Anno Accademico 2016-2017
Vol. 61, n° 2, Aprile - Giugno 2017
ECM: Update Clinico-Terapeutico in Reumatologia
14 febbraio 2017
ECM: Update Clinico-Terapeutico in Reumatologia
14 febbraio 2017
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La fragilità ossea è una conseguenza dell’Osteoporosi, aumenta il rischio di frattura nelle donne in menopausa e nella popolazione dai 50 anni in poi.
È stato osservato che il rischio di frattura aumenta in maniera esponenziale con valori densitometrici di T score <-2,5 SD (rilevati con densitometria ossea DXA). Tale valore rappresenta quindi, secondo OMS, la soglia per diagnosticare la presenza di Osteoporosi.
Il frequente riscontro di fratture, per lo più vertebrali, in pazienti che non evidenziano osteoporosi rilevabile densitometricamente ha dato sempre più importanza alla valutazione dei fattori di rischio indipendenti dalla Densità minerale ossea (BMD), nella valutazione del rischio di frattura.
L’utilizzo di algoritmi (DEFRA- FRAX) consente la valutazione del rischio di frattura a dieci anni integrando il valore rilevato densitometricamente ad altri fattori di rischio quali la comorbilità, l’utilizzo di farmaci osteopenizzanti, le pregresse fratture, l’abitudine al fumo, l’abuso di alcool, storia familiare di fratture di femore etc.
Sulla scorta di tali dati inoltre alcune riflessioni sono state fatte circa la definizione di Osteoporosi Severa. Nella pratica clinica tale condizione è ormai riconosciuta anche in quei pazienti che pur non presentando un valore densitometrico uguale o inferiore a – 2,5 SD presentano due o piu fratture da fragilità1.
Ancora troppo spesso si ignora che l’osteoporosi, in particolare nella sua forma più severa, aumenta considerevolmente il rischio di una o più fratture, anche soltanto per un minimo sforzo, come il sollevamento di una busta della spesa, la torsione del busto o un saltello. L’osteoporosi rappresenta un problema socialmente molto rilevante che, se aggravato da fratture, influenza negativamente la durata e la qualità della vita delle persone, soprattutto donne, che ne soffrono, impegnando rilevanti risorse economiche da parte del SSN, anche in rapporto al costante allungamento della vita media della popolazione italiana. È doveroso per gli specialisti delle malattie ossee invitare i soggetti più a rischio, come le donne in menopausa o chi assume cortisone, a non sottovalutare il problema, specie in caso di dolore alla colonna, improvviso o persistente, possibile sintomo di frattura vertebrale da fragilità ossea, la cui incidenza è molto più alta di quanto si pensi.
Si calcola che nei prossimi 40 anni, in Italia, in assenza di percorsi diagnostici e terapeutici mirati per la popolazione a rischio, l’incidenza delle fratture da fragilità ossea raddoppierà. Per meglio mettere a fuoco questo preoccupante scenario si consideri che la frattura vertebrale, la complicanza più frequente e temibile dell’osteoporosi, costituisce il primo momento del cosiddetto ‘effetto domino’, che consiste nella probabilità 5 volte maggiore che possano verificarsi altre fratture vertebrali o in altre sedi (omero, polso, femore) entro un anno dalla prima frattura vertebrale.
Nonostante questo dato certo e drammatico, risulta che in Italia è ancora molto alta la percentuale dei pazienti con fratture vertebrali osteoporotiche non trattati, con rilevante e concreto aumento del rischio di aggravamento e complicanze della loro condizione.
Anche la temibile frattura di femore da osteoporosi non può considerarsi risolta solo con l’intervento chirurgico, ma necessita - come tutte le fratture - di essere opportunamente trattata anche con la terapia farmacologica, contrariamente a quanto oggi, invece e purtroppo, solo raramente viene fatto. Particolare preoccupazione suscita il dato recentemente pubblicato secondo il quale circa il 70% dei pazienti italiani fratturati di femore sottoposti ad intervento chirurgico non segue poi un adeguato trattamento farmacologico. Tale trattamento oggi può e deve essere attuato nel rispetto e secondo le indicazioni della nuova Nota 79 recentemente emanata da AIFA. Tale nota individua i soggetti a rischio di osteoporosi severa e stabilisce per loro il percorso terapeutico più appropriato da seguire.
Dati incoraggianti però sono quelli ricavati dalle schede di dimissione ospedaliera negli anni 2000-2009 elaborati dal Ministero della Salute Italiano. L’elaborazione dei suddetti dati mostra una diminuzione del numero di ospedalizzazioni per frattura femorale e della loro incidenza ogni 10.000 ospedalizzazioni nelle donne tra i 65 ed i 75 anni di età2.
Le Note rappresentano uno degli strumenti utilizzati da AIFA per il controllo dell’aspetto economico. Definiscono la rimborsabilità dei farmaci ma lasciano al medico la libertà prescrittiva e garantiscono al cittadino un uso appropriato dei farmaci. Responsabilizzano il medico che non adotti un trattamento terapeutico adeguato in caso di diagnosi certa. Solo con la sensibilizzazione della classe medica, dal medico di famiglia a tutti gli specialisti coinvolti nella gestione della patologia osteoporotica, sarà possibile garantire alla popolazione una corretta ed esaustiva informazione su una patologia che può essere prevenuta e trattata grazie alle indicazioni della nuova Nota 79 la cui corretta applicazione consentirà di contrastare efficacemente l’osteoporosi e le sue complicanze fratturative.
Le novità introdotte dalla nuova nota concordano con la necessità di agire sempre più tempestivamente per prevenire le fratture da fragilità.
Il trattamento della Osteoporosi deve essere finalizzato alla riduzione del rischio di frattura secondo una appropriatezza prescrittiva che tenga conto delle evidenze di efficacia, dei dati di sicurezza, della aderenza e della persistenza alla terapia, dei costi e della tipologia del paziente.
I provvedimenti non farmacologici quali la dieta, l’attività fisica e l’eliminazione dei fattori di rischio modificabili (fumo, igiene di vita…) dovrebbero essere raccomandati a tutti.
L’utilizzo di farmaci specifici appare giustificato quando il rischio di frattura a dieci anni è particolarmente elevato come nei pazienti con precedenti fratture da fragilità, quelli in terapia cortisonica o che presentino notevole decremento della BMD.
I farmaci attualmente utilizzati per il trattamento dell’Osteoporosi appartengono essenzialmente a due grandi classi che agiscono su differenti fasi del metabolismo osseo: gli antiriassorbitivi, che bloccano l’attività degli osteoclasti, delle cellule cioè che distruggono l’osso, e gli stimolatori della formazione di nuovo osso, che promuovono l’azione degli osteoblasti, delle cellule cioè che costruiscono l’osso. Tra i primi, quelli maggiormente e da più tempo utilizzati, sono i bisfosfonati; si tratta di agenti che combattono la distruzione dell’osso e che determinano un aumento della massa e della densità ossea3.
Di sicura efficacia è il teriparatide, un farmaco che interviene rapidamente sulla formazione di nuovo osso e che risulta particolarmente indicato nei soggetti con Osteoporosi ad alto rischio di frattura e in quelli che sono andati già incontro a eventi fratturativi su base osteoporotica. La lunga esperienza con la molecola consente di considerarla un presidio farmacologico di particolare efficacia e sicurezza4.
Un farmaco con specifica indicazione per l’Osteoporosi è il Denosumab. Si tratta del primo farmaco biologico contro l’osteoporosi ed è un anticorpo monoclonale ad azione antiriassorbitiva. Si caratterizza, oltre che per l’efficacia e la sicurezza, anche per la comodità di somministrazione, che si effettua per via sottocutanea ogni 6 mesi. Questo nuovo farmaco favorisce un rapido incremento della densità ossea e riduce significativamente il rischio di fratture a livello della colonna vertebrale, del femore e di altri siti scheletrici5. Denosumab agisce inibendo il RANKL, un mediatore che è alla base del riassorbimento osseo.
Indipendentemente dalla scelta terapeutica attuata, risultano essenziali la supplementazione con Calcio e vitamina D e le misure di prevenzione.
BIBLIOGRAFIA