Dott. Urbano Del Balzo

Avvocato Penalista

Articolo pubblicato in:

Anno Accademico 2016-2017

Vol. 61, n° 1, Gennaio - Marzo 2017

Conferenza: Colpa professionale medica: profili di rilevanza penale

29 novembre 2016

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Colpa professionale medica: profili di rilevanza penale

U. Del Balzo

Questi i punti affrontati:

1.    Consenso informato.
2.    Caratteristiche della colpa. Colpa grave.
3.    Necessità - affinché il fatto assuma eventuale rilevanza penale - di verificazione dell'evento lesivo e/o mortale.
4.    Rilevanza del nesso causale.

1. Consenso informato.

            Come è evidente, la condotta del medico - in particolare del chirurgo - si concretizza (anche) con l'esecuzione di lesioni e/o asportazione di organi con finalità terapeutiche.

            A scriminare detta condotta intervengono:

  • il c.d. consenso dell'avente diritto
  • ovviamente, la finalità terapeutica.

            Le prestazioni medico chirurgiche - ove poste in essere senza consenso - potrebbero infatti integrare fattispecie di rilevanza penale quali violenza privata, lesioni e persino omicidio colposo o preterintenzionale.

            Tra medico e paziente deve integrarsi una sostanziale alleanza terapeutica.

            Il paziente deve essere debitamente informato della prestazione sanitaria che va ad espletarsi. Con informazione sugli ipotetici rischi e benefici.

            Che il consenso scriminante debba riferirsi ad attività medico-chirurgica espletata secondo le regole della migliore medicina, è stato - anche recentemente - ribadito dalla Cassazione.

            Sinteticamente: il consenso informato, se non sufficiente, è peraltro necessario. Sempre che - ovviamente - si versi nella possibilità di prestarlo.

            Appunto e richiamando l'ultimo inciso, nei casi di emergenza ove - evidentemente - il paziente non potrà esprimere consenso, l'attività del medico è ugualmente scriminata operando l'esimente dello stato di necessità.

            La condotta del sanitario dovrà comunque e sempre avere finalità terapeutica.

            Più specificamente la natura del consenso informato.

            La Cassazione ha più volte ribadito che "Ai fini dell'apprezzamento della condotta del sanitario, non è di regola possibile fondare la colpa sulla mancanza del consenso del paziente, perché l'obbligo di acquisire il consenso informato non integra una regola cautelare la cui inosservanza influisce sulla colpevolezza, essendo l'acquisizione del consenso preordinata a evitare non già fatti dannosi prevedibili (ed evitabili), bensì a tutelare il diritto alla salute e, soprattutto, il diritto alla scelta consapevole in relazione agli eventuali danni che possano derivare dalla scelta terapeutica in attuazione dell'art. 32, comma 2, Cost." (Cass. Pen., Sez. IV, 27/11/2013, n. 2347).

            In particolare la scelta consapevole - ecco perché è necessaria un'adeguata informazione, ed il consenso potrà dirsi correttamente prestato soltanto a conclusione ed in riferimento alla stessa - si incentra sul diritto all'esercizio di una decisione ponderata, in relazione agli eventuali danni che possono derivare dalla opzione terapeutica.

            In tal senso costante orientamento giurisprudenziale (Cass. Pen., Sez. IV, 24/03/2015 n. 21537 - Cass. Pen., Sez. IV, 27/11/2013 n. 2347).

            Più incisivamente ed ancora il testuale orientamento della Suprema Corte:

            "L'attività medico-chirurgica, per essere legittima, presuppone il "consenso" del paziente, che non si identifica con quello di cui all'art. 50 c.p., ma costituisce un presupposto di liceità del trattamento: infatti, il medico, di regola e al di fuori di taluni casi eccezionali (allorchè il paziente non sia in grado per le sue condizioni di prestare un qualsiasi consenso o dissenso, ovvero, più in generale:

ove sussistano le condizioni dello stato di necessità di cui all'art. 54 c.p.), non può intervenire senza il consenso o malgrado il dissenso del paziente. In questa prospettiva, il "consenso", per legittimare il trattamentoterapeutico , deve essere "informato", cioè espresso a seguito di una informazione completa, da parte del medico, dei possibili effetti negativi della terapia o dell'intervento chirurgico, con le possibili controindicazioni e l'indicazione della gravità degli effetti del trattamento. Il consenso informato, infatti, ha come contenuto concreto la facoltà non solo di scegliere tra le diverse possibilità di trattamento medico, ma anche di eventualmente rifiutare la terapia e di decidere consapevolmente di interromperla, in tutte le fasi della vita, anche in quella terminale. Tale conclusione, fondata sul rispetto del diritto del singolo alla salute, tutelato dall'art. 32 cost. (per il quale i trattamenti sanitari sono obbligatori nei soli casi espressamente previsti dalla legge), sta a significare che il criterio di disciplina della relazione medico-malato è quello della libera disponibilità del bene salute da parte del paziente in possesso delle capacità intellettive e volitive, secondo una totale autonomia di scelte che può comportare il sacrificio del bene stesso della vita e che deve essere sempre rispettata dal sanitario." (Cass. Pen., Sez. IV, 27/11/2013, n. 2347).

            Pertanto il consenso informato si sviluppa e determina nel diritto di ricevere adeguata informazione sulla terapia da praticare, sulla evoluzione della stessa, sulla possibilità di terapie alternative, nonché possibili controindicazioni.

            E' necessaria la analiticità dello stesso.

            In sintesi, il consenso per correttamente manifestarsi/formare, necessita di informazione adeguata e completa ed è da ritenersi uno dei principi cardine nell'ambito del diritto alla salute.

            E la ratio e/o natura dello stesso si identifica nel diritto ad una scelta terapeutica consapevole.

            Di interesse richiamare un passo - in proposito - del Codice Deontologico. All'art. 3, testualmente:

"Il medico deve fornire al paziente la più idonea informazione sulla diagnosi, sulla prognosi, sulle prospettive e le eventuali alternative diagnostico-terapeutiche e sulle prevedibili conseguenze delle scelte operate.

            Il medico dovrà comunicare con il soggetto tenendo conto delle sue capacità di comprensione, al fine di promuoverne la massima partecipazione alle scelte decisionali e l'adesione alle proposte diagnostico-terapeutiche.     ... ...".

            Un importante interrogativo attiene alla eventuale sussistenza di rilevanza penale della condotta del sanitario che, pur in assenza di un valido consenso del paziente, abbia tenuto una condotta improntata alla migliore medicina con esito positivo per la salute del suo assistito.

            La Cassazione è intervenuta a Sezioni Unite:

"Nel caso in cui il medico sottoponga il paziente ad un trattamento chirurgico diverso da quello in relazione al quale era stato prestato il consenso informato, e tale intervento, eseguito nel rispetto dei protocolli e delle "leges artis", si sia concluso con esito fausto, nel senso che dall'intervento stesso è derivato un apprezzabile miglioramento delle condizioni di salute, in riferimento, anche alle eventuali alternative ipotizzabili, e senza che vi fossero indicazioni contrarie da parte del paziente medesimo, tale condotta è priva di rilevanza penale, tanto sotto il profilo della fattispecie di cui all'art. 582 c.p., che sotto quello del reato di violenza privata di cui all'art. 610 c.p." (Cass. Pen., sez. un., 18/12/2008, n. 2437).

            Anche recentemente - in presenza delle condizioni e/o conseguenze analiticamente tracciate nella Sentenza sopra indicata - è stata ribadita la non rilevanza penale della evenienza rappresentata:

"L'attività medico-chirurgica per essere considerata legittima necessita dell'acquisizione del consenso informato rilasciato dal paziente, salve le eccezioni previste dalla legge. Non ricorre però alcuna fattispecie penale nel caso in cui il medico, pur in assenza di un valido consenso del paziente, abbia agito secondo la "lex artis" e l'intervento si sia concluso con esito benefico per la salute del paziente, da intendersi come miglioramento della patologia da cui lo stesso era affetto." (Cass. Pen., Sez. I, 26/03/2014, n. 24918).

2. Caratteristiche della colpa. Colpa grave

            Sono ampiamente note le caratteristiche della colpa:

  • imprudenza
  • negligenza
  • imperizia.

            La imprudenza si realizza con condotte avventate e/o insufficientemente ponderate. Si concretizza, altresì, nella violazione di regole di condotta che impongono e/o comunque
valutano come opportuno un comportamento diverso da quello tenuto, o vietano di tenerlo.

            La negligenza è sostanzialmente sinonimo di trascuratezza. Normalmente va ad inerire la violazione di condotta che si sarebbe dovuta porre in essere secondo buon senso. La condotta negligente è, sostanzialmente, espressione di superficialità anche nell'ottica del c.d. sentire comune; potremmo affermare - stressando il concetto - che si tratta di violazioni comportamentali non necessariamente ancorate al sapere medico in senso stretto.

            Concettualmente assai chiara recente pronuncia della Suprema Corte, che ha riguardato la responsabilità di una infermiera per non aver apposto delle sponde al letto di un paziente, concretamente esposto al rischio di cadute.

            Di seguito:

"Va riconosciuta la responsabilità in capo ad un'infermiera per il decesso di un paziente a seguito di caduta dal letto di degenza, atteso che la donna, constatata la mancata apposizione delle sponde al letto del paziente, concretamente esposto al rischio di cadere dal letto, per le condizioni di abnorme agitazione e di disorientamento documentate dalle ripetute e conformi annotazioni riportate nel diario infermieristico, era tenuta, in nome dell'obbligo di protezione su di lei gravante in ragione delle mansioni esercitate, ad adottare la suddetta misura volta ad evitare il verificarsi di eventi accidentali, peraltro ampiamente prevedibili, non potendo costei giovarsi del rifiuto opposto dal paziente, facilmente e doverosamente superabile richiedendo l'intervento del medico di guardia". (Cass. Pen. Sez. IV, 16/10/2013, n. 21285).

            La imperizia va intesa come preparazione non sufficiente, inettitudine in riferimento e relazione a specifiche conoscenze tecniche che l'agente - in particolare per il suo ruolo e/o funzione - avrebbe dovuto conoscere.

            Proprio sulla imperizia - normalmente e come è evidente - va ad incentrarsi, con maggiore frequenza, la colpa professionale medica.

— — —

            In relazione a quello che è possibile definire profilo oggettivo
della colpa, assume rilievo la misura della divergenza tra il comportamento tenuto ed il comportamento che si sarebbe dovuto tenere secondo le buone regole della medicina.

            Evidentemente quanto più la divergenza sarà incisiva e/o ampia, maggiore sarà il grado di colpa.

            E' qui che concettualmente/giuridicamente viene a collocarsi la definizione della colpa grave.

            Pertanto ciò che rileva è la valutazione e conseguente graduazione, tra la condotta richiesta nel caso specifico rispetto a quella posta in essere.

            In una battuta:

l'oggetto di indagine atterrà alla divergenza tra condotta tenuta e condotta che si sarebbe dovuta tenere.

            Ciò posto, il sanitario dovrà adoperarsi secondo scienza e coscienza, considerando le c.d. linee guida e/o protocolli terapeutici, evidentemente da adeguare al singolo paziente.

            Anche questo ultimo inciso è di attenzione.

            E' ovviamente rilevante il rispetto delle buone pratiche scientificamente accreditate, ma la terapia dovrà (anche) tenere conto delle caratteristiche del paziente, delle ulteriori patologie dalle quali è - eventualmente - affetto; comunque di quanto altro utile ai fini di un corretto e mirato approccio terapeutico.

            Ancora in una battuta:

le linee guida formatesi con riguardo alla qualità del consenso ad esse attribuito, non rappresentano un definitivo automatismo di applicazione, ma necessitano di essere adeguate e/o rapportate alle caratteristiche del singolo.   

            Il concetto e la delimitazione della colpa grave assume definitivo rilievo a seguito della legge 8 novembre 2012, n. 189;  Legge Balduzzi.

            L'art. 3 statuisce che: "l'esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l'obbligo di cui all'articolo 2043 del codice civile. Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo".

            Rilevanza penale assumerà soltanto la colpa grave.

            Normativamente l'art. 3 cit. pone una linea di demarcazione tra colpa penalmente rilevante e profilo colposo di eventuale rilevanza solo in sede giurisdizionale civile.

            Si evidenzierà a breve che la linea di confine - esclusi casi di scuola - tra colpa lieve e colpa grave non è proprio di immediata tracciabilità.

            Questo perchè:

  • la norma ha introdotto un concetto fino a questo momento estraneo al diritto penale sostanziale; nel senso che la colpa lieve esclude la punibilità esclusivamente nell'omicidio e/o lesioni colpose inerenti la professione sanitaria (si dirà appresso in quali termini e finalità la distinzione è presente nel codice penale);
  • in quanto norma di recente formulazione, è proprio in questi anni che si sta formando e/o delineando la giurisprudenza.

            Oltre al profilo oggettivo prima delineato, la giurisprudenza - in linea con la dottrina - considera quale parametro per la individuazione (o meno) della colpa e/o graduazione della stessa, anche la situazione soggettiva.  

            Si è ritenuto che l'inosservanza della condotta adeguata, terapeuticamente corretta, è più grave qualora si versi in materie specialistiche ed il rimprovero riguardi un sanitario con specifiche conoscenze in proposito.

            La giurisprudenza - ancora in linea con la dottrina - inquadra la colpa grave nei parametri prima esposti e più incisivamente nella ragguardevole deviazione dalla condotta esigibile, con riguardo alle linee guida e buone pratiche scientificamente accreditate.

            Come si è ricordato, l'art. 3 della Legge n. 189/2012 ha escluso la responsabilità penale nell'ipotesi di colpa lieve.

            La Legge Balduzzi - è opportuno ancora sottolinearlo -introduce sostanzialmente una abolitio criminis parziale degli artt. 589-590 c.p., con riguardo alle condotte colpose inerenti la professione sanitaria. Appunto, la colpa di rilevanza penale sarà soltanto quella grave.

            E' stato inizialmente e prioritariamente ritenuto in giurisprudenza che il principio suddetto inerisca i soli comportamenti imperiti.

            Di seguito gli orientamenti maggiormente significativi:

"In tema di responsabilità medica, la colpa grave a norma dell'art. 3 l. 8 novembre 2012 n. 189, si configura quando si è in presenza di una deviazione ragguardevole rispetto all'agire appropriato, come definito dalle linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica, tenuto conto della necessità di adeguamento alle peculiarità della malattia ed alle specifiche condizioni del paziente." (Cass. Pen., sez. IV, 15/04/2014, n. 22281). 

"La nuova previsione di cui all'art. 3 l. n. 189 del 2012, che incentra sulla colpa lieve del sanitario un'ipotesi che ne esclude la responsabilità penale, si applica ai soli comportamenti imperiti e non anche a quelli negligenti, a nulla valendo in contrario il richiamo all'art. 2236 c.c., utilizzato dalla giurisprudenza come regola di esperienza cui attenersi nel valutare il solo addebito d'imperizia, qualora il caso concreto imponga la soluzione di problemi di speciale difficoltà ovvero qualora si versi in una situazione emergenziale." (Cass. Pen., sez. IV, 23/05/2014, n. 36347).

"In tema di colpa medica, l'esclusione della penale responsabilità dell'esercente la professione sanitaria, ai sensi dell'art. 3 comma 1 l. n. 189 del 2012, nel caso di colpa lieve, quando egli si sia attenuto alle linee guida o alle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica, opera solo con riferimento agli addebiti di colpa per imperizia e non, quindi, a quelli di colpa per negligenza o imprudenza. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la Corte ha censurato per vizio di motivazione la decisione del giudice di merito che, sulla sola base della fondatamente ritenuta correttezza dell'operato del sanitario, sotto il profilo della perizia, nell'esecuzione di un intervento di angioplastica sull'arteria interventricolare anteriore, lo aveva mandato assolto dal reato di omicidio colposo senza aver adeguatamente considerato i diversi profili di colpa ravvisabili nel fatto che, nonostante si trattasse di paziente colpito in epoca recente da infarto, lo stesso non era stato trattenuto in ambiente ospedaliero ove, presumibilmente, sarebbe stato tempestivamente fronteggiabile l'ulteriore attacco cardiaco che lo aveva colpito il giorno successivo alla dimissione, conducendolo a morte)." (Cass. Pen., sez. III, 04/12/2013, n. 5460).

"In tema di responsabilità medica, il rispetto di linee guida accreditate presso la comunità scientifica non determina, di per sè, l'esonero dalla responsabilità penale del sanitario ex art. 3 d.l. 13 settembre 2012 n. 158 (conv. in l. 8 novembre 2012 n. 189), dovendo comunque accertarsi se, nonostante l'osservanza di tali suggerimenti, vi sia stato un errore determinato da una condotta negligente o imprudente e se, comunque, il comportamento terapeutico appropriato avrebbe avuto una qualificata probabilità di evitare l'evento." (Cass. Pen., sez. IV, 05/11/2013, n. 18430).

"L'art. 3 l. 8 novembre 2012, n. 189 ha determinato la parziale abrogazione delle fattispecie colpose commesse dagli esercenti le professioni sanitarie. La modifica normativa, infatti, esclude la rilevanza penale delle condotte connotate da colpa lieve, che si collochino all'interno dell'area segnata da linee guida o da virtuose pratiche mediche, purché esse siano accreditate dalla comunità scientifica. Alla stregua della nuova legge, le linee guida accreditate operano come direttiva scientifica per l'esercente le professioni sanitarie; e la loro osservanza costituisce uno scudo protettivo contro istanze punitive che non trovino la loro giustificazione nella necessità di sanzionare penalmente errori gravi commessi nel processo di adeguamento del sapere codificato alle peculiarità contingenti. Alla luce della nuova normativa, l'entità della violazione va rapportata agli standard di perizia richiesti dalle linee guida, dalle virtuose pratiche mediche o, in mancanza, da corroborate informazioni scientifiche di base: quanto maggiore sarà il distacco dal modello di comportamento, tanto maggiore sarà la colpa; e si potrà ragionevolmente parlare di colpa grave solo quando si sia in presenza di una deviazione ragguardevole rispetto all'agire appropriato definito dalle standardizzate regole d'azione. (Nella specie, la Corte ha annullato con rinvio la sentenza di condanna emessa a carico di un medico chirurgo, che, nel corso dell'esecuzione, in un clinica privata, di intervento di ernia discale recidivante, aveva leso la vena e l'arteria iliaca del paziente, causandone la morte, in ragione della novella costituita dalla l. n. 189/2012 che in punto di responsabilità professionale ha escluso la rilevanza penale delle condotte determinate da colpa lieve del sanitario)". (Cass. pen., sez. IV, 29/01/2013, n. 16237).

            Ed ancora recentemente, in linea con la giurisprudenza richiamata, la Suprema Corte ha sintetizzato in 4 punti e/o profili la demarcazione tra colpa lieve e colpa grave.

            E' una Sentenza rilevante perché fissa criteri interpretativi sempre più delineati:

"In tema di responsabilità per attività medico chirurgica, al fine di distinguere la colpa lieve dalla colpa grave, possono essere utilizzati i seguenti parametri valutativi della condotta tenuta dall'agente: a) la misura della divergenza tra la condotta effettivamente tenuta e quella che era da attendersi, b) la misura del rimprovero personale sulla base delle specifiche condizioni dell'agente; c) la motivazione della condotta; d) la consapevolezza o meno di tenere una condotta pericolosa." (Cass. Pen., Sez. IV, 08/05/2015, n. 22405).

            Si è prima ricordato che l'iniziale e prioritario indirizzo giurisprudenziale, riteneva sostanzialmente applicabile la Legge Balduzzi alle condotte colpose caratterizzate da imperizia.

            Senonché orientamento giurisprudenziale recentissimo - Cass. Pen. Sez. IV, Sent. n. 23283 del 11.05.16 - ha più direttamente riconosciuto l'ambito di riferimento e/o applicabilità dell'art. 3 L. 189/2012, anche alla ipotesi colposa diversa dalla imperizia.

            Testualmente un passo della Sentenza: "...Sul punto, deve registrarsi che diverse decisioni della Corte regolatrice hanno affermato che la nuova disciplina trova il suo terreno di elezione nell'ambito dell'imperizia; e che la limitazione di responsabilità in caso di colpa lieve opera soltanto per le condotte professionali conformi alle linee guida contenenti regole di perizia e non si estende agli errori connotati da negligenza o imprudenza (Sez. 4, Sentenza n. 11493 del 24/01/2013, Rv. 254756; Sez. 4, Sentenza n. 16944 del 20/03/2015, Rv. 263389; Sez. 4, Sentenza n. 26996 del 27/04/2015, Rv. 263826).       ... ...

In altre sentenze, si è peraltro rilevato che la limitazione della responsabilità in caso di colpa lieve prevista dall'art. 3 del d.l. 13 settembre 2012, n. 158, convertito in legge 8 novembre 2012, n. 189, pur trovando terreno d'elezione nell'ambito dell'imperizia, può tuttavia venire in rilievo anche quando il parametro valutativo della condotta dell'agente sia quello della diligenza (Sez. 4, Sentenza n. 45527 in data 01/07/2015, dep. 16/11/2015, Rv. 264897; Sez. 4, Sentenza n. 47289 del 9.10.2014, dep. il 17.11.2014, Rv. 260739). In tali decisioni, viene evidenziata la possibile rilevanza esimente della colpa lieve, per l'esercente la professione sanitaria, anche rispetto ad addebiti diversi dall'imperizia; ciò in quanto non può escludersi che le linee guida pongano raccomandazioni rispetto alle quali il parametro valutativo della condotta del soggetto agente sia quello della diligenza, come nel caso in cui siano richieste prestazioni che riguardino più la sfera della accuratezza, che quella della adeguatezza professionale. ...". 

            Per quindi affermare il seguente principio di diritto: "… la limitazione di responsabilità, in caso di colpa lieve, può operare, per le condotte professionali conformi alle linee guida ed alle buone pratiche, anche in caso di errori che siano connotati da profili di colpa generica diversi dalla imperizia." (Cass. Pen. Sez. IV, n. 23283, 11/05/2016).

            Appunto la non rilevanza penale della condotta caratterizzata da colpa lieve, andrà a riguardare anche ipotetici profili di imprudenza e/o negligenza.

            Parametro di sintesi:

il rispetto delle linee guida accreditate, sviluppatesi in un processo di costante aggiornamento scientifico, rappresentano una efficacie protezione avverso rimprovero di rilevanza penale.

            Giova a questo punto ribadire come, in concreto, l'esatta delimitazione della colpa grave nell'ambito della professione sanitaria - tranne casi evidentemente eclatanti - non è sempre di facile valutazione e/o inquadramento.

            Questo anche perché la distinzione tra colpa lieve e colpa grave ha assunto - nel tempo - più incisiva valenza in sede giurisdizionale civile ai fini della quantificazione del danno.

            Il codice penale - art. 133 - prevede la valutazione del grado di colpa, ma soltanto ai fini della valutazione agli effetti della quantificazione della pena.

            L'unica ipotesi contemplata nel sistema penale sostanziale di mancata punibilità allorchè l'elemento soggettivo sia caratterizzato da colpa grave, è - come precedentemente ricordato - la colpa professionale medica in materia penale.

            E' una rilevante novità quella introdotta dalla Legge Balduzzi; certamente, ribadisco, i confini applicativi non sono sempre di facile determinazione.

            Nella concretezza forense, più volte, il capo di imputazione neppure formula testuale e terminologico riferimento alla colpa grave.

            Trasferendo questi concetti sempre più nella scelta tecnica e predisposizione di adeguata linea difensiva, argomentare sulla non sussistenza della colpa grave - quindi sulla irrilevanza penale della condotta tenuta - è scelta difensiva che, ritengo, di ultima battuta.

            Seppure i riferimenti sono concettualmente e giuridicamente diversi, l'esame del nesso causale - di cui appresso si dirà - determina concreti e validi risultati difensivi.

            Più volte, da un'analisi attenta con riguardo al profilo medico legale, specialistico, giuridico globalmente considerati, vanno a delinearsi e/o riscontrarsi importanti fratture o quanto meno incertezze sulla sua effettività, con conseguente insussistenza di profili penalmente rilevanti.

            Il punto, come detto, sarà successivamente e più analiticamente trattato.

— — —

            Ulteriore consiglio pratico.

            Il Sanitario, nell'espletamento della propria attività, ovviamente deve curare secondo scienza e coscienza.

            Il Medico deve anche scrivere:

  • la cartella clinica va compilata in maniera esaustiva; deve essere rappresentata l'attività espletata, le consulenze eventuali richieste, gli accertamenti effettuati. In una battuta: la condotta terapeutica posta in essere.

Essa è un documento, ed è inquadrabile nel mezzo di prova di cui all'art. 234 c.p.p..

In quanto tecnicamente documento, ha la funzione di portare alla conoscenza dei terzi - per quanto ci riguarda Giudice e Parti - un determinato momento e/o spaccato fattuale di evidente valenza nella ricostruzione, a posteriori, di quanto accaduto.

  • scrivere riguarderà anche il profilo logistico. Concetto ancora più pregnante per chi svolge funzioni dirigenziali e/o direttive.

            Carenze, mancanze, difficoltà devono essere rappresentate agli organi preposti.

            La giurisprudenza in materia colposa pone univoca responsabilità anche con riguardo ai profili logistici e/o organizzativi, ad esempio dei reparti di degenza.

            Ecco perché in una immediata ottica di tutela, è importante evidenziare formalmente eventuali anomalie.

— — —

            Merita di essere sinteticamente affrontato il profilo colposo inerente il singolo sanitario nell'ambito dell'equipe medica.

            Non è dubbia la esistenza di una settorialità di compiti e/o funzioni.

            Peraltro è stato pacificamente ritenuto l'obbligo per tutti i sanitari di porre rimedio a condotte da altri commesse nell'ambito della specificità della disciplina, allorchè l'eventuale errore sia prevenibile e/o emendabile con le comuni conoscenze mediche.

            Il punto sostanzialmente inerisce la c.d. teoria dell'affidamento nell'altrui diligenza.

            Regola che generalmente - sempre che non si versi nell'ambito di conoscenze altamente specialistiche - non trova riconoscimento applicativo.

            Significativa giurisprudenza in tal senso, che fissa univocamente il criterio esposto:

"In caso di intervento operatorio ad opera di equipe chirurgica, e più in generale nella ipotesi di cooperazione multidisciplinare nell'attività medico-chirurgica, ogni sanitario è tenuto ad osservare, oltre che il rispetto delle regole di diligenza e prudenza connessi alle specifiche e settoriali mansioni svolte, gli obblighi ad ognuno derivanti dalla convergenza di tutte le attività verso il fine comune ed unico. Ogni sanitario, quindi, non può esimersi dal conoscere e valutare (nei limiti e termini in cui sia da lui conoscibile e valutabile) l'attività precedente e contestuale di altro collega e dal controllarne la correttezza, se dal caso ponendo rimedio ad errori altrui che siano evidenti e non settoriali ed emendabili con l'ausilio delle comuni conoscenze scientifiche del professionista medio (nella specie, sia il chirurgo che l'anestesista erano stati ritenuti responsabili per lesioni riportate dalla paziente in seguito ad un intervento chirurgico e riconducibili all'errato posizionamento sul lettino operatorio)." (Sez. IV, 02/04/2010, n. 19637).

            Ed ancora recentemente:

"In tema di colpa medica derivante da errori commessi in occasione di
interventi effettuati da una "equipe" chirurgica, non può, di regola, valere, per escludere la corresponsabilità del capo dell'"equipe", la c.d. teoria dell'affidamento nell'altrui diligenza, attenzione e competenza tecnica, salvo che nel caso in cui trattasi di errore rientrante nell'ambito di quelle che avrebbero dovuto essere le conoscenze altamente specialistiche proprie del soggetto al quale l'errore sia direttamente addebitabile."
(Cass. Pen., sez. IV, 05/05/2015, n. 33329).

            Particolare poi la posizione del capo dell'equipe chirurgica al quale viene attribuito il significativo ruolo di garanzia e riferimento per il paziente.

            In particolare allo stesso - oltre ad un'attività di coordinamento dei sanitari - compete il controllo sul loro operato, sempre che non si versi in una materia settoriale.

            Anche recentemente la Corte ha fissato il seguente principio interpretativo/applicativo:

"In tema di responsabilità medica, il capo dell'equipe operatoria è titolare di una posizione di garanzia nei confronti del paziente in ragione della quale è tenuto a dirigere e a coordinare l'attività svolta dagli altri medici, sia pure specialisti in altre discipline, controllandone la correttezza e ponendo rimedio, ove necessario, ad errori altrui che siano evidenti e non settoriali o comunque rientranti nella sua sfera di conoscenza e, come tali, siano emendabili con l'ausilio delle comuni conoscenze scientifiche del professionista medio. (In applicazione del principio la S.C. ha confermato la sentenza di condanna nei confronti del chirurgo otorino capo equipe, il quale, in presenza di specifica questione anestesiologica di carattere interdisciplinare, da lui pure individuata, non aveva impedito all'anestesista di procedere con più tentativi all'anestesia con curaro, cui conseguiva il decesso del paziente)." (Cass. Pen., sez. IV, 05/05/2015, n. 33329).

3. Necessità di verificazione dell'evento.

            Il profilo si esaurisce in un solo concetto:  

la condotta eventualmente colposa del sanitario intanto assume rilevanza penale in quanto, dalla stessa, ne derivi un evento lesivo.

            La condotta colposa fine a se stessa, improduttiva di evento, non ha rilevanza penale.

            Schematicamente, affinché sussista colpa professionale (penalmente rilevante), tre elementi costitutivi, tutti necessari:

a) condotta colposa → b) evento lesivo e/o mortale → c) nesso causale [tra a) e b)].

            E' opportuno precisare che ipotetica condotta colposa improduttiva di evento lesivo, pertanto priva di rilevanza penale, potrà essere censurata in sede disciplinare.

            Ma - ai nostri fini - poco rileva.

4. Rilevanza del nesso causale.

            E' questo un argomento di particolare attenzione, di particolare interesse con riguardo ai profili giuridico, medico, medico-legale.

            Si è prima detto che la ipotetica condotta colposa, se non produttiva di evento lesivo, è penalmente irrilevante.

            L'accertamento del nesso causale tra condotta ed evento è - appunto - di costitutiva valenza.

            Affinché il fatto abbia rilevanza penale, deve accertarsi che l'evento sia eziologicamente collegabile alla condotta colposa tenuta. In altre parole deve dimostrarsi che la condotta colposa del sanitario ha prodotto, è stata causa dell'evento.

            Argomento, a volte di confusione, attiene alla concettuale sovrapposizione tra nesso causale e nesso temporale.

            Non sempre e/o necessariamente nesso temporale e nesso causale sono giuridicamente sovrapponibili.

            Il principio guida costante è così sintetizzabile:

causa di un evento non è ciò che lo precede, ma è ciò che lo precede determinandolo.

            Particolare attenzione ha destato in giurisprudenza una delle
ipotesi più frequenti di colpa professionale: quella posta in essere con una condotta omissiva.

            Appunto c.d. reato omissivo improprio.

            Più semplicemente condotta colposa che si concretizza in una omessa e/o errata diagnosi, con conseguente omesso e/o inadeguato approccio terapeutico, relativo/conseguente evento lesivo e/o morte.

            La giurisprudenza della Suprema Corte per anni è stata oscillante sulla valutazione - in detta ipotesi - del nesso causale; più correttamente sul giudizio inerente la sua sussistenza.

            Si è più volte affermato che essendo il bene vita un bene supremo, ad integrare il nesso causale tra condotta omissiva ed evento morte era sufficiente accertare - ai fini di ritenere provata la responsabilità penale - che qualora la condotta omessa fosse stata tenuta, l'evento non si sarebbe verificato, con margine di possibilità quantificabile anche nel 30-40%.

            Sostanzialmente si riteneva - stante la natura di quanto in argomento (salute del paziente; bene vita) - che il concetto di certezza potesse essere sostituito con quello di possibilità percentualistica più o meno ampia.

            Le oscillazioni giurisprudenziali sul punto, hanno dato (inevitabilmente) luogo all'intervento della Suprema Corte a Sezioni Unite. La Sentenza appresso richiamata, rappresenta il punto di riferimento nella valutazione sulla sussistenza o meno del nesso causale nella colpa professionale concretizzatasi mediante omissione.

            Analiticamente:      

            Allorchè si versi nella ipotesi di colpa omissiva impropria (spesso è su questo che si incentrano alcuni dei profili portanti dei capi di imputazione) sarà evidentemente impossibile una concreta valutazione controfattuale.

 

            Appunto non potrà, in concreto, accertarsi cosa sarebbe accaduto qualora la diagnosi fosse stata corretta, quindi adeguato l'approccio terapeutico.

 

            Con Sentenza di particolare rilievo (c.d. Sentenza Franzese, Cassazione Sezioni Unite, 11 settembre 2002), le Sezioni Unite hanno introdotto un rilevante principio, appunto inerente il nesso causale:

Affinché sussista responsabilità penalmente rilevante è necessario accertare che, qualora la condotta doverosa omessa fosse stata tenuta, l'evento non si sarebbe verificato - stressando il concetto - con una probabilità, vorrei dire, quasi del 100%: c.d. certezza processuale. La Cassazione ha parlato di "alta probabilità logica".    

 

            Di seguito le relative massime:

"Non è consentito dedurre automaticamente dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica la conferma, o meno, dell'ipotesi accusatoria sull'esistenza del nesso causale, poichè il giudice deve verificarne la validità nel caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto e dell'evidenza disponibile, così che, all'esito del ragionamento probatorio che abbia altresì escluso l'interferenza di fattori alternativi, risulti giustificata e processualmente certa la conclusione che la condotta omissiva del medico è stata condizione necessaria dell'evento lesivo con "alto o elevato grado di credibilità razionale" o "probabilità logica".   (Cass. Pen., sez. un., 10/07/2002, n. 30328)

 

"La colposa omissione, da parte del medico, di interventi terapeutici può considerarsi causa della morte del paziente soltanto se, ove l'intervento fosse stato tempestivamente effettuato, possa ragionevolmente ritenersi che l'evento lesivo non si sarebbe verificato. Tale giudizio tuttavia non va compiuto sulla base di meri calcoli probabilistici, ma in base e regole di esperienza o leggi scientifiche."    (Cass. Pen., sez. un., 10/07/2002, n. 30328)

 

"Nel reato colposo omissivo improprio il rapporto di causalità, tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, sicché esso è configurabile solo se si accerti che, ipotizzandosi come avvenuta l'azione che sarebbe stata doverosa ed esclusa l'interferenza di decorsi causali alternativi, l'evento, con elevato grado di credibilità, razionale, non avrebbe avuto luogo ovvero avrebbe avuto luogo in epoca significativamente posteriore o con minore intensità, lesiva. (Fattispecie nella quale è stata ritenuta legittimamente affermata la responsabilità di un sanitario per omicidio colposo dipendente dall'omissione di una corretta diagnosi, dovuta a negligenza e imperizia e del conseguente intervento che, se effettuato tempestivamente, avrebbe potuto salvare la vita del paziente)."    (Cass. Pen., sez. un., 10/07/2002, n. 30328).

            E' un principio di diritto estremamente rilevante; di evidente, concreta applicazione.

            Spesso - si ribadisce - è proprio sulla sussistenza o meno del nesso causale che si incentra la contrapposizione dialettica tra accusa e difesa.

            Questo in assoluto; se possibile in maniera ancora più penetrante nella colpa professionale concretizzatasi mediante omissione.