Dott.ssa Carolina Paciotti

Aurelia Hospital, Roma

Articolo pubblicato in:

Anno Accademico 2018-2019

Vol. 63, n° 2, Aprile - Giugno 2019

ECM: Novità in tema di malattia venosa cronica (MVC) degli arti inferiori

19 marzo 2019

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Il linfedema: diagnosi differenziale e protocolli di trattamento

C. Paciotti

Il linfedema è una «condizione patologica che si manifesta con edema distrettuale ad elevata concentrazione proteica interstiziale, con alterazioni degenerative dei tessuti connettivi della cute e del sottocute, con frequente riduzione delle funzioni immunitarie e conseguente significativa incidenza di infezioni; sono interessati generalmente i tessuti molli soprafasciali».  (Linee Guida flebo-linfologiche SIF-SICVE 20161).

Secondo i dati OMS del 2012 nel Mondo si contano circa 300.000 casi, di cui circa la metà sono rappresentati da forma primitive, circa 50.000 da forme secondarie post chirurgiche, post radioterapia o post traumatiche. Le rimanenti forme sono da attribuirsi a filariosi o forme funzionali.

In Italia il linfedema rappresenta un problema sanitario attivo dove l’incidenza supera i 40.000 nuovi casi l’anno (numeri sovrapponibili a quelli del carcinoma mammario).

La linfa è un tessuto connettivale costituito da una sospensione di cellule in un liquido chiamato plasma linfatico. Origina dai processi di ultrafiltrazione plasmatica, diffusione, pinocitosi e diapedesi, tutti processi che garantiscono gli scambi tra sangue e tessuti.

Qualunque alterazione anatomica o funzionale del sistema linfatico che determini una riduzione della capacità linfatica massimale di riassorbimento e di trasporto della linfa tale che comporti un’insufficienza linfatica è causa di linfedema.

Il linfedema è una patologia in cui la linfa, ancora fluida ma iperproteica, e tessuto  fibrotico neoformato sconvolgono la struttura della matrice extracellulare dermica ed ipodermica.

Eziologicamente si individuano due categorie di linfedema:

-       primario o congenito le cui cause insorgono durante lo sviluppo embrionale anche se gli effetti possono manifestarsi dopo la nascita (ipoplasia dei dotti linfatici);

-       secondario o acquisito ossia determinato da cause estrinseche (post chirurgico, infettivo, etc).

La diagnosi del linfedema è essenzialmente clinica, si basa su una accurata anamnesi, per ricercare una eventuale origine congenita o acquisita, su un accurato esame obiettivo (Segno di Stemmer; segno della Fovea, ballottabilità).

Il linfedema entra in diagnosi differenziale con tutte le patologie, centrali o periferiche, che si manifestano con edema: tra queste troviamo tutte le condizioni che portano ad aumento della permeabilità capillare (ipossia-flogosi-allergia-ustione-trauma-sepsi) o ad aumento della pressione idrostatica capillare (ipertensione venosa). Ma anche con le patologie che comportano aumento del  volume plasmatico da ritenzione di sodio e acqua o da ostruzione o rallentamento del flusso come nelle flebopatie o nello scompenso cardiaco. Ed ancora con tutte le patologie che causano riduzione della pressione oncotica plasmatica da ipoalbuminemia (sindrome nefrosica; enteropatie; cirrosi epatica; malnutrizione; malassorbimento). E per concludere con il Mixedema nell’ipotiroidismo.

Si distinguono 5 stadi di malattia:

Stadio 1: linfedema subclinico in cui vi è una minima evidenza di edema distale; rapida risoluzione in posizione antideclive e durante il riposo notturno; riscontro linfoscintigrafico di minima alterazione anatomica delle vie linfatiche.

Stadio 2: edema persistente che si aggrava nel corso della giornata e che regredisce con difficoltà in posizione antideclive e durante il riposo notturno; riscontro linfoscintigrafico di severa alterazione anatomica delle vie linfatiche.

Stadio 3: edema persistente che non regredisce in posizione antideclive complicato da ricorrenti infezioni sottocutanee e cutanee (linfangite/erisipela) con evoluzione verso la linfangio-sclerosi.

Stadio 4: fibro-linfedema con arto a “colonna”, pachidermia e verrucosi cutanea linfostatica.

Stadio 5: elefantiasi con deformazione dell’arto, impotenza funzionale e alterazione del trofismo cutaneo (micosi e ulcere)2.

Per quanto riguarda la cura del linfedema c’è da comprendere che è una patologia cronica ed inguaribile, ma tra inguaribile ed incurabile c’è una differenza enorme!

Esistono infatti terapie che migliorano le condizioni cliniche che stabilizzano la progressione della malattia e migliorano la qualità della vita del paziente.

L’Imperativo è: curarsi il prima possibile, nel posto giusto e nel modo giusto1.

Il Gold standard terapeutico per la decongestione è il trattamento fisico decongestivo complesso o combinato (CDP)

Il CDP è solo il trattamento fisico del linfedema, il paziente ha bisogno però anche  di un progetto terapeutico individuale costituito da una terapia farmacologica pro-linfocinetica, antibiotica, ortopedica, di programmi nutrizionali e di un supporto psicologico. Tutto ciò rientra nella più complessa “presa in carico” del paziente affetto da linfedema.

 

La decongestione è il fulcro attorno cui ruota tutta la terapia ed è suddivisa in tre fasi:

  • CDP1: programma intensivo di decongestione volto a ridurre il volume, attraverso bendaggi e linfodrenaggio, a trattare la fibrosi e curare le lesioni trofiche;
  • CDP2: consiste nella stabilizzazione dell’edema e terapia della fibrosi, entra in gioco il tutore elastico;
  • CDP3: fase di mantenimento o self management, che non significa self treatment, ossia il paziente impara ad autogestire alcune fasi dell’edema ma relazionandosi sempre con i medici di riferimento.

Le controindicazioni alla CDP sono: presenza di Trombosi venosa profonda, l’insufficienza cardiaca, le Neuropatie periferiche e le Arteriopatia periferiche con ABI< 0,8.

L’aspetto fondamentale da comprendere per la terapia del linfedema è che I programmi monoterapici risultano scarsamente efficaci, per nulla efficienti e fini a se stessi3.

La terapia farmacologia si avvale di numerosi farmaci e fitoterapici in grado di intervenire sui diversi processi metabolici cellulari ed extracellulari che vengono alterati dalla stasi linfatica protratta. Tra questi si annoverano: alcalinizzanti, antiossidanti, immunomodulatori, antinfiammatori, vasoprotettori, proteolitici, linfangio stimolanti, antibiotici etc.

Nel linfedema non bisogna somministrare mai diuretici, perché questi ultimi determinano un ulteriore aumento di viscosità della linfa, depauperandola della componente liquida a favore della componente corpuscolata.

Il trattamento chirurgico del linfedema è da riservarsi per i pazienti di stadio 2 e 3 nei quali i protocolli di terapia fisica combinata siano risultati inefficaci.

Esistono due tipologie di interventi:

  • Derivativi:  consentono di drenare il flusso linfatico nel sistema venoso superficiale mediante la realizzazione di anastomosi linfatico-venose. Lo scopo di questi interventi è di superare l’ostacolo ostruttivo sfruttando la via di deflusso venosa. È una tecnica utilizzata per il linfedema degli arti e dei genitali esterni.
  • Interventi ricostruttivi con autoinnesto di vasi linfatici: consistono nel prelievo di un collettore linfatico dall’arto inferiore e nella sua trasposizione a cavallo del cavo ascellare per la realizzazione di anastomosi linfo-linfatiche. È una tecnica utilizzata principalmente per il trattamento del linfedema dell’arto superiore.

BIBLIOGRAFIA

  1. Società Italiana di Flebologia. Linee-guida flebo-linfologiche SIF-SICVE 2016. https://www.societaitalianaflebologia.it/linee-guida-flebo-linfologiche-sif-sicve-2016/
  2. Agus GB, Allegra C, Arpaia G, et al. Linee Guida Collegio Italiano di Flebologia. Revisione 2013.  Acta Phlebol 2013; 14, Suppl. 1: 1-160.
  3. International Society of Lymphology. Linee Guida 2013. https://www.internationalsocietyoflymphology.org