Anno Accademico 2018-2019
Vol. 63, n° 4, Ottobre - Dicembre 2019
Simposio: Infezioni ospedaliere: un problema emergente
14 maggio 2019
Simposio: Infezioni ospedaliere: un problema emergente
14 maggio 2019
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Le polmoniti nosocomiali nell’anziano sono un problema emergente nei reparti di Medicina e di Chirurgia Generale, colpiscono prevalentemente le persone sopra i 70 anni in quanto pazienti ritenuti più “fragili”. In particolare i pazienti che hanno più patologie sono difficili da trattare perché il loro stato di salute è più compromesso.
Si definisce “polmonite acquisita in ospedale” (HAP) un’infezione polmonare che si sviluppa oltre le 48 ore dopo il ricovero, diagnosticata sulla base della presenza di infiltrato polmonare alla radiografia e da segni in infezione: febbre, escreato purulento, leucocitosi, peggioramento degli scambi gassosi. Mentre fino a qualche anno fa le HAP comprendevano sia le polmoniti associate alla ventilazione meccanica (VAP) sia le altre polmoniti nosocomiali, le ultime linee guida considerano HAP e VAP come due entità nosologiche distinte. Le HAP includono sia le polmoniti contratte in terapia intensiva (ICUAP) sia quelle contratte nei reparti per acuti (NIAP) che hanno caratteristiche diverse.
Le HAP vanno distinte a seconda del tempo di insorgenza in quanto il tipo di batterio è diverso: se il tempo di insorgenza è precoce (prima dei 5 giorni di ricovero) il batterio interessato può essere H. influenzae, S. pneumoniae o S. aureus sensibile alla meticillina (MSSA); se il tempo di insorgenza è tardivo (dopo i 5 giorni di ricovero) potremmo avere Bacilli Gram-negativi aerobi, P. aeruginosa, Enterobatteriacae o S. aureus resistente alla meticillina (MRSA)1.
Si ritiene opportuno a questo punto specificare chi è l’anziano “fragile”: Fried e colleghi2 hanno definito la fragilità come “una sindrome fisiologica caratterizzata dalla riduzione delle riserve funzionali e dalla diminuita resistenza agli “stressors” risultante dal declino cumulativo di sistemi fisiologici multipli che causano vulnerabilità e conseguenze avverse”, mentre Gobbens e colleghi3 definiscono la fragilità come “uno stato dinamico che colpisce un individuo che sperimenta perdite in uno o più domini funzionali (fisico, psichico, sociale), causate dall’influenza di più variabili che aumentano il rischio di risultati avversi per la salute”.
Ma quali sono i segni che caratterizzano uno stato di fragilità? In letteratura i segnali che possono far intendere che vi è un iniziale stato di fragilità sono cinque: perdita di peso (maggiore di 4,5 Kg nell’ultimo anno); affaticamento (sentire fatica in almeno 3 giorni a settimana); riduzione della forza muscolare; ridotta attività fisica; riduzione della velocità del cammino. La fragilità espone più facilmente l’anziano alle infezioni ospedaliere.
Anche se in Italia non esiste un sistema di sorveglianza stabile, sono stati condotti numerosi studi multicentrici di prevalenza; da questi studi si può stimare che in Italia il 5-8% dei pazienti ricoverati contrae un’infezione ospedaliera. Ogni anno, quindi, si verificano in Italia 450-700 mila infezioni in pazienti ricoverati in ospedale (soprattutto infezioni urinarie, seguite da infezioni della ferita chirurgica, polmoniti e sepsi). Di queste, si stima che circa il 30% siano potenzialmente prevenibili (135-210 mila) e che siano direttamente causa del decesso nell’1% dei casi (1350-2100 decessi prevenibili in un anno)4. Secondo uno Studio5 l’incidenza delle polmoniti nosocomiali (HAP + VAP) è di circa 21 casi su 1000 ricoveri (HAP circa il 60% dei casi), mentre altre casistiche riportano una incidenza di 0.2 – 2 casi su 100 pazienti (NIAP + ICUAP). La corretta epidemiologia delle polmoniti nosocomiali non è facilmente rilevabile; infatti diversi studi hanno stimato l’incidenza di queste polmoniti sulla base della revisione di cartelle cliniche o dei dati amministrativi, mentre altri studi hanno mostrato che nei pazienti classificati (e trattati) come HAP mancava la conferma radiologica nel 35% dei casi. Inoltre il sospetto clinico di HAP viene confermato solo nel 50% dei casi e meno del 60% dei pazienti con sospetto di polmonite aveva la combinazione di elementi clinici necessari alla diagnosi di HAP.
Sicuramente le infezioni nosocomiali oggi costituiscono una vera e propria emergenza sanitaria, perché è sempre più frequente la resistenza dei batteri agli antibiotici. Si calcola infatti che addirittura 1 paziente su 2 muoia in seguito a infezione nosocomiale sostenuta da batteri multiresistenti. Secondo una recente indagine della rivista “The Economist” nel 2050 le infezioni batteriche causeranno circa 10 milioni di morti ogni anno, superando i decessi per tumore (8,2 milioni), per diabete (1,5 milioni), per incidenti stradali (1,3 milioni) con una previsione di costi che potrebbe superare i 100 trilioni di dollari. L’OMS ha lanciato fin dall’ottobre 2015 il Global Antimicrobial Resistance Surveillance System (GLASS) per supportare un piano di azione globale sulla resistenza antimicrobica, al fine di rafforzare e aiutare il processo decisionale sulla antibioticoresistenza e guidare le azioni regionali, nazionali e globali. Tra i batteri ultraresistenti più importanti responsabili delle infezioni nosocomiali vi sono gli enterobatteri, in particolare Klebsiella pneumoniae resistente ai carbapenemi (CRE) e Pseudomonas aeruginosa ultraresistente6.
La causa più frequente della HAP è la microinalazione di batteri che colonizzano l’orofaringe e le vie aeree superiori in pazienti gravi. Nei pazienti non intubati, i fattori di rischio comprendono i precedenti trattamenti antibiotici, il pH gastrico elevato (in seguito a terapia o profilassi per le ulcere da stress con anti-H2 o con inibitori della pompa protonica) e la presenza concomitante di insufficienza cardiaca, respiratoria, epatica e renale7.
Riassumendo i maggiori fattori di rischio sono: l’età avanzata, la debilitazione funzionale, l’insufficienza renale cronica, la BPCO, l’anemia, la neoplasia, la malnutrizione, le alterazioni dello stato di coscienza, le ospedalizzazioni ripetute, la chirurgia addominale o toracica e gli inibitori di pompa protonica.
I patogeni e i quadri di resistenza agli antibiotici variano in modo significativo tra i diversi centri e possono variare all’interno dello stesso centro in brevi periodi (es., da un mese all’altro). Gli antibiogrammi locali a livello istituzionale che vengono aggiornati regolarmente sono essenziali per la determinazione della terapia antibiotica empirica appropriata. In generale, gli agenti patogeni più importanti sono Pseudomonas aeruginosa, Staphylococcus aureus meticillino-sensibile e MRSA. Altri importanti patogeni comprendono batteri Gram-negativi enterici (principalmente Enterobacter sp, Klebsiella pneumoniae, Escherichia coli, Serratia marcescens, Proteus sp e Acinetobacter sp). S. aureus meticillino-sensibile, Streptococcus pneumoniae, e Haemophilus influenzae sono i microrganismi più comunemente implicati quando la polmonite si sviluppa nei primi 4-7 giorni di ospedalizzazione, mentre P. aeruginosa, MRSA e microrganismi enterici Gram-negativi diventano i più comuni col prolungarsi dell’intubazione o dell’ospedalizzazione8.
Le Linee Guida del 2016 raccomandano cicli di antibiotico-terapia di durata non superiore ad una settimana, indipendentemente dall’agente eziologico, ovviamente nei pazienti che beneficiano di un miglioramento clinico con il trattamento impostato. Raccomandano che ciascuna struttura ospedaliera possa fornire un antibiogramma locale, ovvero che si venga a conoscenza delle resistenze che si sviluppano nei vari nosocomi e che ci si basi sull’epidemiologia locale delle infezioni. L’antibiogramma dovrebbe essere specifico per i pazienti ricoverati nelle Terapie Intensive, e dovrebbe essere aggiornato regolarmente. Lo scopo è quello di individuare i patogeni specificamente associati a HAP e VAP per assicurare tempestivamente un adeguato trattamento, cercando di minimizzare gli abusi di terapia antibiotica e gli effetti collaterali8.
Il trattamento dei pazienti con polmonite nosocomiale ad insorgenza precoce dovrebbe essere basato sui singoli rischi, sulla gravità della situazione clinica (shock), sulla frequenza e sul tipo di patogeni. Nei pazienti con HAP a esordio precoce che sviluppano shock settico è raccomandato un trattamento empirico ad ampio spettro contro P. aeruginosa ed organismi produttori di ESBL. Inoltre l’MRSA dovrebbe essere coperto se prevalente nell’unità (cioè se maggiore del 25% la probabilità di S. aureus nell’unità)9.
Gli antibiotici a largo spettro multipli non dovrebbero essere usati di routine, al fine di prevenire tossicità correlate al farmaco, come insufficienza renale dovuta all’uso di farmaci nefrotossici aminoglicosidi e vancomicina, ma potrebbero essere necessari in pazienti selezionati9.
In conclusione va evidenziato che la polmonite nosocomiale è comune anche nei reparti non intensivi ed è gravata di una considerevole mortalità e morbilità. I pazienti ospedalizzati in reparti generali hanno quindi necessità di essere monitorizzati per ottenere una rapida identificazione di questa patologia, ma dato che la diagnosi di polmonite nosocomiale può essere difficoltosa a causa di presentazioni atipiche, è consigliabile l’utilizzo di percorsi diagnostici basati su dati clinici, di laboratorio, radiologici e microbiologici, seguendo un approccio multidisciplinare. Appare inoltre necessario identificare i patogeni causali più probabili in ogni struttura sviluppando protocolli microbiologici al fine di ottenere campioni adeguati e standardizzati. La diffusione delle polmoniti nosocomiali può essere contrastata intervenendo sui fattori di rischio modificabili e scegliendo la strategia antibiotica più efficace, infatti l’adeguatezza della terapia antimicrobica iniziale migliora nettamente la prognosi. Infine la riduzione graduale e l’accorciamento della terapia antibiotica sono approcci rilevanti per ridurre l’insorgenza di ceppi resistenti e quindi per ridurre al minimo il fallimento del trattamento1.
BIBLIOGRAFIA