Anno Accademico 2017-2018

Vol. 62, n° 2, Aprile - Giugno 2018

ECM: Universo Fegato

16 gennaio 2018

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Ruolo della Medicina Nucleare nell’epatocarcinoma

R. Sciuto

Introduzione

La Medicina Nucleare ha un ruolo importante nella gestione clinica dell’epatocarcinoma (HCC) sia in ambito diagnostico che terapeutico, rappresentando un modello ideale di applicazione teranostica nel contesto della medicina di precisione. La moderna medicina di precisione richiede infatti una ricerca continua verso una diagnosi più accurata e terapia più personalizzate. I radiofarmaci, in questo contesto diventano uno strumento essenziale, in quanto costituiscono, grazie al meccanismo di biodistribuzione molecolare, un sistema unico di tracciabilità della espressione di biomarker o di modelli biologici che caratterizzano la malattia tumorale e le sue variazioni fenotipiche nel tempo. Una stessa molecola radiomarcata può essere utilizzata sia per il riconoscimento iniziale di biomarkers che per guidare una Target Therapy o per monitorare la risposta.

Inoltre l’evoluzione tecnologica in Medicina Nucleare mediante PET/CT e SPET/CT, unitamente alla disponibilità di vari radiofarmaci innovativi permette una sempre più accurata caratterizzazione biologica della maggior parte delle neoplasie integrandosi perfettamente con lo studio e la validazione preclinica e clinica di sistemi biologici. Le terapie possono così essere selezionate direttamente sulla base dell’imaging che rivela l’espressione del biomarker e determina se un trattamento può essere efficace, eliminando trattamenti non necessari o non appropriati nel singolo caso e ottimizzando il piano terapeutico per singolo paziente in ogni fase della malattia. 

 

Nel caso dell’HCC le applicazioni più importanti della Medicina Nucleare sono l’utilizzo della PET a scopo prognostico e la terapia radioembolizzante.

 

Ruolo della PET nell’HCC

La PET è uno strumento diagnostico non invasivo ben collaudato per la stadiazione e il monitoraggio della chemioterapia o radioterapia di diverse neoplasie. Il tracciante più comunemente usato in oncologia è il 18F-fluorodesossiglucoso (18F-FDG), che è un analogo del glucosio. Il 18F-FDG viene captato dalle cellule tumorali con lo stesso meccanismo del glucosio.  Nel normale tessuto epatico, l’attività dell'enzima glucosio-6-fosfatasi, che converte il FDG-6-P a FDG è alto, mentre è molto basso nelle metastasi epatiche con conseguente aumento della captazione di FDG. Nell’HCC, al contrario, l'attività dell'enzima varia notevolmente: noduli di HCC ben differenziati hanno un'attività enzimatica che è paragonabile al normale tessuto epatico. Pertanto, i tumori di basso grado tendono ad avere una captazione di FDG simile al normale circostante tessuto epatico, portando a un basso valore di captazione. Al contrario, nelle forme scarsamente differenziate di HCC la captazione di FDG è alta.

Pertanto la PET con 18F-FDG non è attualmente raccomandata come strumento diagnostico di prima linea nel sospetto di HCC avendo solo una modesta sensibilità (inferiore al 50%) ma può essere utile per l’identificazione e il monitoraggio delle lesioni da HCC da moderate a scarsamente differenziate, nelle forme di HCC in stadio avanzato e nelle metastasi extraepatiche e fornire preziose informazioni prognostiche per la chirurgia, il trapianto e le cure palliative dei tumori epatici1, 2.

La PET con 18F-FDG ha inoltre un ruolo ampiamente comprovato in ambito prognostico. Infatti è stato recentemente dimostrato che l’intensità di captazione del 18F-FDG misurata tramite un parametro semiquantitativo di captazione (standard uptake value o SUV) correla con un comportamento biologico aggressivo e con un outcome sfavorevole3, 4. Una recente meta-analisi, analizzando i risultati di 22 studi in una popolazione globale di 1721 pazienti, ha evidenziato come un alto rapporto fra il SUV misurato nell’area tumorale e il SUV misurato nel fegato sano è associato a una diminuzione significativa della sopravvivenza globale (OS) e della sopravvivenza libera da malattia (PFS) con un Hazard ratio [HR] rispettivamente di 2.04; 95% CI 1.50-2.79; (P = 0.000)  e  7.17; 95% CI 3.58-14.36; P = 0.000)5.

 

Basandosi su queste considerazioni il ruolo prognostico della 18F-FDG PET è stato studiato anche nei pazienti con HCC candidati al trapianto. Numerosi studi hanno dimostrato che la 18F-FDG-PET è molto utile per identificare i pazienti con HCC idonei al trapianto oltre i criteri standard, suggerendo che la 18F-FDG-PET dovrebbe essere implementata nel processo decisionale pre-trapianto al fine di espandere in sicurezza i criteri di selezione dell'HCC e il pool di destinatari del fegato idonei. Negli ultimi anni, diversi gruppi di trapianti sono stati in grado di dimostrare che il 18F-FDG fornisce informazioni utili sulla vitalità del tumore metabolico e sull’outcome post-trapianto. La positività alla PET è stata dimostrata correlare con la presenza di caratteristiche istopatologiche sfavorevoli, come la invasione microvascolare e il rischio di recidiva tumorale.

Una recente analisi retrospettiva su 116 trapianti ha evidenziato che nel set di pazienti trapiantati in base a criteri up-to seven la recurrence free survival (RFS) era significativamente migliore nei casi PET-negativi (94.9%) rispetto a quelli PET-positivi (48.3%; p < 0.001). La positività della PET è stata identificata come l'unico predittore clinico indipendente di recidiva del tumore in pazienti oltre ai criteri uo-to-seven  (HR = 19.25; p < 0,001)6.

 

Nonostante la mancanza di studi clinici prospettici, sembra esserci sufficiente evidenza che la 18F-FDG-PET possa identificare pazienti idonei a trapianto di fegato perché, pur presentando stadi avanzati del tumore, hanno un comportamento meno aggressivo. Seguendo rigorosamente gli standard stabiliti di assegnazione del fegato basato su criteri macromorfologici, questi pazienti sono attualmente esclusi dal trapianto e, quindi, da una grande opportunità di cura. Sulla base dei dati presentati in una recente review, è stato suggerito un algoritmo di selezione semplificato che combini le caratteristiche morfometriche con la 18F-FDG-PET per migliorare i risultati del trapianto epatico sia nei pazienti che rientrano nei criteri standard sia in quelli che non vi rientrano7.

L’esperienza acquisita presso la Medicina Nucleare dell’Istituto Regina Elena su una casistica di 36 pazienti con HCC in stadio BCLC B e C in fase di valutazione per trattamento radioembolizzante conferma il valore prognostico della 18F-FDG PET. Infatti valutando la correlazione fra due parametri semiquantitativi SUV max e rapporto di captazione Tumore / Non tumore (T/NT) e la PFS in questi pazienti si è evidenziato una correlazione significativa con entrambi questi parametri HR SUV = 3.47  (CI95% 1.38-8.72, p = 0.008) ; HR T/NT = 4.12 (CI95% 1.56-10.83, p = 0.004). Applicando però un modello di analisi multivariata soltanto il parametro T/NT è stato confermato un parametro prognostico indipendente. Utilizzando un modello di ROC analysis sono stati evidenziati come cut-off ottimali valori di SUV max pari a  4.3 e di T/NT pari a 1.9.

Utilizzando questi cut-off la PFS a due anni era significativamente migliore nei pazienti con valori di SUV (Fig. 1) e di T/NT inferiori ai cut-off individuati (Fig. 2).

Sulla base dei dati disponibili e della esperienza personale, la 18F-FDG PET si pone quindi come metodica non invasiva di importanza fondamentale nella caratterizzazione biologica dell’epatocarcinoma e con importante ruolo prognostico applicabile nella selezione dei pazienti candidabili a trapianto epatico.

 

Ruolo della radioembolizzazione nell’HCC

 

La radioembolizzazione epatica con microsfere di resina marcate con 90-Y iniettate in arteria epatica (90Y-RE) è un trattamento locoregionale che si è diffuso negli ultimi dieci anni e che si è dimostrato molto efficace in numerosi studi clinici nel trattamento dell’epatocarcinoma (HCC) in stadio intermedio e avanzato non suscettibile di trattamento chirurgico8, 9. La 90Y-RE è ormai inserita nelle principali Linee Guida Internazionali (NCCN, ESMO) e Nazionali (Raccomandazioni Multisocietarie patologia epatobiliare Italiane) come trattamento sia di prima che di seconda linea in HCC non operabili stadio BCLC B e C o come trattamento neoadiuvante per l’intervento chirurgico o per il trapianto di fegato nell’ambito di protocolli di downstaging e bridging.

La radioembolizzazione epatica, conosciuta e definita in vari modi tra cui SIRT (selective internal radiotherapy), TARE (TransArterial  RadioEmbolization) o terapia intra-arteriosa con radionuclidi, consiste nell'infusione di microsfere marcate con 90Y direttamente in arteria epatica in corso di angiografia.

 

Questa modalità di trattamento minimamente invasivo combina i vantaggi della terapia radiometabolica, grazie alle radiazioni beta erogate dall’ 90Y e dell'effetto embolico determinato dal deposito di milioni di microsfere biodegradabili nella microvascolarizzazione neoplastica.

Il razionale della fissazione selettiva delle microsfere sul tumore deriva da aspetti anatomici e fisiologici del tessuto epatico. La tecnologia sfrutta infatti il fatto che il tessuto fegato sano porta oltre il 70% del suo sangue dalla vena porta, mentre i tumori epatici > 3 mm derivano il 90% della loro alimentazione ematica dall'arteria epatica. Posizionando quindi le microsfere marcate da 90Y in rami dell'arteria epatica, si può somministrare al tumore un alta dose di radiazioni con un minimo danno al parenchima epatico sano10, 11.

 

Il rateo di risposte varia dal 40% all’80%  con una progression free epatica media nel range di 6 - 8 mesi ed un’ottima tollerabilità. La tossicità è prevalentemente epatica con un’incidenza che varia da 1% al 36.5% in funzione di diverse variabili (n^ di trattamenti  ricevuti, performance status, CHILD  ecc.)

L'efficacia e la sicurezza di 90Y-RE dipendono da numerosi fattori specifici per ogni paziente, tra cui la distribuzione del flusso arterioso epatico, la vascolarizzazione del tumore, l'integrità funzionale del parenchima epatico non implicato e le relative radio sensibilità di entrambi i tessuti. Un fattore non trascurabile è inoltre l’esperienza del Team dedicato e le facilities disponibili. 

Infatti l’efficacia del trattamento è strettamente correlata alla precisione con cui viene definito il piano terapeutico sulla base delle diverse informazioni ricavate dalle varie tecniche di imaging: informazioni morfometriche (TAC e RMN), informazioni di aggressività biologica (PET); informazioni vascolari (angiografia), simulazione di biodistribuzione (scintigrafia con macro-aggregati marcati con 99mTc); biodistribuzione effettiva delle microsfere marcate con 90Y.

L’integrazione delle diverse informazioni derivanti da un imaging multimodale ottenuto con tecnologia avanzata è cruciale per la definizione di un piano terapeutico personalizzato e per lo sviluppo di modelli predittivi di risposta.

 

 

 

 

Fig. 1: Curve di PFS in base al SUV max registrato alla PET basale pre-trattamento di radioembolizzazione epatica. Linea blu i pazienti che mostravano valori di SUV <  4.3; linea rosa i pazienti che mostravano valori di SUV max > 4.3

 

 

 

Fig. 2: Curve di PFS in base al T/NT registrato alla PET basale pre-trattamento di radioembolizzazione epatica. Linea blu i pazienti che mostravano valori di T /NT <  2; linea rosa i pazienti che mostravano valori di T/NT  max  > 2.

 

 


BIBLIOGRAFIA

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