Anno Accademico 2015-2016
Vol. 60, n° 1, Gennaio - Marzo 2016
Conferenza: Ottimismo e pensiero positivo come fattori di salute cardiovascolare
19 gennaio 2016
Conferenza: Ottimismo e pensiero positivo come fattori di salute cardiovascolare
19 gennaio 2016
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Intorno al 1828, anno della sua morte, sul limitare degli ottant’anni, Francisco Goya dipinse in bianco e nero la figura di un vecchio cadente che, curvo su se stesso, avanza appoggiandosi sulle stampelle. Secondo alcuni è un autoritratto del pittore.
La figura del vecchio appare come estrema immagine della decrepitezza senile, icona senza speranza della tristezza di un uomo che sembra essersi arreso sulla soglia di una vitalità ormai spenta.
Ma sullo sfondo del disegno possiamo leggere due parole illuminanti che capovolgono ogni pessimistica lettura del ritratto: “ Aun aprendo”: cioè ancora ho qualcosa da imparare nella vita!
La generale impressione di irrimediabile caducità della vita dell’uomo si illumina così alla luce interiore di un messaggio lucido di ottimismo esistenziale che conferisce al vecchio un’impensabile carica di vitalità e nuovi orizzonti di vita. Nonostante il declino fisico Goya non ha cessato di sentirsi, come Quasimodo, “sul cuor della terra”.
La semplice capacità di pensare e addirittura di essere ancora in grado di “apprendere”, di fare cioè nuove esperienze nonostante lo spegnersi del suo vigore fisico, gli restituisce la sua dignità di uomo, la speranza di potersi ancora sentire “trafitto da un raggio di sole”. Goya intona il suo più profondo inno all’ottimismo, come dote dell’animo che riesce ancora a vincere contro ogni umana speranza.
È uno dei casi in cui l’ottimismo si presenta come ingrediente fondamentale della felicità dell’uomo, come un privilegio dell’animo che gli permette di entrare, da vivo, nella propria morte. L“Aun aprendo” di Goya diviene allora per il pittore, un canto di ottimismo, una ricetta di vita, capace di alimentare l’esaltante coscienza di potersi sentire, fino all’ultimo, “ricercatore di senso”.
Ci si può chiedere quanto questo atteggiamento di ottimismo possa essere stato fattore favorevole alla longevità del vecchio pittore. L’ottimismo non sembra comunque un atteggiamento costitutivo primario della struttura psichica di Goya, se pensiamo che qualche anno prima della morte aveva attraversato quello che nella sua pittura viene connotato come il “periodo nero”, correlato ad una lunga fase di depressione.
Ci domandiamo allora se l’ottimismo non possa costituire un atteggiamento acquisibile con la volontà o grazie alla convinzione che il pensiero positivo possa costituire una buona ricetta per vivere in salute fisica e mentale. Se, mediante l’evidenza del metodo scientifico fosse possibile dimostrarlo, la prevenzione delle malattie acquisirebbe nuove e reali prospettive. Sarebbe così infatti possibile affermare che “il riso fa buon sangue” non è solo un gratuito aforisma popolare privo di reale consistenza scientifica, ma anche una ricetta di benessere e di salute.
Anche la Bibbia (Pr 17,22) afferma che un cuore allegro è una buona medicina e Shakespeare nella “Bisbetica domata” invita all’allegria perché evita mille danni e allunga la vita. Più recentemente, nell’epoca della psicologia scientifica, D. Francescato1 sostiene che l’umorismo aiuta a vedere la vita in modo positivo. “Ridere - afferma - è una medicina ideale, non è cattiva da ingoiare … è gratuita, non ha effetti collaterali negativi”.
Fino a prova contraria però l’affermazione che “il riso fa buon sangue” e la sua parafrasi “guarir dal ridere” appaiono solo come illusorie affermazioni della cosiddetta saggezza popolare, non suffragate dalla controprova di una seria verifica scientifica. Un eventuale approccio su base epidemiologica ai rapporti fra ottimismo e salute creerebbe più solide basi anche per ipotizzare possibili valenze etiche del pensiero positivo e per ulteriori riflessioni esistenziali sui rapporti fra ottimismo e felicità, fino a rendere l’ottimismo assimilabile a una “virtù” caratteriale. Non può forse considerarsi l’ottimismo come predisposizione psicologica ad affrontare in chiave di speranza anche le situazioni apparentemente più irrimediabili? E la predisposizione a vedere il baluginare della Speranza nelle pieghe grigie dell’esistenza non può essere considerato come il primo passo per intravedere la grazia della Provvidenza ai lati del nostro cammino?
Il pessimismo esistenziale è una delle premesse alla frenesia e alle delusioni del consumismo. Il pensiero negativo apre le porte all’infelicità. “L’angoscia, la paura di vivere, e non solo quella di morire” hanno costi collettivi incalcolabili … ”i costi generali del male di vivere potranno invece rappresentare una straordinaria fonte per avviare programmi di educazione all’arte di vivere”2.
L’ottimismo è il terreno di coltura mentale ideale per alimentare il καλόϛ και αγαθός connaturato nella cultura greca, gelosamente nascosto anche nelle pieghe più grigie di ogni vivere quotidiano e ti consente di vederlo meravigliosamente fiorire nel tuo giardino.
Ottimismo è saggezza di vita e richiede talora propensione al compromesso. Significa infatti non solo ritenere talora possibile l’impossibile, ma anche avere coscienza che per la felicità può essere in certi casi necessario “rinunciare a determinate aspirazioni, quali l’acquisizione di una conoscenza assoluta di questa o quella cosa perché assolutamente irraggiungibile”3.
Ma, al di là degli aforismi della saggezza popolare e delle intuizioni dei filosofi, credo che la mia presenza qui questa sera, come uomo formato alla cultura scientifica, sia quella di valutare, alla luce rigorosa del metodo scientifico cosa c’è di vero e dimostrabile nelle credenze popolari e nelle riflessioni filosofiche e letterarie sulla possibilità che ottimismo e pensiero positivo costituiscano fattori dimostrabili di salute, particolarmente in campo cardiovascolare.La letteratura psicosomatica è sempre più ricca di dati sui legami eziologici e prognostici negativi fra salute cardiovascolare e specifiche situazioni psicologiche NEGATIVE, come depressione nervosa, ostilità/rabbia, isolamento sociale, stress lavorativi (demotivazione, disoccupazione, frustrazione ecc.), problemi economici e familiari, mancanza di supporto sociale, tipo di personalità predisponente ecc.
È stato ipotizzato che tutte queste situazioni siano componenti di un unico fattore psicosomatico, identificabile come AFFETTIVITÀ NEGATIVA (negative affect).
I soggetti con elevata affettività negativa si caratterizzano per la generale tendenza ad affrontare la vita con senso di insoddisfazione, incertezza comportamentale, disagio sociale, angoscia, disperazione, fino ad elaborare vere e proprie sindromi ansioso-depressive.
Molte di queste caratteristiche costituiscono la base della “personalità di tipo D”, descritta da Denollet e coautori, alla quale hanno attribuito valore di fattore predisponente per malattie ischemiche cardiache4. La personalità di tipo D si caratterizza per la combinazione integrata di:
A - AFFETTIVITÀ NEGATIVA: Tendenza a preoccuparsi, ad assumere una visione pessimistica della vita, ad essere irritabili, ansiosi e infelici, ed in generale a provare meno emozioni positive.
B - INIBIZIONE SOCIALE: Tendenza ad avere poche amicizie, a sentirsi a disagio in presenza di persone estranee, a non condividere le proprie emozioni negative per il timore di essere rifiutati o disapprovati.
Negli ultimi anni l’attenzione della ricerca psicosomatica si è peraltro spostata sulle dimensioni positive del benessere psicologico, individuando specifici costrutti teorici e nuovi parametri di valutazione5-7.
La tendenza è quindi quella di focalizzare l’attenzione sull’esperienza soggettiva del benessere (“BENESSERE SOGGETTIVO PERCEPITO”) nei suoi significati affettivi, di soddisfazione nei confronti della propria vita, di ottimismo, di “salute mentale positiva”8 e come “elevato livello percepito di godimento della vita”9.
La ricerca psicosomatica degli ultimissimi anni sta quindi valorizzando sempre più le EMOZIONI POSITIVE, accumulando dati epidemiologici suggestivi del ruolo protettivo sulla salute cardiovascolare dell’AFFETTIVITÀ POSITIVA (positive affect).
Gli articoli che si sono occupati del positivo rapporto fra ottimismo e salute cardiovascolare sono ormai centinaia. Senza voler esaurire l’analisi di tutti questi studi, passeremo in rassegna i più rappresentativi.
Va premesso che per descrivere i tratti psicologici “positivi” dei pazienti arruolati nelle ricerche, i diversi autori, oltre al termine di “ottimismo”, hanno usato di volta in volta una grande varietà di termini genericamente assimilabili, fra cui: felicità, affettività positiva, entusiasmo vitale, soddisfazione esistenziale, speranza e gioia di vivere.
Per la valutazione quantitativa di questi parametri sono stati utilizzati diversi questionari, interviste strutturate ecc., di pertinenza degli psicologi specializzati.
Ma anche nel corso della semplice attività clinica quotidiana, il cardiologo può empiricamente avere nozioni sul livello dell’affettività positiva e del grado di ottimismo del paziente, ad esempio attraverso misure di osservazione della capacità del soggetto di sorridere durante il colloquio clinico o mediante semplici domande-stimolo sulla propensione ad affrontare con maggiore o minore entusiasmo aspetti della vita quotidiana, traendone sensazioni di piacere10.
Nella accezione più comune possiamo definire l’ottimismo come la disposizione a considerare la vita in una prospettiva positiva, a prevedere e a giudicare positivamente il corso degli eventi e a considerare la realtà nel suo modo migliore.
Alcuni ricercatori hanno differenziato due tipi di benessere psicologico positivo che possono così essere delineati11:
BENESSERE EUDAIMONICO: Correlato ad idee di crescita personale, di impegno esistenziale finalizzato, autosviluppo, consapevolezza della pienezza del senso della vita.
BENESSERE EDONISTICO: Riferibile a sensazioni positive di piacere, di soddisfazione e di felicità.Ricerche preliminari dimostrano che donne adulte con più elevato livello di benessere eudaimonico presentano più bassi livelli di cortisolo salivare, di citochine pro-infiammatorie e di fattori di rischio cardiovascolare e più lunga durata del sonno REM, rispetto a quelle con livelli inferiori di benessere eudaimonico.
Per il benessere edonistico le correlazioni con i biomarker di rischio sono invece minime.
La grande maggioranza delle ricerche citate, epidemiologiche, cliniche e sperimentali, ha dimostrato comunque, numeri alla mano, che affrontare la vita con ottimismo poteva significativamente migliorare la salute cardiovascolare e allungare la vita del cardiopatico.
Per un’esauriente trattazione sui diversi aspetti dei rapporti fra affettività positiva e salute cardiovascolare possono essere consultate le esaurienti rassegne di Sommaruga7, di Dubois e coll.12 e di Tajer13.
Particolarmente utile è una recente revisione della letteratura effettuata nel 201211 che ha preso in esame oltre 200 recenti ricerche sull’argomento. Nel presentare questo lavoro di metanalisi il Bollettino dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) dell’aprile 2012, così ne espone sinteticamente i risultati: “Gli individui più ottimisti hanno il 50% in meno di probabilità di subire un evento cardiovascolare rispetto ai loro coetanei meno ottimisti”. Sentimenti positivi come l’ottimismo, la gioia, la soddisfazione e l’entusiasmo hanno quindi effetti positivi sulla salute cardiovascolare. Il commento dell’AIFA prosegue ipotizzando che l’ottimismo agisce verosimilmente in quanto spinge i soggetti ad impegnarsi in comportamenti più sani come lo sport e una dieta equilibrata.
Simili sono i risultati dello studio di China e Steptoe14 che esaminando i risultati di 45 studi su soggetti sani e cardiopatici, su complessivamente circa 50mila soggetti, osservano mediamente una riduzione della mortalità cardiovascolare fra il 19 e il 28%, nei soggetti ottimisti.
Particolarmente ampio è lo studio del RESEARCH registry15 condotto su 1206 pazienti maschi consecutivi di età media 62 ± 11.1 anni, sottoposti ad angioplastica percutanea. L’end point era la mortalità per tutte le cause a 7 anni. I soggetti erano valutati con l’Hospital Anxiety and Depression Scale (HADS). Veniva valutata l’esistenza di una condizione di “anhedonia” (cioè una riduzione dell’affettività positiva = riduzione dello score al di sotto di una DS rispetto alla media).
L’esistenza di uno stato di anedonia risultava indipendentemente associato ad un aumento di 1.5 volte della mortalità (HR = 1.51 – CI 1.03-2.22; P<0.001). Gli AA concludevano che una stimolazione dell’affettività positiva di questi pazienti era raccomandabile come utile attività preventiva, insieme ad una riduzione dell’affettività negativa.
Ad analoghi risultati perviene lo studio di Barefoot J e coll16 nel quale venivano valutati 2818 pazienti con coronaropatia confermata con coronarografia. Veniva utilizzato l’ECS questionnaire per l’indagine delle modalità con cui il paziente valutava la possibilità di preservare in futuro la qualità di vita e il ritorno al lavoro. La popolazione veniva divisa in quattro quartili di score di ottimismo. Gli AA hanno in tal modo potuto rilevare una decrescita del rischio cardiovascolare del 16 % per ogni gradino della scala (HR = 0.84 ; 95% CI 0.77-0.91).
“Non preoccuparti, cerca di essere felice”, titola lo studio canadese del Nova Scotia10 che ha seguito per 10 anni circa 1700 soggetti sani, rilevando che l’affettività positiva esercita un effetto positivo sulla mortalità coronarica.
Un positivo rapporto fra la “vitalità emozionale” dei soggetti e la salute cardiovascolare è stata rilevato anche in uno studio di Kubzanskj e Thurtston17.
La disposizione all’ottimismo costituisce un buon fattore di protezione cardiovascolare anche in popolazioni di soggetti anziani. Lo dimostra lo Zutphen Elderly Study18 che nei soggetti di età avanzata più ottimisti rileva un significativo aumento della longevità, almeno nei soggetti sotto gli 80 anni. Venivano seguiti con un follow up di 15 anni 545 soggetti sani fra 64-84 anni, dei quali veniva analizzato il “dispositional optimism”, nel suo significato di generalizzata aspettativa positiva verso il futuro mediante un questionario a quattro domande, che consentiva di rilevare un atteggiamento di ottimismo come tratto stabile e che, somministrato quattro volte (ogni 5 anni) consentiva di suddividere la popolazione in tre terzili di score di ottimismo. Il rischio di morte cardiovascolare risultava inversamente associato all’aumento dello score di ottimismo. Il confronto fra low e high optimism consentiva infatti di rilevare un 55% di mortalità coronarica in meno nei soggetti più ottimisti, con P inferiore a 0.001.
Ad analoghi risultati perviene lo studio di Krijthe BP e coll.19 che hanno seguito per sette anni 4411 soggetti di età superore a 61 anni.
L’ottimismo si conferma buon fattore di protezione anche nelle donne. È quanto risulta da uno studio di Tindle HA e coll. apparso sull’autorevole Circulation20, condotto su 97mila donne sane, seguite nel tempo, nelle quali si è osservato un 30% di riduzione della mortalità coronarica nelle donne che affrontavano la vita con maggior ottimismo.
Nello stesso senso vanno i risultati del Woman’s Health Study, pubblicato nel 2012 sul J Am Heart Assoc da Whang W e coll.21 che, valutando con il Mental Health Index circa 30mila donne sane di mezza età, hanno rilevato che una condizione di felicità (happiness) riduce del 30% il rischio di comparsa di nuovi casi di fibrillazione atriale, tanto da far titolare suggestivamente l’editoriale della rivista: “Sii felice: è meglio del Coumadin!”22
I correlati biologici dell’ottimismo
Numerosi sono i lavori clinici e sperimentali che hanno studiato i possibili meccanismi psicobiologici che possono essere coinvolti in questi effetti protettivi. In particolare numerosi studi indagano sui rapporti dell’ottimismo con l’apparato neuroendocrino.
Alcune ricerche suggeriscono che possano esistere reti neurali e neuromediatori diversi nel regolare le emozioni positive e negative. La Dopamina sarebbe ad esempio correlata all’affettività positiva; la Serotonina all’affettività negativa23,24.
Numerosi lavori dimostrano che gli ottimisti hanno livelli più bassi di cortisolo plasmatico e di catecolamine circolanti. Ricordiamo fra questi i lavori di Lai JL25 e di Dockray S e Steptoe A26 i quali dimostrano cheilivelli basali e dopo stimolazione del cortisolo plasmatico sono inferiori in soggetti con più elevato livello di affettività positiva.Possono derivarne effetti positivi sulla funzione cardiovascolare, in particolare sulla pressione arteriosa e sulla frequenza cardiaca.
I soggetti ottimisti presentano in effetti mediamente livelli inferiori alla media di pressione e di frequenza cardiaca, condizioni che sappiamo favorire una buona salute cardiovascolare.
Altri studi hanno rilevato che gli ottimisti sono caratterizzati da un migliore equilibrio neurovegetativo, con riduzione dell’attività simpatica ed aumento del tono vagale. Si è visto ad esempio che l’affettività positiva, ma non la negativa, predice una maggiore modulazione parasimpatica della frequenza cardiaca27.
La variabilità della frequenza cardiaca (HRV), indice di un buon controllo autonomico cardiaco, è risultata essere fortemente associata ad affettività positiva nel corso della giornata di uno studio di campionamento ambulatoriale28.
Un ulteriore contributo nello studio delle relazioni fra i correlati psicobiologici dell’ottimismo e una migliore salute cardiovascolare è venuto da alcuni studi, come quello di Hoogwegt MT e coll29, che ipotizzano che la minore mortalità cardiovascolare degli ottimisti possa essere in relazione alla propensione ad una maggiore attività fisica, che sappiamo costituire un fattore protettivo nei confronti delle malattie ischemiche del cuore. Sono stati seguiti 607 soggetti con cardiopatia ischemica sottoposti alla Global Mood Scale per la valutazione del’affettività positiva, associata ad un Questionario sull’attività fisica praticata.
L’end point era un parametro combinato di mortalità e ospedalizzazione. I pazienti con elevata affettività positiva, che mostravano una riduzione della mortalità per tutte le cause (HR = 0.58) erano quelli che praticavano maggior quantità di attività fisica. In questi la mortalità era inferiore nei soggetti che praticavano attività fisica (HR 0.50, P=0.004).
Le conclusioni degli AA erano che soggetti con affettività positiva sono più propensi a praticare attività fisica e che fosse proprio l’attività fisica a mediare l’effetto protettivo dell’affettività positiva sulla riduzione della mortalità.
I medici e l’educazione all’ottimismo
Sulla base dei risultati di tutte queste ricerche, è legittimo sentirsi soddisfatti sulla reale consistenza clinica delle raccomandazioni empirichedella saggezza popolare che affermavano che “Il riso fa buon sangue” e che “Cuor contento il ciel lo aiuta”.
Gli insegnamenti appresi da questa rassegna hanno importanti ricadute sulla conoscenza dei fattori della prevenzione cardiovascolare e contribuiscono ulteriormente a motivare l’impegno di noi cardiologi nell’accertamento e nelle cure delle basi psicosomatiche delle cardiopatie.
Un modo pessimistico di impostare la propria esistenza deve essere considerato come fattore di rischio cardiovascolare al pari dell’ipercolesterolemia, dell’ipertensione arteriosa, dell’abitudine al fumo, della sedentarietà fisica e dell’obesità e deve quindi essere combattuto con idonee strategie psicoterapeutiche.
“Prescrivi felicità !” Un lavoro del 2005 di Hershberger PJ30 consiglia al medico di famiglia di tenere sempre presente questa raccomandazione e di spingere i propri pazienti alla pratica dei principi della psicologia positiva, che si propone una maggiore conoscenza degli effetti sulla salute della felicità e dell’ottimismo e di additare la strada per seguirne gli insegnamenti.
L’insegnamento dell’ottimismo rientra quindi nelle strategie di educazione sanitaria, e può essere considerato come nuovo strumento nel bagaglio terapeutico di un medico sensibile alla prevenzione.
La ricerca psicosomatica ha finora focalizzato la sua attenzione soprattutto sulle negative influenze sulla salute cardiovascolare delle sindromi psicologiche “negative”, come la depressione, ponendo minore attenzione su potenziali fattori “positivi”, come l’ottimismo e il senso di benessere.
Lo studio di questi fattori di “protezione” sulla salute cardiovascolare consente di prospettare specifiche strategie di prevenzione basate su interventi finalizzati al loro potenziamento nei soggetti sani e nei cardiopatici.
Numerose sono le strategie psicoterapeutiche specialistiche proposte dagli psicologi per migliorare gli atteggiamenti positivi nell’affrontare l’esistenza. Ricordo fra queste le terapie cognitivo-comportamentali, la well-being therapy (Terapia del benessere), la psicologia positiva e le terapie di attivazione comportamentale.
Alcuni sintetici cenni su queste terapie, pur se di stretta pertinenza di psicologi specializzati, possono essere utili come generico orientamento anche per i cardiologi clinici.
Terapie cognitivo-comportamentali
Sulla base delle complesse relazioni tra emozioni, pensieri e comportamento queste terapie tendono ad aiutare il paziente a sviluppare abilità di coping (la capacità di fronteggiare determinate situazioni) attraverso una serie di tecniche che sviluppano l’abilità di parlare a se stessi in modo positivo (dialogo interno positivo) e di facilitare così la ristrutturazione cognitiva (Riabilitazione cardiovascolare).
Psicologia positiva
Valorizza le risorse psicologiche del paziente, enfatizzando il comportamento positivo, mettendolo a servizio di se stessi e degli altri ed incentivando le capacità di trasformare gli ostacoli in opportunità.Si privilegiano interventi finalizzati alla mobilizzazione delle abilità e delle risorse della persona, anziché alla riduzione o compensazione delle sue limitazioni31.
Well-being therapy (Terapia del benessere)
Si svolge secondo sei dimensioni32,33:
- Autoaccettazione- Relazioni positive con gli altri- Autonomia- Padronanza dell’ambiente- Scopo della vita- Crescita personaleInterventi di “attivazione comportamentale”
Si insegna al paziente a monitorare l’umore e le attività quotidiane, ad aumentare il numero delle attività piacevoli, e le interazioni positive con l’ambiente; a prendersi i propri spazi di benessere e di rilassamento, non solo in vacanza, ma durante la vita quotidiana34.
Da Rozansky e Kubzansky35 viene in particolare delineato un paradigma di benessere psicologico che considera tre fattori interdipendenti che possono favorire un sano funzionamento psicologico e, insieme all’ottimismo, esercitare un effetto protettivo nei confronti delle malattie coronariche: la VITALITÀ, come stato emotivo positivo e rigenerante associato ad entusiasmo ed energia, la FLESSIBILITÀ EMOTIVA (capacità di regolare in maniera efficace le proprie emozioni) e la FLESSIBILITÀ DI COPING (capacità di far fronte con efficacia alle sfide delle esperienze quotidiane). La realizzazione di questi obiettivi costituisce altrettanti fini di ogni strategia terapeutica.
Efficacia degli interventi di intervento psicoterapeutico
Le strategie psicoterapeutiche in precedenza brevemente accennate sono generalmente di pertinenza di psicologi specialisti. Ma ogni cardiologo, ormai consapevole dell’importanza prognostica dell’ottimismo, potrà nella sua pratica quotidiana impostare con i propri pazienti un semplice colloquio umano e psicologico, allo scopo di individuare eventuali radici psicosomatiche o comportamentali alla base della patologia cardiovascolare da cui questo è affetto.
Anche senza essere psicologi specialisti, nel corso della sua attività clinica quotidiana, il cardiologo potrà empiricamente farsi un’idea sul livello dell’affettività più o meno positiva del malato e sul grado di ottimismo con cui affronta la vita, attraverso l’osservazione della sua mimica ed in particolare della capacità del soggetto di sorridere durante il colloquio clinico o mediante semplici domande-stimolo sulla propensione ad affrontare gli aspetti della vita quotidiana traendone o meno sensazioni di piacere.
Per quanto riguarda l’efficacia degli interventi psicoterapeutici volti ad incentivare la capacità dei pazienti ad affrontare in modo ottimistico le difficoltà dell’esistenza, al fine di ottenere una migliore salute cardiovascolare, confortano alcuni studi di metanalisi sull’efficacia preventiva di queste strategie psicoterapeutiche.
Comportamenti come esprimere regolarmente la propria gratitudine, compiere atti di gentilezza, decidere in base ad una visione ottimistica, visualizzare il meglio di sé, assaporare momenti di gioia, imparare ad apprezzare i momenti positivi della vita, praticare la meditazione, la terapia del perdono e l’autoriflessione, sono risultate, attraverso una vasta metanalisi, strategie realmente utili ad accrescere il benessere soggettivo e a migliorare di conseguenza la salute cardiovascolare36.
Sono queste le fondamentali strategie di intervento psicoterapeutico da perseguire allo scopo di indurre il proprio paziente ad affrontare la vita con maggior ottimismo.
CONCLUSIONI
La ricerca psicosomatica ha finora focalizzato la sua attenzione soprattutto sulle negative influenze sulla salute cardiovascolare delle sindromi psicologiche “negative”, come la depressione, ponendo minore attenzione su potenziali fattori “positivi”, come l’ottimismo e il senso di benessere.
Lo studio di questi fattori di “protezione” sulla salute cardiovascolare consente di prospettare specifiche strategie di prevenzione basate su interventi finalizzati al potenziamento del pensiero positivo nei soggetti sani e nei cardiopatici.
Sulla base dell’insieme di questi suggerimenti, della propria esperienza, dello spirito di osservazione clinica e delle capacità di empatia, potrà essere impegno anche del cardiologo proporre al paziente alcune semplici strategie comportamentali per aiutarlo a capire che mezzo bicchiere d’acqua potrà vantaggiosamente essere definito “mezzo pieno” piuttosto che “mezzo vuoto”.
È quindi un invito all’ottimismo, come salutare operazione di ecologia della mente, nella prospettiva di proteggere il cuore e farlo vivere meglio. Ma nel contempo è anche un impegno esistenziale, nel rispetto della sacralità della vita, alla diffusione di uno stile di vita che costituisce una predisposizione mentalmente utile per poter sfruttare al meglio i “talenti” che la sorte ci ha concesso.
Così inteso, l’ottimismo si carica di inedite dimensioni esistenziali ed etiche che trascendono le buone norme dell’educazione sanitaria.
BIBLIOGRAFIA