Dott. Pierluca Piselli

Dipartimento di Epidemiologia e Ricerca Pre-Clinica, INMI "Lazzaro Spallanzani" IRCCS, Roma

Articolo pubblicato in:

Anno Accademico 2018-2019

Vol. 63, n° 2, Aprile - Giugno 2019

ECM: Il mondo sorretto da Atlante. L’importanza delle discipline non chirurgiche nel trapianto di fegato

29 gennaio 2019

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Rischio oncologico dopo trapianto di fegato: i dati italiani

P. Piselli

Il trapianto d’organo rappresenta una delle più importanti conquiste cliniche del secondo millennio per i positivi risvolti clinici nella cura di numerose malattie ad evoluzione sfavorevole e non efficacemente trattabili. In Italia, nel 2018, sono stati effettuati 3719 trapianti di cui più della metà erano trapianti di rene (n=2117, 56.9%) e circa un terzo di fegato (n=1246, 33.5%) [fonte Centro Nazionale Trapianti, www.trapianti.salute.gov.it].

I miglioramenti fatti in campo chirurgico e i progressi nelle terapie antirigetto raggiunti nelle ultime tre decadi hanno determinato ottimi risultati in termini di sopravvivenza a cinque anni dopo trapianto, che attualmente è superiore al 90% nei trapiantati di rene e raggiunge circa il 70% nei trapiantati di fegato1.

L’immunosoppressione conseguente all’uso di farmaci immunosoppressivi antirigetto, necessari per il successo del trapianto e per la sopravvivenza stessa del paziente, espone però il paziente ad un aumentato rischio di infezioni e di tumori.

La complicanza oncologica rappresenta oramai una delle principali cause di morbilità e mortalità nelle persone sottoposte a trapianto d’organo, con un aumento del rischio di circa 2-3 volte dell’incidenza complessiva di comparsa di neoplasie post-trapianto rispetto a quanto osservabile nella popolazione generale di pari età e sesso1

Tra i fattori di rischio coinvolti è sicuramente rilevante la prolungata esposizione a farmaci immunosoppressivi, che influenzano negativamente la capacità di immunosorveglianza antivirale e antitumorale.

Non a caso sono le neoplasie associate a infezioni virali, quali il sarcoma di Kaposi (SK), il carcinoma epatico e alcuni tipi di linfomi non-Hodgkin (LNH) quelle più frequentemente diagnosticate dopo trapianto d’organo incluso il trapianto di fegato2. In generale e soprattutto per le neoplasie associate a virus oncogeni, si osserva una maggior rischio di sviluppare tumori de novo con l’aumentare del grado di immunosoppressione. Ad esempio, nei trapiantati di organi toracici (cuore o polmone) che ricevono una dose maggiore di farmaci immunosoppressori, il rischio è aumentato rispetto ai trapiantati di fegato o rene2.

La ridotta immunosorveglianza e la stimolazione cronica del sistema immunitario, fanno sì che alcuni fattori di rischio di cancro preesistenti e fattori correlati alla malattia di base del paziente trapiantato siano rilevanti nello sviluppo di nuovi tumori. Nei trapiantati di fegato ad esempio, tra le neoplasie de novo più frequentemente osservate, oltre alle quelle virus-correlate vi sono i tumori testa-collo e della parte superiore del cavo digerente (bocca, laringe o esofago) associati all’abuso di alcool o fumo, piuttosto frequente in questi pazienti3.

Poter quantificare il rischio di sviluppare un tumore de novo nelle persone sottoposte a trapianto d’organo ha importanti ricadute nella programmazione della gestione di questi pazienti, guidando il monitoraggio pre- e post-trapianto e consentendo anche la diagnosi precoce dei tumori in questi individui.

Dal momento che la maggior parte delle conoscenze sulla comparsa di neoplasie de novo post-trapianto deriva da studi condotti negli Stati Uniti, in Canada, in Australia e Nuova Zelanda, in Giappone e nel Nord Europa, è di particolare rilevanza poter condurre studi nel nostro paese, in modo da fornire un quadro reale dell’incidenza dei tumori de novo specificatamente nei nostri pazienti, in modo da poter tener conto della diversa prevalenza in Italia di alcuni fattori di rischio quali ad esempio la prevalenza di infezione da virus dell’epatite C (HCV) o il virus erpetico 8 (o HHV-8) molto più alta che in altri paesi del Nord Europa, del Nord America o Australia1.

In Italia, il nostro gruppo di studio (Gruppo di Studio Immunosoppressione e Tumori) ha condotto numerose indagini epidemiologiche tese a quantificare il rischio di sviluppare un tumoredopo trapianto d’organo solido. L’attività di ricerca condotta nelle persone sottoposte a trapianto di organo si basa su precedenti ricerche sullo sviluppo di neoplasie in pazienti con immunodeficienza acquisita dopo infezione da HIV, nei quali è stato documentato un aumento del rischio degli stessi tumori virus-correlati sopra menzionati (SK e LNH su tutti) osservati nei trapiantati4.

A febbraio 2019, i centri trapiantologici italiani che hanno aderito allo studio sono 22 che effettuano trapianti di rene (circa 15000 pazienti inseriti nel database) e 9 che effettuano trapianti di fegato (4800 pazienti inseriti nel database) e attualmente siamo in una fase di aggiornamento delle casistiche. Numerosi sono stati i lavori pubblicati dal Gruppo di studio, principalmente nei primi anni relativamente ai trapiantati di rene5.

Recentemente sono stati pubblicati alcuni lavori sulla comparsa di neoplasie de novo nella nostra coorte di trapiantati di fegato.

In un primo studio condotto su circa 2800 trapiantati di fegato nel quale 244 pazienti hanno sviluppato uno o più tumori de novo, è emerso come in questi pazienti il rischio di sviluppare un tumore de novo sia circa 1,8 volte maggiore (IC 95%: 1,6-2,0) rispetto a quanto osservabile nella popolazione generale di pari età e sesso. Tale rischio viene rappresentato come rapporto standardizzato di incidenza (o SIR), ottenuto dividendo il numero di casi osservati con quello atteso in base ai dati della popolazione italiana di pari età, sesso e zona di residenza documentati dai Registri Tumori Italiani (Associazione Italiana Registri Tumori –AIRTUM: http://www.registri-tumori.it)6.

Tra le varie neoplasie particolarmente elevato è stato il rischio di sviluppare neoplasie associate a virus, tra cui il sarcoma di Kaposi (SIR=53,6, IC 95%: 30,0-88,5), i linfomi non Hodgkin (SIR=7,1) e il carcinoma cervicale dell’utero (SIR=5,4). Tra le neoplasie non correlate al virus, sono emersi elevati rischi per la testa e il collo (SIR=4,4, tra cui principalmente lingua e laringe), l’esofago (SIR=6,7) e, per quanto limitata a pochi casi, il surrene (SIR=22,9). Rischi elevati in maniera significativa sono stati osservati anche per il carcinoma polmonare (SIR=1,4) e per il melanoma (SIR=2,6) mentre un rischio ridotto è emerso per il cancro alla prostata5. Considerando i fattori di rischio, oltre all’aumento di rischio con l’età, è emerso un aumento di circa il doppio dei casi di tumori (principalmente tumori testa-collo) per i pazienti con storia di alcoolismo rispetto al resto della coorte di trapiantati di fegato7.

In un secondo lavoro condotto sempre sulla stessa casistica è stato valutato l'impatto dei tumori de novo sulla sopravvivenza dei trapiantati di fegato in un’analisi caso-controllo rispetto ad analoghi controlli costituiti da trapiantati all’interno della coorte che non avevano sviluppato un tumore8.

Complessivamente la sopravvivenza a 10 anni è risultata quasi 4,7 volte inferiore nei pazienti che hanno sviluppato un tumore rispetto ai controlli (43% vs. 70%). La sopravvivenza è risultata particolarmente compromessa per i pazienti che hanno sviluppato uno dei tumori più frequentemente osservati nella coorte quali il tumore polmone, linfoma non Hodgkin, i tumori testa e collo e del colon-retto con sopravvivenze ridotte di almeno 4-5 volte. Il divario di sopravvivenza è stato osservato sia precocemente che tardivamente, sebbene l'effetto sia più pronunciato nel primo anno dopo la diagnosi del cancro. Nessuna differenza significativa nella sopravvivenza è emersa per i tumori cutanei (escluso il melanoma) e per il Sarcoma di Kaposi8.

In conclusione, anche nella coorte italiana di trapiantati di fegato, l’aumentato rischio di sviluppare un tumore de novo dopo trapianto e il loro consistente impatto negativo sulla sopravvivenza dei pazienti, dovrebbe incoraggiare ulteriori interventi di prevenzione e diagnosi precoce dei tumori con protocolli appositi per questa popolazione.

Vista la rilevanza dei tumori virus-correlati, potrebbe essere importante che i riceventi portatori cronici di infezioni con noti virus oncogeni (come EBV, KSHV e HPV) ricevano un monitoraggio attivo in particolare durante i primi anni dopo trapianto, quando è anche maggiore il dosaggio di farmaci immunosoppressori. Inoltre, le stesse strategie di prevenzione rivolte alla popolazione generale quali l'aderenza ai programmi di screening esistenti, la cessazione del fumo e del consumo di alcool, l’adozione di una dieta corretta e una maggiore attività fisica, dovrebbero essere particolarmente promosse in questi soggetti.


Dott. Pierluca Piselli, per Il Gruppo di Studio Immunosoppressione e Tumori

BIBLIOGRAFIA

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