Anno Accademico 2018-2019

Vol. 63, n° 2, Aprile - Giugno 2019

Simposio: Aneurismi dell’aorta addominale

12 febbraio 2019

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Le infezioni protesiche: diagnosi, trattamento e risultati delle infezioni protesiche dell’aorta addominale

L. Rizzo, F. Aloisi, T. Dezi, M. Taurino

Introduzione

Le infezioni protesiche (IP) rappresentano una rara complicanza del trattamento della patologia aortica, con un tasso di mortalità estremamente elevato, essendo questo intorno al 40% a 30 giorni dalla diagnosi e del 66% ad 1 anno1.

 

Epidemiologia e fattori di rischio

La vera incidenza delle IP appare difficile da stimare, essendo frequentemente non diagnosticate e quindi non adeguatamente trattate.

L’incidenza viene riportata, in letteratura, tra lo 0.4% e il 3% per quel che riguarda il trattamento chirurgico convenzionale (OAR) e tra lo 0.1% e lo 0.7% per il trattamento mini-invasivo di esclusione endovascolare (EVAR)2, 3.

Viene inoltre riportata una importante variabilità per quanto riguarda l’intervallo di tempo intercorso tra la prima procedura, quale essa sia OAR o EVAR, e la diagnosi di infezione protesica. Si assiste, infatti, ad una distribuzione bimodale: Infezioni precoci, che rappresentano circa il 30 % di tutte le infezioni protesiche, con diagnosi entro 4 mesi dalla procedura originale ed infezioni più tardive che, invece, si verificano solitamente almeno ad 1 anno dal trattamento4.

Vogel et coll. riportano in una serie di 1300 pazienti trattati per l’Aneurisma dell’Aorta Addominale (AAA), sia con OAR sia con EVAR, un tasso, a 2 anni, di infezione simile per i due trattamenti, ma con la differenza che la maggior parte dei casi nel gruppo dei pazienti trattati chirurgicamente si è verificava nel primo anno, mentre nel gruppo dei pazienti sottoposti a procedura endovascolare la diagnosi veniva eseguita di solito più tardivamente5.

Questa variabilità di presentazione può essere spiegata dalla occorrenza, nei pazienti sottoposti a chirurgia, ad un maggior tasso di infezioni nosocomiali.

Nel gruppo EVAR tale complicanza è stata attribuita, da diversi autori, ad altri fattori quali: il maggior tasso di reinterventi, la persistenza del trombo tra protesi e parete aortica e il luogo dove la procedura endovascolare viene eseguita, essendo differente il tasso di infezioni, tra sala angiografica e camera operatoria5.

 

Classificazione

Dal punto di vista clinico è possibile distinguere le infezioni protesiche in basso ed alto grado.

Le prime solitamente vengono diagnosticate più tardivamente, sono causate da batteri meno virulenti e pertanto danno, inizialmente, una clinica aspecifica.

Le infezioni di alto grado invece si verificano più precocemente e sono causate da batteri più aggressivi con segni e sintomi di sepsi franca6.

 

Diagnosi

La diagnosi di infezioni protesica raramente risulta di facile interpretazione, essendo la sintomatologia estremamente variabile.

I sintomi possono essere divisi specifici o non. Sintomi specifici sono l’ematemesi, la rettorragia, lo shock emorragico, dovuti alla formazione di una fistola aorto-enterica, solitamente nella III-IV porzione duodenale, l’embolismo settico, l’ascesso periprotesico e la trombosi protesica con possibile ischemia acuta.

Sintomi aspecifici sono: perdita di peso, astenia, sensazione di malessere, febbre persistente, dolore addominale e/o lombare.

Solo nei due terzi dei pazienti le emocolture appaiono positive e dunque è possibile isolare il batterio responsabile. I batteri tipicamente responsabili sono solitamente tipici cutanei o della flora batterica intestinale. Lo Stafilococco Aureus è il principale responsabile di tale complicanza causando circa il 50% (20-53%) delle infezioni di alto grado. Altri possibili batteri sono solitamente: Stafilococchi coagulasi negativi (CoNS 15%), Pseudomonas aeruginosa, E. Coli, Enterococchi, Clostridium Perfringens, Bacteroides Fragilis.

La diagnosi di IP può essere definita certa in caso di isolamento di batteri o funghi dalle emocolture e/o dalla coltura del materiale periprotesico7.

La diagnosi strumentale si avvale, solitamente, di differenti metodiche, quali: Angio-TC, RM, PET, Scintigrafia ed Endoscopia.

 

Angio-TC

L’Angio-TC rappresenta uno studio con una alta sensibilità e alta specificità nella diagnosi delle IP e per differenti anni è stata considerata il Gold Standard8.

Con tale metodica è possibile osservare segni caratteristici quali: l’aria periprotesica (Bolle di Gas), l’infiltrazione tissutale, raccolte intrasacca e raccolte fluide, attenuazione dei tessuti molli periprotesici e periaortici, presenza di bolle di gas ectopiche, presenza di pseudoaneurismi, discontinuità della parete aortica aneurismatica e presenza di mezzo di contrasto (m.d.c.) all’interno dell’intestino nel caso di Fistola Aorto Enterica (FAE).

I vantaggi di tale metodica sono la facile esecuzione in caso di sospetto diagnostico e la possibilità di essere utilizzato per la pianificazione del tipo di trattamento, mentre gli svantaggi appaiono essere la bassa sensibilità soprattutto per le infezioni di basso grado e la difficile differenziazione tra i segni di infezione protesica all’angio TC ed i normali reperti post procedurali, soprattutto per le procedure endovascolari, nelle infezioni precoci, entro i primi 3 mesi dopo l’intervento9, 10.

 

RMN

La risonanza magnetica può avere un valore addizionale all’esame TC, nonostante la stessa difficoltà nel primo postoperatorio, ma con maggiore accuratezza nello studio delle raccolte periprotesiche e nella loro differenziazione, non distinguendo però le bolle di gas dalle placche calcifiche11.

 

Scintigrafia con leucociti marcati

La medicina nucleare gioca un importante ruolo nella diagnostica degli stati infettivi. Utilizzano solitamente marcatori quali Indio e Tecnezio con una sensibilità ed una specificità che varia dal 50 al 100%12.

 

(FDG)-PET

La (FDG)-PET appare di fondamentale importanza nella diagnosi delle infiammazioni protesiche con un elevato tasso di sensibilità e di specificità. Attualmente tale metodica è stata fusa con la CT permettendo un ulteriore aumento dell’accuratezza di questa.

Nello specifico autori riportano che in assenza di Assorbimento di (FDG) focale è possibile escludere un’infezione protesica nel 97% dei casi, mentre la sua presenza è predittiva sempre nel 97%.

Inoltre questa permette di localizzare il focolaio infettivo con una buona precisione13.

 

Endoscopia

Gastroscopia e Colonscopia vengono solitamente eseguite in caso di presenza di sanguinamenti attivi come ematemesi, rettorragia e melena. Viene eseguita nel tentativo di evidenziare la presenza di una fistola aorto enterica, anche se la sua assenza non esclude la possibile presenza di un'infezione protesica e la sua diagnosi certa richieda solitamente un esplorazione chirurgica.

 

Trattamento delle infezioni protesiche

Molto si è dibattuto su quale sia la corretta gestione di tale complicanza, ma la sua bassa incidenza non ha permesso di stabilire un consenso internazionale riguardo questo argomento.

Le possibili alternative sono un approccio più conservativo di tipo medico, che consiste in un antibiotico terapia “life-long” in associazione al drenaggio percutaneo delle raccolte periprotesiche o un approccio più demolitivo e curativo di tipo chirurgico, che consiste nell’espianto protesico e nella successiva rivascolarizzazione.

Anche su questo ultimo argomento, in letteratura, non vi è un reale consenso, essendoci differenti tipi di materiali da poter essere utilizzati per la rivascolarizzazione.

Un approccio terapeutico di tipo “taylored”, caso per caso, gestito da un team multidisciplinare sembra essere la miglior scelta14.

 

Trattamento chirurgico

L’infezione protesica endovascolare ha posto i chirurghi vascolari davanti a problemi tecnici rilevanti. Primo fra tutti il livello del clampaggio aortico. In caso di endoprotesi ad aggancio soprarenale, infatti, il clampaggio deve essere effettuato nell’aorta sopraceliaca, per evitare il danneggiamento della parete aortica da parte degli uncini dello stent prossimale durante il clampaggio.

Questo determina un aumentato tasso di insufficienza renale, danno ischemico splancnico e stress cardiaco.

Eseguito l’espianto protesico due sono le possibili scelte: Bypass extra anatomico e confezionamento di una stump aortica o una rivascolarizzazione in situ14.

 

A)   Bypass extra-anatomico e stump aortica

Il razionale di tale scelta sta nel far passare il condotto protesico all’interno di una porzione del corpo non infetta e quindi nel confezionamento di un bypass extra anatomico.

La scelta ricade solitamente nel confezionamento di un bypass axillo-bifemorale.

Inizialmente tale metodica era gravata da alti tassi di mortalità e morbidità dovuti essenzialmente al cedimento della stump aortica, alla trombosi o alla reinfezione del bypass.

I vantaggi di tale approccio sono rappresentati dalla possibilità di eseguire una procedura “staged” e la relativa velocità della procedura di rivascolarizzazione.

Il momento critico di tale approccio appare il confezionamento dello stump aortico, considerando che il cedimento di esso è associato ad una mortalità tra il 75 ed il 100 %.

Un’adeguata chiusura del moncone aortico appare essenziale, ma spesso risulta di difficile esecuzione data la condizione di infiammazione della parete aortica.

Sono state proposte differenti tecniche come: doppia sutura, pledgets di rinforzo in vena, rinforzo utilizzando la fascia prevertebrale, l’omentopessia14.

 

B)   Rivascolarizzazione in-situ

1)    Homografts

Consiste nell’utilizzo di allograft aortici freschi conservati a 4 °C per 48h o criopreservati. Tali allograft sembrano essere però corelati a complicanze perioperatorie non trascurabili quali la rottura o, a distanza, la dilatazione14.

2)    Vene autologhe (nais-neoaortoiliac system)

Questa tecnica prevede il prelievo delle vene profonde femoropoplitee utilizzate in varie combinazioni per la rivascolarizzazzzione degli arti inferiori.

Le vene profonde appaiono resistenti, con una pervietà a lungo termine eccellente oltre ad avere la caratteristica dell’allograft di resistere alle infezioni essendo tessuto autologo.

Tale metodica inoltre evita le complicanze legate allo stump aortico, ma determina un allungamento non indifferente dei tempi operatori14.

3)    Antimicrobial graft

L’utilizzo di tali protesi è legato al razionale che l’infezione protesica è secondaria alla colonizzazione da parte del microbo della parete del graft, questo viene impedito teoricamente dalle ANTIBIOTIC-BONDED GRAFTS e DACRON SILVER GRAFTS e soprattutto dalle protesi di nuova generazione che oltre ad essere di tipo Silver sono state legate al TRICLOSAN che impedisce la riparazione delle membrane cellulari batteriche e interferisce con il metabolismo cellulare batterico.

I principali vantaggi di queste protesi sono la facile reperibilità soprattutto in condizioni d’emergenza se comparate con le allografts, la riduzione dei tempi operatori se comparate con la metodica NAIS, e la non necessità di utilizzare una terapia anticoagulate a lungo termine come nel caso dei bypass extraanatomici14.

 

C)   Trattamento conservativo

Il trattamento conservativo deve essere considerato in determinate classi di pazienti considerati ad elevatissimo rischio chirurgico date le importanti comorbidità e la possibile presenza di un addome ostile o per scelta del paziente. Il primo approccio prevede una terapia empirica, che deve essere sostituita da una target therapy una volta ottenuti gli esami colturali e l’antibiogramma e una seguente long therapy a domicilio dalla durata di almeno 6-12 mesi, se non a vita15.

 

Drenaggio percutaneo

Il drenaggio percutaneo delle raccolte periprotesiche può essere associato al trattamento conservativo delle infezioni protesiche alcuni autori riportano una risoluzione del processo settico.

Tale procedura può essere utilizzata precedentemente al tempo chirurgico in modo da drenare le raccolte protesiche e ridurre anche se parzialmente lo stato settico del paziente. Il drenaggio permette inoltre la coltura batteriologica con successiva antibiotico terapia mirata16.


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