Anno Accademico 2018-2019
Vol. 63, n° 2, Aprile - Giugno 2019
ECM: Il mondo sorretto da Atlante. L’importanza delle discipline non chirurgiche nel trapianto di fegato
22 gennaio 2019
U.O.C. Chirurgia dei Trapianti, P.O.I.T., A.O. San Camillo-Forlanini, Roma
ECM: Il mondo sorretto da Atlante. L’importanza delle discipline non chirurgiche nel trapianto di fegato
22 gennaio 2019
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In questo mio breve intervento sulla storia del trapianto non mi addentrerò nelle questioni squisitamente tecniche o, per dirla meglio, nella storia dell’evoluzione delle tecniche chirurgiche, dai primordi della Medicina dei trapianti ai nostri giorni. Quello che cercherò di raccontarvi è più che altro una storia delle idee, delle conoscenze e dei contesti che hanno permesso a medici e ricercatori di giungere a concepire e attuare un trapianto d’organo nel senso moderno del termine.
L’idea nasce dalla lettura di due interessanti libri sulla storia del trapianto che mi hanno fornito diversi argomenti di riflessione. Da un lato, sappiamo che l’uomo ha, in un certo senso, avuto sempre a che fare con una sorta di “trapianto” o, definendolo meglio, di re-innesto di parti del corpo andate perdute. Tali procedure sono state abbondantemente raccontate in varie storie, leggende e miti1, e tutte avevano un rapporto con il soprannaturale, avendo come protagonisti divinità, santi, angeli e demoni, il tutto immerso in un’atmosfera intrisa di magia. Dall’altro mi affascinava l’idea che il trapianto, inteso in senso moderno, fosse considerato una vera e propria invenzione e non, come spesso affermato, una scoperta della Medicina. Questo tema, con i risvolti sociali e culturali, è stato trattato in particolare da Thomas Schlich nel suo libro "The origins of organ transplantation: surgery and laboratory science, 1880-1930"2. Dividerò quindi la mia esposizione in due parti: nella prima, esaminerò i racconti, le leggende e i miti che hanno accompagnato la storia del trapianto dall’antichità alla fine del XIX secolo. Nella seconda parte, seguendo il sentiero tracciato da Schlich, tratterò lo sviluppo della Medicina del trapianto dal 1830 fino agli anni ’30 del XX secolo, tralasciando, per ovvi motivi di tempo, i progressi fatti in questa disciplina dal momento della sua ripresa, nel 1945, fino ai nostri giorni.
Parte I
Il desiderio di riparare parti del corpo umano mutilate a causa di guerre, malattie, torture, duelli, ha da sempre accompagnato l’uomo, inizialmente con l’aiuto di guaritori e del soprannaturale. L’integrità del corpo dopo la morte, in diverse culture, era un requisito essenziale affinché potesse risorgere e numerosi sono i racconti che narrano il reinserimento di parti del corpo andate perdute come occhi, orecchie, testa, arti. Tali interventi avvenivano quasi sempre con l’aiuto della magia. Il plot di questi racconti è quasi sempre lo stesso: la perdita di una parte del corpo, la richiesta di aiuto a un prete o a uno sciamano, il suo intervento di reinserimento. Nella Cina dei Tre Regni si narra di un trapianto di cuore eseguito dal Dottor Pien Ch’ao, mentre nella mitologia greca abbiamo racconti nei quali compaiono esseri costituiti dalla fusione di organi fra specie differenti, con la formazione di ibridi. Fra questi ricordiamo i centauri, il cavallo alato Pegaso, il minotauro, la sfinge, la chimera, le arpie e, proprio un centauro, Chirone, è considerato il padre della Medicina. Un altro ibrido, presente però nella mitologia indiana, è quello che raffigura il dio Hindu Ganesha, figlio di Shiva e Parvati, metà uomo, metà elefante.
Anche il cristianesimo non è esente da episodi di reinserimento di parti del corpo perdute. Paradigmatico è l’episodio in cui Gesù rimette al suo posto l’orecchio di un soldato che Pietro aveva reciso con la spada e non pochi sono i miracoli compiuti dai Santi, o direttamente, o per mezzo delle loro reliquie. Fra questi il più conosciuto è sicuramente il miracolo di Cosma e Damiano3, due cristiani che furono martirizzati in Siria durante le persecuzioni di Diocleziano. Questo tipo di miracolo, che rappresenta il primo trapianto di gamba, avvenne attraverso la cosiddetta incubazione, ed è interessante qui sottolineare come anche la Medicina greca usava, per la guarigione dei malati, tecniche cosiddette a incubazione. Era dunque consuetudine, per coloro che cercavano la guarigione, dormire in un luogo sacro ove si riteneva che avvenisse, nel caso dei cristiani, l’intervento del santo. Così, Cosma e Damiano, durante la notte, apparvero in sogno al diacono Giustiniano, e sostituirono la sua gamba – colpita da una forma estesa di cancro – con quella di un gladiatore Etiope morto il giorno prima. Per la loro impresa Cosma e Damiano sono considerati i santi patroni dei chirurghi4. Il miracolo è stato rappresentato iconograficamente da diversi pittori come, fra gli altri, Beato Angelico nella sua "Guarigione del diacono Giustiniano" (1443). Nel Medio Evo, assistiamo a un declino del magico e, con l’umanesimo, le storie di sostituzione di parti del corpo diminuirono. Francois Rabelais (1483-1553) nella descrizione satirica del reinserimento della testa tagliata di Epistemone ad opera di Panurge5, sottolinea almeno tre aspetti piuttosto vicini, dal punto di vista concettuale, alla Medicina moderna: l’uso del vino bianco come antisettico; la tecnica di accostamento dei vasi e nervi di tipo "termino-terminale" e l’utilizzo immediato delle parti staccate affinché fossero ancora calde.
La credenza nelle cure magiche, tuttavia, non cessò del tutto, anzi, a controbilanciare questo declino, nel modo di pensare dell’uomo rinascimentale crebbe la presenza del diavolo e della magia nera. Chi cercava di reinserire o sostituire parti del corpo malate o mutilate poteva essere accusato di stregoneria rischiando una condanna al rogo. La prima descrizione di un reimpianto di orecchio attraverso l’uso di tecniche del tutto simili a quelle della moderna chirurgia plastica fu descritto nel testo Sanscrito Hindu di Susruta Samhita nel 600 a.C.6.
L’invenzione della stampa determinò un incremento della diffusione dei libri e con essi delle idee e delle conoscenze scientifiche, in questo modo il metodo "indiano" giunse, attraverso le vie commerciali, in Sicilia e da qui nel Nord Italia. Gaspare Tagliacozzi (1545-1599), allievo di Girolamo Cardano e Ulisse Aldrovandi, applicò tecniche di chirurgia plastica e ricostruttiva ispirandosi ai testi circolati per la prima volta in Sicilia, che poi descrisse nel suo testo "De Curtorum Chirurgia per insitionem", in cui introdusse anche alcune tecniche di comune utilizzo nell’ortocoltura, come si evince dall’uso del termine "Insitionem", tipicamente impiegato per descrivere gli innesti delle piante. Tagliacozzi effettuò con successo numerose ricostruzioni nasali, specializzandosi in questo tipo di interventi a tal punto che, alcuni suoi collaboratori ipotizzarono che volesse attuare un vero e proprio trapianto di naso utilizzando donatori viventi. Nel suo libro, però, Tagliacozzi non fece mai riferimento all’uso di donatori umani e, in un capitolo, sembra addirittura escluderne l’idea a causa di una individuale incompatibilità"… a singularem illum individui characterem", una sorta di forza e potere dell’individualità. La possibilità di sostituire il naso amputato con una protesi decretò la fine di questo tipo di interventi e le tecniche di Tagliacozzi furono abbandonate per molti anni per poi essere riprese nel 1800. Nel XVII secolo fiorirono nuovi studi di Medicina, aumentarono gli esperimenti e fu incentivato lo studio dei testi antichi. Dagli insegnamenti di Francesco Bacone, divulgati attraverso la pubblicazione del "Novum Organum", emerse un nuovo metodo per l’avanzamento delle conoscenze che sostituì lo scolasticismo degli umanisti. Per Bacone, infatti, i dati dovevano essere cercati, raccolti e poi osservati attraverso un metodo induttivo. Contemporaneamente allo sviluppo di nuovi metodi di conoscenza, diverse storie circolarono sul lavoro di Gaspare Tagliacozzi, fra le quali, cominciò a circolare la voce che egli aveva effettivamente usato il naso di uno schiavo per trapiantarlo ad un nobile e, che dopo un primo successo, morirono sia lo schiavo che il suo naso impiantato sulla faccia del nobile signore. Tale evento innescò un ampio dibattito tra gli studiosi e si iniziò a raccogliere dati e informazioni che potessero spiegare l’accaduto. In quegli anni nessuno ormai credeva più in un intervento divino come causa o cura delle malattie, venivano indagati nuovi campi e forze nascoste, come ad esempio il magnetismo e la gravità. Non era quindi irragionevole pensare che il naso fosse caduto per una forza invisibile che agiva a distanza. A tal proposito, Jean Baptiste van Helmont (1579-1644), un controverso medico neoparacelsiano, parlò di certe forze nascoste correlate al magnetismo e Sir Kenelm Digby (1603-1665) sosteneva che le malattie potevano essere curate trasferendo il danno lontano dal sofferente, e in particolare all’arma che aveva procurato la lesione attraverso un unguento o polvere di simpatia. Verso la fine del XVII inizi del XVIII secolo il "mood" finalmente cambiò, l’atteggiamento nei confronti di tutte queste teorie divenne scettico ed emerse il nuovo spirito Baconiano dell’osservazione e della sperimentazione e, proprio l’emergere di questo nuovo modo di intendere la ricerca e lo studio della natura, portò una prestigiosa accademia delle scienze, la Royal Society, ad adottare il motto "Nullius in verba".
Parte II
Nonostante i progressi, sia teorici, sia pratici, ottenuti da medici e scienziati nella cura delle malattie, la Medicina del trapianto non si sviluppò prima della fine del XIX secolo e proseguì, con alterne vicende, fino al 1930 quando fu definitivamente abbandonata per poi riprendere nel 1945. Non sorprende quindi che prima del 1880 nessuno avesse mai pensato di trattare le malattie degli organi interni con una terapia che prevedeva la sostituzione dell’organo non funzionante. Pertanto, come affermato da Thomas Schlich, il trapianto fu un’invenzione. Per Kant, "… inventare qualcosa è del tutto diverso dallo scoprire. La cosa che si scopre si ammette come già preesistente, solo che non era ancora conosciuta, … quella invece che si inventa, come la polvere da sparo, non esisteva affatto prima di colui che la inventò"7. Contrariamente a quanto si crede, secondo Schlich, il trapianto non è mai stato un antico sogno dell’umanità; quando si sviluppò, verso la fine del XIX secolo, il concetto di trapianto d’organo era del tutto nuovo e, come tutte le invenzioni, "il trapianto d’organo era il risultato di una particolare attività umana dipendente da particolari condizioni tecnologiche, sociali e culturali, in un particolare periodo di tempo". Il trapianto d’organo diventò l’esempio paradigmatico di un tipo di Medicina altamente specializzata, scientifica, di alta tecnologia che il racconto popolare definì come la Medicina del futuro.
Ma allora cosa è accaduto nel tardo XIX secolo? Quali erano le condizioni che formavano le basi per sua la comparsa verso il 1880 e che contenevano però anche i germi per il suo abbandono nel 1930? Sempre secondo Schlich "la storia dello sviluppo della Medicina del trapianto può essere divisa in due categorie: la prima è lo sviluppo e la diffusione del concetto di sostituzione d’organo; la seconda è l’applicazione pratica del concetto". Concettualmente la sostituzione d’organo fu un successo, mentre, nella sua applicazione pratica fu un fallimento e nel 1930 fu abbandonato. Verrebbe a questo punto da chiedersi perché il trapianto d’organo non iniziò a svilupparsi prima del 1880? Schlich ipotizza che il principale ostacolo fu soprattutto di tipo culturale, infatti questo tipo di terapia contraddiceva completamente quello che era il concetto di causa di malattia e quindi del suo trattamento, la cultura medica non aveva le conoscenze adatte a poter pensare un tale tipo di operazione, ma soprattutto mancava l’idea, il substrato culturale, c’era bisogno di un mutamento di paradigma, di una vera rivoluzione nel pensiero medico del tempo. Vari tipi di innesti erano usati per ricostruzioni plastiche di tratti dell’apparato gastrointestinale e urogenitale, ma il razionale teorico di queste procedure non era sostituire una specifica funzione d’organo, bensì ricostruire parti del corpo e vie di passaggio per ripristinare la loro funzione meccanica. In ogni caso, la tecnica chirurgica progrediva velocemente, nel 1900 Erwin Payr introdusse l’uso di piccoli tubi di magnesio come connettori per le anastomosi vascolari e Alexis Carrel fu il primo a eseguire il trapianto di arteria nel 1903 e di vena nel 1906 utilizzando una nuova tecnica di sutura per i vasi8.
Facciamo ora un passo indietro. Nel 1746 il naturalista Henri-Louis Duhamel de Monceau, allo scopo di studiare i processi biologici dei tessuti, pensò di poter applicare agli animali il processo di legare assieme parti tagliate di piante, e in questo modo trapiantò gli speroni dalle zampe di un giovane gallo sulla sua cresta notando che la loro crescita avveniva ugualmente. La questione della trapiantabilità sorse però, molti anni dopo, nel contesto della fisiologia sperimentale, quando i fisiologi si impegnarono a determinare le leggi che governano i processi biologici. Paul Bert, allievo di Claude Bernard, scoprì che i tessuti viventi possedevano un certo grado di autonomia che li abilitava a continuare la crescita in una sede diversa da quella originale. Posseggono cioè quello che Bernard chiamò "milieu interieur". Il successo del trapianto di tessuti dimostrava anche la validità della teoria della patologia cellulare di Rudolph Virchow: "il trapianto di parti viventi da un luogo ad un altro, da un individuo a un altro, è la prova della relativa autonomia delle cellule come portatrici di vita". Questi esperimenti furono certamente utili a dimostrare la fattibilità del trapianto, tuttavia, la sostituzione chirurgica di un organo era basata su un concetto differente, che seguiva una logica sua propria, che cominciò a svilupparsi nel contesto della ricerca sulla ghiandola tiroide. La tiroide diventò l’organo paradigmatico dell’iniziale Medicina dei trapianti e fornì il modello per tutti gli altri trapianti, incluso il rene.
Ma cosa accadde di così importante da determinare un mutamento di paradigma tale da aprire la strada allo sviluppo dell’idea che porterà al trapianto d’organo? La ricerca dei fattori causali delle malattie avveniva, applicando il metodo dei naturalisti, dei botanici, degli zoologi e degli esploratori, attraverso l’individuazione e la collezione di una serie infinita di dati. Tale metodo era basato prevalentemente sull’osservazione. Rösch e Maffei tentarono di spiegare le cause dell’insufficienza tiroidea, conosciuta come cretinismo e mixedema, attraverso questo tipo di approccio e giunsero a considerare il cretinismo come un’entità di malattia; un concetto che permetteva una razionale connessione tra l’eziologia della malattia, il suo corso, il suo meccanismo patofisiologico, i sintomi osservati e la terapia da usare. Anche se il loro metodo includeva l’autopsia, essi non davano particolare importanza all’anatomia patologica e alla fisiologia. Secondo Maffei, sia le alterazioni anatomiche prodotte dalla malattia, sia la presenza di uno squilibrio di fluidi, non dovevano essere viste come fattori causali, questi dovevano essere cercati al di fuori dalla persona affetta da cretinismo e identificarono come decisivo per l’insorgenza della malattia il luogo dove queste persone vivevano.
Appare chiaro allora che, affinché potesse essere inventato il trapianto d’organo, occorreva trasformare l’idea sulla causa delle malattie. Nel corso di questa trasformazione, medici e scienziati, cominciarono a soffermarsi primariamente sulle cause necessarie (il cosiddetto fattore causale), ovvero quelle cause, senza le quali, una malattia non poteva insorgere. Rösch e Maffei però, nel loro studio, non cercarono le cause necessarie ma assemblarono un largo numero di fattori non correlati fra loro e quello che li connetteva tutti era l’ENDEMIA, un termine che può essere tradotto come la somma delle caratteristiche del luogo dove la malattia insorgeva. Si poteva quindi parlare della costituzione endemica come il fattore senza il quale il cretinismo non poteva svilupparsi. È evidente che nessuna delle cause ritenute responsabili del cretinismo da Rösch e Maffei poteva però essere ritenuta necessaria e quindi definita come fattore causale, così, malgrado il loro impegno, essi non furono in grado di individuare l’etiologia di questa malattia. Un metodo completamente nuovo per l’individuazione delle cause delle malattie originò proprio dalla chirurgia. Il chirurgo svizzero Theodor Kocher era specializzato negli interventi di asportazione del gozzo e divenne così esperto che qualche volta riuscì anche a rimuovere l’intero organo. Le conseguenze di questa procedura furono però la comparsa dei tipici segni e sintomi del cretinismo che lui definì cachessia strumipriva. Proprio queste inaspettate osservazioni guidarono clinici e fisiologi a condurre ricerche sperimentali che portarono ad evidenziare la cosiddetta funzione d’organo della tiroide. Il cretinismo fu così ridefinito come causato dalla perdita della funzione tiroidea e la nozione di causa endemica perse consistenza. Il substrato per tutte queste scoperte era rappresentato da un nuovo metodo di ricerca, il cosiddetto metodo sperimentale di Claude Bernard e, in accordo a questo, una vera conoscenza scientifica veniva definita come l’abilità a controllare deliberatamente i processi vitali. Quindi, la causa necessaria di tutte le malattie identificate come malattie da insufficienza d’organo era la perdita della funzione d’organo.
L’origine del trapianto d’organo ha luogo così nel framework di un nuovo tipo di scienza medica che ha preso come sua disciplina paradigmatica la fisiologia sperimentale. Nacquero così le università deputate alla ricerca, il cui scopo primario era la creazione di nuove conoscenze, e fu in questo ambiente che verso la metà del XIX sec. vide la luce un nuovo tipo di Medicina: la Medicina di laboratorio o sperimentale. Una nuova generazione di chirurghi iniziò a ripristinare le funzioni interne degli organi utilizzando i metodi della ricerca sperimentale, abbandonando l’approccio locale e strutturale e affrontando il corpo da un punto di vista sistemico e funzionale. In questo modo l’anatomia patologica, col suo approccio descrittivo delle malattie, non fu più la base scientifica della chirurgia innovativa e fu sostituita dalla fisiologia, il cui scopo era di controllare attivamente il processo vitale. Secondo Schlich quindi, "l’invenzione del trapianto d’organo nacque all’intersezione fra la ricerca di laboratorio e la Medicina clinica".
Nonostante i successi, il trapianto autogeno di tessuti non serviva però allo scopo di sostituire la funzione d’organo. In questi casi il tessuto da trapiantare doveva essere trovato altrove, poteva essere ottenuto da animali. Lo xenotrapianto divenne frequente nella prima fase del trapianto d’organo, ma dal 1905 in poi furono pubblicati molti lavori scientifici che denunciavano l’insuccesso di questo trapianto ed esso fu abbandonato. Il futuro del trapianto dipese quindi dalla possibilità di eseguire il trapianto tra differenti individui della stessa specie (trapianto allogenico). Inizialmente si ebbe un discreto successo ma le speranze finirono nella disillusione quando si osservò che il graft andava inesorabilmente incontro alla morte. I chirurghi persero quasi completamente l’interesse nel fare trapianti e intorno agli anni '30 del XX secolo il trapianto d’organo fu praticamente abbandonato. Anche se le tecniche chirurgiche furono ulteriormente perfezionate, l’outcome dell’allotrapianto, continuava ad essere pessimo e molti si domandarono se esistesse un qualche fattore non necessariamente correlato alla tecnica chirurgica. Questo portò i ricercatori a sospettare che il tessuto vivente differiva tra individui della stessa specie e variava nelle sue caratteristiche biochimiche. Fra le varie teorie avanzate, una sosteneva che fosse proprio il sistema immune del ricevente ad attaccare il tessuto estraneo nello stesso modo in cui attaccava gli agenti infettivi. I ricercatori chiamarono questo fenomeno immunità del trapianto. Il problema era ora quello di trovare una via per impedire questa reazione immune. Tutto ciò portò alla scoperta di diverse sostanze in grado di deprimere il sistema immune e impedire il rigetto dell’organo trapiantato, determinando così la ripresa degli interventi di "sostituzione d’organo" e stimolando ulteriori linee di ricerca che hanno portato ai successi dei nostri giorni9.
In conclusione, cosa possiamo trarre da questo ulteriore progresso dell’arte medica? La storia della Medicina del trapianto, dalle sue origini ai giorni nostri è, a mio avviso paradigmatica di come avvengano, nel percorso dell’evoluzione delle conoscenze, fatti, che possiamo definire di rottura, avvenimenti capaci di cambiare la direzione del percorso fino a quel punto intrapreso. Questi momenti di svolta poggiano su tre assi principali: il primo, è rappresentato dall’idea. Eventi di tale rilevanza devono essere pensati. Il secondo è rappresentato dal supporto tecnologico. Infatti, è attraverso il miglioramento delle tecniche che il pensato potrà essere messo in atto. Il terzo asse di questa ideale piattaforma è il sostrato culturale, ovvero la capacità della comunità scientifica e sociale di recepire e accettare tale idea. L’invenzione del trapianto, come ha efficacemente sottolineato Thomas Schlich, poggia su questi tre assi. È infatti con la possibilità di osservare il corpo umano da altre angolazioni, con l’affermarsi di nuove discipline che, permettendo di valicare gli ostacoli posti dai vecchi e obsoleti concetti su cui la Medicina si basava, si ottengono risultati impensati. Ma non dobbiamo dimenticare che tutto questo, in ogni caso, poggia sulle spalle delle conoscenze ottenute nella millenaria arte della cura dell’uomo.
Detto ciò, la nascita di nuovi contesti medici come ad esempio quello della Medicina sperimentale sono essenziali affinché possano emergere nuovi metodi di diagnosi e cura delle malattie. Saranno quindi il contesto tecnico-scientifico, culturale e sociale che consentiranno il successo dell’idea, ma sarà l’idea stessa a emergere da questi contesti.
BIBLIOGRAFIA