Dott. Gian Domenico Sebastiani

Direttore U.O.S.D. Reumatologia, Az. Osp. San Camillo-Forlanini, Roma

Articolo pubblicato in:

Anno Accademico 2016-2017

Vol. 61, n° 2, Aprile - Giugno 2017

ECM: Update Clinico-Terapeutico in Reumatologia

14 febbraio 2017

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La terapia del Lupus Eritematoso Sistemico

G. Sebastiani

Le malattie autoimmuni sistemiche (MAIS) sono un vasto gruppo di condizioni morbose che presentano caratteristiche cliniche e laboratoristiche sia specifiche o fortemente suggestive per una diagnosi precisa, sia aspecifiche e condivise tra molte di esse.

Tra esse, il Lupus Eritematoso Sistemico (LES) è il prototipo delle malattie autoimmuni sistemiche. E’ caratterizzato dalla produzione di numerosi autoanticorpi e da sintomi che possono riguardare tutti gli organi e apparati. La malattia colpisce prevalentemente il sesso femminile (F:M=9:1), ed esordisce prevalentemente tra i 20 e i 40 anni di età. E’ bene tuttavia ricordare che ci sono casi ad esordio giovanile (il 20% dei casi esordisce prima dei 16 anni) e in età senile (il 15% dei casi esordisce dopo i 55 anni). L’incidenza del LES è di 2-8 casi/100.000/anno, mentre la prevalenza è circa 10 volte maggiore. La malattia è più frequente e più grave in alcuni gruppi etnici, quali Afro-Americani e Ispanici.

Il LES esordisce più spesso con sintomi cutanei, dell’apparato osteoarticolare ed ematologici1. Molto frequente è anche l’impegno renale. In questo caso, i sintomi sono più insidiosi e in alcuni casi si riscontrano soltanto alterazioni dell’esame delle urine.

La diagnosi può essere difficile, specie nelle prime fasi della malattia. Si basa sull’insieme dei dati clinici e di alcune caratteristiche di laboratorio, quali la positività degli anticorpi anti-nucleo (presenti nella quasi totalità dei casi), degli anticorpi anti-dsDNA (presenti all’esordio in circa il 50% dei casi), la riduzione dei fattori C3 e C4 del complemento. I criteri classificativi, sviluppati per confrontare casistiche provenienti da centri differenti, rappresentano un valido aiuto per la diagnosi2.

La prognosi della malattia è molto migliorata nel corso dei decenni; attualmente la sopravvivenza a 10 anni è circa del 90%, mentre fino a qualche decade fa era solo del 50%3. Il miglioramento della prognosi è legato soprattutto alla maggior precocità della diagnosi e alla disponibilità di trattamenti farmacologici efficaci4.

La remissione completa della malattia in assenza di terapia si osserva in una piccola percentuale di pazienti, mentre nella maggior parte dei casi è necessario proseguire i farmaci per stabilizzare la malattia. I farmaci tradizionali nel lungo termine possono avere effetti collaterali importanti (infezioni, osteoporosi, malattie cardiovascolari). Inoltre, alcuni casi di LES sono resistenti agli schemi terapeutici convenzionali. Per questi motivi non si esauriscono gli sforzi tesi ad identificare schemi terapeutici più efficaci e con minori effetti collaterali. A questo scopo, ci si è mossi verso due direttive fondamentali: l’ottimizzazione dell’uso di farmaci già esistenti, e la ricerca di nuovi farmaci. Un esempio di ottimizzazione di schemi terapeutici già in uso nel LES è lo schema di induzione della remissione della nefrite lupica con dosi di ciclofosfamide più basse, e quindi meno tossiche, rispetto a quelle previste nei protocolli classici nell’ NIH Statunitense. Lo schema dell’Euro-Lupus, un gruppo Europeo di ricerca sul LES, ha dimostrato pari efficacia e minor tossicità rispetto a schemi con dosi più elevate di ciclofosfamide. Per quanto riguarda la ricerca di farmaci innovativi, abbiamo esempi sia di farmaci già utilizzati nel trattamento di altre malattie, quali il Rituximab, che di farmaci espressamente studiati per il LES, quali Belimumab ed Epratuzumab.

In particolare il Belimumab, di recente approvato per il trattamento del LES attivo, ha dimostrato nei trials clinici finora condotti la sua efficacia e buona tollerabilità. Belimumab è un anticorpo monoclonale interamente umanizzato che si lega in modo specifico al BAFF (B-cell activating factor), il che impedisce l’interazione del BAFF con il suo recettore. Il trattamento con Belimumab provoca la riduzione dei linfociti B periferici, sia naive che attivati. Due studi RCT di fase III (BLISS-52 e BLISS-76) hanno confrontato Belimumab al dosaggio di 10 mg/Kg con placebo, come trattamento addizionale ai farmaci già in atto (corticosteroidi e immunosoppressori)5,6. I partecipanti ai trials dovevano avere una malattia in fase di attività clinica (valutata tramite l’indice clinimetrico di attività del LES SELENA-SLEDAI) e positività degli autoanticorpi (ANA o anti-dsDNA). In entrambi gli studi l’endpoint primario era l’efficacia, valutata tramite l’indice SRI (SLE Responder Index) a 52 settimane. I risultati hanno evidenziato che la risposta era significativamente maggiore con Belimumab rispetto al placebo.

Il Belimumab è indicato per il trattamento dei pazienti adulti con LES attivo nonostante la terapia standard. I pazienti con attività di malattia elevata, in particolare con impegno muscoloscheletrico e mucocutaneo, hanno mostrato di trarre i maggiori vantaggi dalla terapia con Belimumab. Il farmaco non è ancora stato valutato, e di conseguenza non è indicato, nei pazienti con nefrite lupica grave, cioè con proteinuria maggiore di 6 g/die o creatinina < 221 micromol/L. E’ attualmente in corso uno studio (BLISS-LN) per valutare l’efficacia del Belimumab nei pazienti con nefrite lupica attiva.

Il Rituximab è un anticorpo monoclonale chimerico diretto contro il CD20 sulla membrana dei linfociti B, che conduce alla deplezione delle cellule B mature e dei precursori dei B dallo stadio pre-B fino alle cellule memory. Lo studio LUNAR, uno studio RCT di fase III condotto con l’obiettivo di valutare l’efficacia e la tollerabilità del Rituximab in 144 pazienti con glomerulonefrite lupica attiva, non è riuscito a dimostrare una differenza significativa rispetto al placebo in termini di efficacia, nonostante la percentuale di risposta fosse maggiore nei pazienti con Rituximab (57% vs 46%)7. Lo studio prevedeva due infusioni di Rituximab, 1 g ciascuna, a distanza di due settimane, da ripetere dopo sei mesi, in aggiunta alla terapia standard (steroidi e micofenolato). I risultati negativi del LUNAR contrastano con una vasta letteratura e con l’esperienza clinica maturata nei più qualificati centri per il LES a supporto dell’efficacia del Rituximab nei pazienti con LES refrattario alle terapie tradizionali. I motivi del fallimento del Rituximab nello studio LUNAR, come anche nell’analogo studio EXPLORER che ha valutato il Rituximab nel LES senza impegno renale8, sono molteplici. Tra i più importanti, la popolazione trattata differente da quella che tradizionalmente trae beneficio dal farmaco, cioè i pazienti con LES refrattario alla terapia standard; l’inclusione di pazienti già in trattamento con immunosoppressori e steroidi a dosi elevate; l’esiguità della casistica. A questo proposito, occorre sottolineare che l’effect size, cioè la differenza tra farmaco e placebo, era maggiore nel LUNAR rispetto ai trials con il Belimumab, che tuttavia avevano arruolato una casistica più numerosa.

Di recente, uno studio in aperto ha valutato Rituximab in associazione a micofenolato, in assenza di steroidi, nei pazienti con nefrite lupica attiva, mostrando risultati molto promettenti. I risultati di questo studio hanno stimolato il RITUXILUP, un trial RCT che valuta Rituximab in associazione a micofenolato, senza corticosteroidi, nei pazienti con nefrite lupica. Inoltre, il gruppo Europeo per lo studio del LES, di cui fa parte anche il nostro centro, sta conducendo lo studio RING, che valuta il Rituximab nei pazienti con nefrite lupica che hanno fallito gli schemi di trattamento convenzionali.

Conclusioni

Nonostante i progressi nel campo della diagnosi e della terapia del LES, molto deve ancora essere fatto al fine di migliorare la prognosi di questi pazienti, ridurre la mortalità, ridurre le comorbidità indotte dalla terapia farmacologica e dall’attività di malattia, ridurre l’utilizzo di corticosteroidi, ridurre la frequenza delle riacutizzazioni. A tale proposito, sono stati creati network collaborativi internazionali, con l’intento di dare una risposta ai bisogni tuttora non soddisfatti (unmet needs) dei pazienti affetti da questa grave malattia autoimmune. Gli sforzi dei ricercatori sono tesi ad incrementare l’efficacia dei trattamenti già esistenti, attraverso il monitoraggio del livello dei farmaci, e alla scoperta di nuove terapie basate su agenti biologici.


BIBLIOGRAFIA

  1. Sebastiani GD, Prevete I, Piga M, et al. Early Lupus Project – A multicentre Italian study on systemic lupus erythematosus of recent onset. Lupus 2015; 24: 1276-82.
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  3. Cervera R, Khamashta MA, Sebastiani GD, et al. Morbidity and mortality in systemic lupus erythematosus during a 10-year period: a comparison of early and late manifestations in a cohort of 1,000 patients. Medicine 2003; 82: 299-308.
  4. Houssiau FA, Vasconcelos C, Sebastiani GD, et al. The 10-year follow-up data of the Euro-Lupus Nephritis Trial comparing low-dose and high-dose intravenous cyclophosphamide. Ann Rheum Dis 2010; 69: 61-4.
  5. Navarra SV, Guzmán RM, Gallacher AE, et al. Efficacy and safety of belimumab in patients with active systemic lupus erythematosus: a randomised placebo-controlled, phase 3 trial. Lancet 2011; 377: 721-31.
  6. Furie R, Petri M, Zamani O, et al. A phase III, randomized, placebo-controlled study of belimumab, a monoclonal antibody that inhibits B lymphocyte stimulator, in patients with systemic lupus erythematosus. Arthritis Rheum 2011; 63: 3918-30.
  7. Rovin BH, Furie R, Latinis K, et al. Efficacy and safety of rituximab in patients with active proliferative lupus nephritis: the Lupus Nephritis Assessment with Rituximab study. Arthritis Rheum 2012; 64: 1215-26.
  8. Merrill J, Buyon J, Furie R, et al. Assessment of flares in lupus patients enrolled in a phase II/III study of rituximab (EXPLORER). Lupus. 201; 20: 709-16.