La sostenibilità dei sistemi sanitari rappresenta oggi una sfida globale, che non può essere ricondotta a una questione squisitamente finanziaria, perché un’aumentata disponibilità di risorse non permette di risolvere cinque grandi sfide ampiamente documentate nei paesi industrializzati1:
- L’estrema variabilità nell’utilizzo di servizi e prestazioni sanitarie, non giustificata dalla eterogeneità clinica né dalle preferenze dei pazienti.
- Gli effetti avversi dell’eccesso di medicalizzazione, in particolare la sovra-diagnosi e il sovra-trattamento.
- Le diseguaglianze conseguenti al sotto-utilizzo di servizi e prestazioni sanitarie dall’elevato value.
- L’incapacità di attuare efficaci strategie di prevenzione, specialmente quella non medicalizzata.
- Gli sprechi, che si annidano a tutti i livelli.
In condizioni di crisi economica, un paese può mettere in campo tre le strategie per garantire la sostenibilità del proprio sistema sanitario:
- Ridurre il finanziamento pubblico, dedicando meno risorse alla sanità. In Italia questa strada continua ad essere ampiamente battuta, visto che dal 2012 la politica ha scelto di disinvestire pesantemente dalla sanità sia per esigenze di finanza pubblica, sia per investire su altri settori. Infatti, dopo i 25 miliardi sottratti da varie manovre nel periodo 2012-2015, la sanità pubblica ha recentemente lasciato per strada altri 6,8 miliardi, rispetto a quanto definito nel Patto per la Salute, senza tenere in considerazione le raccomandazioni dell’OCSE che, nel rapporto sul SSN del gennaio 20152, ribadiva la necessità di “garantire che gli sforzi in atto per contenere la spesa sanitaria non vadano a intaccare la qualità dell’assistenza”. Al contrario, il definanziamento della sanità pubblica in Italia si sta pericolosamente avvicinando a limiti che compromettono la salute delle persone.
- Identificare altri canali di finanziamento. Anche se i ticket rappresentano uno strumento impopolare per la politica e, oggi, poco sostenibile da una popolazione fortemente impoverita, le Regioni mantengono autonomia di scelta come dimostrano i variegati interventi sulla compartecipazione alla spesa dei cittadini. Nel frattempo, l’intermediazione assicurativa si sta insinuando subdolamente tra incertezze delle Istituzioni e minori tutele della sanità pubblica, rischiando di trasformare lentamente ma inesorabilmente il modello di un SSN pubblico, equo e universalistico in un sistema misto.
- Ridurre gli sprechi e aumentare il value dell’assistenza, attraverso un rigoroso processo di disinvestimento da sprechi e inefficienze e riallocazione delle risorse in servizi essenziali e innovazioni. Questa strategia è stata lanciata tra le righe del Patto per la Salute 2014-2016 dove si legge che “I risparmi derivanti dall’applicazione delle misure contenute nel Patto rimangono nella disponibilità delle singole regioni per finalità sanitarie”. Tuttavia, a seguito del riaccendersi del conflitto istituzionale tra Stato e Regioni, la maggior parte delle misure previste sono rimaste inattuate.
Per guidare Regioni, Aziende Sanitarie e professionisti nel processo di disinvestimento da sprechi e inefficienze la Fondazione GIMBE, nell’ambito della campagna “Salviamo il Nostro SSN”
3 ha adattato al contesto italiano la tassonomia di Don Bervick degli sprechi in sanità
4 , stimando un impatto di oltre € 25 miliardi/anno, assorbiti da sei categorie di sprechi
5 (tabella 1).
Categoria sprechi |
% |
Miliardi di euro* |
Range variabilità (± 20%) |
1. Sovra-utilizzo |
30 |
7,69 |
(6,15 – 9.23) |
2. Frodi e abusi |
20 |
5,13 |
(4,10 – 6.15) |
3. Acquisti a costi eccessivi |
16 |
4,10 |
(3,28 – 4.92) |
4. Sotto-utilizzo |
12 |
3,08 |
(2,46 – 3,69) |
5. Complessità amministrative |
12 |
3,08 |
(2,46 – 3,69) |
6. Inadeguato coordinamento assistenza |
10 |
2,56 |
(2,05 – 3.08) |
Tabella. Impatto degli sprechi sul servizio sanitario nazionale
*25,64 miliardi di euro calcolati proiettando la stima di Don Berwick (23% della spesa sanitaria) sui 111,475 miliardi di spesa sanitaria pubblica nel 2014
- Sovra-utilizzo. Consistenti evidenze scientifiche documentano l’overuse di servizi e prestazioni sanitarie inefficaci, inappropriate e dal low-value a tutti i livelli dell’assistenza e da parte di tutte le professioni sanitarie e discipline specialistiche: farmaci, test diagnostici, visite specialistiche, ricoveri ospedalieri. Tuttavia, il sovra-utilizzo di prestazioni inappropriate, in particolare quelle diagnostiche, non può essere giustificato solo dalla medicina difensiva, alla quale si affiancano altre determinanti: l’ipotrofia del ragionamento ipotetico-deduttivo e il prevalere della strategia diagnostica esaustiva, le perverse logiche di finanziamento e incentivazione di aziende e professionisti basate sulla produzione ─ e non sull’appropriatezza ─ delle prestazioni, la medicalizzazione della società che genera continui atti di fede per la tecnologia, le crescenti aspettative di cittadini e pazienti per una medicina mitica e una sanità infallibile, il continuo turnover delle tecnologie che spesso immette sul mercato false innovazioni, decisioni e prescrizioni non sempre immuni da conflitti di interesse, le sentenze giudiziarie discutibili e gli avvocati senza scrupoli che contribuiscono a incrementare il contenzioso medico-legale6.
- Frodi e abusi. Negli anni si è radicata in Italia una vasta rete del malaffare che sottrae preziose risorse alla sanità pubblica, particolarmente esposta a fenomeni opportunistici, perché caratterizzata da un inestricabile mix di complessità, incertezze, distorsione delle informazioni scientifiche, qualità poco misurabile, conflitti di interesse, corruzione, estrema variabilità delle decisioni cliniche, manageriali e politiche. Tutti questi fattori rendono il sistema poco controllabile: di conseguenza, ingenti quantità di denaro sono esposte a condizionamenti impropri, che determinano varie tipologie di frodi, abusi e illeciti, sottraendo risorse preziose al SSN. Da non dimenticare, infine, i conflitti di interesse che favoriscono la diffusione di interventi sanitari inefficaci e inappropriati e alimentano svariati comportamenti opportunistici, che solo raramente sconfinano in frodi e abusi di rilevanza penale.
- Acquisti a costi eccessivi. La limitata implementazione dei prezzi di riferimento e l’assenza di regole ben definite su scala nazionale fanno sì che i costi di acquisizione delle tecnologie sanitarie (farmaci, dispositivi, attrezzature, etc.), oltre che di beni e servizi non sanitari (lavanderia, mensa, pulizie, riscaldamento, utenze telefoniche, etc.), siano molto più alti del loro valore reale, con differenze regionali e aziendali assolutamente ingiustificate. Le “relazioni pericolose” tra questa categoria di sprechi e la precedente sono ben documentate a tutti i livelli.
- Sotto-utilizzo. L’inadeguato trasferimento dei risultati della ricerca alla pratica clinica e all’organizzazione dei servizi sanitari determina l’underuse di interventi sanitari efficaci, appropriati e dall’high value. Il sotto-utilizzo ritarda o impedisce la guarigione dei pazienti, aumenta le complicanze, determina ricoveri ospedalieri e interventi sanitari più costosi, genera assenze dal lavoro. Il sotto-utilizzo include anche la lotta contro stili di vita e comportamenti individuali che danneggiano la salute e per i quali esistono opportunità di prevenzione.
- Complessità amministrative. Il sovraccarico di obblighi burocratici sottrae tempo prezioso ai professionisti sanitari in un contesto dove, paradossalmente, i costi del personale amministrativo rappresentano una consistente voce di spesa del SSN. Questa categoria di sprechi è generata da processi che aggiungono costi senza generare value, in particolare conseguenti a un mix tra eccessiva burocratizzazione, scarsa informatizzazione, ipertrofia del comparto amministrativo e mancata standardizzazione di tutti i processi non clinici con relative procedure.
- Inadeguato coordinamento dell’assistenza. Gli sprechi si verificano sia tra ospedale e cure primarie, con assistenza del paziente in setting a eccessivo consumo di risorse rispetto ai bisogni, sia tra i vari servizi dello stesso setting per mancata standardizzazione dei percorsi assistenziali. Gli sprechi sono particolarmente evidenti per i pazienti con malattie croniche, nei quali l’assistenza a livello di cure primarie richiede un’appropriata integrazione con interventi specialistici e ricoveri ospedalieri. Per superare la cultura ospedale-centrica e la sterile dicotomia ospedale-territorio è indispensabile una ri-programmazione sanitaria in grado di assicurare una variabile articolazione di setting assistenziali per intensità di cura, riorganizzando i servizi con modelli sovra-aziendali in grado di condividere percorsi assistenziali, tecnologie e competenze professionali, oltre a modalità avanzate di integrazione socio-sanitaria.
In una fase successiva è stato sviluppato il framework per il disinvestimento, già oggetto di un protocollo di intesa siglato con l’Agenas
7: l’analisi dettagliata delle sei categorie, dimostra che per attuare un disinvestimento efficace è indispensabile un approccio di sistema. che partendo da una regia nazionale, attraverso le autonomie regionali, deve estendersi a cascata all’organizzazione ed erogazione di servizi e prestazioni a livello delle aziende sanitarie, tenute a coinvolgere attivamente professionisti sanitari e cittadini, in particolare per le categorie di sprechi fortemente connessi con l’eccesso di medicalizzazione e l’inadeguato trasferimento dei risultati della ricerca alla pratica clinica, ovvero il sovra e il sotto-utilizzo di interventi sanitari).Se oggi vogliamo realmente mantenere un modello di sanità pubblica, equa e universalistica, il tema della sostenibilità deve essere posizionato su un orizzonte temporale più ampio su cui effettuare una programmazione di medio-lungo periodo, partendo da alcune ragionevoli certezze:
- Il DEF 2015 lascia intendere che la percentuale del PIL destinato alla sanità pubblica diminuirà sino al 2020 (6.6%) per poi tornare a crescere8. In ogni caso, considerato che tutti i governi europei stanno disinvestendo dalla sanità, l’incremento complessivo del FSN sino al 2025 difficilmente sarà superiore ai 10 miliardi di euro.
- La spesa privata out-of-pocket (€ 33 miliardi nel 2014) difficilmente potrà aumentare oltre € 1 miliardo/anno considerato il notevole impoverimento della popolazione; possibile solo che il carico sui cittadini venga alleggerito da un ingresso ben gestito del pilastro assicurativo nel SSN.
- In assenza di un’adeguata riorganizzazione dell’assistenza, le eventuali risorse aggiuntive (pubbliche e private) finirebbero in parte per alimentare gli sprechi.
- Una consistente quota della spesa sanitaria può essere “riqualificata” attraverso il processo di disinvestimento da sprechi e inefficienze e riallocazione in servizi essenziali e innovazioni.
Considerato che, secondo le stime della Fondazione GIMBE
9, il tendenziale a 10 anni identifica nella riqualificazione della spesa sanitaria la principale fonte di incremento di risorse per il SSN, è indispensabile che le Istituzioni diano chiari segnali di voler realmente preservare un servizio sanitario pubblico, equo e universalistico. In particolare al Governo spetta:
- Offrire ragionevoli certezze sulle risorse da destinare alla sanità pubblica, nella consapevolezza che il definanziamento si sta pericolosamente avvicinando a limiti che riducono l’aspettativa di vita della popolazione.
- Avviare un’adeguata governance per regolamentare l’intermediazione assicurativa, identificando quali prestazioni, idealmente solo quelle non essenziali, possono essere finanziate da risorse private.
- Rendere realmente continuo l’aggiornamento dei LEA che devono essere collegati a criteri di appropriatezza clinica e organizzativa
- Potenziare gli strumenti di indirizzo e verifica sui 21 sistemi regionali per garantire equità d’accesso a tutte le persone e coordinare il processo di disinvestimento da sprechi e inefficienze.
Dal canto loro, le Regioni, chiamate dalla Legge di Stabilità a concorrere alla finanza pubblica per € 3,98 miliardi nel 2017 e € 5,48 per gli anni 2018 e 2019, nel rispetto dei LEA e con la certezza che le risorse recuperate rimangono in sanità, devono avviare e mantenere un rigoroso processo di disinvestimento da sprechi e inefficienze, responsabilizzando e coinvolgendo attivamente le Aziende sanitarie e queste, a cascata, professionisti sanitari e cittadini. In alternativa, difficilmente i tagli per la sanità non saranno lineari perché sarà il Governo a decidere dove tagliare, come previsto dalla stessa Legge di Stabilità.