli operatori della struttura sanitaria.

Le ICA rappresentano un importante problema di salute pubblica per diversi motivi:

  1. elevata frequenza;
  2. prolungamento delle degenze ospedaliere;
  3. aumento della disabilità a lungo termine e della mortalità;
  4. aumento del fenomeno dell’antimicrobico-resistenza (AMR);
  5. onere finanziario sui sistemi sanitari a causa dei costi derivanti dai punti precedenti nonché dal contenzioso giudiziario che ne consegue.

La reale incidenza delle ICA a livello globale non è nota con precisione, perché nella maggior parte dei paesi non esistono adeguati sistemi di sorveglianza. Secondo il Centro Europeo per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie (ECDC), ogni anno oltre 3,2 milioni di pazienti in tutta l’Unione Europea sviluppa una ICA, con un numero di decessi direttamente correlati all’infezione stimato in circa 37.000/anno. Per quanto concerne lo scenario italiano, si stima che il 5-8% dei pazienti ricoverati sviluppi una ICA, prevalentemente infezioni dell’apparato genitourinario seguite da quelle della ferita chirurgica, dell’apparato respiratorio e dalle infezioni sistemiche.

Non tutte le ICA sono prevenibili. Oltre ai rischi infettivi direttamente collegati ad alcune procedure e interventi chirurgici, alcune categorie di pazienti presentano un rischio particolarmente elevato di sviluppare una ICA come, ad esempio, quelli con alterazioni delle difese immunitarie: in questi casi anche microrganismi a bassa patogenicità e virulenza possono provocare infezioni gravi o letali. Non è un caso, infatti, che le ICA presentino una maggiore frequenza nei pazienti ricoverati in terapia intensiva, negli ustionati, nei candidati o sottoposti a trapianto, nei pazienti oncologici e nei neonati.

Tuttavia, nell’insorgenza delle ICA spesso un ruolo non secondario è rivestito da fattori almeno in parte prevenibili, che riguardano la dimensione strutturale e tecnologica, quella organizzativo e quella professionale. Questo rende indispensabile adottare strumenti per il miglioramento della qualità e della sicurezza assistenziale fra cui possono citarsi, a titolo di esempio: l’igiene delle mani, la riduzione delle procedure diagnostiche e terapeutiche non necessarie, il corretto uso degli antibiotici e dei disinfettanti, la sterilizzazione dei presidi, il rispetto dell’asepsi nelle procedure invasive, l’igiene ambientale, l’utilizzo appropriato della profilassi antibiotica, la profilassi vaccinale (ove possibile), la sorveglianza delle infezioni, le precauzioni standard e di isolamento quando indicate. È fondamentale anche l’informazione e la formazione sulle ICA, che va rivolta non solo agli operatori sanitari, ma anche ai pazienti e caregiver, al fine di costruire e rafforzare un’alleanza virtuosa per contenere il più possibile il rischio infettivo.

Per integrare e utilizzare al meglio le risorse esistenti, in termini di competenze e professionalità, si auspica di focalizzare le azioni su alcuni obiettivi ritenuti prioritari, per i quali l’integrazione tra chi ha funzioni e competenze relative al rischio clinico e chi opera nello specifico ambito del rischio infettivo possa concretamente consentire di ottenere risultati più efficaci ed in tempi più contenuti.

A tale proposito si auspica l’organizzazione di momenti di incontro a livello nazionale con l’obiettivo di identificare gli obiettivi ritenuti prioritari e pianificare azioni comuni per il loro raggiungimento; su questi sarebbe anche opportuno dare indirizzi per azioni integrate a livello regionale e aziendale.

Indipendentemente dal modello organizzativo adottato a livello regionale sulla base della legge 24/2017, è necessario che le Regioni/PA adottino e attuino un programma per la prevenzione e il controllo delle ICA e delle AMR coerente con le evidenze internazionali e con quanto previsto dai piani nazionali (es. PNCAR).

Per fare questo si rende necessario che, sulla base del modello organizzativo assunto dal SSR, ove non ci sia una gestione coincidente, vi sia una stretta integrazione tra il Centro Regionale per la Gestione del Rischio Sanitario e la Sicurezza del Paziente e la struttura organizzativa referente per ICA e AMR, al fine di generare sinergie, visione unitaria, coerenza nei processi decisionali e nell’azione tra i diversi soggetti responsabili a livello regionale/PA.

Per promuovere programmi efficaci di contenimento del rischio infettivo e in accordo con quanto previsto dal PNCAR, le regioni debbono dotarsi di sistemi di sorveglianza ad hoc. È opportuno, inoltre, che le informazioni derivanti dai sistemi di sorveglianza delle ICA e dell’antibiotico-resistenza siano affiancate da quelle derivabili da flussi tradizionalmente di interesse dei Centri Regionali per il Rischio Clinico (Fig. 8).

 


Fig. 8. Documento di indirizzo della Regione Lazio su prevenzione e controllo delle ICA.