Anno Accademico 2022-2023

Vol. 67, n° 3, Luglio - Settembre 2023

Settimana per la Cultura

04 aprile 2023

Copertina Atti Terzo Trimestre 2023 per sito.jpg

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La nota di Dio: musicoterapia all’Ospedale Santo Spirito in Saxia dal 1500 al 1700

R. Giordano

L’Ospedale di Santo Spirito in Saxia a Roma venne fondato da Papa Innocenzo III (sulle rovine della casa di Agrippina major, madre di Caligola e moglie di Germanico, e della Schola Saxonum creata nel 727 da Ina del Wessex, re dei Sassoni per ospitare i pellegrini inglesi). Avuta la donazione dal Re Giovanni Senza Terra, il Papa affidò la direzione del nuovo ospedale a Guido di Montpellier, cavaliere francese, templare, creatore dell’ordine dei Confratelli Ospedalieri. Da allora, anno 1198, l’arcispedale diventa il nosocomio ufficiale dei Papi e la sua storia va di pari passo alle attività musicali che in esso si svolgevano. Il Santo Spirito è stato protagonista di una esperienza importante di MUSICOTERAPIA, e nell’ospedale si è utilizzata la musica anche a scopo terapeutico da sempre, ma in particolare nel periodo tra il 1540 circa ed il 1737 (ma non si può dimenticare già alla fine del Trecento l’attività di Zacara da Teramo).


La Musicoterapia

La storia di questa esperienza della musica usata come supporto terapeutico nello storico Ospedale Romano dei Papi è eccezionale, assolutamente innovativa ed in grande anticipo sui tempi! Alla metà del Cinquecento viene posizionato nel centro delle Corsie Sistine dell’Ospedale Santo Spirito in Saxia (corsie così chiamate perché fatte realizzare da Papa Sisto IV) un grande organo, pare su proposta di S. Filippo Neri. Organo che era ancora attivo fino alla seconda metà del Settecento. Inoltre un suonatore di flauto presente nel bellissimo affresco sulla parete della Sala del Commendatore opera dei fratelli Zucchi, ci ricorda che, per esempio, nello stesso ospedale si suonavano strumenti a fiato nelle zone dedicate al parto e all’allattamento dei neonati. Ed ancora i suonatori dipinti nel Liber Regulae Sancti Spiritus (della fine del Trecento), musici di piva e di mandola, nonché cantori, confermano che in questo nosocomio venivano usati regolarmente altri strumenti musicali anche nelle zone destinate all’assistenza.

Qualche altra osservazione. Ho ricordato che nel dipinto che si trova nel palazzo del Commendatore e che riproduce una scena di allattamento dei piccoli abbandonati, c’è un personaggio, che a prima vista potrebbe anche essere un pastore ciociaro il quale suona il flauto. Musica in questo caso usata per rilassare le nutrici e così facilitare l’uscita del latte, ed avere un effetto benefico nei bambini, anche propiziatorio del sonno.Dove era posizionato l’organo nelle Corsie Sistine? Esattamente davanti all’altare di San Giobbe, la data di installazione dovrebbe essere il 1546, e l’inaugurazione dovrebbe essere avvenuta più o meno in contemporanea a quella dell’organo istallato nella chiesa attigua di Santa Maria in Saxia, organi ambedue costruiti da Nicola da Cremona.                                               

Il periodo d’oro di queste attività è stato senz’altro il Seicento. Nel 1737 vennero chiuse la cappella musicale (aperta intorno al 1550) e la stamperia per spartiti, ed abolita la processione in musica delle Zitelle. Invece l’organo delle corsie è stato rimosso e distrutto all’inizio dell’Ottocento, dopo anni di inattività. Ecco perché, quando mi sono occupato di questo recupero culturale e musicale, ho creato come titolo emblematico per il progetto quello di Baroque Health Music. Progetto nel quale sono stato supportato da molti artisti ma in particolare da Vito Ranucci ed Alessandro Gwis. Le elaborazioni musicali di cui si parla in questa relazione sono state pubblicate in un disco dall’editore CNI (Compagnia Nuove Indye, 2019) col titolo “Baroque Music Health”. E sicuramente l’ascolto delle musiche sono il perfetto completamento alla lettura di queste mie note scritte.

Emblematica di questa funzione di musicoterapia dell’organo del Santo Spirito è una testimonianza dell’epoca che ho ritrovato che racconta che, quando si avvicinava la sera ed i fantasmi della sua Depressione e Melanconia si facevano più intensi, il grande Francesco Borromini veniva qui in corsia, ascoltava la musica, e ne riusciva rasserenato.


I Musicisti  

Molti sono i compositori importanti che hanno lavorato in quel periodo per l’Arciconfraternita del Santo Spirito a Roma, utilizzando composizioni di  repertorio ma anche creando musiche originali da far ascoltare ai malati ricoverati nelle corsie Sistine: Pierluigi Da Palestrina, Gregorio Allegri, Virgilio Mazzocchi e Marco Marazzoli, Francesco Foggia, Giovanni Guidi, Orazio Benevoli, Ercole Pasquini, Vincenzo de Grandis, Cesare Zoilo, Pietro Paolo Paciotto, Gian Francesco Anerio, sono alcuni tra i più importanti. È stato possibile per l’Ospedale, creato da Papa Innocenzo III, e ampliato successivamente, dopo un periodo nero corrispondente a quello avignonese, dai papi Eugenio IV e Sisto IV, avere degli Artisti così prestigiosi perché molto spesso venivano assunti per comporre la musica nella Basilica di San Pietro e poi si trovava l’accordo con un piccolo plus anche per il vicino Santo Spirito. Ovviamente parliamo in particolare del periodo Barocco, ma anche prima, se pensiamo come ho accennato per esempio a Zacara da Teramo. Quindi in questo Ospedale, per lungo tempo l’Ospedale più grande d’Europa, si faceva musica per l’educazione dei putti, per le nozze delle giovani ospitate, ma anche, e specialmente, si ascoltava musica nelle corsie per dare conforto ai malati, una vera musicoterapia atta ad alleviare le sofferenze degli infermi affinché “cum subinde modulato cantu recreantur infirmi dum cibus sumunt”.

L’insegnamento ai putti ed ai ricoverati era curato da un “magister musicae,” assunto a questo scopo; venivano poi chiamati a suonare nelle varie ricorrenze molti altri musicisti. Per fare un esempio, un mandato del 1629 presente negli archivi, ci conferma la “scrittura contrattuale” ed il pagamento ad un Leonardo del violino, ad un Antonello del violino, ad un Giuseppe della thiorba, etc. Tra quelli che hanno insegnato, composto e suonato sia per la chiesa che per gli ammalati voglio ricordare Ercole Pasquini, che compose anche per l’ascolto in corsia toccate, fughe, mottetti (1604) originali, Gerolamo Frescobaldi, più volte tra il 1621 ed il 1628 maestro di musica al Santo Spirito, e Giovan Francesco Anerio (1567-1630) sotto contratto dal 1605 al 1619, periodo in cui compose il suo importante “Teatro armonico spirituale”.  Infatti pubblica esattamente nel 1619, anno della fine del suo contratto col Santo Spirito, il Teatro Armonico, una raccolta di madrigali spirituali destinati ad essere eseguiti durante gli Esercizi oratoriali. Il nome stesso della raccolta suggerisce l’idea di un’esecuzione in forma drammatica, e marca la differenza tra questa produzione dell’Anerio e la vasta produzione di laude oratoriali che la precedono e le si affiancano. La maggioranza dei testi del Teatro Armonico Spirituale sono a struttura dialogica con spunti drammatici. Ancora tra gli altri musicisti attivi al Santo Spirito ricordiamo Cesare Zoilo, Gregorio Allegri impegnato dal 1628 al 1630, il quale poi dal 1629 fu inserito anche come cantore nella cappella Giulia in Vaticano, dove compose il famoso “Miserere”; Orazio Benevoli (1630-1638) per l’organo, autore della “Messa salisburghese”, e di “Christus factus est”, punto estremo della parabola dello stile policorale, protagonista degli ultimi grandi tentativi di adattare lo stile da cappella alla nuova sensibilità del gusto; Bastiano Manenti, Bernardo Caffi (1688-90), Ercole Bernabei; Pompeo Canniciari, presente al Santo Spirito per un lungo periodo dal 1694 al 1709; Giacomo Carissimi famoso per i suoi Oratori musicali.Va ricordato infine Florido De Silvestris, maestro di cappella di Santo Spirito in Saxia e cantore basso per un lungo periodo, circa dieci anni, e Paolo Papino, anche lui canonico regolare e Maestro di Cappella.


Bernardino Cirillo

Le notizie ed i contratti per i musicisti al Santo Spirito si fermano all’anno 1737, anno in cui sappiamo che fu soppressa la cappella musicale dal cardinale Porzio. L’organico venne ridotto, non si fece più musicoterapia nelle Corsie Sistine, e restarono in organico solo 4 cappellani per il canto normale in chiesa con riduzione anche delle docenze alle ragazze.

Purtroppo l’archivio, eccezionale per qualità e quantità, delle composizioni musicali venne disperso e ben poco ne è rimasto ancora facilmente rintracciabile. Ma va ricordato che, oltre a tutte queste attività musicali che abbiamo appena elencato, l’Ospedale fu anche una fucina di “innovazione musicale”, contribuendo alla rivoluzione di Pierluigi da Palestrina e non solo. Sono molto interessanti due lettere ritrovate negli archivi della Biblioteca Lancisiana scritte da Bernardino Cirillo, che fu Commendatore (cioè Direttore) del Santo Spirito dal 1555 al 1575, al quale si deve l’ampliamento della struttura con la costruzione del Palazzo del Commendatore. Famosa è una lettera in cui Cirillo auspica e teorizza una rivoluzione musicale tutta italiana, in anticipo sui tempi, ipotizzando una musica lontana dagli elementi profani e fortemente emozionale, ma senza tornare necessariamente al Gregoriano, cioè alla musica del passato recente. Ma ipotizzando un ritorno alla vera musica Antica. Quella che arrivava davvero ad emozionare nell’intimo e senza ambiguità testuali. Un’altra lettera molto interessante di Cirillo è sulle tendenze e sui quattro generi musicali a cui ispirarsi, quello del furore, quello della serenità, quello della commozione equilibrata e quello della sofferenza emotiva. Questa bellissima lettera a lungo inedita, indirizzata al cavaliere Ugolino Gualteruzzi la trovate pubblicata in questo volume (nelle pagine seguenti). In questa Cirillo va oltre, segnalando (e condannando) nella musica contemporanea, rispetto a quella degli antichi (greci e romani in particolare) una maggiore freddezza collegata all’eccessiva tecnica senza anima, e, come accennavo, con un utilizzo fuorviante (e talvolta inopportuno) anche dei testi…


Lettera di Cirillo sulla musica

Dall’epistolario di Bernardino Cirillo, commendatore del Santo Spirito, custodito nella Biblioteca Lancisiana. Lettera “Sulla musica di oggi”:

Al Cavaliere Ugolino Gualteruzzi, Sono molti anni ch’io ho avuta la mente pregna d’un concetto che per non averlo mai saputo esprimere, m’ha quasi stroppiata la fantasia. Ora son deliberato al fatto di non volerlo più nel cervello, et, come so et posso, intendo dipingervelo in questa carta, con disegno, et speranza, che voi habbiate a leggervi molto più di quel che vi scriverò, e che con la discreta interpretazione vostra abbiate a dare forma al pensier mio, poiché non so, né posso compitamente farlo io, ma solo abbozzarlo. Hora la cosa è questa.

La MUSICA presso quelli buoni antichi sapete quanto fu arte sopra le bellissime la più bella. Con la quale facevano maggiori effetti che noi facciamo ora con la Retorica, o con l’Oratoria nel moderare le passioni e gli affetti dell’animo. E con l’efficacia del Canto era facile a rimuovere ogni savia testa dall’uso della ragione, e farla venire in furore, et impeto. E con tal mezzo dicono che furono incitati i Lacedemoni contra i cretesi a prender l’arme. Et che Thimotheo insorgesse contra Alessandro; et che quel giovane Tauromitano fosse indotto a porre il fuoco sulla casa dove quella sua amata era nascosta, et che nei sacrifici di Bacco si venisse al furore et si facessero effetti panici.

Ed il modo ovvero la specie di Musica che moveva quell’impeto era chiamata FRIGIA. A questa specie se ne opponeva un’altra chiamata LIDIA, col canto della quale era per loro facile rimuovere dal furore et dall’impeto coloro che dalla prima erano incitati. La terza era chiamata DORIA, la quale inclinava et commoveva l’affetti dell’animo a gravità et modestia, et con tanta efficacia et forza che era quasi impossibile, non che difficile, chi li sentiva, inclinar l’animo ad atto vizioso o vile. E dicono che Agamennone nell’andar che fece alla spedizione di Troia, lasciò un musico Dorio con Clitennestra sua moglie, il quale col canto havesse a torla dalla impudicitia, né mai poté Egisto corromperla finché non fece ammazzare quel musico. Et questa sorte di Musica fu sempre in stima et conto. Habbiamo la quarta specie chiamata MIXOLIDIA, con la quale subito chi l’udiva era commosso a pianto, a stridi, e lamenti, et questa la usavano in eventi flebili e lugubri. Vedi cavalier mio che bella ricchezza è questa!

Con l’efficacia del Canto, uno pigro et lento diveniva impetuoso et desto; uno furioso diveniva piacevole; un dissoluto, modesto; un afflitto, consolato; uno diffuso in allegria, mesto. Et essere il canto padrone di tutti gli umani affetti et potente a volgerli secondo i bisogni. Hor quorsum ista? Io veggo, et sento hora la Musica la qual dicon oggi esser venuta, et ridotta in quella finezza, et perfetione, che fosse mai et che potesse mai essere. Et nondimeno non vi sento ne veggio parte nessuna dei sopradetti modi antichi, et testimonio ne fanno i movimenti degli affetti, che ne nascono (forse direte: Noli ultra Crepidam!!).

Questo vedo ad sensum della musica d’oggi non esser Theorica, ma solo applicamento di Pratica. Kyrie eleison vuol dire: Dio habbine misericordia. Il Musico antico avrebbe con quel modo Mixolidio espresso questo affetto di chieder perdono a Dio, che havrebbe presto non che contrito il cuore, e l’animo e mossa se non a pianto, almeno ad affetto pietoso ogni mente indurata, et così havrebbe adattati simili modi in conformità delle parole soggette. Et fatto differenza tra il Kyrie e l’Agnus Dei, et tra il Gloria ed il Credo, tra Sanctus e il Pleni, et tra i Salmi ed i mottetti!

Oggi invece cantano tutti simili cose in genere promiscuo et incerto.

E volete vedere che andare è il loro? Dicono alle volte: “Che bella messa è stata cantata in cappella, e qual è il tema ed il titolo?” Loro rispondono: “L’uomo armato, o l’Ercole duca di Ferrara, o La Filomena”. Che diavolo ha da fare la Messa con l’uomo armato, o con la Filomena, o col duca di Ferrara? Immagina che numeri, che concenti che armonie che muover d’affetto, di devozione, di pietà può raccogliere con che conformità di soggetto… L’uomo armato!!.

Or qui cavalier mio leggete e immaginate quel che io taccio … Hor visto questo non ho potuto far di tacerlo. Vedi cavalier mio, come ho detto, se ci fusse qualc’huno in cotesta Corte capace del di sopra, et nel vedere se il nostro canto di Chiesa potesse ritirarsi a qualche costumanza o almeno a manco corruttela: che talvolta la bellezza dell’ingegni d’hoggidi penetrerebbe dove sin qui non sì è penetrato… Eccovi detto il mio pensiero del quale hora mi sento libero, col disegno, che come è uscito dal capo mio habbi ad entrare nel vostro, e che l’habbiate a fare ogni prova possibile per spingerlo innante. I loro mottetti, canzoni, madrigali e ballate le facciano pure a loro genio e al loro senso, purché la nostra Chiesa con gli atti suoi muova a religione e pietà. Che le lodi del Signore Iddio si cantino con differenza e diletto dalle cose profane.

Cavaliere, da venti anni ho questo ghiribizzo nel cervello, e non mi è mai bastato l’animo di esprimerlo. Et si come ho invitato il Signor Beccadello, inviterei ancora vostro Padre a impegnarsi in questo senso, ma conosco l’uno et l’altro haver faccende d’avanzo. Facciasi quel che si può, et piacciavi (quando sia lecito) far riverentia a Monsignor Reverendissimo ed Illustrissimo comune padrone da parte mia, et basciar la mano al dabenissimo Signor Alessandro Manzolo, al Signor Orsuccio, al Signor Priore et a tutta la casa. Et il Signor Iddio sia con essi tutti, et con voi, sempre Cavalier mio dabbenissimo et amatissimo.

Dal Santuario di Loreto, il 16 di febbraro, Bernardino Cirillo


La Rivoluzione di Pier Luigi da Palestrina

Pierluigi Da Palestrina è sicuramente il più emblematico ed importante, per certi versi, dei musicisti che sono stati attivi al Santo Spirito. E per rappresentarlo è perfetto un brano del suo repertorio, la famosa Missa Papa Marcelli (della quale ho fatto una versione con arrangiamento moderno alla quale ho dato il titolo “Al Bivio”). È la messa più famosa di Palestrina, sia per il valore intrinseco, sia per le leggende che si sono tramandate intorno a quest’opera, che valsero al suo autore il titolo di “salvatore della musica polifonica da chiesa”.

Questo si racconta: Palestrina aveva composto la messa nel 1555 in onore di Papa Marcello, salito al soglio pontificio nell’aprile di quell’anno e morto dopo sole tre settimane. Questo Papa, umanista e intellettuale ma non molto interessato agli studi musicali, nel suo brevissimo pontificato era tuttavia riuscito a lasciare un’impronta profondissima nella musica da chiesa allorquando aveva convocato i cantori della sua cappella il Venerdì Santo del 1555 (terzo giorno del suo regno) per informarli che il repertorio in uso era troppo ricco mentre la musica per il Triduo Pasquale doveva essere più in sintonia con il carattere dell’occasione e, per quanto possibile, le parole dovevano essere chiaramente comprensibili. In quei mesi Palestrina, faceva parte della compagine della Cappella Sistina nonostante fosse sposato, (essere celibe era una condizione per essere accettati), ed era anche responsabile musicale del Santo Spirito. Palestrina incaricato dal Pontefice compose la sua messa secondo i desiderata papali. Nel frattempo era in corso il Concilio di Trento, apertosi nel 1545 (si chiuse poi nel 1563). Durante i lavori emerse fra i cardinali l’esigenza di depurare la musica da chiesa da una deriva ormai divenuta inaccettabile, a causa dell’esecuzione di musiche complicatissime, estremamente sfarzose, in cui motivi profani, magari derivati perfino da canzoni licenziose o volgari, venivano adattati a testi liturgici che erano però ormai incomprensibili data la sovrapposizione delle numerose linee vocali e l’abbondanza degli abbellimenti. Il Concilio nominò una commissione apposita, di cui fecero parte otto cardinali fra cui due “commissari”, San Carlo Borromeo e Vitellozzo Vitelli, allo scopo di effettuare un vero e proprio processo: l’imputata divenne la polifonia stessa, che Papa e porporati volevano bandire del tutto in favore di un ritorno al solo gregoriano. Venne quindi effettuata una sorta di istruttoria, durante la quale a difesa della polifonia si pose proprio Palestrina, che rispolverò la sua messa per il Papa Marcello con la quale intendeva dimostrare che si poteva continuare a scrivere polifonia usando linee pulite e cantabili che permettessero una chiara declamazione del testo, mantenendo un giusto equilibrio tra “Parole e Musica”. Palestrina sottopose il suo lavoro ai commissari il 19 giugno 1565, e l’esecuzione di quella messa tanto bella quanto rigorosa e coerente con i dettami del Concilio convinse i cardinali a non abolire la polifonia. Fu così che Pierluigi da Palestrina ne divenne il salvatore e, come abbiamo capito, col contributo culturale del Commendatore Cirillo.


Il corteo delle Zitelle

Alle attività di “musicoterapia” in corsia per alleviare le sofferenze dei malati si associava al Santo Spirito l’insegnamento musicale e la creazione di opere per eventi speciali. Quindi oltre all’insegnamento musicale ai fanciulli/e che venivano abbandonati in ospedale alla nascita nella ruota girevole posizionata sulla strada, esternamente ad un lato delle corsie Sistine (chiamata ruota degli Esposti) e che poi erano cresciuti dal Santo Spirito, c’erano altre manifestazioni ricorrenti legate alla vita dell’Ospedale. Per esempio le attività concertistiche delle ragazze che venivano educate alla musica, alcune delle quali erano di gran talento. Tra tutte le cantanti formate nel corso del tempo la più famosa fu la Cencia, acclamata in tutta Roma, che cantò anche più volte alla presenza del Papa Paolo III (dal 1634 al 1643). D’altronde per una cantante a Roma essere una zitella del Santo Spirito era anche una certezza sia di moralità che di qualità in un contesto in cui mancavano il più delle volte ambedue.

Scriveva per esempio un poeta ed agente teatrale Fulvio Testi, al duca d’Este riguardo alle cantanti romane nel 1633: “Se vostra Altezza ricerca una perfetta onestà nelle cantatrici non si volti a questo cielo romano. Qui le cantatrici si prendono qualche piacevole licenza e moltissime che non sanno cantare diventano cantatrici…”.

A tal punto che Innocenzo XI nel 1686 ordina a tutte le “cantarine” di non partecipare a spettacoli, di lasciare Roma o di entrare in convento. Molte delle ricoverate o nate in Ospedale, poi si sposavano, ricevevano il corredo dal Santo Spirito e una dote (Cento soldi). L’Ospedale provvedeva a trovare lo sposo, e l’evento del matrimonio era presentato in pubblico in una manifestazione coreografica e musicale che si faceva tre volte l’anno: la domenica dopo l’Epifania, il 25 aprile festa di San Marco e, la più importante, la seconda domenica di Pentecoste. Il Corteo consisteva in una processione musicale aperta dalle guardie svizzere col Commendatore in testa, poi seguivano i trovatelli, i cantori, i musici del Santo Spirito, le fanciulle da marito, i frati ospedalieri, ed altre guardie svizzere a chiudere. Si chiamava il Corteo delle Zitelle. Le musiche suonate erano in parte originali, create apposta per l’evento, in parte di repertorio popolare. Le ragazze venivano adocchiate da giovani in cerca di moglie, che fatta la scelta, le conducevano in un apposito ufficio dell’ospedale dove si concludeva il patto di matrimonio. Scelta facilitata dalle suore dell’Ospedale che spesso non erano obiettive nel consigliare le ragazze, spingendo verso il matrimonio quelle di cui volevano liberarsi. In particolare abbiamo delle segnalazioni di comportamenti non “equilibrati” da parte delle madri priore, e anche di creste e richieste di percentuali (dicasi mazzette) sui 100 scudi di dote da parte di altro personale amministrativo.

Sul muro di quell’ufficio, all’interno del Santo Spirito, ancora oggi c’è la scritta “virginum ad nuptias tutela”. Anche quella del Corteo delle zitelle era un’occasione per fare musica (alla fine una sorta di “street music” stile New Orleans). Quella della Giornata del matrimonio delle giovani era anche una occasione per le fanciulle artiste e per le ricoverate per esibirsi in accademie musicali e teatrali, come si ritrova in vari avvisi conservati negli archivi del Santo Spirito. Uno recita così:

“Martedì in Santo Spirito furono maritate 20 donzelle et fattole rappresentare gli intermezzi “Adamo ed Eva”, “San Biagio” et “Sant’ Eliseo segato per il mezzo”, le quali negli occhi dei circostanti si resero vaghissime a vedersi.”

Ecco invece la testimonianza preziosa di un viaggiatore veneziano sulla cerimonia del giorno di Pentecoste del 1519:

“Quest’anno il Pontefice ha voluto farsi honore, et ha mandate le esposte molto più solennemente dell’usato, vestite di seta ed horo, di gemme e perle, sopra le chinee del papa et altre cavalcature de le più onorate di Roma, coperte di seta, cum due steffieri per una, et una fantesca sopra una cavalcatura che li andava dietro. Avanti le quali spose andavano 15 muli con due forzieri per uno, pieni de robe loro, coperti di onoratissime coperte con l’arme de l’hospidale Santo Spirito. Avanti li muli andavano li sonatori di tanti strumenti di musica. Tra li muli ed elle andavasi un fanciullo formato in forma d’imeneo, Dio delle nozze, et dietro a lui tanti fanciulli, quante spose erano, ben ornati con falce in mano al modo antico. Dopo le spose andavano col priore de l’hospitale li officiali et cubicolari del papa, et preti di San Pietro e Santo Spirito. Questa pompa se ne va da l’ospedale a la porta del Popolo distante per un miglio ed ivi li mariti loro, che sono contadini, lassate le gemme, perle, veste preziose, e tutti gli altri ornamenti a quelli dell’ospedale, pigliano le spose, ciascuno la sua, el suo forziere, et vestita di panni contadineschi, se la pone sopra la groppa della sua cavalla, indi quella sera (questo affermano alcuni) prima che giunghino a casa, nelle più vicine ombre et più riposte che trovano in via consumano il matrimonio”.  

Altre volte avvenivano delle varianti. Eccone una: “Lunedì mattina non si fece da San Pietro in Vaticano a Santo Spirito in Sassia la solita processione de’ signori cardinali con l’indulgenza in forma di giubileo, ma invece di ciò furono 23 eminentissimi a formare la cappella cardinalizia divota in Santa Maria in Vallicella per la festa di San Filippo Neri, ove fu cantata la messa da monsignor Altoviti vescovo di Fiesole con musica scelta a due cori, et all’elevazione cantò soavemente un mottetto il celebre Giovannino Savoiardo, cognominato Campanello d’Argento”.


La Cencia e le altre Romanine

Le scuole di Roma (e tra queste quella del Santo Spirito) obbligavano i discepoli ad impiegare ogni giorno un’ora nel cantar cose difficili e malagevoli, per acquistare esperienza. Un'altra nell’esercizio del trillo, un’altra in quello dei passaggi, un’altra negli studi delle lettere, un’altra negli ammaestramenti ed esercizi del canto, e sotto l’udito del maestro, e davanti ad uno specchio, per assuefarsi a non fare moto alcuno non conveniente, né di vita né di fronte né di ciglia né di bocca. E tutti questi erano gli impegni della mattina. Dopo il mezzodì s’impiegava mezza ora negli ammaestramenti legati alla teorica, un'altra mezz’ ora nel contrappunto sopra il canto fermo, un’ora nel ricevere e mettere in opera gli insegnamenti del contrappunto sulla partitura, il resto del giorno nell’esercitarsi nel suono del clavicembalo…”

Insomma erano giornate, quelle delle ragazze cantanti, totalmente dedicate al lavoro della musica nel ‘600, e le cantanti romane (parlo di quelle vere) preparate in questo modo erano talmente famose e di qualità che le romanine venivano richieste in tutta Italia e non solo, specialmente sotto il papato di Urbano VIII. Poi il Papa Innocenzo XI, soprannominato papa Minga a causa dei no continui, proibisce loro di cantare in pubblico e inserisce molte altre regole fortemente restrittive. Regole che la regina Cristina di Svezia era riuscita a mitigare fortemente durante il pontificato di Clemente X, e addirittura per alcuni anni aveva ottenuto che le cantanti si potessero esibire al teatro Tordinona. Invece il Papa Odescalchi iniziò una campagna moralizzatrice tremenda addirittura scagliandosi contro l’abbigliamento delle donne facendo confiscare le camice femminili troppo scollate. Cristina a quel punto decise di ospitare presso di sé molte di queste cantanti che non potevano ormai cantare nei teatri, facendole esibire in serate private. Paradossalmente il Santo Spirito rimase uno dei pochi luoghi in cui le donne potevano continuare a studiare musica ed in cui si potevano avere degli insegnanti maschi. Oltre ovviamente quelle che venivano ospitate a palazzo Riario da Cristina. Chi erano queste cantanti? Si chiamavano Giovannina, la Giorgina, Maria Landini, Antonia Coresi, la Centoventi… Ma torniamo alla Cencia che pare fosse bella e brava, a tal punto che il Papa avesse deciso a causa sua di dividere in modo netto le zone destinante agli uomini e quelle destinate a suore e ragazze nell’Ospedale Santo Spirito. Con addirittura la scomunica anche solo a chi oltrepassava il cortile (scomunica poi ripetuta con le stesse modalità dal Papa Alessandro VII). C’è chi dice che ci fosse anche qualcosa di più tra il Papa Farnese e la canterina del Santo Spirito che fece esibire più volte dal 1534 al 1544. Vera o no questa voce, sicuramente la Cencia era talmente apprezzata da Paolo III da averla inserita nel suo ufficiale conto spese. Infatti così si legge per esempio nella contabilità segreta del Papa Paolo III, nell’anno 1545 redatta dal segretario Piero Aliotto: “A la Cencia che recita e canta, per la sua mancia di quest’anno, scudi 11”.

Comunque la fece cantare perfino nella Cappella Sistina mentre Michelangelo consegnava al mondo il suo capolavoro. E fu lei ad esibirsi il giorno in cui fu presentato alla curia, alla nobiltà, ed agli ambasciatori il Giudizio universale.

“Cencia era appena tornata dai suoi esercizi canori fuori dalla porta Angelica verso monte Mario. Lì ci andava spesso. Era il suo rifugio preferito. Cantava e poi le piaceva sentire la risposta alla sua voce da un eco per farsi giudice da se stessa dei propri accenti. Questo amava, ma anche andare nelle varie chiese ed unirsi al canto degli altri cantori. Quel giorno trovò tutti in grande ansia. “Ma dove sei stata?” “Ad esercitarmi”. “Presto, vieni, c’è la carrozza del Papa che ti aspetta “Su cambiati. Devi cantare ad una occasione speciale”. Si cambiò il vestito in tutta fretta. Le raccontarono che c’era la inaugurazione ufficiale dei dipinti di maestro Michelangelo nella cappella Sistina. Due guardie svizzere le fecero strada nei corridoi pieni di ospiti, prelati e monsignori, fino a portarla sopra un podio. Fu lì, mentre iniziava a cantare, che vide per la prima volta quella magnificenza incredibile del giudizio universale.

Ma la Cencia non potette esibirsi nei teatri perché la prima autorizzazione a cantare nei luoghi pubblici di spettacolo per le donne è solo del 1550. Ma anche quella decisione del Papa che promulgò il bando che permise l’esibizione femminile durò poco, infatti subito dopo Sisto V, già nel 1558, negò nuovamente alle donne di esibirsi in pubblico, teatro o non teatro. Addirittura, non contento, si superò, imponendo spettacoli ad orari diversi per il pubblico femminile e quello maschile. Ecco che allora le cantanti in particolare potevano lavorare solo nelle varie cappelle come quella del Santo Spirito, nelle corti cardinalizie, nei collegi, nelle ambasciate e negli gli oratori. Ma anche lì aumentarono presto le restrizioni ed anche giunse il divieto agli insegnanti maschi di insegnare musica e canto alle ragazze. Sulle pareti di un chiostro del Santo Spirito si legge l’editto di Alessandro VII che annuncia la scomunica per qualunque uomo avesse anche solo varcato quella zona, avvicinandosi alle zone destinate alle femmine. E ancora le donne non potevano cantare polifonia, ma in verità il loro canto monodico era di una bellezza austera e rilassante.


Conservatorio

Quale era l’età delle pensionanti che venivano ospitate ed istruite nel Conservatorio del Santo Spirito? Diciamo che, da una stima numerica all’inizio del ‘700, circa il 60% era costituito da ragazze tra i 10 ed i 20 anni, con una netta prevalenza d’età nella fascia 10-13 anni. Perché quella era l’età in cui tornavano, dopo essere state per un periodo nelle case delle loro balie, ed erano ancora troppo piccole per contrarre matrimonio, o per intraprendere professionalmente l’attività canora o per andare a servizio presso persone estranee, o ancora per lavorare nell’ospedale medesimo. Un certo numero di loro non era in buone condizioni fisiche. Da una stima del 1660 risulta che molte delle ragazze erano affette da malattie o avevano difetti fisici di vario genere. Le zitelle erano affidate alle suore della congregazione di Santo Spirito, questo fino alla riforma compiuta dal Commendatore Febei che spostò le suore in un luogo a parte, togliendo loro il governo del Conservatorio. Fino ad allora ogni suora guidava una o più decine di educande, avendo un assoluto e totale potere sulle ragazze. Erano amministratrici, educatrici, sceglievano i maestri, le tutrici, gli insegnanti, le catechiste. Invece dalla fine del ‘600 il governo del Conservatorio passò nelle mani di laiche che spesso erano proprio delle ex educande del Conservatorio.

La verità è che c’era da gestire il problema ed il rischio di comportamenti troppo disinvolti o liberi delle ragazze verso l’esterno, ma anche nei contatti con il personale maschile interno, sia laico che religioso, e quindi si decise di promuovere una gestione molto severa quasi da clausura per le abitanti del conservatorio. Ma non era così facile da realizzarsi e così come abbiamo visto vennero emanati vari editti con rischio di scomunica per chi non li rispettava per cercare di far mantenere un comportamento il più possibile morale!!!!??.

Ovviamente le giornate di vera libertà e divertimento erano, tre volte l’anno, quelle della processione delle zitelle! Che erano le uniche giornate in cui le ragazze potevano vestirsi in modo diverso dall’abito azzurro scuro, con le scarpe, i berrettini e le pettinature di ordinanza. Le uniche che potevano derogare tutto l’anno da questa regola erano le cantanti che diventavano “Famose”. Ovviamente il Conservatorio era destinato solo alle ragazze; i maschi erano tenuti solo finché erano putti (massimo fino ai 7 anni) e poi mandati in affido.


Haendel al Santo Spirito

Georg Friedrich Haendel arriva a Roma nell’anno 1709, e vi si ferma per due periodi, corrispondenti, anche se non vi lavorò mai direttamente, con alcuni dei migliori periodi della produzione del Santo Spirito. Vari sono gli aneddoti che si raccontano sulla permanenza romana di Haendel dove ha composto il bellissimo “Trionfo del Tempo e del Disinganno” e la “Resurrezione”, un Oratorio, perché il Papa aveva vietato la produzione di Opere complete, così come le rappresentazioni teatrali. “Il Trionfo” debutta con la direzione del grande Corelli. Il ruolo di Maria Maddalena lo vollero dare ad una donna, Margherita Durastanti, anche se tra i tanti divieti, come abbiamo già visto, c’era anche quello di far salire le donne sul palcoscenico. Il giorno dopo la prima arriva da Ruspoli un cardinale, inviato dal pontefice, e lo costringe a far sostituire la soprano nelle altre repliche col castrato Pippo, che era al servizio di Maria Casimira, regina polacca in esilio a Roma. La cantante alla notizia della sua sostituzione ha un malore e viene portata al Santo Spirito e dopo l’inevitabile salasso, uscita dal ricovero il giorno dopo, racconta al compositore tedesco di quell’organo paradisiaco che suona durante il giorno all’interno del reparto. Haendel incuriosito, col marchese Ruspoli va ad ascoltare le melodie dell’organo del Santo Spirito. Il Maestro che sta suonando è Pompeo Cannicciari. Gli accompagnatori di Haendel (in particolare Domenico Zipoli) gli chiedono di alternarsi al Canniciari per far sentire la differenza di qualità. Haendel rifiuta sdegnato e disgustato dalla volgarità della richiesta, allora Ruspoli gli dice: “Mi è venuta un’idea. Domani sera Scarlatti figlio è stato invitato a palazzo Ottoboni. Desidero che gareggiate. Uno contro l’altro! Siete considerati entrambi maestri del cembalo e dell’organo, i migliori. Sceglierete ognuno un pezzo che l’altro dovrà suonare. Sarò io il giudice”. Domenico Scarlatti aveva la stessa età di Haendel, 24 anni, proposta così da Ruspoli, Haendel non si poteva tirare indietro, e la gara tra titani si fece. Fu entusiasmante e finì in pareggio. Vinse Scarlatti al cembalo con la sua musica raffinata e spirituale e Haendel all’organo con le sue note di fuoco, una tempesta musicale abbacinante e travolgente.


L’originale del Miserere di Allegri

Il fondo musicale dell’Ospedale Santo Spirito in Saxia è ormai disperso in mille luoghi diversi ma è sicuramente stato una delle più importanti fonti della musica religiosa romana del Seicento ed inizi Settecento. Perché, come abbiamo visto, vi venivano conservati materiali composti dagli importanti autori che suonavano o componevano per l’istituzione. Ma di certo il ruolo di archivio musicale della cappella è precedente se, per esempio, il famoso cantore papale e compositore Zacara da Teramo già alla fine del Trecento fu assunto con regolare atto notarile per redigere come copiatore e miniaturista un grande antifonario.

L’organista del Santo Spirito suonava nella chiesa in Saxia durante le funzioni. Ma a quanto pare non era sempre il maestro di cappella che interveniva in situazioni speciali come la Pentecoste, Natale, Pasqua, Assunzione, oppure durante il corteo delle zitelle, che aveva luogo il giorno della festa di San Marco e di Santa Tecla, ed il corteo dei fanciulli. Ed infine si suonava anche nelle corsie Sistine all’ora del vitto e prima di sera per i degenti. Anche la partitura originale del Miserere di Allegri pare fosse conservata nell’archivio del Santo Spirito, ma non è stato più possibile ritrovarla. Il Miserere di Gregorio Allegri (che fu voce bianca di soprano quando era fanciullo, poi cantore della Cappella Sistina) è generalmente riconosciuto come uno dei migliori esempi di polifonia rinascimentale. Come stavo dicendo il suo spartito originale, vergato dalla mano del compositore, non è mai stato trovato. Una Musica sublime, intima, profonda, talmente bella che il Papa proibì si eseguisse fuori dalla liturgia della settimana pasquale. Tre sole copie autorizzate della partitura vennero distribuite fuori dalla Cappella Sistina prima del 1770. Una a Leopoldo I d’Asburgo, una al re del Portogallo e una a Giovanni Battista Martini. Nessuno di loro, tuttavia, riuscì a riprodurre la bellezza del Miserere così come veniva cantato nella Sistina. Poi il quattordicenne Mozart in visita a Roma, ascoltò il Miserere di Allegri l’11 aprile 1770 durante l’ufficio delle Tenebre del Giovedì Santo, che si canta la sera del Mercoledì Santo. Il giorno dopo lo trascrisse interamente a memoria, Leopold Mozart, padre di Wolfgang, in una lettera ad Anna Maria Pertl del 14 aprile comunicò che:

«A Roma si sente spesso parlare del famoso Miserere, tenuto in tanta considerazione che ai musicisti della cappella è stato proibito, sotto minaccia di scomunica, di portarne fuori anche una sola parte, copiarlo o darlo a chicchessia. Noi però l’abbiamo già, Wolfgang l’ha trascritto a memoria, e, se non fosse necessaria la nostra presenza al momento dell’esecuzione, noi l’avremmo già inviato a Salisburgo. Infatti la maniera di eseguirla conta più della composizione stessa, e quindi provvederemo noi stessi a portarla a casa». «Non c’è la minima ragione di essere in ansia... Tutta Roma e persino il Papa stesso sa che l’ha trascritto. Non c’è assolutamente niente da temere, al contrario, l’impresa gli ha fruttato un grande credito».

Infatti dopo la trascrizione di Mozart, la pena della scomunica e di morte venne tolta. Qualche mese dopo, Mozart incontrò il compositore inglese Charles Burney, il quale si fece dare la copia, la confrontò con la trascrizione che il Papa aveva concesso a Martini e la portò a Londra, dove venne pubblicata nel 1771. Vi è però un altro enigma da sciogliere. E quindi veniamo alle suggestive teorie alchemiche. Si dice che lo spartito era stato secretato perché contenente la cosiddetta Nota Dei (la “Nota di Dio”). Questo in accordo alle ricerche di Urbano VIII e di Tommaso Campanella, che collaborarono in diversi momenti proprio in quegli anni alla Nota di Dio, cioè alla chiave che, secondo i dettami umanistico-rinascimentali, permette di penetrare i più profondi segreti della Natura. Uno degli elementi che più rendono mistico e coinvolgente il Miserere è la linea melodica del soprano del secondo coro, linea che tocca il Do sovracuto (in inglese, Top C).

Ma Allegri, come era uso in quei tempi, non scrisse mai una parte con note così alte: lo ricaviamo dai manoscritti che ci sono giunti e che arrivano al Sol. D’altronde, in quei tempi sempre le linee delle voci più acute arrivavano al massimo al Fa o qualche volta al Sol, ma mai i compositori salivano oltre tali vette. L’acuto era forse lasciato alla bravura del cantante (un puer o più facilmente un castrato) e agli usi del coro, come abbiamo visto che accadeva per gli abbellimenti. Lo spartito che abbiamo oggi invece contiene questa nota alta, non come acuto lasciato ad libitum (come avviene per esempio in certe famose arie di opere liriche) ma come scrittura effettiva dello spartito.

L’atmosfera nella cappella Sistina era incredibile. La Cappella era immersa in una semi oscurità. L’illuminazione era fornita solo da 27 candele che piano piano con il procedere della salmodia che introduceva il Miserere venivano spente una alla volta in modo tale che quando partiva la prima nota di Allegri la Sistina era al buio, tutta ombre e oscurità. Nel silenzio iniziò la breve melodia, con le frasi ripetute in modo quasi irragionevole nella sua insistenza per poi trasformarsi in un sommesso lamento, in una invocazione pronta a stamparsi per sempre nella memoria, con una sequenza imprendibile di note, una polvere d’oro, una nube cangiante pronta ad avvolgere la platea ed il Papa inginocchiato nel buio. Poi con un bellissimo pianissimo iniziò il canto del Miserere, e da lì un alternarsi di suoni e canto incomprensibili, sovrumani, il pianissimo colpiva il cuore in modo maestoso poi quegli improvvisi ricami polifonici dai quali emergeva la voce del soprano solista sempre più sola e distante, irraggiungibile, fino ad altezze celesti impensabili. Non si poteva resistere a quel miracolo, non si poteva fare a meno di piangere per l’emozione, non si poteva fare a meno di immergersi nella preghiera, non avrebbe potuto farlo il cuore più duro ed insensibile. Alla fine dell’esecuzione Wolfgang tornò di corsa alla locanda correndo sotto la pioggia insieme a Leopold. Avevano organizzato tutto, per mettere su carta immediatamente quella magnificenza, finché la memoria di Mozart restava vivida. L’avrebbe trascritta tecnicamente ma la magia no, quella non l’avrebbe potuta trascrivere. Quella musica celestiale, quei vocalizzi divini li avrebbe conservati dentro di sé, per riprodurli in tante sue opere a venire. Non tutti avrebbero mai potuto comprendere fino in fondo il miracolo di quelle note, che si innalzavano fino a vette irraggiungibili. Solo lui aveva potuto afferrare l’essenza della NOTA DI DIO, e se la sarebbe tenuta stretta, e l’avrebbe riproposta in tante sue opere fino a ricongiungersi ad essa nel comporre il Requiem finale e definitivo.


Nota Dei

Concludo questa mia relazione sulla interessantissima esperienza di Musicoterapia e creatività musicale dell’Ospedale Santo Spirito in Roma, avvenuta in un periodo storico di grande fermento culturale ed innovativo, il Barocco, con un’altra breve citazione dopo la precedente su Mozart dal libro “La Nota di Dio”, questa invece tratta dall’altro mio libro “Al Bivio” dove il medico Lancisi attraversando le corsie Sistine del Santo Spirito in Saxia ascolta delle variazioni dal Miserere di Allegri: “Lancisi stava attraversando le corsie Sistine dell’Ospedale S. Spirito. Aveva visitato i pazienti ricoverati nel braccio di sotto e si stava spostando verso il braccio di sopra. Facendo finta di niente alzò lo sguardo e scoprì il Commendatore che stava spiando quello che avveniva nella corsia dalla finestrella segreta nascosta dietro una libreria del suo appartamento. Fece un piccolo cenno di saluto col capo mentre l’altro chiudeva frettolosamente la finestrella. Sorridendo tra sé e sé si fermò all’altezza del tiburio di collegamento dei due bracci, ed appoggiatosi un attimo all’altare si mise ad ascoltare la melodiosa musica che proveniva dall’organo posto lì di lato. Ah, splendide melodie fatte per alleviare le sofferenze dei malati durante il giorno!! L’organista stava suonando una misteriosa versione del famoso Miserere di Allegri. Peccato che il Papa non amasse particolarmente la musica, ne avrebbe tratto anche Lui conforto, dalla sua malattia. Il pensiero del Papa gli fece ricordare che aveva dato appuntamento al chirurgo dal Santo Padre. Allora interruppe il suo giro e aprì rapidamente la Porta del Paradiso, così si chiamava il portone d’ingresso interno, ed accompagnato da quelle suadenti ed avvolgenti note, tolta la nera palandrana ospedaliera, prese la via dei Penitenzieri che l’avrebbe in breve condotto in S. Pietro.”


Conclusione

Nel 1737 venne chiusa la Cappella musicale del Santo Spirito, così come nello stesso anno si interruppe per sempre la processione delle zitelle. Una fine simile fece l’organo nelle Corsie Sistine, rimosso e distrutto alla fine del secolo dei lumi. Invece non ha fatto un percorso migliore l’importante archivio musicale: anch’esso disperso. Qualcosa dell’archivio è finita nella Biblioteca di Santa Cecilia, qualcosa a Ratisbona, qualcosa al Pontificio Istituto, etc… Chiuse anche contemporaneamente la stamperia, che tra le altre cose aveva ristampato anche opere di Palestrina. Molto è finito in carta straccia, un’altra parte venne venduta nell’anno 1900 da un ex garibaldino ad un libraio di Napoli. In ogni caso 316 composizioni sono state recuperate, composizioni di Allegri, Mazzocchi, Palestrina, Foggia, Bernabei, Carissimi, Guidi…


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