Dott. Simone Ungaro

Facoltà Dipartimentale di Medicina e Chirurgia, Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia, Università Campus Bio-Medico di Roma

Articolo pubblicato in:

Anno Accademico 2022-2023

Vol. 67, n° 3, Luglio - Settembre 2023

Settimana per la Cultura

04 aprile 2023

Copertina Atti Terzo Trimestre 2023 per sito.jpg

Versione PDF dell'articolo: Download

Tesi di laurea: “Relazione fra completezza di rivascolarizzazione miocardica e myocardial injury in pazienti trattati con angioplastica coronarica percutanea” (Sintesi)

S. Ungaro


Introduzione e background. Le sindromi coronariche croniche

Considerate le malattie cardiovascolari e, in particolar modo, la cardiopatia ischemica come le prime cause di morte nella popolazione generale, è possibile comprendere come le sindromi coronariche croniche, al pari delle SCA, continuino a rappresentare una delle principali sfide del sistema sanitario. L’angina cronica stabile è, ad oggi, il primo indicatore di cardiopatia ischemica in circa il 50% dei pazienti, con un’incidenza annuale stimata di circa 213 casi su 100.000 persone aventi un’età maggiore di 30 anni. Basti pensare che il numero di persone affette da sintomi anginosi stabili negli Stati Uniti è di quasi 17 milioni, senza includere tutti quei pazienti che riferiscono dolore toracico dovuto ad altre cause o che non si rivolgono ai professionisti sanitari. Come noto l’angina pectoris è una sindrome clinica i cui sintomi sono rappresentati da fastidio o dolore localizzabile in sede toracica (spesso retrosternale) o alle spalle, alla mandibola, al dorso, agli arti superiori (maggiormente il sinistro) tipicamente esacerbato/aggravato dall’esercizio fisico o dagli stress emozionali con ipertono catecolamminergico (condizioni determinanti una richiesta maggiore di sangue, O2 e nutrienti da parte del muscolo cardiaco) e che va incontro a miglioramento con l’assunzione di nitroglicerina e derivati.

Nella maggioranza dei casi, l’angina si verifica in pazienti affetti da malattia coronarica aterosclerotica che interessa una o piu di una delle grandi coronarie epicardiche, ma è spesso presente anche in caso di vasculopatie cardiache, miocardiopatia ipertrofica, ipertensione mal controllata. Inoltre, si può verificare in pazienti con arterie coronarie indenni e normali, ma che a seguito di vasospasmo (angina vasospastica) o disfunzioni endoteliali (angina microvascolare), possono comunque determinare ischemia miocardica. I sintomi caratteristici dell’angina stabile sono stati osservati e possono in definitiva manifestarsi anche in corso di patologie esofagee, della parete toracica e dei polmoni, complicando notevolmente gli algoritmi di diagnostica differenziale. La classificazione funzionale dell’angina stabile è stata redatta dalla Canadian Cardiovascular Society (CCS) e racchiude quattro classi di sintomi correlati a rispettive limitazioni funzionali:

  • la normale attività fisica, come camminare o salire le scale, non provoca sintomi. L’angina insorge dopo sforzi fisici intensi, rapidi o prolungati;
  • leggera limitazione dell’attivita fisica. Sforzi fisici moderati come camminare o salire le scale rapidamente, camminare in salita, camminare dopo i pasti, al freddo, al vento o immediatamente dopo il risveglio provocano sintomi anginosi;
  • marcata limitazione della normale attivita fisica. L’angina compare per sforzi lievi come camminare per uno o due isolati in piano o salire una rampa di scale;
  • incapacità allo svolgimento di qualsiasi tipo di attività fisica senza che vi sia dolore anginoso. Il sintomo compare per minimi sforzi e talvolta anche a riposo.


La rivascolarizzazione miocardica nelle sindromi coronariche croniche

Differentemente dalle Sindromi Coronariche Acute (ACS), le Sindromi Coronariche Croniche (CCS) si presentano spesso come delle patologie aventi un caratteristico andamento progressivo e, quindi, clinicamente rilevante anche in periodi apparentemente silenti dal punto di vista sintomatico. La natura dinamica della storia naturale della coronaropatia cronica espone a numerosi e differenti scenari clinici. Fra i più frequenti, riscontrabili in pazienti con CCS sospetta o diagnosticata, ritroviamo:

  1. sospetto di coronaropatia (CAD) e sintomi di angina stabile e/o solo dispnea;
  2. scompenso cardiaco di nuova insorgenza o disfunzione ventricolare sinistra associati a sospetto di CAD;
  3. pazienti sintomatici o asintomatici con sintomi stabilizzati da < 1 anno dopo una sindrome coronarica acuta, o pazienti con una rivascolarizzazione recente;
  4. pazienti sintomatici o asintomatici dopo un anno da una diagnosi iniziale o da rivascolarizzazione;
  5. pazienti con angina e sospetta malattia vasospastica o microvascolare;
  6. soggetti asintomatici con una coronaropatia stabile identificata a test di screening.

Nei pazienti con CCS la chiave del trattamento è rappresentata dalla terapia medica con farmaci specifici e preposti alla riduzione dei sintomi, al rallentamento della progressione dell’aterosclerosi coronarica e alla prevenzione di eventi ischemici aterotrombotici. La rivascolarizzazione miocardica, con gli obiettivi di riduzione sintomatologica anginosa e/o il miglioramento della prognosi, assume un ruolo centrale nella gestione di questi pazienti senza pero mai soppiantare la terapia medica alla quale si accompagna.

Nelle ultime Linee Guida in ambito di diagnosi e trattamento delle sindromi coronariche croniche (ESC 2019) si sottolinea l’importanza di entrambe le terapie, al fine di evitare una rilevante diminuzione della qualità di vita, della resistenza fisica, l’insorgenza di depressione e le ospedalizzazioni ricorrenti legate ad outcome clinici avversi. Attraverso vari studi è stato dimostrato come la rivascolarizzazione mediante angioplastica coronarica percutanea (PCI) o bypass aortocoronarico (CABG) possa condurre a un’effettiva riduzione del sintomo anginoso, dell’uso di farmaci antianginosi e portare ad un miglioramento dell’esercizio fisico e della qualità di vita, soprattutto se comparata a una strategia terapeutica basata sul solo utilizzo dei farmaci.

I trial più importanti che hanno esplorato questo topic sono stati il FAME-2 (Fractional Flow Reserve versus Angiography for Multivessel Evaluation 2) con il suo follow-up a 5 anni, la metanalisi di Windecker et al. e la metanalisi di Zimmermann e colleghi. I dati ottenuti in questi studi hanno portato a delle meno restrittive indicazioni di rivascolarizzazione nelle CCS, in aggiunta a un’anatomia specifica e critica (es. lesione tronco comune) o ad un’ischemia estesa (>10%), nel momento in cui la PCI è limitata al trattamento delle stenosi emodinamicamente e angiograficamente significative. Rimane comunque fondamentale anche la valutazione del rapporto rischi/benefici per ogni singolo paziente al fine di garantire la scelta di rivascolarizzazione solamente se i benefici attesi sovrastano i corrispettivi rischi. (Fig. 1-3).

 


Fig. 1 e 2. Differenze schematiche fra angioplastica coronarica percutanea e bypass aorto-coronarico.

 


Fig. 3. Rappresentazione grafica di PCI con posizionamento di stent.

 


Quando completare la rivascolarizzazione?

La rivascolarizzazione completa è un obiettivo importante nei pazienti con disfunzione ventricolare sinistra e/o CAD multivasale. Il principale vantaggio della rivascolarizzazione chirurgica rispetto alla PCI è la sua maggiore capacità di ottenere una completa rivascolarizzazione, soprattutto nei pazienti con CAD trivasale. Nella maggioranza di questi pazienti, soprattutto quelli con occlusione coronarica totale cronica, disfunzione ventricolare sinistra o CAD del tronco comune, il CABG è la procedura di scelta. Tra i pazienti con funzione ventricolare sinistra al limite (frazione di eiezione compresa fra il 40% e il 50%) e un grado di ischemia più modesto, la PCI può fornire un’adeguata rivascolarizzazione, anche se non è completa sul piano anatomico. Nella maggior parte dei pazienti risulta però adatto qualsiasi metodo di rivascolarizzazione, sia per via percutanea che chirurgica. Altri fattori che devono essere considerati nella decisione fra un completamento di rivascolarizzazione o meno, sono:

  1. accesso a un’equipe e a un operatore (chirurgo o cardiologo interventista) di alta qualità;
  2. preferenze del paziente. Alcuni pazienti sono restii a restare a rischio di recidiva dei sintomi e re-intervento; questi pazienti sono candidati più idonei alla terapia chirurgica. Altri pazienti sono più attratti dalla natura meno invasiva e dal recupero piu rapido dopo PCI; tali pazienti preferiscono avere una PCI come rivascolarizzazione iniziale, con la possibilità di ricorrere al CABG se i sintomi persistono e/o non è stata ottenuta un’eccellente rivascolarizzazione;
  3. età avanzata del paziente e comorbilità. Pazienti fragili, molto anziani e con patologie associate sono spesso più adatti alla PCI; maggiore giovinezza del paziente: la PCI è spesso preferibile nei soggetti più giovani (< 50 anni di età) nella previsione che essi possano richiedere un CABG a un certo momento nel futuro e che la PCI possa rimandare la necessità dell’intervento; questa sequenza è preferibile a due interventi. La scelta da parte del paziente stesso e la sua compliance risultano aspetti cruciali nella decisione dell’esecuzione della PCI o del CABG in questi gruppi di pazienti.


Infarto periprocedurale (im 4a udmi)

L’IM peri-procedurale è una delle complicanze più comuni di PCI. In precedenza venivano utilizzati due sistemi di classificazione degli IM dopo PCI: il sistema di classificazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) che definisce l’IM come un aumento della creatinchinasi (CK) totale di 2 volte rispetto al normale, associato a un aumento dell’isoforma CKB (miocardio-specifica); e un secondo sistema che è stato più frequentemente utilizzato nell’ambito delle valutazioni dei farmaci di associazione da parte della Food and Drug Administration, in cui l’IM viene definito come un aumento del CK-MB di 3 volte o più rispetto al normale dopo la procedura.

Attualmente, una definizione condivisa di IM periprocedurale prevede un livello di troponina cinque volte più elevato di quello normale quando si riscontra in concomitanza con evidenze cliniche di IM con sintomi, cambiamenti nell’elettrocardiogramma (ECG), reperti angiografici, o una nuova anomalia nell’imaging. Nella pratica clinica, aumenti asintomatici del CK-MB ( < 5 volte il limite superiore della norma) si verificano dopo il 3-11% delle PCI riuscite dal punto di vista tecnico e hanno in apparenza scarse conseguenze cliniche. Le mionecrosi di maggiore entità (CK-MB ≥5 volte il limite superiore della norma) hanno un più elevato valore predittivo di mortalità a 1 anno e andrebbero considerate come IM periprocedurali. Molti di questi infarti clinicamente silenti possono dipendere da una maggiore entità dell’aterosclerosi nei pazienti affetti e potrebbero non essere casuali. Aumenti della troponina T e I si verificano più frequentemente degli aumenti del CK-MB, ma non è noto il loro ulteriore significato prognostico rispetto all’aumento del CK-MB. Nello specifico, secondo le attuali Linee Guida, la diagnosi di un infarto periprocedurale (IMP, IM 4a) necessita di un rialzo troponinico maggiore di cinque volte il 99esimo percentile URL in pazienti con valori basali nella norma o, in pazienti con troponina elevata ma stabile (20% di variazione dal 50esimo percentile) nei dosaggi preprocedurali, di un rialzo dei valori di cTn > 20% assoluto oltre il valore di 5 volte il 99esimo percentile URL. In aggiunta a questo necessario, ma non sufficiente, parametro biochimico, deve esserci evidenza di ischemia miocardica evidenziabile attraverso cambiamenti ECG, evidenza all’imaging, o attraverso la visualizzazione diretta di complicanze correlate alla PCI e associate a una riduzione del flusso coronarico (es. dissezione coronarica, occlusione di un grande vaso epicardico o di un ramo collaterale, alterazioni dei flussi anastomotici, slow flow, no re-flow, embolizzazione distale). Esistono pertanto dei criteri diagnostici per un IM 4a insorto entro 48h dalla PCI. Oltre alle sopracitate variazioni dei valori di hs-cTn, è richiesto a fini diagnostici almeno un altro elemento fra i seguenti:


- alterazioni ECG caratteristiche per eventi ischemici;
- sviluppo di nuove onde Q patologiche;
- evidenza all’imaging di nuova perdita di miocardio vitale o nuove discinesie di parete attribuibili all’eziologia ischemica;
- riscontri angiografici attribuibili a complicanze procedurali con limitazione del flusso.


Myocardial injury

Il danno miocardico, myocardial injury, si manifesta attraverso il rialzo, isolato o meno, degli enzimi e biomarcatori cardiaci e, dati recenti, hanno riportato una significativa variabilità in merito all’incidenza dello stesso correlato alle procedure angioplastiche, con un range compreso fra il 25% e il 70% delle procedure. Questa complicanza ha come conseguenza quella di prolungare la degenza e di condizionare negativamente la prognosi dei pazienti, incrementando il rischio di ulteriori e successivi eventi ischemici. Tuttavia, rimane non del tutto chiarito l’impatto prognostico del danno miocardico peri-procedurale in relazione alla completezza della rivascolarizzazione ottenuta mediante angioplastica coronarica. L’obiettivo di questo studio è proprio quello di ricercare un’eventuale interazione fra il danno miocardico peri-procedurale e la completezza della rivascolarizzazione miocardica nel determinare gli outcome a lungo termine in pazienti con sindromi coronariche croniche trattati con angioplastica coronarica.


Impatto prognostico dell'infarto miocardico periprocedurale e del myocardial injury

Le tecniche di angioplastica coronarica percutanea sono state notevolmente migliorate e affinate nel corso degli ultimi quarant’anni, divenendo l’approccio terapeutico interventistico maggiormente utilizzato per la rivascolarizzazione miocardica.

La costante ricerca e innovazione bioingegneristica sui cateteri, fili guida e tecnologia degli stent hanno portato a procedure sempre più sicure e di successo (soprattutto in condizioni elettive e non d’urgenza) limitando quindi l’insorgenza di complicanze maggiori che, ad oggi, rappresentano delle evenienze piuttosto rare. Fra queste, si ritrovano principalmente la trombosi acuta intra-stent (infarto miocardico acuto di tipo 4b UDMI) e la rottura di placca post-procedurale con occlusione coronarica trombotica acuta (infarto miocardico acuto di tipo 1 UDMI). Al contrario, l’infarto miocardico peri-procedurale (tipo 4a UDMI) e il danno miocardico si configurano come complicanze molto più frequenti e spesso “benigne”. Proprio nell’ambito della rivascolarizzazione miocardica, l’infarto miocardico periprocedurale (IMP) viene considerato globalmente come uno fra i più importanti parametri di definizione degli endpoint compositi e il suo impatto sui vari outcome è ad oggi uno dei fondamentali oggetti di studio, specialmente se associato all’entità del danno miocardico correlato alla rivascolarizzazione. Differentemente, il danno miocardico, myocardial injury, si manifesta attraverso il rialzo, isolato o meno, degli enzimi e biomarcatori cardiaci e, dati recenti, hanno riportato una significativa variabilità in merito all’incidenza dello stesso correlato alle procedure angioplastiche, con un range compreso fra il 25% e il 70% delle procedure.

Nonostante la bassa incidenza di gravi complicanze, l’incremento isolato dei biomarcatori cardiaci a seguito di angioplastiche percutanee risulta un evento abbastanza frequente, specialmente nell’era della troponina cardiaca ad elevata sensibilità (hs-cTn). Studi recenti hanno difatti dimostrato come, in pazienti CCS (Coronaropatia cronica stabile) con valori basali normali di troponina cardiaca, il danno miocardico sia riscontrabile in circa il 50% dei casi, dosando la cTn convenzionale, e in circa l’80% dei casi di angioplastiche percutanee elettive dosando la hs-cTn senza però incidere sulla all cause-mortality ad un anno in maniera dipendente. Analogamente, sulla base della quarta definizione universale e dei biomarcatori in essa inglobati, è stata dimostrata anche una certa variabilità legata all’insorgenza di IMP: stimata fra il 3% e il 10% delle procedure analizzate.

Considerando gli stessi studi, se da un lato, alcuni hanno supportato l’associazione indipendente del danno miocardico con successivi eventi cardiovascolari e la mortalità a lungo termine, altri non hanno dimostrato alcuna relazione con outcome avversi e, similmente, è stato visto come elevazioni minime della troponina non siano sempre correlabili a perdita di miocardio vitale, e che la completa associazione fra la perdita di piccole quantità di miocardio vitale e successivi eventi cardiovascolari rimane non del tutto chiarita. Alla stregua di queste informazioni, è possibile comprendere come l’importanza in termini prognostici delle elevazioni enzimatiche rimane ancora altamente dibattuta, soprattutto per quanto riguarda gli eventi cardiovascolari ricorrenti e la mortalità a lungo termine. In conclusione, è ormai assodato come sia l’IM 4a che il danno miocardico peri-procedurale siano effettivi predittori indipendenti di mortalità a 1 anno post PCI, e possiedono le potenzialità per essere utilizzati come indicatori di qualità nella pratica clinica e endpoint nei futuri trial clinici incentrati su trattamenti farmacologici preventivi o strategie procedurali in sala di emodinamica. In particolare, se da un lato l’impatto dannoso dell’IM 4a sugli outcome clinici è stato ultimamente ampiamente dimostrato e confermato, l’influenza nei confronti degli outcome clinici del danno miocardico conseguente a strategie di rivascolarizzazione completa in pazienti trattati con PCI, è ancora sconosciuta. Lo studio presentato di seguito va a ricercare una relazione tra le differenti soglie di elevazione troponinica post-PCI e la completezza della rivascolarizzazione miocardica nel determinare outcome clinici a lungo termine in pazienti con sindromi coronariche croniche (CCS) trattati con angioplastica coronarica percutanea.


Materiali e metodi

In questo studio sono stati raccolti dati in merito a procedure angioplastiche coronariche effettuate nel Policlinico Campus Bio-medico di Roma da gennaio 2015 a giugno 2018. Sono stati inclusi e considerati pazienti di età maggiore di 18 anni, affetti da CCS (Sindrome Coronaropatia Cronica) con normali valori di cTn nel pre-PCI, dopo aver opportunamente firmato il consenso informato e accettato di partecipare al Follow-Up clinico. I pazienti sottoposti a PCI per sindromi coronariche acute (ACS) o fallimento di bypass chirurgico (CABG) sono stati esclusi. Ulteriori criteri di esclusione utilizzati sono stati l’insufficienza renale end-stage richiedente dialisi (Stadio V KDIGO), la frazione d’eiezione del ventricolo sinistro <35% e qualsiasi controindicazione alla doppia terapia antiaggregante (DAPT). Variabili cliniche di base e procedurali sono state raccolte al momento della procedura, mentre il Follow-Up è stato realizzato ogni anno attraverso visite successive dei pazienti e/o interviste telefoniche. Il dosaggio della Troponina ad alta sensibilità (hscTn Roche Diagnostics, Mannheim, Germania) è stato effettuato 6 ore prima della PCI e 12-24 ore dopo l’angioplastica stessa, per poi continuare il dosaggio fino al raggiungimento e all’identificazione del valore picco che è stato poi inserito nell’analisi. Inoltre, sono state effettuate indagini elettrocardiografiche seriate sia prima che dopo la procedura angioplastica per essere poi registrate nell’analisi in maniera simile al dosaggio troponinico.


Endpoint dello studio

Due distinti operatori (LP e MV) hanno indipendentemente valutato ogni angiografia coronarica sia prima che dopo la procedura angioplastica, calcolando separatamente il SYNTAX Score (SS) e il residual SYNTAX Score (rSS). Qualsiasi controversia e/o problematica riscontrata in queste valutazioni è stata poi risolta da un terzo operatore senior (FM). I terzili del SS sono stati generati utilizzando l’analisi dei percentili (basso: 0-6; intermedio: >6-11; alto: >11), mentre i terzili del rSS (basso: 0-4; intermedio: >4-8; alto: >8) sono stati definiti secondo i valori riportati e accettati in letteratura. La rivascolarizzazione è stata definita come completa, indicata con CR, in presenza di valori di rSS compresi fra 0 e 4, al contrario della rivascolarizzazione incompleta (IR) definita per valori di rSS >4. La popolazione in studio è stata quindi divisa in due gruppi: il gruppo dei pazienti che hanno ricevuto una rivascolarizzazione completa (CR) ed il gruppo dei pazienti che hanno ricevuto una rivascolarizzazione incompleta (IR). Inoltre, sulla base delle raccomandazioni della 4a definizione universale di infarto miocardico (UDMI) e dell’Academic Research Consortium-2 (ARC-2), sono state specificate tre soglie di danno miocardico (myocardial injury): 5x, 35x e 70x del 99esimo percentile in riferimento all’upper reference limit (URL) dell’aumento del valore basale della cTn. Gli endpoint clinici primari analizzati sono rappresentati dagli eventi avversi cardiovascolari maggiori (MACE) al Follow-Up a 2 anni, definiti dall’insieme di morte per tutte le cause, IM spontaneo e rivascolarizzazione non programmata.


Risultati

Sono stati arruolati nello studio 1061 pazienti e il follow-up a due anni è stato completato per 869 di essi. In totale 81 pazienti (9.3%) hanno sviluppato MACE durante il follow-up. All’analisi con curve di Kaplan-Meier, la rivascolarizzazione completa è stata associata a una riduzione significativa del tasso di MACE a 2 anni (log rank test p=0.010). Sebbene nessuna differenza significativa sia stata evidenziata nell’incidenza di MACE in pazienti con o senza danno miocardico peri-procedurale isolato, la presenza combinata di rivascolarizzazione incompleta e danno miocardico è stata correlata a percentuali di MACE significativamente più alte per ciascuna soglia di definizione del danno miocardico peri-procedurale. All’analisi univariata, utilizzando la regressione di Cox, sono state dimostrate multiple associazioni fra gli outcome e variabili cliniche/procedurali. Fra queste, le associazioni più significative sono state riscontrate con l’età, la malattia del tronco comune, la malattia multivasale, il SYNTAX score medio, la rivascolarizzazione completa, la combinazione di IR + Tn>5×URL, IR + Tn>35×URL e IR + Tn>70×URL. Dopo essere state incluse nel modello di analisi multivariata, i maggiori predittori indipendenti di eventi avversi cardiovascolari maggiori a due anni sono risultati essere nuovamente la malattia del tronco comune, la malattia trivasale e la combinazione di rivascolarizzazione incompleta e valore di Tn>35×URL. (Fig. 4-6)

 


Fig. 4. Analisi di Kaplan-Meier per procedura di IR versus CR e MACE.

 


Fig. 5. Analisi di Kaplan-Meier per danno miocardico (triplice soglia troponinica) associato a MACE: A cTn>5xURL; B cTn>35xURL; C cTn>70xURL.

 


Fig. 6
. Analisi di Kaplan-Meier per combinazione CR+/- danno miocardico e IR+/-danno miocardico con triplice soglia troponinica associate a MACE: A combinazioni di CR e IR con cTn>5xURL; B combinazioni di CR e IR con cTn>35xURL; C combinazioni di CR e IR con cTn>70xURL.

 


Discussione

I risultati ottenuti confermano l’ipotesi per cui il danno miocardico può, in maniera indipendente, influenzare la prognosi a lungo termine nei pazienti affetti da malattia coronarica (CAD) stabile a seguito di PCI con rivascolarizzazione incompleta (IR). Sulla base degli stessi risultati, i pazienti sottoposti a rivascolarizzazione incompleta che hanno sviluppato elevazioni post-procedurali della troponina cardiaca (cTn) - Tn>35×URL e Tn>70×URL - presentano un rischio aumentato di due e tre volte di eventi avversi cardiovascolari maggiori (MACE) riscontrato al Follow-Up a due anni [Hazard Ratio 2.40 al 95% CI (1.10-5.21) per IR + cTn > 35×URL e Hazard Ratio 3.14 al 95% CI (1.25- 7.89) per IR + cTn > 70×URL].

Come supposto, il rischio di IR e danno miocardico combinato è stato rilevato significativamente più alto in pazienti appartenenti al maggiore fra i terzili del SYNTAX score (SS > 11), confermando il ruolo centrale del burden ischemico coronarico pre-procedurale nel determinare il myocardial injury. Sulla base della letteratura analizzata, è possibile identificare questo studio come il primo incentrato sull’esplorazione di questo topic.

Nel nostro studio, il solo danno miocardico peri-procedurale non ha avuto riscontro di correlazione e associazione con gli eventi avversi cardiovascolari maggiori (MACE) indipendentemente dall’utilizzo di ognuna fra le soglie troponiniche sopracitate, eccezion fatta per un trend di correlazione identificato per valori di cTn > 70×URL (p=0.065).

La mancanza di associazione chiara fra il danno miocardico procedurale e gli outcome clinici per l’intera coorte di studio potrebbe essere rapportata a due principali fattori. In prima istanza, bisogna considerare le modeste dimensioni della popolazione (1061 pazienti) rispetto alle ben più grandi coorti studiate nei trial precedentemente citati. Secondariamente, l’utilizzo di un rigido protocollo di dosaggio della cTn (ripetuto progressivamente fino all’identificazione del picco troponinico) potrebbe aver potenzialmente condotto a un aumento della capacità di rilevare proprio i vari tipi di danno miocardico non associati a sintomi clinici e/o infarto miocardico significativo, riducendo in qualche modo l’associazione tra questa complicanza (myocardial injury) e gli outcome clinici successivi. A conferma dell’ipotesi di partenza e del background dello studio, il tasso di danni miocardici significativi si è dimostrato essere più alto nella nostra ricerca rispetto ai risultati ottenuti negli studi citati in precedenza, indipendentemente dalla soglia considerata. Perseguendo queste evidenze, risulta fondamentale comprendere come debba essere considerata ancor più significativa l’evidenza di outcome criticamente alterati nei pazienti sottoposti a rivascolarizzazione incompleta (IR) che sviluppano un danno miocardico procedurale.

La rivascolarizzazione incompleta a seguito di angioplastica o di bypass aorto-coronarico è un evento abbastanza comune con un’incidenza stimata superiore al 50%. Se confrontati con pazienti sottoposti a una procedura di una rivascolarizzazione completa (CR), la popolazione “rivascolarizzata” e con malattia coronarica residua mostra outcome significativamente peggiori con un aumentato rischio di infarto del miocardio e morte durante il follow-up. Nella nostra coorte, l’IR è stata correlata ad outcome alterati in corso di analisi univariata, a differenza del modello di analisi multivariata in cui la rivascolarizzazione incompleta non è stata identificata come un predittore indipendente di MACE. Questo risultato ottenuto potrebbe essere legato, ancora una volta, al limitato numero di pazienti arruolati e al loro basso profilo di rischio clinico e cardiovascolare (con un basso tasso di comorbidità maggiori e minori valori di SS medio rispetto agli studi sopracitati). Fra i predittori più rilevanti, figura sicuramente un burden ischemico elevato (descrivibile potenzialmente attraverso il SS) il quale è stato riconosciuto come forte predittore sia di mancata completezza di rivascolarizzazione che di IMP/danno miocardico peri-procedurale. Invariabilmente, la presenza combinata di IR e danno miocardico è stata predetta dalla presenza di alti valori di SS procedurali e pre-procedurali [IR + cTn > 35×URL: HR 6.55; 95% CI (3.43-12.5); IR + cTn > 70×URL: HR 13.3; 95% CI (5.23- 34.1)].

Durante l’esecuzione di una angioplastica coronarica percutanea, si riscontrano molteplici fattori in grado di contribuire all’insorgenza di myocardial injury. Fattori operatore-dipendenti (come una dilatazione di baloon estremamente prolungata e/o aggressiva), vasospasmo epicardico o della microcircolazione coronarica ed embolizzazione distale sono stati tutti identificati come potenziali per un danno miocardico peri-procedurale. Si potrebbe ipotizzare che i pazienti con malattia coronarica residua e grandi aree di miocardio a rischio ischemico mostrano un rischio più alto di danno miocardico e potrebbero risultare maggiormente esposti a eventi avversi cardiovascolari maggiori, contrariamente ai pazienti sottoposti a una CR efficace. In questo sottogruppo di pazienti ad alto rischio, la presenza di alti valori di rSS potrebbe potenzialmente portare a una riduzione della massa di “riserva miocardica”, sottolineando la rilevante influenza sugli outcome clinici di anche minime elevazioni di cTn post-angioplastica.


Limitazioni e conclusioni

Il nostro studio presenta comunque importanti limitazioni. In primo luogo, come trattato precedentemente, l’utilizzo di un campione limitato ha certamente influenzato qualche risultato riportato, tra cui sicuramente le rilevazioni riguardanti l’associazione fra IMP/danno miocardico peri-procedurale e gli outcome clinici esaminati. Inoltre, nonostante l’utilizzo di operatori esperti, la mancanza di una valutazione laboratoristica di base delle angiografie coronariche durante la fase di arruolamento potrebbe aver condotto a bias di determinazione del SS e del rSS delle procedure considerate e analizzate. Infine, sebbene siano stati coinvolti reali pazienti sottoposti a PCI per malattia coronarica stabile, la coorte arruolata e le sue caratteristiche demografiche sono state inevitabilmente influenzate dalla natura monocentrica del nostro studio.

Nel complesso, attraverso l’analisi di 1061 procedure coronarografiche e angioplastiche e la raccolta del follow-up a due anni di 869 pazienti, il nostro studio dimostra per la prima volta che, in pazienti sottoposti ad angioplastica coronarica, l’associazione di una rivascolarizzazione incompleta e del danno miocardico periprocedurale è criticamente associata ad un aumentato rischio di eventi avversi cardiovascolari maggiori a due anni. Nonostante in letteratura esistano delle evidenze conflittuali in merito all’influenza del myocardial injury sugli outcome clinici, i risultati ottenuti in questo studio dimostrano che i pazienti rivascolarizzati in maniera incompleta possono effettivamente rappresentare un sottogruppo ad elevatissimo rischio clinico di complicanze e MACE. Dato il limitato numero di pazienti arruolati e la natura monocentrica del nostro studio, si rendono comunque necessari ulteriori studi clinici con maggiore numerosità del campione e possibilmente multicentrici, al fine di poter confermare i nostri risultati. 


Sintesi della Tesi di Laurea discussa il 15 giugno 2022

Facoltà Dipartimentale di Medicina e Chirurgia, Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia, Università Campus Bio-Medico di Roma

Relatore: Prof. Francesco Grigioni, Ordinario Malattie dell'apparato cardiovascolare, Direttore Scuola di Specializzazione in Malattie dell'Apparato cardiovascolare, Università Campus Bio-Medico di Roma

Correlatore: Dott. Fabio Mangiacapra, Unità di Ricerca Medicina e Chirurgia, Scienze Cardiologiche, Università Campus Bio-Medico di Roma

BIBLIOGRAFIA

Bangalore S, Pencina MJ, Kleiman NS, Cohen DJ. Prognostic implications of procedural vs spontaneous myocardial infarction: Results from the Evaluation of Drug Eluting Stents and Ischemic Events (EVENT) registry. Am Heart J 2013; 166: 1027-34.

Ben-Yehuda O, Chen S, Redfors B, et al. Impact of large periprocedural myocardial infarction on mortality after percutaneous coronary intervention and coronary artery bypass grafting for left main disease: an analysis from the EXCEL trial. Europ Heart J 2019; 40: 1930-41.

Boden WE, O'Rourke RA, Teo KK, et al. Optimal Medical Therapy with or without PCI for Stable Coronary Disease. N Engl J Med 2007; 356: 1503-16.

Bucher, H. C. Percutaneous transluminal coronary angioplasty versus medical treatment for non-acute coronary heart disease: meta-analysis of randomised controlled trials. BMJ 2000; 321: 73-77.

Bulluck H, Paradies V, Barbato E, et al. Prognostically relevant periprocedural myocardial injury and infarction associated with percutaneous coronary interventions: a Consensus Document of the ESC Working Group on Cellular Biology of the Heart and European Association of Percutaneous Cardiovascular Interventions (EAPCI). Eur Heart J 2021; 42: 2630-42.

Chaitman BR, Alexander KP, Cyr D, et al. Myocardial Infarction in the ISCHEMIA Trial: Impact of Different Definitions on Incidence, Prognosis, and Treatment Comparisons. Circulation 2021; 143: 790-804.

Chang M, Ahn JM, Kim N, et al. Complete versus incomplete revascularization in patients with multivessel coronary artery disease treated with drug-eluting stents. Am Heart J 2016; 179: 157-65.

Cho MS, Ahn JM, Lee CH, et al. Differential Rates and Clinical Significance of Periprocedural Myocardial Infarction After Stenting or Bypass Surgery for Multivessel Coronary Disease According to Various Definitions. JACC Cardiovasc Interv 2017; 10: 1498-507.

Christensen MK, Huang H, Torp-Pedersen C, Trydal T, Ravkilde J. Incidence and impact on prognosis of peri-procedural myocardial infarction in 2760 elective patients with stable angina pectoris in a historical prospective follow- up study. BMC Cardiovasc Disord 2016; 16: 140.

De Bruyne B, Pijls NH, Kalesan B, et al. Fractional Flow Reserve–Guided PCI versus Medical Therapy in Stable Coronary Disease. N Engl J Med 2012; 367; 991-1001.

De Bruyne B, Fearon WF, Pijls NH, et al. Fractional Flow Reserve–Guided PCI for Stable Coronary Artery Disease. N Engl J Med 2014; 371, 1208-17.

Farooq V, van Klaveren D, Steyerberg EW, et al. Anatomical and clinical characteristics to guide decision making between coronary artery bypass surgery and percutaneous coronary intervention for individual patients: development and validation of SYNTAX score II. Lancet 2013; 381: 639-50.

Farooq V, Serruys PW, Bourantas CV, et al. Quantification of Incomplete Revascularization and its Association With Five-Year Mortality in the Synergy Between Percutaneous Coronary Intervention With Taxus and Cardiac Surgery (SYNTAX) Trial Validation of the Residual SYNTAX Score. Circulation 2013; 128: 141-51.

Fearon WF, Nishi T, De Bruyne B, et al. Clinical Outcomes and Cost-Effectiveness of Fractional Flow Reserve–Guided Percutaneous Coronary Intervention in Patients With Stable Coronary Artery Disease. Circulation 2018; 137: 480-7.

Fihn SD, Gardin JM, Abrams J, et al. 2012 ACCF/AHA/ACP/AATS/PCNA/SCAI/STS Guideline for the Diagnosis and Management of Patients With Stable Ischemic Heart Disease. J Am Coll Cardiol 2012; 60: e44-e164.

Garcia-Garcia HM, McFadden EP, von Birgelen C, et al. Impact of Periprocedural Myocardial Biomarker Elevation on Mortality Following Elective Percutaneous Coronary Intervention. JACC Cardiovasc Interv 2019; 12: 1954-62.

Garcia-Garcia HM, McFadden EP, Farb A, et al. Standardized endpoint definitions for coronary intervention trials: The Academic Research Consortium-2 Consensus Document. Eur Heart J 2018; 39: 2192-207.

Garcia-Garcia HM, McFadden EP, Farb A, et al. Standardized endpoint definitions for coronary intervention trials: The Academic Research Consortium-2 Consensus Document. Circulation 2018; 137: 2635-50.

Garcia-Garcia HM, McFadden EP, Farb A, et al. Standardized endpoint definitions for coronary intervention trials: The Academic Research Consortium-2 Consensus Document. Eur Heart J 2018; 39: 2192-207.

Go AS, Mozaffarian D, Roger VL, et al. Executive Summary: Heart Disease and Stroke Statistics—2013 Update. Circulation 2013; 127: 143-52.

Gregson J, Stone GW, Ben-Yehuda O, et al. Implications of Alternative Definitions of Peri-Procedural Myocardial Infarction After Coronary Revascularization. J Am Coll Cardiol 2020; 76: 1609-21.

Hara H, Serruys PW, Takahashi K, et al. Impact of Peri-Procedural Myocardial Infarction on Outcomes After Revascularization. J Am Coll Cardiol 2020; 76: 1622-39.

Iakovou I, Schmidt T, Bonizzoni E. Incidence, Predictors, and Outcome of Thrombosis After Successful Implantation of Drug-Eluting Stents. JAMA 2005; 293: 2126-30.

Jeffrey J, Popma DLB. Procedura coronarica percutanea, PCI completa vs ischemia-mirata per la patologia multivasale. In: Braunwald E, Mann DL, Zipes DP: Malattie del Cuore di Braunwald. Trattato di Medicina Cardiovascolare. Milano: Edra, 2016.

Kappetein AP, Feldman TE, Mack MJ, et al. Comparison of coronary bypass surgery with drug-eluting stenting for the treatment of left main and/or three-vessel disease: 3-year follow- up of the SYNTAX trial. Eur Heart J 2011; 32: 2125-34.

Katritsis DG, Ioannidis JPA. Percutaneous Coronary Intervention Versus Conservative Therapy in Nonacute Coronary Artery Disease. Circulation 2005; 111: 2906-12.

Koskinas KC, Ndrepepa G, Räber L, et al. Prognostic Impact of Periprocedural Myocardial Infarction in Patients Undergoing Elective Percutaneous Coronary Interventions. Circ Cardiovasc Interv 2018; 11: e006752.

Lee JH, Lee SW. Strategies for multivessel revascularization in patients with diabetes. J Com Eff Res 2013; 2: 231-4.

Levey AS, de Jong PE, Coresh J, et al. The definition, classification, and prognosis of chronic kidney disease: a KDIGO Controversies Conference report. Kidney Int 2011; 80: 17-28.

Levine GN, Bates ER, Blankenship JC, et al. 2011 ACCF/AHA/SCAI guideline for percutaneous coronary intervention: Executive Summary. Catheter Cardiovasc Interv 2012; 79: 453-95.

Liou K, Jepson N, Kellar P, et al. Prognostic Significance of Peri-procedural Myocardial Infarction in the Era of High Sensitivity Troponin: A Validation of the Joint ACCF/AHA/ESC/WHF Universal Definition of Type 4a Myocardial Infarction with High Sensitivity Troponin T. Heart Lung Circ 2015; 24: 673-81.

Loeb HS, Liu JC. Frequency, Risk Factors, and Effect on Long-Term Survival of Increased Troponin I Following Uncomplicated Elective Percutaneous Coronary Intervention. Clin Cardiol 2010; 33: E40-E44.

Longo D, Fauci A, Kasper D, Hauser S, Jameson J, Loscalzo J. Harrison’s Principles of Internal Medicine. McGraw Hill Professional, 2011.

Mancini GB, Bates ER, Maron DJ. Quantitative Results of Baseline Angiography and Percutaneous Coronary Intervention in the COURAGE Trial. Circ Cardiovasc Qual Outcomes 2009; 2: 320-7.

Mangiacapra F, Rinaldi R, Colaiori I, et al. Prediction of type 4a myocardial infarction with the angiography-derived hemodynamic (ADDED) index. Heart Vessels 2022; 37: 1471-7.

Maron DJ, Hochman JS, Reynolds HR, et al. Initial Invasive or Conservative Strategy for Stable Coronary Disease. N Engl J Med 2020; 382: 1395-407.

McDonagh TA, Metra M, Adamo M, et al. 2021 ESC Guidelines for the diagnosis and treatment of acute and chronic heart failure. Eur Heart J 2021; 42: 3599-726.

Medina A, Suárez de Lezo J, Pan M. [A new classification of coronary bifurcation lesions]. Rev Esp Cardiol 2006; 59: 183.

Miller WL, Garratt KN, Burritt MF, Reeder GS, Jaffe AS. Timing of Peak Troponin T and Creatine Kinase-MB Elevations After Percutaneous Coronary Intervention. Chest 2004; 125: 275-80.

Morrow DA. Cardiovascular Risk Prediction in Patients With Stable and Unstable Coronary Heart Disease. Circulation 2010; 121: 2681-91.

Moussa ID, Klein LW, Shah B, et al. Consideration of a New Definition of Clinically Relevant Myocardial Infarction After Coronary Revascularization. J Am Coll Cardiol 2013; 62: 1563-70.

Nashef SA, Roques F, Michel P, Gauducheau E, Lemeshow S, Salamon R. European system for cardiac operative risk evaluation (EuroSCORE). Eur J Cardiothor Surg 1999; 16: 9-13.

Navarese EP, Lansky AJ, Kereiakes DJ, et al. Cardiac mortality in patients randomised to elective coronary revascularisation plus medical therapy or medical therapy alone: a systematic review and meta-analysis. Eur Heart J 2021; 42: 4638-51.

Ndrepepa G, Colleran R, Braun S, et al. High-Sensitivity Troponin T and Mortality After Elective Percutaneous Coronary Intervention. J Am Coll Cardiol 2016; 68: 2259-68.

Pepine CJ, Douglas PS. Rethinking Stable Ischemic Heart Disease. J Am Coll Cardiol 2012; 60: 957-9.

Pijls NHJ, Sels JWEM. Functional Measurement of Coronary Stenosis. J Am Coll Cardiol 2012; 59: 1045-57.

Pijls NH, van Schaardenburgh P, Manoharan G, et al. Percutaneous Coronary Intervention of Functionally Nonsignificant Stenosis. J Am Coll Cardiol 2007; 49: 2105-11.

Pijls NH, Fearon WF, Tonino PA, et al. Fractional Flow Reserve Versus Angiography for Guiding Percutaneous Coronary Intervention in Patients With Multivessel Coronary Artery Disease. J Am Coll Cardiol 2010; 56: 177-84.

Prasad A, Singh M, Lerman A, Lennon RJ, Holmes DR Jr, Rihal CS. Isolated Elevation in Troponin T After Percutaneous Coronary Intervention Is Associated With Higher Long-Term Mortality. J Am Coll Cardiol 2006; 48: 1765-70.

Serruys PW, Morice MC, Kappetein AP, et al. Percutaneous Coronary Intervention versus Coronary-Artery Bypass Grafting for Severe Coronary Artery Disease. N Engl J Med 2009; 360: 961-72.

Shaw LJ, Berman DS, Maron DJ, et al. Optimal Medical Therapy With or Without Percutaneous Coronary, Intervention to Reduce Ischemic Burden. Circulation 2008;117: 1283-91.

Sianos G, Morel MA, Kappetein AP, et al. The SYNTAX Score: an angiographic tool grading the complexity of coronary artery disease. EuroIntervention 2005; 1: 219-27.

Silvain J, Zeitouni M, Paradies V, et al. Procedural myocardial injury, infarction and mortality in patients undergoing elective PCI: a pooled analysis of patient-level data. Eur Heart J 2021; 42: 323-34.

Spertus JA, Salisbury AC, Jones PG, Conaway DG, Thompson RC. Predictors of Quality-of-Life Benefit After Percutaneous Coronary Intervention. Circulation 2004; 110: 3789-94.

Steg PG, Greenlaw N, Tendera M, et al. Prevalence of Anginal Symptoms and Myocardial Ischemia and Their Effect on Clinical Outcomes in Outpatients With Stable Coronary Artery Disease. JAMA Int Med 2014; 174: 1651.

Stergiopoulos K, Brown DL. Initial Coronary Stent Implantation With Medical Therapy vs Medical Therapy Alone for Stable Coronary Artery Disease. Arch Intern Med 2012; 172: 312-9.

Stone GW. Periprocedural Myocardial Infarction. JACC: Cardiovascular Interventions 2016; 9: 2229-31.

Takahashi K, Serruys PW, Gao C, et al. Ten-Year All-Cause Death According to Completeness of Revascularization in Patients With Three-Vessel Disease or Left Main Coronary Artery Disease: Insights From the SYNTAX Extended Survival Study. Circulation 2021; 144: 96-109.

Thygesen K, Alpert JS, Jaffe AS, et al. Fourth Universal Definition of Myocardial Infarction (2018). J Am Coll Cardiol 2018; 72: 2231-64.

Thygesen K, Alpert JS, Jaffe AS, et al. Third Universal Definition of Myocardial Infarction. J Am Coll Cardiol 2012; 60: 1581-98.

Thuijs DJFM, Kappetein AP, Serruys PW, et al. Percutaneous coronary intervention versus coronary artery bypass grafting in patients with three-vessel or left main coronary artery disease: 10-year follow-up of the multicentre randomised controlled SYNTAX trial. Lancet 2019; 394: 1325-34.

Tonino PA, De Bruyne B, Pijls NH, et al. Fractional Flow Reserve versus Angiography for Guiding Percutaneous Coronary Intervention. N Engl J Med 2009; 360: 213-24.

Tricoci P, Newby LK, Clare RM, et al. Prognostic and Practical Validation of Current Definitions of Myocardial Infarction Associated With Percutaneous Coronary Intervention. JACC Cardiovasc Interv 2018; 11: 856-64.

Ueki Y, Otsuka T, Bär S, et al. Frequency and Outcomes of Periprocedural MI in Patients With Chronic Coronary Syndromes Undergoing PCI. J Am Coll Cardiol 2022; 79: 513-26.

van Nunen LX, Zimmermann FM, Tonino PA, et al. Fractional flow reserve versus angiography for guidance of PCI in patients with multivessel coronary artery disease (FAME): 5-year follow- up of a randomised controlled trial. Lancet 2015; 386: 1853-60.

Windecker S, Stortecky S, Stefanini GG, et al. Revascularisation versus medical treatment in patients with stable coronary artery disease: network meta-analysis. BMJ 2014; 348: g3859-g3859.

Xaplanteris P, Fournier S, Pijls NHJ, et al. Five-Year Outcomes with PCI Guided by Fractional Flow Reserve. N Engl J Med 2018; 379: 250-9.

Zeitouni M, Silvain J, Guedeney P, et al. Periprocedural myocardial infarction and injury in elective coronary stenting. Eur Heart J 2018; 39: 1100-9.

Zimmermann FM, Omerovic E, Fournier S, et al. Fractional flow reserve-guided percutaneous coronary intervention vs. medical therapy for patients with stable coronary lesions: meta- analysis of individual patient data. Eur Heart J 2019; 40: 180-6.