Anno Accademico 2017-2018
Vol. 62, n° 2, Aprile - Giugno 2018
ECM: Universo Fegato
16 gennaio 2018
ECM: Universo Fegato
16 gennaio 2018
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La chirurgia rappresenta attualmente il trattamento curativo di scelta dell’epatocarcinoma (HCC). Tuttavia, al momento della diagnosi solo il 20% dei pazienti risulta resecabile, con una sopravvivenza globale e libera da malattia a 5 anni del 56% e 23%, rispettivamente1. I fattori che influenzano la prognosi di questi pazienti sono correlati alle caratteristiche del paziente stesso (replicazione virale, funzionalità epatica), alla tipologia di tumore (dimensioni, numero, grading, invasione vascolare) e al tipo di chirurgia. La chirurgia dell’epatocarcinoma si fonda su tre principi fondamentali: 1) il margine chirurgico di resezione, che deve essere sempre maggiore di 2 cm come dimostrato da numerosi Autori in quanto garanzia di migliore sopravvivenza globale2; 2) le resezioni anatomiche, da preferire a quelle non anatomiche (o “wedge”) in quanto garantiscono l’asportazione del peduncolo vascolare corrispondente e quindi una maggiore sopravvivenza libera da malattia3; 3) la scelta, quando possibile, di un approccio anteriore in caso di epatectomie maggiori, specialmente in caso di voluminosi HCC, senza pertanto mobilizzare il fegato ed evitare manipolazioni del tumore stesso.
Dal punto di vista tecnico, la chirurgia aperta del fegato consta di alcuni passaggi fondamentali. L’incisione ideale per accedere alla regione dell’ipocondrio destro è rappresentata da quella sottocostale destra a J, come descritta da Makuuchi, ma vi sono altre incisioni quali la bisottocostale, la Rio-Branco o a Mercedes che vengono eseguite a seconda della morfologia del paziente e del tipo di intervento. I divaricatori sottocostali tipo Rochard o Takasago consentono una eccellente esposizione del campo operatorio attraverso le loro valve. La mobilizzazione del fegato è il primo passaggio da eseguire, a meno che non si sia optato per l’approccio anteriore, in quanto permette di esteriorizzare il fegato e lussarlo dalla sua loggia. L’ecografia intraoperatoria eseguita con sonde lineari o convesse, è fondamentale in chirurgia epatica e permette di visualizzare piccoli noduli di HCC non visibili all’imaging preoperatorio e alla palpazione bimanuale. Essa consente inoltre di valutare il flusso arterioso, portale e sovra epatico costantemente. Una volta deciso il tipo di resezione, si passa alla preparazione del peduncolo epatico ed eventualmente alla manovra di Pringle che consente il clampaggio dell’intero peduncolo qualora si vogliano ridurre le perdite ematiche durante la transezione. In alcuni casi si preferisce eseguire un clampaggio selettivo dei peduncoli destro o sinistro, oppure nei casi più complessi si può optare per l’esclusione vascolare totale del fegato andando a clampare anche le vene sovra epatiche. La tecnica di transezione del fegato è variata molto negli anni. Alle origini della chirurgia epatica, il parenchima veniva dissezionato attraverso la digitoclasia oppure la kellyclasia che permetteva di isolare i peduncoli vascolari minori dal parenchima epatico che poi venivano legati e sezionati selettivamente. Attualmente vi sono diversi dispositivi quali il dissettore a ultrasuoni, il CUSA e la pinza bipolare che consentono di eseguire transezioni più precise e meno emorragiche. I peduncoli maggiori (portali o sovra epatici) vengono invece sezionati attraverso suturatrici vascolari, oppure suture in polipropilene.
Per quanto riguarda la scelta sul tipo di approccio chirurgico tra quello tradizionale (open) e quello mini invasivo, attualmente non esistono studi randomizzati che possano comparare le due metodiche. Una recente metanalisi che ha incluso 15 studi retrospettivi per un totale di 1238 pazienti, ha comparato i risultati a breve e lungo termine dopo chirurgia open vs laparoscopica, individuando un vantaggio per la chirurgia laparoscopica in termini di morbilità postoperatoria e perdite ematiche4. Tuttavia, la maggior parte delle resezioni laparoscopiche incluse negli studi erano epatectomie minori tra cui lobectomie sinistre e resezioni atipiche per noduli sottoglissoniani. Tali limiti negli studi sono stati sottolineati anche in un’enorme survey francese che ha analizzato più di 44000 resezioni epatiche individuando nella tecnica laparoscopica il limite di essere spesso eseguita per noduli piccoli oppure come semplici biopsie, mentre le epatectomie maggiori venivano eseguite quasi sempre in open5.
Nella nostra casistica, dal 2007 al 2017 presso il Polo Ospedaliero Interaziendale Trapianti dell’ospedale San Camillo-Forlanini di Roma, sono state eseguite 364 resezioni epatiche per HCC di cui open 245 (67.4%) e laparoscopiche 119 (32.6%) confermando i risultati riportati in letteratura a favore della laparoscopia per quanto riguarda le resezioni minori, mentre la chirurgia epatica open è stata riservata prevalentemente alle epatectomie maggiori (emiepatectomie, trisettoriectomie, ALPPS), associate o meno a gesti vascolari maggiori (trombectomie portali, sovra epatiche, patch vascolari).