Anno Accademico 2017-2018
Vol. 62, n° 3, Luglio - Settembre 2018
ECM: Cuore e Polmone 2018
27 marzo 2018
ECM: Cuore e Polmone 2018
27 marzo 2018
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La BPCO, pur essendo una malattia polmonare, non è una patologia limitata all’apparato respiratorio, ma si diffonde a livello sistemico. Infatti la causa prima di BPCO, il fumo, insieme ad altre patologie, cardiovascolari, metaboliche renali ed a fattori di rischio quali l’iperlipidemia, l’obesità, l’ipertensione e la sedentarietà può contribuire allo sviluppo di malattie croniche1. Nei pazienti BPCO i decessi sono prevalentemente causati da comorbilità cardiovascolari più che da complicanze della BPCO stessa. Inoltre la ridotta funzionalità respiratoria aumenta il rischio di complicazioni e mortalità per aritmie, eventi coronarici e cardiovascolari, infarto cerebrale, embolia polmonare in quanto le limitazioni del flusso aereo peggiorano la prognosi e, comunque, la qualità di vita2. Inoltre va ricordato che l’aumentato rischio di sviluppare patologie cardiovascolari, tra cui, soprattutto, lo Scompenso Cardiaco (SC) è da ascriversi al cronico stato infiammatorio locoregionale e sistemico. Si prevede che questa affezione cronica sia destinata in futuro ad un inesorabile incremento, dovuto soprattutto alla sempre più elevata aspettativa di vita ed al miglioramento dei mezzi sia diagnostici che terapeutici.
Nello SC si riscontra che la prevalenza della BPCO varia dal 10 al 40%, una comorbilità dipendente soprattutto dall’età avanzata caratteristica di entrambe le patologie e dalla ricca rappresentazione dei comuni fattori di rischio con conseguente maggiore gravità del quadro clinico che rende necessaria una strategia terapeutica basata su due classi farmacologiche, β-bloccanti e β-agonisti, diametralmente opposte e con un impatto negativo l’una sull'altra3.
La gestione delle due patologie associate impone un atteggiamento clinico rigoroso, specie nella fase diagnostica della BPCO, evitando attribuzioni diagnostiche improprie e approssimazioni valutative, non basate sulla documentazione strumentale della funzionalità respiratoria, indispensabile nel quantificare l’entità della broncopneumopatia.
In considerazione di quanto sopra, le comorbilità croniche della BPCO devono essere accuratamente ricercate e valutate per un appropriato inquadramento diagnostico e di gravità. Inoltre, tenuto conto che le terapie abitualmente indicate e praticate nella BPCO hanno efficacia limitata, sono puramente sintomatiche e non modificano la storia naturale della malattia, il paziente con BPCO va trattato non solo per la parte respiratoria, ma anche per le comorbilità in particolare cardiovascolari, in quanto vi sono evidenze che un’impostazione terapeutica a tutto campo sia in grado di modificare sia la morbilità sia la mortalità di tali pazienti.
A tal fine, come ampiamente suggerito dalla letteratura pneumologica, si raccomanda l’esecuzione di una spirometria che rappresenta il test strumentale di riferimento per la diagnosi, la stadiazione della BPCO e per la valutazione dello stato di reversibilità dell’ostruzione delle vie aeree, prima di iniziare la terapia con β-bloccanti4.
Assodato che non tutto ciò che di respiratorio esiste nel paziente con scompenso è compromissione del cuore destro, così come non tutta la dispnea manifestata da un paziente enfisematoso è legata forzatamente ed esclusivamente alla patologia primitiva polmonare, dobbiamo sempre tenere presente le interazioni tra le due morbosità per non rischiare di ritardare o addirittura ignorare la comorbilità, che può portare alla rinuncia, sovente ingiustificata, dell’uso di farmaci β-bloccanti, notoriamente cruciali nel trattamento dello SC.
Una recente metanalisi Cochrane ha concluso che l'utilizzo di β-bloccanti cardioselettivi risulta sicuro e ben tollerato nei soggetti affetti da BPCO e, come aspetto ancor più rilevante, la loro assunzione non risultava interferire con la stimolazione della muscolatura bronchiale da parte dei farmaci β2-agonisti routinariamente utilizzati per via inalatoria. In termini di prognosi e mortalità, in uno studio retrospettivo e di coorte (database del servizio sanitario scozzese TARDIS, Tayside Respiratory Disease Information System)5 sono stati valutati 5.977 pazienti di età superiore ai 50 anni, seguiti mediante un follow-up medio di 4.35 anni. I β-bloccanti utilizzati erano nell’88% dei casi cardioselettivi. Tra coloro che assumevano β-bloccanti si è osservata una riduzione del 22% della mortalità per tutte le cause, indipendentemente dalla gravità della BPCO, con benefici evidenti anche nel gruppo di pazienti in trattamento con β2-agonisti e/o corticosteroidi inalatori.
Lo studio CCP (Cooperative Cardiovascular Project) ha documentato come la prescrizione di un β-bloccante (nel 91% dei casi riferito dagli autori come β1-selettivo) fosse in grado di ridurre significativamente la mortalità ad un anno ed il tasso di re-ospedalizzazione per problematiche broncopolmonari, rispetto ai pazienti non trattati con β-bloccanti (10% contro il 18.5 %, p<0.01).
Si segnala che in questo CCP, l'utilizzo dei β-B non è risultato associato ad una riduzione della mortalità nei pazienti che assumevano simultaneamente β-A per via inalatoria. Per converso, in alcuni piccoli studi clinici è stata valutata l’interazione tra β-B e β-A con risultati inaspettatamente lusinghieri in termini di tollerabilità e prognosi.
In conclusione, non trova giustificazione, in presenza di SC + BPCO, la reticenza nella prescrizione dei β-bloccanti, almeno per quanto concerne i farmaci β1-selettivi e rimane assodato che il trattamento con β-bloccanti è un caposaldo nella terapia del paziente cardiopatico e simultaneamente broncopneumopatico, sia nei pazienti con un'ostruzione moderata e irreversibile delle vie aeree ma anche per i soggetti che presentano una malattia più severa dove il β-blocco viene sostanzialmente ben tollerato.
È sempre opportuno iniziare la terapia con basse dosi e incrementare gradualmente il dosaggio di β-bloccanti cardioselettivi, osservando attentamente l'eziologia della dispnea nell’intento di valutare la reale ostruzione delle vie aeree prima di prescrivere β-agonisti ai pazienti con SC.
I β-bloccanti β1-selettivi non attenuano l’effetto di broncodilatazione indotto dai farmaci β2-agonisti. L’evidenza cumulativa, ricavata da trial clinici e da metanalisi, suggerisce che i β-bloccanti β1-selettivi non dovrebbero essere sospesi o non prescritti in caso di coesistenza di BPCO e malattie cardiovascolari, per il fatto che i benefici da essi indotti nei pazienti cardiopatici con associata BPCO sono di gran lunga superiori ai rischi6.
I sintomi respiratori e il FEV1 non sono peggiorati in modo significativo dai β-bloccanti β1-selettivi in corso di BPCO. Un farmaco β-bloccante β1-selettivo come il metoprololo tartrato o succinato è risultato ben tollerato per un periodo di 3 mesi in 50 pazienti affetti da cardiopatia ischemica e concomitante BPCO di grado lieve o severo. In questa casistica, sia pure limitata per numero, i pazienti rimanevano privi di sintomi respiratori rilevanti e il FEV1 restava invariato.
La terapia β-B rimane un cardine per il trattamento nei pazienti con SC; va comunque considerato che l’insufficienza cardiaca è una sindrome caratterizzata dall’attivazione di diversi sistemi neuro-ormonali come il RAAS, il SNS (Sistema Nervoso Simpatico) e il sistema dei PN. Sino ad oggi l’approccio terapeutico si è basato su interventi farmacologici in grado di indurre una demodulazione di sistemi con significato prognostico negativo, in particolare il RAAS con farmaci ACE-i, con antagonisti del recettore AT1 dell’angiotensina II (ARB o Sartani) e con antagonisti del recettore dei mineralcorticoidi e i SNS con farmaci β-bloccanti.
Oggi si è giunti allo sviluppo di una nuova classe di farmaci, gli ARNI (inibitori del recettore dell’angiotensina II ) che inibiscono contemporaneamente la NEP (neprilisina) ed il recettore dell’angotensina II. L’associazione Sacubutril/Valsartan7 è la capostipite di questa nuova classe farmacologica che coniuga i vantaggi del potenziamento del sistema PN (Peptidi Natriuretici)8 e delle chinine con l’inibizione del sistema RAAS (Sistema Renina Angiotensina Aldosterone) ottenendo un intervento farmacologico orientato a riequilibrare in maniera completa la sindrome neuro-ormonale.
Il sistema PN è costituito da 3 peptidi simili con proprietà protettive cardio-renali:
Questo sistema contrasta gli effetti cardiovascolari e renali legati all’attivazione RAAS mediando la maggior parte degli effetti biologici cardiaci e renali, favorisce la vasodilatazione, l’aumento della diuresi e natriuresi, l’inibizione della secrezione di renina, la riduzione del tono simpatico.
Effetti a livello organico dei PN:
I PN sono in grado di indurre una significativa riduzione delle resistenze vascolari sistemiche e della pressione arteriosa polmonare9.
La necessità di abbinare una demodulazione del RAAS all’inibizione della NEP è stata soddisfatta da una nuova classe farmacologica ARNI che sfrutta i vantaggi del potenziamento del sistema di PN attraverso l’inibizione della NEP e del blocco selettivo del recettore AT1 dell’Angiotensina II da parte degli AREB che comporta:
Si registra infine un mancato aumento della concentrazione e accumulo di bradichinina poiché non vi è blocco dell’enzima ACE, ciò si traduce in un rischio minore di angioedema rispetto all’ACE-i. Sacubitril/Valsartan consentendo una simultanea inibizione di NEP e RAAS .
Quindi questa nuova classe di farmaci, gli ARNI, ottiene due effetti farmacologici fondamentali: incremento degli effetti positivi del sistema dei PN e blocco degli effetti negativi dell’attivazione del RAAS11-13.
BIBLIOGRAFIA