Dott. Giovanni Peliti

Medico di Medicina Generale. Vicepresidente S.I.A.M.E.G. (Società Italiana per l’Aggiornamento del Medico di Medicina Generale)

Articolo pubblicato in:

Anno Accademico 2016-2017

Vol. 61, n° 3, Luglio - Settembre 2017

ECM: Cuore Polmone 2017

21 marzo 2017

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Il Malato complesso in Medicina Generale

G. Peliti

Il Malato Complesso, così definito se presenta due o più patologie croniche o assume tre o più farmaci cronicamente1, è un Paziente che frequentemente il Medico di Medicina Generale tratta nella propria attività ambulatoriale.

La World Organization of Family Doctors (WONCA) definisce in modo chiaro e dettagliato quali siano le caratteristiche dell’attività del Medico di Medicina Generale.

La Medicina Generale/Medicina di Famiglia è una disciplina accademica e scientifica, con propri contenuti educativi e di ricerca, proprie prove di efficacia, una propria attività clinica e una specialità clinica orientata alle cure primarie. Nello specifico, la disciplina della Medicina Generale ha le seguenti caratteristiche:

 

a)    è normalmente il luogo di primo contatto medico all’interno del sistema sanitario, fornisce un accesso diretto ed illimitato ai suoi utenti, si occupa di tutti i problemi di salute, indipendentemente da età, sesso e ogni altra caratteristica della persona;

b)    fa un utilizzo efficiente delle risorse sanitarie attraverso il coordinamento delle cure, il lavoro con altri professionisti presenti nel contesto organizzativo delle cure primarie, agendo da interfaccia con altre specialità assumendo, quando si renda necessario, il ruolo di difensore dell’interesse dei Pazienti;

c)    sviluppa un approccio centrato sulla persona, orientato all’individuo, alla sua famiglia e alla sua comunità;

d)    promuove la responsabilizzazione del Paziente nella gestione della propria salute (empowerment);

e)    si basa su un processo di consultazione unico fondato sulla costruzione di una relazione protratta nel tempo attraverso una efficace comunicazione tra medico e paziente;

f)     ha il compito di erogare cure longitudinali e continue a seconda dei bisogni del Paziente;

g)    prevede uno specifico processo decisionale determinato dalla prevalenza e incidenza delle malattia in quella precisa comunità;

h)   gestisce contemporaneamente i problemi di salute sia acuti che cronici dei singoli Pazienti;

i)     si occupa di malesseri che si presentano in modo aspecifico e ad uno stadio iniziale del loro sviluppo e che potrebbero richiedere un intervento urgente;

j)      promuove la salute ed il benessere con interventi appropriati ed efficaci;

k)    ha una responsabilità specifica della salute della comunità;

l)     si occupa dei problemi di salute nella loro dimensione fisica, psicologica, sociale, culturale ed esistenziale.

Il Medico di Medicina Generale2 è pertanto la prima interfaccia tra il Paziente ed il Sistema Sanitario Nazionale ed ha la caratteristica di occuparsi direttamente della salute della popolazione dello specifico territorio in cui opera.

Nella popolazione assistita dal Medico di Medicina Generale, la popolazione anziana ha un ruolo sempre più importante: per il 2017, l’ISTAT prevede una popolazione over 65 di 13,5 milioni, pari al 22% della popolazione generale in Italia3. La popolazione anziana ha spesso4 anche problemi di solitudine (il 27%, uno su quattro). Ha inoltre difficoltà economiche, con indice di povertà assoluta per anziani over 65 del 6%5.

Queste caratteristiche della popolazione di Pazienti che fanno riferimento al Medico di Medicina Generale spesso rendono difficoltoso instaurare un collegamento duraturo con i Medici Specialisti (Ambulatoriali e Ospedalieri) del territorio di appartenenza, per la gestione integrata delle patologie riscontrate negli Assistiti con conseguenze dirette sulla gestione della salute.

Altra conseguenza è un sentimento di sfiducia verso il Sistema Sanitario Nazionale che si instaura nei Pazienti con diminuzione della adesione alle terapie delle patologie croniche ed aumento dell’utilizzo inappropriato del Pronto Soccorso visto come possibile luogo di soluzione di qualsiasi patologia, con punte dell’80% di codici bianchi e verdi6 e che invece, potrebbero essere gestiti dai Medici di Medicina Generale.

L’aderenza alle terapie delle patologie croniche è stata studiata dal Dipartimento di Epidemiologia del Servizio Sanitario della Regione Lazio (DEP Lazio), il cui Dirigente Statistico, Dottor  Mirko Di Martino, ha illustrato i risultati nel convegno Cuore Polmone all’Accademia Lancisiana del 21 Marzo 2017.

Con lo studio OUTPUL7 si è voluta valutare l’aderenza alla terapia con broncodilatatori a lunga durata d’azione per un periodo di due anni. Il razionale da cui si è partiti era che l’uso regolare dei broncodilatatori inalatori a lunga durata d’azione (LABA, LAMA) nella BPCO moderata e grave è in grado di controllare i sintomi, ridurre l’insorgenza di riacutizzazioni e migliorare la qualità di vita del paziente8.

Sono stati arruolati Pazienti residenti ed assistiti nella Regione Lazio con età superiore ai 45 anni dimessi dagli ospedali della regione Lazio con diagnosi di BPCO tra il 2011 ed il 2013 e sono stati seguiti per due anni. Si definiva per continuità di trattamento almeno una prescrizione di broncodilatatore inalatorio per ciascuno dei quattro semestri valutati.

Nello studio sono stati inclusi 11452 pazienti dimessi con diagnosi di BPCO, il 55% era di sesso maschile, l’età media era di 74 anni.

Il 53% soffriva di ipertensione, il 24% di diabete, il 15% di aritmia, il 16% di scompenso cardiaco il 14% di obesità. L’84% assumeva farmaci cardiovascolari, mentre il 26% assumeva 5-7 farmaci non respiratori, il 22% 8-10 farmaci, il 21% più di 10 farmaci.

Solo il 35% dei Pazienti ha assunto regolarmente, nei due anni successivi al ricovero per BPCO, Broncodilatatori inalatori a lunga durata d’azione. Tra i fattori-paziente associati alla non continuità, un ruolo determinante è svolto dall'età avanzata del Paziente e dalla presenza di patologie concomitanti quali Diabete, Scompenso Cardiaco, Aritmie, Malattie Cerebrovascolari, Reumatologiche e Psichiatriche.

E’ inoltre emersa una notevole difficoltà nel mantenere il Paziente in trattamento, a mano a mano che ci si allontana dall’evento acuto.

Le maggiori difficoltà emergono, sin dal primo semestre successivo alla dimissione, nei Pazienti che inizianoil trattamento per la prima volta (assenza di prescrizioni per broncodilatatori a lunga durata d’azione nei 12 mesi antecedenti al ricovero ospedaliero): in questo sotto-gruppo la proporzione di Pazienti continuativi nel biennio ammontava al 24%.

Inoltre, la Regione Lazio è caratterizzata da una notevole variabilità geografica.

La proporzione di Pazienti aderenti varia da un minimo del 26% (osservata nella ASL di Rieti) ad un massimo del 44% (osservata nella ASL Roma 6 – Ex Roma H).

Un altro progetto realizzato dal Dipartimento di Epidemiologia era volto a misurare l’aderenza alle linee guida per la prevenzione secondaria dell’Infarto Miocardico Acuto.

Obiettivo specifico dello studio era valutare l’aderenza alla Poli-terapia Cronica con Antiaggreganti, Betabloccanti, ACE-inibitori/Sartani e Statine, che le Linee Guida raccomandano per la prevenzione del Re-infarto9.

Popolazione in studio: attraverso l’integrazione dei sistemi informativi sanitari della Regione Lazio è stata identificata una coorte di pazienti dimessi dall’ospedale con una prima diagnosi di IMA tra il 2010 e il 2013.

Follow-up: i Pazienti sono stati seguiti per un anno, a partire dalla data della dimissione.

Aderenza al trattamento: per ciascun paziente, l’aderenza alla Poli-terapia cronica è stata definita come segue: Medication Possession Ratio ≥ 0.75 per almeno tre dei quattro “farmaci”. Il medication possession ratio misura quanta parte del follow-up individuale è stata adeguatamente coperta dal trattamento farmacologico.

Sono stati analizzati 9606 Pazienti. Circa il 68% dei Pazienti era di genere maschile, l’età media era pari a 67 ± 13 anni (uomini: 64 ± 12; donne: 72 ± 12).

Più del 55%dei Pazienti presentava almeno una patologia concomitante. Le patologie concomitanti più diffuse erano: Ipertensione 21% - Aritmie Cardiache 16% -  Malattie Vascolari 13% -  Scompenso Cardiaco 9% - Diabete 9% -  Malattie Cerebrovascolari 8% - Tumori 7%.

E’ stato valutato l’impatto della Poli-terapia cronica sulla mortalità e sull’occorrenza di nuovi Infarti, attraverso un Nested Case-Control Study. Come dimostrato dallo studio, all’aumentare del numero di terapie Evidence Based Medicine (EB) assunte contemporaneamente dal Paziente, il rischio di mortalità e di Re-infarto si riduce progressivamente: la mortalità si riduce del 65% mentre la probabilità di Re-infarto si riduce del 77%.

Circa il 63% dei Pazienti con pregresso Infarto risultava aderente alla Poli-terapia cronica. L’aderenza ai singoli trattamenti Evidence-Based ha dato i seguenti risultati: Beta Bloccanti: 53%; Ace-Inibitori/Sartani: 67%; Statine: 73%; Antiaggreganti: 77%.

Valutando l’aderenza alla Poli-terapia, si rilevano percentuali molto basse per la Poli-terapia a quattro farmaci: 30% per gli Uomini e 24% per le Donne con un totale per la coorte del 28%.

Se si esamina la Poli-terapia a tre farmaci su quattro: per gli uomini: 66%; per le donne: 56%; per il totale della coorte: 63%.

Una riduzione molto rilevante nell’aderenza al trattamento è stata riscontrata passando dagli anziani ai grandi anziani (età ≥ 85 anni), probabilmente a causa di barriere fisiche all’accesso alle cure, soprattutto in Pazienti privi di un supporto socio-sanitario.

Inoltre, anche in questo caso, a mano a mano che ci si allontana dall’evento acuto, l’aderenza del paziente diminuisce progressivamente.

Da un lato, questo evidenzia l’importanza della motivazione del Paziente e della consapevolezza dei benefici di un trattamento cronico. Dall’altro, pone in risalto la necessità di programmare, al momento della dimissione, le visite periodiche per il monitoraggio del Paziente, che hanno l’effetto implicito di mantenere elevata l’aderenza ai trattamenti Evidence-Based.

Inoltre, la Regione Lazio è caratterizzata da una notevole variabilità geografica: la proporzione di Pazienti aderenti varia da un minimo del 57% (osservata nelle ASL di Frosinone e Latina) ad un massimo del 74% (osservata nella ASL di Viterbo).

Il Dottor Mirko Di Martino, alla luce dei risultati delle due indagini effettuate, suggerisce possibili linee  di intervento per migliorare l’aderenza alla terapia nelle patologie croniche:

 

1)    Organizzare corsi di condivisione in medicina generale, centrando la discussione sulle più recenti linee guida.

2)    Promuovere una formazione specifica sulla relazione medico-paziente, sottolineando l’efficacia di un sistematico supporto motivazionale nell’assunzione cronica dei farmaci.

3)    Incentivare le forme di associazionismo in medicina generale, al fine di migliorare la continuità dell’assistenza.

4)    Migliorare i processi organizzativi all’interno degli ospedali, con l’obiettivo di dimettere il Paziente da reparti specialistici impostando correttamente la terapia e programmando le successive visite per il monitoraggio del Paziente.

 

La necessità di integrare le parti interagenti del sistema complesso sanità costituite dai Pazienti, Medici, Infermieri e Personale Amministrativo10 è stata affrontata con il progetto Percorsi Diagnostici Terapeutici Assistenziali (PDTA).

La Dottoressa Anna Roberti, Coordinatore Provvisorio del 15° Distretto della ASL ROMA 1, ha partecipato alla elaborazione dei PDTA nella ex ASL RM E.

Nel 2012 e nel 2013 nella ex ASL RM E è stata attivata una programmazione clinica ed operativa per il PDTA della BPCO e del Diabete tipo 2 finalizzata a migliorare la appropriatezza di trattamento di patologie croniche secondo linee guida concordate ed elementi tipici della medicina di iniziativa secondo il Chronic Care Model  sviluppato dal Professor Wagner del McColl Institute for Healthcare Innovation  in California.

Come già evidenziato dal Dottor Mirko Di Martino, nella Regione Lazio su 26.000 casi di BPCO si ha una aderenza del 35% alla terapia con farmaci broncodilatatori a lunga durata d’azione  per via inalatoria ed un sottoutilizzo della spirometria per la stadi azione della patologia.

Per il Diabete tipo 2 su 30.292 casi solo il 34% ha effettuato i controlli biochimici, metabolici e strumentali indicati dalle linee guida11. Per la BPCO si è proceduto con Intervento Controlled Before and After study-  4 Unità di Cure Primarie (UCP) per ogni Distretto per un totale di 78MMG (17%) su una popolazione con intervento del 20%(età > 45 anni). Per il Diabete, intervento Controlled Before and After study - 4 Unità di Cure Primarie (UCP) per ogni Distretto per un totale di 82MMG (18%) con una popolazione con interventodel 23% (età: 35–80 anni).

Il gruppo di lavoro aziendale incaricato di progettare l’intervento si è interfacciatocostantemente con i soggetti coinvolti (MMG, Specialisti, Infermieri-Care manager) al fine di costruire insieme il percorso, condividerele scelte cliniche ed organizzative e soprattutto valutare la fattibilità dell’intervento.

Il Distretto promuove strategie basate sulla medicina d’iniziativa, analizza e monitorizza gli scostamenti rispetto agli indicatori e agli standard condivisi.

Il Medico di Medicina Generalediventa membro di un team multi-professionale, partecipa all’AUDIT12; lo Specialistagestisce i Pazienti che non riescono a raggiungere un compenso soddisfacente.

Per il Diabete tipo 2, tra il primo ed il secondo semestre 2014 (dopo l’applicazione del PDTA) su 1082 casi seguiti si è passati da 581 emoglobine glicate effettuate (pari al 52% dei diabetici osservati) a 869 (pari all’80% dei diabetici osservati), per l’ecg effettuato si è passati da 285 (pari al 25%) a 708 (65%).

Per la BPCO sono state valutate le variazioni prima e dopo intervento per il numero delle visite pneumologiche, esami strumentali ed uso di farmaci. Le visite pneumologiche sono passate da 93 a 163 con un incremento che dall’8% è passato al 14%; per gli esami strumentali, compresa la spirometria, si è passati da 139 (12%) a 204 (17%). Per i farmaci abbiamo avuto un incremento per tutte le categorie: per quel che riguarda la triplice combinazione LABA/LABA+ICS, si è passati da 455 (39%) a 499 (43%); per i LABA da soli da 110 (9%) a 118 (10%); ICS, da soli da 233 (20%) a 253 (22%); LABA e ICS disgiunti da 343 (29%) a 371 (32%); LABA e ICS combinati, da 371 (32%) a 408 (35%).

Da questi primi dati emerge che l’applicazione dei PDTA porta dei vantaggi per tutti i Protagonisti del Sistema Sanità!

Per il Paziente essere preso in carico dal proprio Medico di Medicina Generale per la patologia specifica da cui è affetto; avere un percorso prestabilito di controlli ambulatoriali e Specialistici nel proprio territorio di residenza; essere sottoposto ad indagini realmente necessarie per il controllo della propria patologia ed avere la possibilità di valutazioni rapide in caso di riacutizzazioni.

Per il Medico di Medicina Generale essere riconosciuto come punto di riferimento per la prevenzione e la gestione delle patologie croniche; poter migliorare la gestione di singoli Pazienti con più patologie; rafforzare il legame con il Paziente facilitando il percorso diagnostico e migliorando l’adesione alla terapia ed a stili di vita corretti; migliorare la conoscenza reciproca con i Colleghi Specialisti del proprio territorio.

Per il Medico Specialista possibilità di arruolare Pazienti per nuove diagnosi, stadiazioni o per terapia di complicanze che abbiano una continuità assistenziale nel tempo; snellire le liste d’attesa da Pazienti cronici controllati, che vengono affidati al Medico di Medicina Generale; possibilità di dedicarsi alla gestione approfondita delle complicanze .

Per i Medici di Medicina Generale ed i Medici Specialisti possibilità di confrontarsi e conoscersi reciprocamente nell’ambito di AUDIT clinici in cui vengano esaminati i casi dei Pazienti che sono stati realmente seguiti nel loro territorio di appartenenza.

Criticità: ruolo dell’Infermiere (con cui il Medico di Medicina Generale non è abituato a collaborare); ruolo dei servizi di assistenza domiciliare (CAD) per la sempre più importante opera di assistenza ai malati che risiedono nelle proprie case  e la fattiva collaborazione con il Medico di Medicina Generale; sistemi di comunicazione tra i vari Protagonisti del sistema (Pazienti, Medici, Infermieri); complessità dell’accesso informatico che, al momento, non è ancora perfettamente tarato per le esigenze di utilizzo; adesione al progetto ed alla nuova mentalità collaborativa da parte dei Medici; arruolamento dei Pazienti non collaboranti.

Per coinvolgere i Pazienti non collaboranti si possono effettuare incontri presso la sede della ASL interessata con Pazienti, Medici di Medicina Generale, Medici Ambulatoriali, Medici Ospedalieri ed Infermieri sulle singole patologie croniche come già avvenuto per i pazienti con post infarto presso la ASL RME.

In conclusione, la gestione del Malato Complesso in Medicina Generale si avvia ad essere sempre più una gestione condivisa con i Medici Specialisti (Ospedalieri ed Ambulatoriali) del territorio di appartenenza in cui il Paziente è inserito in un percorso di controlli e cure e che vede nel proprio Medico di Medicina Generale il coordinatore di tutto il percorso diagnostico, terapeutico ed assistenziale intrapreso.


BIBLIOGRAFIA

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  10. Enciclopedia Treccani. www.treccani.it/enciclopedia/.
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