Anno Accademico 2018-2019
Vol. 63, n° 4, Ottobre - Dicembre 2019
Conferenza: Ecologia della mente. La “sindrome da disagio esistenziale cronico”: una nuova dimensione in prevenzione cardiovascolare?
11 giugno 2019
Accademico dell’Accademia Lancisiana. Specialista in Cardiologia. Già Docente alle Scuole di Specializzazione in Cardiologia delle Università di Catania, di Chieti e dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma. Già Direttore della rivista Cardiology Science
Conferenza: Ecologia della mente. La “sindrome da disagio esistenziale cronico”: una nuova dimensione in prevenzione cardiovascolare?
11 giugno 2019
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Origine del concetto di stress
Lo stress esprime forse più di ogni altra caratteristica, lo spirito e la cultura del XX secolo. A definire il concetto biologico di stress, fu intorno agli anni ’30 del ’900 e negli anni successivi, Hans Selye1-3 dimostrando che fattori di disturbo ambientali ed endogeni, erano potenzialmente in grado di indurre negli organismi superiori un aumento degli ormoni surrenalici, come cortisolo, adrenalina e noradrenalina. Queste reazioni potevano indurre in molti “organi bersaglio” ed in particolare sull’apparato cardiovascolare, effetti che possiamo definire “stressanti”, responsabili di numerose malattie.
Dallo stress fisico allo stress psicoemotivo
Nei decenni successivi la ricerca biologica dimostrò che anche situazioni sperimentali di stress psicologico, sia endogeno che correlato all’ambiente sociale, erano in grado di favorire la comparsa di cardiopatie. Non solo fattori stressanti fisici, come traumi od eccessive variazioni termiche, ma anche particolari situazioni di disagio ambientale, come l’aggressività di animali “dominanti” o il sovraffollamento delle gabbie potevano causare conseguenze analoghe a quelle degli stress fisici4.
La ricerca di laboratorio aveva così individuato le premesse biologiche per lo sviluppo della medicina psicosomatica. Ricerche di popolazione dimostrarono infatti che le intuizioni di Selye sullo stress potevano essere applicate anche all’uomo (Fig. 1). L’incidenza delle malattie cardiovascolari era infatti maggiore in gruppi di soggetti sottoposti a particolari situazioni di disagio lavorativo od economico5-9 (disoccupazione, ritmi di lavoro, instabilità e frustrazioni lavorative, o responsabilità improprie ecc.)9, 10 o di squilibrio affettivo, come divorzio, disaffettività, lutti o conflitti familiari11.
Negli ambienti della ricerca epidemiologica si stava facendo strada il passaggio dal concetto tradizionale di ecologia ambientale a quello di ecologia della mente.
Fig. 1. Re Assurbanipal che uccide un leone. Ninive (645-635 a.C.) Le ricerche di Selye dimostrano che stimoli fisici inducono negli organismi una reazione ormonale capace di causare specifiche alterazioni organiche (stress fisico). Si vide poi che situazioni di particolare intensità e durata potevano indurre analoghe reazioni (stress psicosomatico). Sin dall’inizio della storia l’aggressione di una fiera è stata emblematica di uno stress psicosomatico.
I fattori di “rischio coronarico”
Contemporaneamente, la ricerca stava individuando chiaramente i principali fattori di rischio cardiovascolare i quali, condizionavano un aumento delle malattie coronariche. Salirono così sul banco degli imputati il colesterolo, il fumo, l’ipertensione arteriosa, il diabete12. Era logico pensare che la lotta ai fattori di rischio avrebbe potuto ridurre le malattie coronariche. E così fu. Le popolazioni che adottarono migliori stili di vita videro nettamente ridurre la prevalenza delle malattie cardiovascolari. L’educazione sanitaria, stava dando i suoi frutti. Era nata la prevenzione cardiovascolare13.
Infartuati senza fattori di rischio
Ma i problemi non erano tutti risolti. Negli ultimi anni è stata infatti individuata una quota di infartuati che andavano incontro all’infarto senza presentare alcun apparente fattore di rischio; non fumatori né ipertesi, obesi o diabetici ecc.
Di Pasquale e coll.14 definiscono “tutt’altro che rara” l’evenienza di infarto senza fattori di rischio. Apparentemente questa quota sembra peraltro lasciare un margine piuttosto ristretto alle strategie di prevenzione. Gli studi INTERHEART15 e INTERSTROKE16 hanno infatti valutato nel 10% circa questi soggetti. In realtà l’impatto clinico di questa percentuale, relativamente modesta, supera una valutazione meramente numerica e rischia di essere sottovalutato se non si tiene presente14 la genesi multifattoriale dell’infarto, che presuppone che nell’infarto siano numerosi i fattori che esplicano in maniera variamente combinata la loro funzione di induttori di rischio, il che consente di affermare che un singolo fattore possa assumere un peso clinico reale superiore a quello calcolato per quel dato fattore di rischio in maniera isolata.
Scarso successo ebbe in questi casi di infarto anche la ricerca di fattori di rischio “minori”. Lontana è anche la prospettiva di individuare eventuali fattori genetici14 predisponenti. Non univoche e discutibili risultano anche le applicazioni cliniche degli studi sulla personalità17-23.
I fattori di protezione del rischio cardiovascolare
Si sta facendo allora strada l’ipotesi che al di là dei fattori clinici e biologici di rischio, ormai ben conosciuti, e in particolare delle altrettanto note e specifiche situazioni di evidente stress psicosociale, negli infartuati che apparentemente non presentano situazioni di rischio, la predisposizione possa essere ricercata in fattori psicosomatici sfuggenti e subliminali, ma persistenti, fino a configurare nel tempo vere e proprie situazioni predisponenti al rischio psicosomatico.
Questa ipotesi sembra essere avvalorata da alcune recenti ricerche epidemiologiche su popolazioni, relative all’esistenza di possibili fattori psico-culturali di protezione. Sarebbero ad esempio a favore di questa ipotesi i numerosissimi studi che dimostrano gli effetti protettivi di una vita vissuta all’insegna dell’ottimismo24.
Orientamenti mentali di tipo “positivo” potrebbero compensare infatti i fattori negativi dello stress che caratterizzano la cultura “occidentale”. Anche ai tempi della formulazione originaria della teoria dello stress, si parlava peraltro di stress di tipo negativo (distress) e di tipo positivo (eustress). Lo stesso Selye parlava a questo proposito dello stress come possibile “sale della vita”3. (Fig. 2).
Fig. 2. Ulisse e le sirene. Vaso ateniese (tardo VII sec. a.C, fine V sec.) Lo stress non è sempre una situazione negativa (distress). Selye afferma che può esistere una situazione di stress positiva (eustress). Può costituirne un esempio l’incontro di Ulisse con le sirene, in cui l’astuzia consente all’eroe di godere senza danni il canto ammaliatore delle sirene.
Può quindi ipotizzarsi che gli infartuati senza chiari fattori di rischio siano l’epifenomeno di alterazioni dell’”ecologia della mente” caratterizzate da uno squilibrio fra fattori predisponenti (ormoni dello stress) e fattori protettivi, (“neuro modulatori del piacere”), innescato da un cronico disagio esistenziale.
Le endorfine: i neuromodulatori del piacere
La ricerca sui neurotrasmettitori cerebrali ci ha fornito le basi per la comprensione di numerose situazioni neuropatologiche. Basti pensare al ruolo della serotonina e della dopamina e di altri neurotrasmettitori nel campo delle depressioni nervose, alle quali, non a caso, viene oggi riconosciuto un ruolo negativo sulla salute cardiovascolare.
Analogo potrebbe essere il ruolo delle endorfine (neuro peptidi individuati nel 1975)25 nella comprensione dei possibili effetti protettivi nei confronti delle malattie cardiovascolari da parte delle sensazioni genericamente “piacevoli”26. Tramite le loro proprietà di neurotrasmettitrici di sensazioni di benessere e di armonia interiore le endorfine potrebbero costituire così il veicolo biologico per una buona ecologia della mente (Fig. 3). È dimostrato ad esempio che ridere27 e in genere l’essere di buon umore non solo rallegrano la mente, ma prolungano la vita, parallelamente ad un aumento del livello di endorfine nell’organismo.
Fig. 3. Rappresentazione schematica di una sinapsi tra neuroni cerebrali. La connessione fra i due neuroni è resa possibile dalla secrezione di specifici neurotrasmettitori (fra cui le endorfine).
Le endorfine, definite anche “oppioidi endogeni”, sono sostanze capaci, proprio come l’oppio, di indurre sensazioni di piacere e di benessere e un miglioramento del tono dell’umore. Le endorfine assumerebbero in tal modo la specifica funzione di trasmettere e rendere percepibili le sensazioni di piacere indotte dalle più disparate situazioni ambientali o cognitive endogene e di trasformare gli stimoli sensoriali provenienti dalle sollecitazioni positive dell’ambiente in sensazioni piacevoli.
Sembrerebbe così chiudersi il cerchio delle conoscenze delle basi biologiche delle connessioni fra organismo e ambiente, con le endorfine come trait d’union biologico fra le sollecitazioni ambientali e la percezione e l’elaborazione interiore delle stesse.
L’attività sportiva, l’ottimismo, la Fede religiosa e la Meditazione Trascendentale alla luce dell’effetto endorfinico.
Numerosi studi affermano che uno stile di vita genericamente “positivo” e ottimistico avrebbe un valore preventivo nelle malattie cardiovascolari28 (Fig. 4).
Fig. 4. J. Mirò. Il sorriso dalle ali fiammeggianti (1953). Dalla composizione grafica di Mirò traspare una piacevole sensazione di intensa allegria. Il buon umore e l’ottimismo esercitano un effetto protettivo nella prevenzione delle malattie cardiovascolari.
Altri studi epidemiologici suggeriscono che anche la Fede e la partecipazione alle pratiche religiose29 avrebbero effetti positivi sulla salute cardiovascolare. Fra questi, alcuni studi che osservano tassi più bassi di mortalità in coloro che prendono parte ai servizi religiosi30-32. Nelle popolazioni ispanoamericane, ad esempio, e specialmente fra gli anziani, frequentare la chiesa almeno una volta alla settimana sembra comportare un rischio di mortalità ridotto del 32%31. È possibile attribuire tali positive osservazioni ad effetti indotti da questi stili di vita e comportamenti sui fattori neuroautonomici che predispongono alle cardiopatie (es. equilibrio respiratorio, della pressione arteriosa e del tono vago-simpatico)29.
È stata riscontrata una consistente correlazione fra soddisfazione di vita e religiosità33, osservazione che acquista particolare interesse alla luce delle attuali conoscenze sulle endorfine, neuro modulatori cerebrali delle sensazioni di piacere e di soddisfazione.
Analoghe sono le osservazioni sulle correlazioni osservate fra pratica della Meditazione Trascendentale (M.T.) e salute cardiovascolare29. Alcune ricerche su gruppi di popolazione hanno infatti rilevato in soggetti dediti alla M.T. un ridotto tasso di mortalità, in particolare cardiovascolare (fino al 49%)34. È anche probabile che uno dei meccanismi dell’effetto protettivo della M.T. sia mediato da un ottimale controllo della pressione arteriosa35, 36.
Pratica religiosa, Fede, ottimismo, attività sportiva e Meditazione Trascendentale, a prima vista attività e atteggiamenti fra loro non assimilabili, trovano tuttavia un denominatore comune nella possibilità di indurre nell’individuo, sensazioni di soddisfazione, di pace interiore, di benessere e di serenità, la soddisfazione di profonde necessità psicoemotive e un’accresciuta capacità di coping33.
Ricerche ben più ampie e controllate sono tuttavia necessarie per l’acquisizione di dati indiscutibili sui reali effettivi effetti cardiovascolari positivi di una vita più attenta agli aspetti spirituali dell’esistenza.
Recenti studi hanno dimostrato che l’attività sportiva, che come è noto, oltre a migliorare il tono dell’umore, riduce l’incidenza di malattie cardiovascolari, induce parallelamente un aumento della produzione endogena di endorfine37, 38.
Alla luce delle conoscenze sugli effetti positivi delle endorfine sul tono dell’umore non può quindi escludersi un ruolo protettivo delle endorfine, finora sconosciuto o sottovalutato, e può avanzarsi la ragionevole ipotesi che queste sostanze esercitino un effetto protettivo tale da controbilanciare gli effetti patogeni degli ormoni dello stress. Negli infartuati senza apparenti fattori di rischio sarebbe dunque da approfondire l’ipotesi che una situazione di squilibrio neuro-ormonale correlabile a carenze di sostanze di tipo endorfinico, possa essere la base biologica della possibilità di una compromissione di un’ottimale ecologia della mente.
L’ecologia della mente
Il concetto di ecologia della mente, nell’accezione che qui di seguito sarà delineata, può assumere valenze patogenetiche più ampie rispetto a quelle documentate in larghe popolazioni, attribuibili a ben determinate situazioni di squilibrio psicoambientale e può rappresentare il punto di convergenza fra il tipo di personalità del soggetto e le situazioni subcliniche di potenziale distress ambientale.
Il termine generico di ecologia (da oikos = casa e logos = discorso), che ha superato il secolo di vita, è stato introdotto come una nuova scienza per lo studio dei rapporti fra organismo ed ambiente.
Relativamente più recente è il termine di “ecologia della mente” che è stato introdotto dallo psicologo e antropologo Gregory Bateson che ne ha esposto i principi nel suo libro “Verso un’ecologia della mente”, pubblicato in Italia nel 197739.
La mente come sistema olistico
Il concetto di olistico, con il quale Bateson etichetta il funzionamento della mente, è qui da considerare nella sua dimensione più significante, secondo la quale il termine esprime il concetto che in un sistema, il Tutto non è semplicemente riconducibile alla somma delle parti, ma ha un valore superiore alla somma delle parti stesse.
In questo senso una buona ecologia della mente si basa su un’armonica interdipendenza fra le diverse funzioni mentali (apprendimento, memoria, linguaggio ecc.) (Fig. 5). La mente sarebbe cioè assimilabile a una rete neuronale unitaria, complessa, dinamica e interattiva in cui funzioni cognitive, emotive, affettive e viscerali costituiscono un tutt’uno fortemente interdipendente. In particolare Bateson afferma la necessità, per una buona ecologia della mente, dell’esistenza di un’ottimale armonia fra la componente razionale della mente umana e quella preposta ai processi di tipo emozionale e passionale. Gli antichi Greci avevano peraltro già intuito come un ottimale equilibrio fra pulsioni dionisiache ed apollinee fosse una premessa necessaria per l’equilibrio psicosomatico40, 41.
Fig. 5. Rappresentazione schematica del cervello secondo la tecnica PEC (da un articolo di G. Cherubini. Internet, 2017). Il cervello deve essere considerato un organo unitario (olistico), caratterizzato dall’interdipendenza fra le diverse funzioni mentali, che garantisce una buona ecologia della mente.
La compromissione di questa unitarietà della mente umana potrebbe, secondo Bateson essere alla base di alcune malattie psichiatriche come la schizofrenia. Considerando le ben note connessioni psiconeuroendocrinoimmunologiche, non è quindi arbitrario pensare che molte altre situazioni patologiche su base psicosomatica possano essere ricondotte a disarmonie dell’ecologia della mente.
Rapporti uomo-ambiente
Un secondo pilastro per una buona ecologia della mente è rappresentato, secondo Bateson, da un buon inserimento dell’individuo nel suo ambiente (Fig. 6).
Fig. 6. Napoleone Nani. Passeggiata sul lago (XIX sec.) Uno dei pilastri per una buona ecologia della mente è rappresentato da un buon inserimento dell’individuo nel suo ambiente naturale.
Alla visione olistica del funzionamento della mente corrisponde, secondo Bateson, una visione altrettanto integrata nei rapporti fra uomo e ambiente, condizione per una buona salute psicosomatica.
“L’uomo si considera signore e padrone di una natura da sfruttare e manipolare secondo finalità individuali… distrugge il proprio ambiente e non si accorge di distruggere sé stesso”
In questo ambito l’Autore introduce il concetto di “intossicazione” della mente da parte dei concetti e delle immagini diffuse dai media, come ad esempio nelle malattie da videodipendenza, (sindromi da smartphone e da internet)42.
Negli ultimi decenni si è verificata nell’attuale cultura una vera e propria “mutazione antropologica” negativa, che sta soffocando ogni forma di autentica comunicazione.
A questo proposito, Bateson lancia un grido di allarme contro tutte le forme di “inquinamento mentale”, possibili cause di patologia psicosomatica.
All’homo faber è succeduto l’homo informaticus43, espropriato della propria individualità dall’invadenza dei media, che interferiscono sulla sua autonomia di giudizio e sulla sua creatività. A quando la definitiva estinzione del sapiens, soppiantato dallo stupidus?44
Il cielo dell’ecologia della mente si sta oscurando come il cielo di Pechino. Bateson parla a questo proposito di ecopatie urbane (Fig. 7). Le città sono sempre più invivibili a causa della frenesia dei ritmi lavorativi e dell’aggressività dilagante.
Fig. 7. Umberto Boccioni. La città che sale (1910). Nelle grandi città le caratteristiche di inquinamento psico-fisico possono indurre specifiche situazioni morbose (ecopatie urbane).
L’ecologia delle mente e le malattie collettive dello spirito contemporaneo.
L’ecologia della mente ha dimensioni spirituali e valoriali che si stanno progressivamente impoverendo, privando così l’uomo delle ideologie che lo avevano sostenuto per millenni45.
In quest’ottica, medici, antropologi, sociologi e psicologi hanno individuato le principali malattie collettive dello spirito contemporaneo, quali, fra le altre, l’egoismo, la paura del diverso, il senso di onnipotenza della scienza, l’aggressività sociale, il tramonto delle ideologie spirituali, l’urgenza del tempo, il materialismo o il consumismo. E non ultima l’indifferenza verso il prossimo e il distaccato disinteresse per le conseguenze dei nostri comportamenti. Un atteggiamento di deresponsabilizzazione, distruttivo sia a livello individuale che collettivo, che si configura come una vera e propria socioapatia, capace di toglierci ogni soddisfazione esistenziale relativa alla risonanza emotiva interiore dei nostri atti46.
Ognuna di queste caratteristiche negative dell’attuale cultura può lasciare la sua impronta sull’ecologia delle mente del singolo e causarne possibili distorsioni. Il coraggio di andare controcorrente, proponendosi interessi e desideri che corrispondono alle più autentiche necessità interiori piuttosto che agli obiettivi delle mode culturali del momento, può costituire un buon antidoto all’appiattimento esistenziale47.
L’ecologia della mente come conciliazione degli opposti
La fisiopatologia ci insegna i possibili effetti cardiovascolari degli squilibri della bilancia psicosomatica derivanti da asimmetrie degli opposti poli fisiologici, caratteriali o comportamentali. Fra questi gli squilibri vago-simpatico, ormonali o neuro-recettoriali, che si acuiscono in occasione di eventi stressanti (eccesso di partecipazione-indifferenza, ansia-apatia, depressione-sfida esistenziale ecc.)40, 43.
Un filo denominatore comune unisce queste situazioni di potenziali antitesi di fronte alle quali il paziente è spesso costretto a fare scelte, obbligate o spontanee, ma comunque in grado di interferire in senso negativo sull’ecologia della mente.
Sarà allora compito del medico conquistare la fiducia del paziente, al fine di sensibilizzarlo alla percezione in sé di queste tensioni interiori e cercare insieme la conciliazione delle antitesi40, 41, 44.
L’equilibrio psichico, come armonia dinamica fra poli contrapposti, può essere proposto come base per una buona gestione delle situazioni stressanti e per una buona ecologia della mente43, 48, 49.
Che un evento stressante assuma le forme di eustress o di distress può dipendere quindi dall’esistenza di un buon rapporto medico-paziente50.
Individuato caso per caso lo specifico problema, sarà necessario impostare un dialogo costruttivo per orientare il paziente nella scelta del difficile equilibrio fra l’antiteticità delle sue pulsioni48, 49, 51, il medico si dovrà prefiggere lo scopo di individuare la “misura” ottimale fra azione e pensiero e di farsi mediatore fra eccesso di partecipazione ed isolamento, esasperato autocontrollo ed esuberante spontaneità, alla ricerca del difficile equilibrio tra frustrante attesa e scomposta decisionalità, usurante partecipazione affettiva e indifferenza, esasperato individualismo e rassegnata autosvalutazione, sano ottimismo e sfiducia40, 41.
Per il medico saranno necessari non solo una compiuta preparazione tecnologica46, 52, ma anche empatia, disponibilità al dialogo e fantasia, per fare della propria professione una vera e propria Ars Medica.
Il medico di fronte all’ecologia della mente
Su queste basi il medico dovrà affrontare i problemi dell’ecologia della mente come una dimensione della salute dell’uomo, che si occupa di tutto ciò che, nell’ambiente psicosociale, può interferire nell’armonia dei processi psichici del paziente, con le relative possibili ricadute patologiche. Sarà quindi non facile compito del medico valutare caso per caso l’esistenze di problemi di disagio esistenziale del suo paziente, cercando di individuarne le possibili espressioni patologiche.
Il cardiologo, ad esempio, dovrà occuparsi delle possibili radici psicosomatiche di molti casi di ipertensione arteriosa, di malattie coronarie e di aritmie. E ciò non solo sulle basi suggerite dalle ben note classiche ricerche epidemiologiche che hanno individuato situazioni specifiche e macroscopiche di disagio sociale, economico ed affettivo, ma anche tenendo presente l’esistenza di possibili situazioni più sfumate e spesso clinicamente subliminali capaci di “inquinare” l’ecologia della mente del suo paziente47.
Depressione nervosa e infarto
È ad esempio il caso delle forme conclamate di depressione nervosa, in cui la ricerca epidemiologica dimostra percentuali di rischio cardiovascolare ben definite50. Dopo un infarto miocardico, infatti, i soggetti che sviluppano un quadro depressivo conclamato presentano un rischio di mortalità cardiaca da 2 a 2.5 volte superiore rispetto agli infartuati non depressi, sia a breve che a lungo termine54.
È peraltro interessante rilevare che il rischio non è più significativo nei primi 6-12 mesi post-infartuali, ma in periodi di tempo più lunghi55, sottolineando la patogenetica della persistenza nel tempo della situazione depressiva (Fig. 8).
Fig. 8. A. Dürer. Melancolia (1514).
È anche interessante rilevare che l’incidenza di infarto miocardico aumenti anche in caso di forme depressive di scarsa entità14, 51, 52. Questi rilievi avvalorano l’importanza patogenetica in patologia cardiovascolare anche di situazioni lievi e spesso latenti di depressione, sottovalutate e trascurate dal medico e dallo stesso malato, spesso assimilabili sul piano clinico a situazioni di semplice disagio esistenziale cronico.
È stato inoltre rilevato che il trattamento farmacologico della depressione non migliora la prognosi cardiaca56, lasciando sottendere che la depressione non è di per sé la causa del peggioramento della prognosi cardiaca e suggerendo l’esistenza di un modello di multicausalità, in un quadro inestricabile di fattori di rischio veri e propri, cofattori e fattori scatenanti, con interferenze variabili, da ricercare di volta in volta in campo strettamente biologico, psicologico, ambientale, alimentare o socioeconomico. Ognuno di questi fattori può assumere in peso relativo variabile ed imprevedibile, non strettamente correlato alla presenza o meno di uno stato depressivo conclamato.
Sarà compito di un medico dotato di una specifica sensibilità all’approccio psicosomatico valutare nel singolo caso il peso relativo di ognuno dei fattori potenzialmente implicati, il saper cioè cogliere fin dall’inizio l’esistenza nel singolo paziente di situazioni subcliniche, configuranti situazioni di disagio esistenziale cronico.
Il disagio esistenziale cronico
Possiamo utilizzare questo termine a proposito di situazioni di “malessere” esistenziale, che raramente sfociano in quadri patologici veri e propri, ma che configurano comunque situazioni potenzialmente patogene, per lo più sfumate e spesso subliminali, di cui il paziente non sempre ha coscienza.
Queste situazioni di malessere esistenziale possono trovare di volta in volta alimento in motivazioni diverse: affettive, lavorative, caratteriali o più genericamente esistenziali che possono essere accomunate dalla possibilità di creare interferenze subcliniche, con esiti imprevedibili su eventuali ricadute a distanza dalla malattia organica di fondo a cui possono associarsi.
Il medico dovrà quindi dotarsi di una lente micrometrica di osservazione del paziente, per evidenziare qualsiasi motivazione di un latente disagio esistenziale, al fine di un intervento terapeutico e preventivo specifico, per il quale sarà spesso necessario un approccio interdisciplinare.
La cronobiologia, ad esempio, ci insegnerà che le variazioni della ritmicità della pressione arteriosa, sono spesso correlati a turbe dei ritmi sonno-veglia o lavoro-riposo o a fattori stagionali57.
Analogamente la psiconeuroendocrinoimmunologia può suggerirci la complessa rete di interconnessioni fra le aree corticali del cervello e i nuclei profondi della base come possibili vie attraverso le quali affettività, emozioni e squilibri dell’ecologia della mente, possono determinare patologie organiche, così come la possibile responsabilità di squilibri dei neurotrasmettitori implicati nel tono dell’umore come la serotonina o le beta-endorfine.
Nel valutare le possibili valenze patogene di questi fattori psicosomatici “minori”, il medico dovrà proporsi di “cogliere il disagio percepito dal paziente”58, almeno come concausa della primaria malattia organica.
Ogni malattia cronica può innescare una reazione psicosomatica. Questa può esprimersi secondo una scala di gravità che va da un vero e proprio stato depressivo, agli attacchi di panico, fino all’ansia generalizzata. Più spesso possono manifestarsi forme subcliniche di depressione.
Possiamo definire questi ultimi quadri come espressione di un disagio esistenziale cronico, cioè di una situazione di malessere esistenziale, come una “mancata sintonia con noi stessi o con l’ambiente59 che può esprimersi nella vita quotidiana sotto forma di timori, tensione nervosa, tristezza, scoraggiamento o senso di inadeguatezza. Il disagio non costituisce di per sé una situazione patologica clinicamente dimostrabile, ma può costituire una concausa di possibile valenza patogena in caso di cronicizzazione della malattia organica cronica di cui costituisce l’epifenomeno.
Numerose situazioni ambientali o endogene possono costituire le basi per una “sindrome da disagio esistenziale cronico”. Possono essere citate ad esempio le forme da carenze affettive, quelle correlate al lavoro od a fattori economici od a predisposizioni endogene legate al tipo di personalità (Fig. 9).
Fig. 9. J. H. Füssli Il silenzio (1799-1801).
È spesso lo stesso paziente che accenna alle proprie difficoltà in campo affettivo. Sono casi nei quali il tessuto affettivo del paziente può deteriorarsi insensibilmente, fino a sfociare in situazioni di indifferenza, e in una vera e propria intolleranza reciproca. L’evoluzione della situazione può essere strisciante fino ad apparire in tutta la sua potenziale virulenza psicosomatica solo in occasione di un colloquio col medico.
In altri casi il disagio esistenziale cronico è attribuibile a collocazioni lavorative percepite come insoddisfacenti da parte del paziente, che riferirà spesso al medico un’inspiegabile astenia cronica, instabilità del tono dell’umore o il graduale instaurarsi di una patologia cardiovascolare psicosomatica come aritmie o ipertensione arteriosa. “Talora è l’eccessiva organizzazione che trasforma gli uomini in automi, soffoca lo spirito creativo, toglie ogni possibilità di liberazione… con effetti disumanizzanti”60.
In tutti questi casi sarà compito del medico suggerire opportuni rimedi, come pause del lavoro, dedicate alla soddisfazione di interessi più autentici, fino al cambiamento del tipo di lavoro.
Talora il disagio esistenziale ha radici in una mancata sintonia con l’ambiente, nel senso più lato del termine e che può manifestarsi nel tempo come patologia da ecologia della mente. L’inquinamento ambientale si manifesta infatti con modalità sempre più subdole e ad essere alterato è spesso proprio il rapporto fisico e mentale dell’uomo di fronte alla natura e all’ambiente.
Dovremmo forse imparare da alcune popolazioni primitive che tuttora, prima di intraprendere una qualsiasi attività agricola o personale, chiedono il permesso agli spiriti degli antenati incarnati negli alberi sacri del villaggio. Ci salverà forse una nuova sensibilità animistica verso la natura e i suoi spiriti?
Forme di disagio di tipo psicologico si elaborano talora per la percezione subliminale da parte del soggetto del senso di vuoto di valori e di significati nella propria esistenza, cui possono essere legate sensazioni non percepite di carenza, di autosvalutazione e di colpa. Apatia, noia e disinteresse per ogni aspetto della vita si accompagnano a queste forme di disagio.
Più difficile è la valutazione del disagio esistenziale su base filosofica tratteggiato da Kierkegaard nell’ottocento58. È una forma che porta spesso alla disperazione e all’angoscia, correlate alla condizione di incertezza per la totale libertà di ogni scelta umana, una forma fatalmente connaturata alla stessa condizione umana.
Sta quindi al medico far emergere queste situazioni di disagio esistenziale, sinteticamente finalizzando ogni suo intervento alla trasmissione al suo paziente della consapevolezza della grandezza e della potenziale felicità insite nella natura e nell’agire dell’uomo e nel contempo dei limiti della natura umana e all’accettazione, come eventi naturali della sofferenza e della morte stessa61. L’analisi delle forme di disagio esistenziale del paziente dovrà, quando possibile, essere allargata alla luce delle malattie collettive dello spirito contemporaneo62, proponendo eventualmenteidonei interventi sociologici o psicoterapeutici.
Anche se sul piano pratico proporre un tale tipo di approccio nella pratica medica quotidiana appare utopistico, è comunque auspicabile, nei limiti del possibile, un approfondito dialogo anamnestico45, 50, nel tentativo di cogliere sul nascere eventuali interferenze sulla salute integrale del paziente da parte di possibili alterazioni dell’ecologia della mente.
Conclusioni
Dalle osservazioni cliniche di infartuati senza manifesti segni di rischio coronarico allo stress; dalle endorfine al disagio esistenziale cronico e all’ecologia della mente: un itinerario percorso in funzione della ricerca di prospettive sempre più allargate ed efficaci della prevenzione cardiovascolare.
La possibilità di ipotizzare, attraverso questa concatenazione di osservazioni fisiopatologiche, che l’esistenza di una serie di fattori di disagio esistenziale cronico possa assumere il ruolo di concausa nelle patologie cardiovascolari, permette di prospettare per il medico un ruolo più estensivo. Il rilievo nella pratica clinica di infarti senza apparenti fattori di rischio, apre infatti la possibilità che fattori psicosomatici latenti e subclinici possano costituire reali fattori di rischio, eliminabili grazie ad un’accurata anamnesi psicosomatica, così come è accaduto negli ultimi decenni per la maggior parte dei fattori di rischio cardiovascolare cosiddetti “maggiori”.
Ci auguriamo che la ricerca dei prossimi decenni si dedichi alla soluzione di queste correlazioni, che allo stato attuale possono essere formulate solo come ipotesi.
Il medico, ed in particolare il cardiologo, ritorna così alla pratica quotidiana, arricchito di una nuova dimensione eziopatogenetica e preventiva, alla luce della quale affrontare il problema del rischio coronarico: quella dell’ecologia della mente. Le prospettive terapeutiche si allargano ad una terapia non solo farmacologica, ma capace di affrontare con le parole, in sintonia col paziente, situazioni di disagio esistenziale potenzialmente patogene50, 63, 64.
Individuate le possibili cause del “malessere esistenziale”, il passo ulteriore potrebbe essere quello della ricerca clinico-farmacologica sui cosiddetti “neuromodulatori del piacere”, come le beta-endorfine. potenzialmente in grado di trasformare le situazioni di “malessere” in uno stato di “benessere” esistenziale. Troverebbero in tal modo una legittima base biologica i constatati effetti benefici sulla prognosi cardiaca dell’ottimismo e in genere degli atteggiamenti “positivi” dell’individuo (Fig. 10).
Fig. 10. H. Matisse. La dance (1910). Le figure danzanti di Matisse sono emblematiche di una situazione collettiva di gioia di vivere, simbolo di una realizzata situazione di buona ecologia mentale.
È entrato ormai nel corrente uso scientifico il termine di “tempesta catecolaminica” per indicare quelle situazioni cliniche legate all’improvvisa ed elevata immissione in circolo di adrenalina e noradrenalina che si verifica ad esempio nel feocromocitoma o nelle crisi di panico. In questa luce, non potremmo escludere un’analoga fortuna per il termine di “silenzio endorfinico”, riferito a tutte le situazioni di carenza endorfinica legate alle più diverse cause di disagio esistenziale e alle relative possibili ricadute fisiopatologiche.
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In questo itinerario abbiamo incontrato il concetto di ecologia delle mente, nei suoi rapporti con le endorfine, che possiamo assumere come nuova potenziale dimensione della prevenzione cardiovascolare. Un itinerario ispirato a quel concetto di interdisciplinarietà, accompagnato da un pizzico di utopia, che deve caratterizzare ogni buona ricerca scientifica45.
Ci piace pensare che il principio dell’interdisciplinarietà che ha improntato le nostre riflessioni sia lo stesso che ha portato Leonardo da Vinci a vivere in prima persona la fondamentale unitarietà fra Arte e Scienza65, 66.
DODECALOGO DELL’ECOLOGIA DELLA MENTE
1) Accetta come naturale l’idea che la vita è una lotta continua. La speranza è regola fondamentale della vita. Disponiti allora ad accettare la sfida. E se l’esito della lotta sarà sfavorevole, accetta l’idea che anche un compromesso può talora considerarsi come un successo.
2) Impara a condividere con chi ti circonda le difficoltà delle reciproche sfide e a capire quando è giunto il momento di chiedere aiuto, affinché sia la vittoria che la sconfitta possano essere affrontate insieme. Scoprirai che chiedere aiuto non è una sconfitta ma una vittoria su te stesso.
3) Affronta la vita con umiltà: potrai godere più intimamente le tue soddisfazioni ed accettare meglio i naturali limiti che la vita ti impone. La fragilità che contraddistingue la tua natura umana potrà diventare una forza se riuscirai a viverla insieme a quella di chi condivide con te lo stesso percorso.
4) Ricorda sempre l’attualità della massima terapeutica degli antichi: “Est modus in rebus”; La moderazione è in ogni campo ricetta salutare di vita, fisica e mentale.
5) L’armonia tra gli opposti è il fondamento dell’ecologia della mente. L’equilibrio fra le antinomie esistenziali come quelle fra natura e spirito o individualità e socialità, predispone ad una sana armonia biologica fra stress ed endorfine.
6) Ottimismo e pensiero positivo sono le vie maestre dell’ecologia della mente.
7) “La natura è la nostra madre”. È l’insegnamento attualissimo che ci giunge da tutte le popolazioni primitive. Il sentirsi parte integrante della natura predispone ad un sano equilibrio interiore fra spirito e materia.
8) Anche nei momenti in cui tutto intorno a te sembra crollare, impara a sentire che qualcuno, nel mondo, ha bisogno del tuo amore e che, nonostante tutto, qualcuno ti ama..
9) Anche nel quotidiano più frustrante impara ad accorgerti della corolla di un fiore che sboccia nascosto dietro a una pietra nel nostro deserto quotidiano. Sapersi meravigliare, delle cose apparentemente più umili, così come della grandiosità e della bellezza della propria natura di uomo o dell’infinitezza del cosmo è ricetta indispensabile per la gioia di vivere.
10) Vivi intensamente il presente col sorriso sul volto e nel cuore. Ma insieme ama le radici affondate nel tuo passato ed accetta di prepararti senza rimpianti al momento in cui sarà dolce riposare all’ombra accogliente degli alberi del tuo futuro.
11) Sappi tendere la mano per accogliere e per donare. Vedrai espandersi il mondo. Il regalo più prezioso per un amico è il dono della tua disponibilità. Sapersi donare è oltretutto una buona premessa per provare tu stesso la felicità del vivere.
12) “Conosci te stesso”. È la massima socratica che sottolinea l’importanza della capacità di dialogare con se stessi. Imparerai a leggere in te stesso e scoprirai l’infinito del tempo e dello spazio, aurea regola per impostare nel migliore dei modi le tue strategie esistenziali.
RASSICURAZIONE FINALE
Questo “dodecalogo” è ovviamente assai parziale. Sarà comunque già un successo se riuscirai a rispettare solo la maggior parte di queste raccomandazioni. Non preoccuparti! Anche nell’ecologia della mente la ricerca esasperata della perfezione ci rende antipatici e può aprire la porta alle nevrosi.
Fig. 11. Marc Chagall. Mosè riceve le tavole della legge (1950-1952).
BIBLIOGRAFIA