Dott. Luca Guarnera

“Sapienza” Università di Roma

Articolo pubblicato in:

Anno Accademico 2018-2019

Vol. 63, n° 2, Aprile - Giugno 2019

ECM: Novità in tema di malattia venosa cronica (MVC) degli arti inferiori

19 marzo 2019

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Ulcera venosa: processi rigenerativi e riparativi

G. Guarnera, R. Borioni, P. Mollo, F. Pomella, L. Guarnera, S. Bilancini, M. Lucchi

La lesione

La cute rappresenta l’organo più esteso del corpo e, in quanto tale, svolge funzioni vitali come la protezione contro forze meccaniche e infezioni, omeostasi dei fluidi, termoregolazione. Una superficie esterna intatta permette lo svolgersi di queste funzioni. È quindi fondamentale che ogni lesione possa andare incontro prontamente ad un processo di guarigione. Una serie di condizioni cliniche di carattere cronico (diabete, patologie vascolari, lesioni da pressione) rappresentano fattori di rischio per un ritardo o un impedimento alla guarigione di una ulcera.

L’ulcera venosa è la più frequente forma di lesione ulcerativa degli arti inferiori: il primo atteggiamento terapeutico consiste nel trattamento dell’ipertensione venosa che ne è alla base attraverso la terapia compressiva (per contrastare la stasi), l’abolizione chirurgica dei reflussi, la terapia medica (per bilanciare gli effetti dell’ipertensione a livello microcircolatorio).

La rigenerazione e la riparazione

Una lesione può guarire attraverso una rigenerazione o una riparazione. La rigenerazione consiste nella sostituzione specifica del tessuto danneggiato, come avviene in alcuni organismi animali (l’axolotl o Ambystoma mexicanum) o nella superficie epidermica fetale1, 2. Nella cute degli adulti si verifica generalmente una forma aspecifica di guarigione attraverso la fibrosi tessutale e la formazione di una cicatrice.

Il processo fisiologico di guarigione di una ulcera è complesso, chiama in causa meccanismi cellulari, biochimici e bioumorali con cellule, fattori di crescita e citochine che agiscono come componenti di una grande orchestra. Il processo può essere artificialmente suddiviso in fasi, che non si susseguono in una rigida sequenza, ma si sovrappongono nello spazio e nel tempo3. L’interruzione o l’alterata regolazione di una o più fasi porta alla cronicità della lesione e alla sua mancata guarigione.

L’emostasi

La prima fase è rappresentata dall’emostasi e dalla formazione di una matrice provvisoria; si verifica immediatamente dopo il trauma e si completa in alcune ore. Il trauma attiva la cascata coagulativa estrinseca e intrinseca (attraverso il collagene esposto). Si forma un coagulo provvisorio di fibrina in cui sono intrappolate le piastrine, che rilasciano fattori di crescita e chemochine nell’ambiente locale della lesione. Le piastrine innescano un fenomeno di vasocostrizione, per ridurre le perdite ematiche e il coagulo forma una matrice provvisoria che agisce da supporto alla migrazione di leucociti, cheratinociti, fibroblasti e cellule endoteliali. La vasocostrizione è seguita da una vasodilatazione durante la quale le piastrine invadono la matrice provvisoria4. Le piastrine influenzano l’infiltrazione di leucociti; piastrine e leucociti attivano il processo infiammatorio attraverso il rilascio di fattori di crescita e citochine pro-infiammatorie, come la IL-1beta e il tumor necrosis factor-alfa (TNF-alfa)5.

L’infiammazione

L’infiammazione rappresenta una fase cruciale nel processo di guarigione: un suo prolungamento porta ad una cronicizzazione della lesione. Nei tessuti e nell’essudato delle ulcere vi è una continua competizione tra segnali infiammatori e antiinfiammatori che porta alla creazione di un microambiente non appropriato a favorire la guarigione6. Una alterata regolazione di molte citochine pro infiammatorie, come le già citate IL-1beta e il tumor necrosis factor, prolunga la fase infiammatoria e ritarda la guarigione7. Inoltre l’incremento di tali citochine porta ad un innalzato livello di metalloproteasi che degradano la matrice e impediscono la migrazione cellulare8.

L’infezione

Una elevata carica batterica rappresenta un fattore favorente lo sviluppo e la cronicità della lesione. Un ruolo fondamentale della fase infiammatoria consiste proprio nel ridurre tale carica in modo che possa essere tollerata e abbattuta dai tessuti sani6. Alcune specie particolarmente virulente possono organizzarsi in comunità autonome, finemente organizzate, e dar vita a formazione di biofilm, che ostacolano la risposta dell’ospite e l’azione degli antimicrobici, ritardando o impedendo la guarigione9.

Le proteasi

La ritardata guarigione di una ulcera è in parte da attribuirsi all’alterata regolazione del rapporto tra proteasi e loro inibitori, conseguenza dell’incremento delle citochine pro infiammatorie e/o dell’aumentata carica batterica. E’ stato dimostrato che le metalloproteasi di matrice, come la collagenasi e la gelatinasi, sono presenti in maggior concentrazione nell’essudato delle lesioni croniche rispetto a quanto avviene nelle lesioni acute10.

Le fasi dell’infiammazione

La fase infiammatoria, attivata già durante l’emostasi, può essere divisa in una fase precoce che vede protagonisti i neutrofili e in una fase tardiva con la comparsa dei monociti e la loro trasformazione in macrofagi. I neutrofili vengono reclutati precocemente nel sito della lesione, sono presenti nei giorni 1-2 e svolgono l’importante funzione di fagocitosi, secrezione di proteasi per abbattere la carica batterica e degradare i tessuti devitalizzati e rilascio di mediatori che attraggono altre cellule immunitarie1. Una volta svolto il loro ruolo nel processo riparativo, i neutrofili vanno incontro ad apoptosi. I monociti iniziano a migrare nella lesione e a differenziarsi in macrofagi dal terzo giorno. Il loro numero rimane stabile sino circa al quinto giorno, quando cominciano gradualmente a diminuire, sino a livelli stazionari, fino al giorno 14. Durante questo periodo, i macrofagi rimuovono i neutrofili degradati e secernono varie citochine, fattori di crescita e altri mediatori11.

I macrofagi rivestono un ruolo chiave nel passaggio dalla fase infiammatoria a quella proliferativa, in quanto stimolano fibroblasti, cheratinociti e cellule endoteliali a differenziarsi, proliferare e migrare, portando a deposizione di nuova matrice extracellulare, riepitelizzazione e neovascolarizzazione della lesione12, 13.

I fenotipi dei macrofagi

I macrofagi presenti in una ulcera, sia residenti sia differenziatisi dai monociti, non costituiscono una popolazione omogenea di cellule, ma esistono come multipli fenotipi che possono essere classificati in linea di massima come fenotipi M1 e M2. I monociti possono essere classicamente attivati per formare i macrofagi M1 o alternativamente per formare i macrofagi M2. I macrofagi M1 si differenziano nel fenotipo M2 attraverso stimoli locali che intervengono nell’evoluzione della lesione14 (Fig. 1).

Nei primi stadi della riparazione tessutale, i macrofagi M1 esercitano una attività fagocitica, battericida e pro-infiammatoria; in un secondo tempo, i macrofagi M2 sono coinvolti nella sintesi di mediatori anti-infiammatori, nella produzione di matrice extracellulare, nella proliferazione di fibroblasti e nella neovascolarizzazione15. I macrofagi M2 inoltre hanno la funzione di fagocitosi di neutrofili (efferocitosi), batteri e detriti per prevenire ulteriori danni nel sito della lesione nelle fasi più avanzate di guarigione.

Una alterazione nell’attivazione dei fenotipi e in particolare una mancata transizione da M1 a M2 porta ad un prolungamento della fase infiammatoria e alla cronicizzazione dell’ulcera. Nelle ulcere croniche, i macrofagi sono in prevalenza M1, che non sono in grado di fagocitare i neutrofili consumati e questo porta al reclutamento di un maggior numero di macrofagi e a un aumento dell’infiammazione16.

In particolare, l’ulcera venosa costituisce una malattia infiammatoria cronica, in cui l’ipertensione venosa e l’aumentata shear stress causa un danno endoteliale e l’attivazione dei  leucociti (neutrofili, monociti e macrofagi) che rimangono intrappolati nell’arto. In una ulcera venosa cronica, circa l’80% delle cellule presenti ai bordi della lesione sono macrofagi, che contengono grandi quantità di ferro (derivante dalla fagocitosi di eritrociti stravasati nel tessuto). Tali alti livelli di ferro portano ad una alterazione del fenotipo macrofagico, che permane M1 e alti livelli di M1 portano a loro volta ad una aumentata produzione di TNF che ritarda la guarigione dell’ulcera17.

 

Proliferazione

La fase della proliferazione (che si verifica circa 3-10 giorni dopo la lesione) ha lo scopo di realizzare la copertura della superficie della lesione, la formazione del tessuto di granulazione, il ripristino del network vascolare.

Riepitelizzazione

La riepitelizzazione inizia alcune ore dopo il trauma e la durata è strettamente condizionata dalle dimensioni, dalla profondità e dalla carica batterica della lesione. Nelle ulcere a spessore parziale, il processo di riepitelizzazione avviene in circa 8-10 giorni18 ed è assicurato dai cheratinociti presenti ai bordi dell’ulcera e dalle cellule staminali epiteliali.

Le cellule staminali

Le cellule staminali epiteliali occupano tre distinte nicchie: il bulbo del follicolo pilifero, la base della ghiandola sebacea e lo strato basale dell’epidermide19. Anche cellule adipocitiche locali progenitrici possono avere un ruolo nel processo riparativo20. Una compromissione della funzione locale e sistemica delle cellule staminali e progenitrici riveste una parte considerevole nella patologia delle lesioni croniche.

I cheratinociti

I cheratinociti vanno incontro ad una modificazione del loro citoscheletro, modificano la loro forma, perdono i contatti intercellulari e migrano lungo il coagulo di fibrina preformato, strisciando con movimenti lamellipodiali per diffondersi sulla ferita (fenomeno dello “shuffling”)21. Una volta arrivati al centro della ferita attraverso un meccanismo di inibizione da contatto si ferma il flusso migratorio, si stabiliscono dei contatti di aderenza intercellulari e la lesione si chiude come attraverso uno zip.

Perché si possa verificare una adeguata riepitelizzazione è necessaria la formazione di un tessuto di granulazione (costituito da macrofagi, fibroblasti, vasi sanguigni) e di una appropriata matrice extracellulare che favorisca la migrazione dei cheratinociti, in un microambiente umido con un corretto bilanciamento delle proteasi e dei lori inibitori.

L’angiogenesi

Il ripristino di un sistema vascolare cutaneo è legato ad una complessa cascata di eventi cellulari, umorali e molecolari, a livello del letto della lesione, per garantire una perfusione nutritiva. Il primo passo nella formazione di nuovi vasi è rappresentato dal legame dei fattori di crescita con i loro recettori sulle cellule endoteliali dei vasi preesistenti, con la conseguente attivazione di una cascata di segnali intracellulari1. Le cellule endoteliali attivate secernono enzimi proteolitici che dissolvono la lamina basale e consentono così la proliferazione e la migrazione delle cellule endoteliali nella ferita, a guisa di germoglio (fenomeno dello “sprouting”). Questi germogli neocostituiti formano piccoli canali tubulari che si interconnettono ad altri. Il pattern del processo di neovascolarizzazione ha un andamento circolare, con un anello interno di vasi organizzati circolarmente attorno ai margini della ferita e connessi con vasi ad orientamento radiale, che formano un ponte tra il network vascolare fisiologico e i vasi neoformati16 (Fig 2). Con il progredire del processo di riepitelizzazione, l’anello interno scompare e i vasi a direzione radiale si interconnettono tra di loro per formare un nuovo network vascolare dermico.

Il rimodellamento

Il rimodellamento è l’ultima fase del processo di riparazione e si verifica dal 21° giorno fino a 1 anno dal trauma. La formazione del tessuto di granulazione si interrompe per apoptosi delle cellule. Il tessuto originale viene sostituito da una cicatrice, che è acellulare, non ha follicoli piliferi né ghiandole sebacee e ha un tipo di collagene differente da quello della cute sana. Il collagene di tipo III, prodotto nella fase proliferativa, viene sostituito dal collagene di tipo I, più resistente. Questo tipo di collagene è disposto in piccoli fasci paralleli, diversi da quelli orientati a canestro della cute sana. Successivamente entrano in gioco i miofibroblasti che provocano una contrazione della ferita e quindi un accorciamento della lunghezza della cicatrice rispetto alla ferita originale. La cicatrice precocemente ha una colorazione rossa dovuta all’intenso network capillare nella sede della lesione. Quando la riepitelizzazione è completa, i capillari regrediscono, cosicché una  cicatrice matura è avascolare e acellulare.

Una alterazione del processo di riparazione tessutale con persistenza della fase infiammatoria porta alla formazione di una cicatrice anomala, ipertrofica (con sottili fibre collagene organizzate in noduli) o cheloide (con spesse fibre collagene). Nelle ferite normali si attivano segnali che bloccano il processo riparativo quando si è verificata la riepitelizzazione. Nelle ferite croniche tali segnali sono assenti o inefficaci, vi è una eccessiva secrezione di fattori di crescita con produzione continua di tessuto di granulazione e formazione di una cicatrice eccessiva7, 22.

Le implicazioni terapeutiche

La conoscenza delle fasi e dei protagonisti del processo riparativo consente di orientare in modo mirato il nostro intervento terapeutico. Il fisiologico evolversi delle fasi, in caso di ulcera cronica, è bloccato alla fase infiammatoria. Il primo trattamento consiste nella correzione delle condizioni fisiopatologiche alla base del ritardo del processo riparativo. Nel caso dell’ulcera venosa è necessario il trattamento dell’ipertensione venosa attraverso la compressione, l’abolizione dei reflussi venosi, la terapia medica che contrasti gli effetti di tale ipertensione a livello micro- circolatorio.

A livello locale è fondamentale una accurata preparazione del letto dell’ulcera, l’abbattimento della carica batterica attraverso il debridement, il controllo dell’edema. In tale contesto, negli ultimi tempi hanno svolto un ruolo importante le medicazioni tecnologicamente avanzate, che interagiscono con la lesione creando un microambiente favorevole alla riepitelizzazione. Peraltro, a fronte di un largo utilizzo vi è da registrare una limitata evidenza clinica6.

Sono altresì di ampio uso sostanze biologicamente attive come i fattori di crescita, applicati topicamente sotto forma di gel piastrinico, concentrato centrifugato di fattori di crescita, colonie di granulociti e macrofagi23.

Di recente sono comparsi in Letteratura diversi studi con l’utilizzo di prodotti cellulari, come cheratinociti umani coltivati in vitro o cellule staminali da midollo o da tessuto adiposo24, 25.

Una prospettiva terapeutica di grande interesse nell’ischemia critica non rivascolarizzabile è rappresentata dalle cellule mononucleate autologhe da sangue periferico, che agiscono inducendo un maggior reclutamento di macrofagi nella lesione e una loro polarizzazione da stato infiammatorio M1 a quello antiinfiammatorio M226.

Di fronte ad un danno tessutale, soprattutto se esteso, l’obiettivo terapeutico deve essere quello di riparare il danno restituendo funzionalità e ottenendo una cicatrice di qualità esente da fenomeni di fibrosi marcata. In questa ottica si pongono i prodotti di ingegneria tessutale sotto forma di equivalenti cutanei, cute e derma omologhi, sostituti dermici. I limiti legati all’impiego della cute autologa (danno cutaneo permanente a livello del sito donatore, potenzialmente fonte di dolore e oggetto di infezione, limitata estensione dell’area disponibile, scarsa compliance del paziente, specie se anziano) hanno favorito lo sviluppo, il perfezionamento e l’ampio utilizzo di sostituti dermici. Tali prodotti riproducono le funzioni strutturali, biomeccaniche e biochimiche della matrice extracellulare e quindi costituiscono un substrato idoneo per una rapida colonizzazione da parte delle cellule dell’ospite27.

Conclusioni

La complessità del processo riparativo tessutale, con l’intervento e l’interazione di numerose componenti cellulari e bioumorali, implica una profonda conoscenza della fisiopatologia di tale processo e necessita del ricorso a presidi terapeutici combinati e diversificati nel tempo, contestualmente all’evoluzione della lesione.

Il trattamento dell’infezione e dell’edema, lo stimolo dell’angiogenesi, la ricostruzione di una matrice extracellulare adeguata e la promozione della migrazione epiteliale appaiono le tappe fondamentali del nostro agire terapeutico.


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