Anno Accademico 2015-2016
Vol. 60, n° 4, Ottobre - Dicembre 2016
ECM: L’Insufficienza respiratoria acuta e cronica
31 maggio 2016
ECM: L’Insufficienza respiratoria acuta e cronica
31 maggio 2016
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I progressi nelle possibilità di cura e assistenza al paziente respiratorio critico ne hanno migliorato la sopravvivenza, anche in caso di patologie respiratorie molto gravi come l’ARDS[. Una sopravvivenza che spesso si associa però a decondizionamento fisico, alterazioni funzionali e scarsa qualità di vita dopo la dimissione dalla terapia intensiva, con la necessità di interventi riabilitativi che si protraggono anche dopo il periodo di ricovero ospedaliero, costi sanitari e sociali molto elevati. Le recenti evidenze depongono a favore di un intervento riabilitativo che inizi già nella fase acuta in ambiente intensivo e che coinvolga tutto il team interdisciplinare. Tale intervento è volto alla valutazione e alla prevenzione del decondizionamento fisico e del declino funzionale durante la permanenza in terapia intensiva. I punti cardine dell'intervento sono la mobilizzazione precoce e la ripresa dell'attività fisica non appena le condizioni cliniche lo permettono. Esistono diversi protocolli che attraverso un'attenta valutazione ed un costante monitoraggio dello stato cardio-respiratorio e neurologico, del livello di cooperazione e dello stato funzionale del paziente (della riserva cardiorespiratoria, della forza muscolare, dell'articolarità, ecc), permettono la tempestività e la progressione degli interventi, garantendo la sicurezza del paziente. La valutazione e il trattamento riabilitativo del paziente critico con insufficienza respiratoria acuta verte su due fronti principali: il decondizionamento fisico - con la debolezza muscolare, la rigidità articolare, la riduzione della capacità di esercizio e l’immobilità - e la funzione respiratoria - con le problematiche relative alla gestione delle secrezioni, la prevenzione/trattamento delle atelettasie e la debolezza dei muscoli respiratori. Gli obiettivi realisticamente basati sulle evidenze disponibili sono quindi: il ricondizionamento fisico e lo svezzamento dalla ventilazione meccanica.
Anche la sola mobilizzazione, in pazienti con insufficienza respiratoria acuta è in grado di ridurre il tempo di permanenza in terapia intensiva e, in generale, dei giorni di ricovero ospedaliero. Diversi studi dimostrano che l'aggiunta di attività di tipo aerobico e di rinforzo muscolare, sia per gli arti inferiori sia di quelli superiori, favorisce un più rapido recupero della funzione e della distanza percorsa al Six Minute Walking Test (6MWT), una riduzione dei giorni di dipendenza dal ventilatore meccanico e una minor incidenza del delirium.
La stimolazione elettrica neuromuscolare (NMES) è stata indicata per prevenire l'atrofia muscolare da disuso: applicata a pazienti ventilati meccanicamente e sedati si è dimostrata efficace nel ridurre l'atrofia muscolare e l'incidenza di polineuropatia (critical illness neuropathy, CIP). Inoltre, se utilizzata in associazione alla mobilizzazione attiva degli arti inferiori, è in grado di rendere più rapido il recupero della forza muscolare e il passaggio dal letto alla sedia. Una quota di pazienti con insufficienza respiratoria acuta incontra difficoltà di svezzamento dalla ventilazione meccanica, con aumentato rischio di complicanze e un maggior consumo di risorse sanitarie. La ripresa della funzione dei muscoli respiratori è uno dei fattori critici per il recupero dell’autonomia ventilatoria. Dalla letteratura recente emerge che il training specifico (Inspiratory Muscle Strength Training) dei muscoli inspiratori in pazienti ventilati possa migliorarne la forza e ridurre il tempo necessario per lo svezzamento.
Attualmente, però, non vi sono ancora sufficienti evidenze per raccomandarne l’utilizzo routinario in tutti i pazienti critici che vengono sottoposti a ventilazione meccanica.
In conclusione, i programmi di riabilitazione precoce nel paziente critico si sono dimostrati efficaci e sicuri; la mobilizzazione precoce è raccomandata poiché in grado di migliorare outcomes clinici e ridurre le complicanze durante e dopo la degenza, nonché ottimizzare tempi di degenza e costi sanitari.
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