Prof.ssa Mirella Tronci

Consigliere della Fondazione San Camillo-Forlanini

Articolo pubblicato in:

Anno Accademico 2019-2020

Vol. 64, n° 1, Gennaio - Marzo 2020

Simposio: La modernità liquida e il processo di invecchiamento. Una ricerca sulla categoria demografica dei tardo adulti

10 dicembre 2019

Copertina Atti primo trimestre 2020 piccola per sito.jpg

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Obiettivo 120 anni nell’analisi dei centenari italiani

L. Gasbarrone, M. Tronci, B. D'Amen, M. Fusco

Introduzione

Nell’ultimo periodo si è molto parlato sui giornali e in televisione delle persone che hanno raggiunto e superato i 100 anni di età, cercando di capire quale fosse stata la loro vita e qual è quella attuale. Una delle ultime notizie riferita nel novembre scorso da un quotidiano della regione Toscana, Il Tirreno di Grosseto, titola proprio “Quattro signore e 411 anni di storie” e continua “La longevità abita sull’Amiata”, a sottolineare volutamente, per fare un pizzico di pubblicità, che forse l’ambiente salutare di quei luoghi potrebbe in qualche modo influire sulla longevità. Le quattro signore sono contemporaneamente ospiti in un pensionato sull’Amiata, e certo colpisce il fatto di trovare insieme nello stesso luogo più di una persona con 100 e più anni.

Che la durata della vita media sia aumentata è ormai un dato acquisito, così come il fatto che il numero dei centenari e dei supercentenari, questi ultimi con età superiore a 110 anni, sia in progressivo incremento. Gli studi effettuati finora per capire per quale motivo alcuni arrivino a così tarda età hanno potuto dimostrare una molteplicità di fattori in causa, senza che ve ne fosse uno determinante.

Le “età” della vita

La rappresentazione delle età della vita è stata spesso oggetto delle opere di molti pittori. Gustav Klimt nel 1905 raffigurava ad esempio le tre età della donna, fanciullezza, gioventù e vecchiaia, passando dall’atteggiamento protettivo della giovane madre nei confronti del fanciullo a quello di isolamento e quasi vergogna del proprio stato di donna anziana che sembra nascondersi, volutamente isolata dal contesto lì rappresentato: la donna anziana non ha più una sua funzione. In precedenza nel 1600 Antoon van Dyck raffigurava quattro età della vita, fanciullezza, gioventù, maturità e vecchiaia, quest’ultima di nuovo rappresentata da un vecchio che si nasconde, isolato dal resto del quadro: anche qui la vecchiaia non sembra avere una funzione nella vita, ci si vergogna di essere vecchi inutili.

La distinzione delle età della vita è passata quindi a cinque con incerte variazioni nei confini tra l’una e l’altra: giovane, adulto, anziano, vecchio, grande vecchio e “oltre”, identificando con quest’ultimo termine le persone che superano anche i 100 anni. Per essere ancora più precisi, dovremmo oggi distinguere: infanzia, fanciullezza, adolescenza, gioventù, maturità, vecchiaia, considerando comunque l’eterogeneità di quest’ultima età che andrebbe ulteriormente suddivisa.

Tutto nasce anche dal fatto che la “vecchiaia” è sempre stata considerata un periodo della vita di scarso interesse, forse perché nel tempo non ha mai rappresentato per la società un periodo “produttivo”: non a caso gli antichi dicevano che “vecchiaia è di per sé malattia”, sottolineando il fatto che, da un punto di vista fisiologico, vecchiaia significa comunque “riduzione progressiva della riserva funzionale di organi ed apparati e altrettanto progressiva riduzione della capacità di adattamento omeostatico alle variazioni ambientali”. Gli anziani fanno sempre più fatica a riprendersi o a superare i danni prodotti da stressors ambientali di qualsiasi genere (malattie, traumi, difficoltà quotidiane), sono soggetti sempre più deboli e indifesi a mano a mano che gli anni procedono. Questa definizione è quindi in contrasto con il concetto di salute definito dall’O.M.S. come “stato di completo benessere fisico, psichico, sociale”. Ma oggi, in un momento in cui il numero degli anziani cresce sempre di più, è ancora appropriata questa definizione di vecchiaia?

L’evoluzione della piramide demografica

Nel corso del tempo si è assistito ad una vera e propria rivoluzione demografica. Se si considera la rappresentazione della popolazione italiana del 1861, epoca dell’Unità d’Italia, e la si confronta con quella del 2017 e successive, emerge che la classica piramide a base larga per la maggiore consistenza della popolazione infantile e la progressiva e graduale riduzione dei lati in rapporto alla proporzionale riduzione della sopravvivenza globale, si è trasformata in una rappresentazione a fungo sempre più largo nella porzione centrale. Questo perché nel tempo, grazie alle misure di prevenzione, alle vaccinazioni e alle terapie antibiotiche, la mortalità infantile una volta predominante si è progressivamente ridotta così come la natalità determinando la riduzione della base della piramide, mentre nel contempo gli stessi progressi della medicina e delle scienze in genere hanno permesso alle fasce di età centrali di prolungare la sopravvivenza e di essere rappresentate più numerose, anche insieme alle età più avanzate, per cui lentamente ma inesorabilmente la piramide si è trasformata in un fungo. Sia il Rapporto Osservasalute 2018, condotto dall’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, sia i dati ISTAT 2019 confermano questo andamento demografico con ridotta natalità, scarsa mortalità infantile, aumento della sopravvivenza globale, prolungamento della vita media, aumento dei centenari e progressivo incremento della rappresentazione di ultracentenari1, 2. È anche evidente un incremento della rappresentazione femminile perché, si sa, le donne vivono più a lungo!

Lo stesso andamento della piramide demografica, o ex piramide, si dimostra negli anni successivi, per cui il fungo diventa sempre più largo nei 2/3 superiori e cresce in altezza per la crescita del numero dei centenari. La proiezione per il 2050 estremizza questo fenomeno, che diventa evidente anche per la popolazione immigrata, acquisendo quest’ultima progressivamente le stesse caratteristiche della popolazione ospitante.

Il fenomeno è ovviamente diffuso in tutte le regioni italiane, anche se alcune, con in testa la Liguria, dimostrano una maggiore rappresentazione delle fasce di età al di sopra dei 65 anni e una maggiore rappresentazione degli ultra85enni3. Ancora, non è solo un fenomeno italiano, bensì mondiale, tanto che la proiezione per il 2025, tra soli cinque anni, indica che un terzo delle persone nei paesi industrializzati sarà al di sopra dei 65 anni, ma anche i paesi scarsamente sviluppati seguiranno a ruota (Fig. 1).

Quindi, visto l’andamento, a gennaio 2019 in Italia si contavano 14.456 centenari, di cui l’84% donne e il 16% uomini; le persone al di sopra dei 105 anni erano 1.112, di cui l’87% donne e il 13% uomini, e i supercentenari, cioè al di sopra dei 110 anni, erano 21, tutte donne4.

Come abbiamo detto i centenari sono in progressivo aumento; se però si considerano i numeri riferiti sempre dal rapporto “Osservasalute 2018”, si nota che il picco ha raggiunto quasi quota 20.000 nel 2015 per poi decrescere fino all’attuale valore intorno a 14.000: sono peggiorate le condizioni di salute? Assolutamente no, è una diminuzione che ci si aspettava poiché dal 2015 in poi sono arrivate a 100 anni le persone nate nel periodo bellico della I guerra mondiale 1915-18, periodo in cui la natalità ha subito una riduzione e molti sono caduti in guerra. Ora ci si aspetta un nuovo incremento del numero dei centenari nei prossimi anni.

 

Fig. 1: evoluzione della piramide dell’invecchiamento nella popolazione mondiale.

 

Ma gli anziani di oggi, le persone al di sopra dei 65 anni, in quali condizioni di salute sono? Sempre il rapporto “Osservasalute 2018” ci dice che la maggior parte degli assistiti dei MMG presenta patologie croniche, le cosiddette “malattie non trasmissibili” che caratterizzano l’epoca post-industriale essendo state debellate quelle trasmissibili, per cui con varie prevalenze sono affetti da diabete, ipertensione arteriosa, cardiopatia ischemica, scompenso cardiaco, vasculopatia cerebrale, broncopneumopatia cronica, osteoartrosi. Queste malattie rappresentano la “sfida della cronicità” poiché, grazie al progresso della scienza e della medicina in particolare, molte patologie sono oggi trattabili e controllabili con le moderne terapie, senza tuttavia permettere la guarigione: il risultato è che oggi circa un quarto della popolazione di ultra 65enni, prevalentemente donne, convive con più malattie una volta non curabili, portandone dietro esiti e complicanze, e quindi con problemi assistenziali di non poco conto. Per ovvi motivi le stesse persone assumono molte medicine, e se solo il 63% dei pazienti con due patologie assume più farmaci, il 100% di chi presenta nove patologie è in politerapia, con ovvi maggiori rischi di interazioni farmacologiche a volte pericolose5.

I cambiamenti descritti nella struttura per età dovuti al progressivo invecchiamento della popolazione comportano, come già accennato, una domanda sanitaria specifica e crescente rivolta ai servizi socio-sanitari. Questo processo è destinato ad accentuarsi nei prossimi anni, quando le coorti dei baby-boomers, cioè dei nati tra il 1945 e il 1976, arriveranno ad avere 65 anni ed oltre, con un picco previsto nel 2045-50, quando costituiranno il 34% della popolazione. Ma rispetto alle precedenti questa generazione è in realtà consapevole del cambiamento e vuole essere protagonista di un “invecchiamento attivo”, definito dall’OMS come un “processo di ottimizzazione delle opportunità relative alla salute, partecipazione e sicurezza, allo scopo di migliorare la qualità della vita delle persone anziane”. In questa definizione “attivo” non significa solo essere fisicamente efficienti o partecipare alle forze di lavoro, ma anche “continuare a partecipare alla vita sociale, economica, culturale, spirituale e civica della comunità” con un ruolo definito. I baby-boomers percepiscono quindi l’esigenza di prendersi cura di sé e di mantenersi in forma, temono i rischi della sedentarietà, spesso sono neo-pensionati che hanno lasciato ruoli di responsabilità nel lavoro e che desiderano riprendersi il proprio tempo, si pongono obiettivi ambiziosi, hanno una certa disponibilità economica, non vogliono essere definiti anziani, cercano di mantenersi in forma fisica praticando costantemente attività sportive.

Oggi definiamo tre profili di centenari: gli “Escaper”, che raggiungono i 100 anni senza malattie (19%, successful aging!), i “Delayer”, nei quali le malattie sono diagnosticate dopo gli 80 anni (43%), e i “Survivor”, in cui le malattie erano presenti già prima degli 80 anni (38%). In Italia si ha un quadro epidemiologico coerente: 20% è in buone condizioni di salute, il 33% presenta uno stato di salute “intermedio”, il 47% vive in cattive condizioni di salute. I baby-boomers mirano ovviamente ad essere tra gli escaper.

Come abbiamo detto il fenomeno dell’allungamento della vita è comune a tutte le realtà: negli Stati Uniti tra 30 anni il numero dei centenari sarà quadruplicato, ma Giappone e Italia, seguiti a ruota dalla Germania, detengono il primato della longevità. In particolare per l’Italia l’aspettativa di vita media è, al momento attuale, 85 anni per le donne e 81 per gli uomini. Il Giappone ha sempre avuto un grande rispetto per le persone anziane e dal 1963 chi compiva un secolo di vita veniva omaggiato con una “sakazuki” in argento, la tazza delle grandi occasioni per servire il sakè, e con una lettera di congratulazioni del Primo Ministro. Questa mirabile usanza è stata oggi messa in discussione per i costi insostenibili (quasi 1,9 milioni di € in tazze a carico del Ministero della Salute) visto l’incremento del numero dei centenari: erano allora appena 163, ma nel censimento 2017 sfioravano le 59 mila unità6. La vistosa crescita dei centenari, avanguardia di una “demografia estrema”, secondo il Pew Research Center aumenterà a livello mondiale di ben otto volte da qui al 2050: nel 1990 si contavano nel pianeta 95.000 centenari, oggi 451.000, la previsione per il 2050 è di 3.676.0007.

Anche il gruppo ristretto dei “supercentenari”, ovvero di coloro che superano i 110 anni, è in crescita, e tra i primi dieci supercentenari in vita, tutte donne, ci sono quattro giapponesi e tre italiane. I supercentenari nel mondo sarebbero oggi tra 300 e 450, ma è d’obbligo dubitare dell’esattezza del numero in quanto le fonti potrebbero non essere realmente attendibili: valga per tutti l’esempio della famosa francese Jeanne Louise Calment, che sarebbe morta a 122 anni e 164 giorni dopo aver fumato fino a 118 anni ed essere andata in bicicletta fino a 100, per la quale si nutrono però dubbi sulla vera identità poiché si dice che alla sua morte la figlia Yvonne ne avrebbe assunto il nome per evitare le tasse di successione8! Gli archivi dell’epoca non sono certamente come le anagrafi o le agenzie delle entrate di oggi! Ed è così anche per il sito italiano (www.supercentenariditalia.it4) che raccoglie gli ultracentenari conosciuti residenti in Italia con età superiore a 107 anni e candidati a diventare supercentenari, dal quale apprendiamo che la decana italiana, dopo Emma Morano e Giuseppina Projetto, è stata fino al giugno scorso Maria Giuseppa Robucci, morta a 116 anni dopo essere stata operata al femore a 111 anni e al seno a 114. Emma Morano, deceduta a 117 anni, sarebbe stata la decana dell’umanità, ma anche qui il primato potrebbe essere conteso da una donna cecena che sarebbe morta all’età di ben 129 anni, la cui “lunga vita è stata una maledizione di Dio” poiché dichiarava di “non aver avuto un solo giorno felice in tutta la sua vita”! Un altro primato italiano è quello di due gemelle sarde, Emma e Vittoria, che hanno spento 101 candeline insieme nel 2018, e quello di due coniugi, 101 lui e 100 lei, che dicono di completarsi insieme perché uno non sente bene e l’altra non vede bene! Questi supercentenari sembrano possedere delle loro intrinseche capacità per una buona sopravvivenza.

Lo studio della Fondazione San Camillo-Forlanini

La Fondazione San Camillo-Forlanini, ONLUS per la ricerca scientifica istituita dalla omonima Azienda Ospedaliera di Roma nel 2008, ha quindi predisposto la ricerca “Obiettivo 120 anni nell’analisi dei centenari italiani” per cercare di individuare quali fossero le caratteristiche che hanno permesso di raggiungere tale ragguardevole età in una ristretta parte della popolazione italiana. Alla ricerca hanno partecipato, oltre alla Fondazione stessa che ha coordinato il progetto, la cattedra di Geriatria dell’Università degli Studi di Milano Bicocca, la cattedra di Sociologia Generale dell’Università degli Studi di Perugia, la cattedra di Geriatria dell’Università di Sassari, la FIMMG con la collaborazione della NetMedica Italia per la predisposizione della piattaforma informatica e la Fondazione Cariplo per il supporto. Lo studio, predisposto nel 2017 e iniziato nel 2018, si è recentemente concluso con l’analisi complessiva dei dati raccolti.

Nell’ambito del progetto sono state poste ad alcuni centenari una serie di domande contenute in un questionario. Il questionario, somministrato in modalità assistita, era composto da 10 sezioni e 141 domande ripartite come indicato in Tabella 1. Il totale dei rispondenti (N) al termine della ricerca è pari a 231.

Sezioni Domande
1.Anagrafica 12
2.Ambiente di vita 15
3.Istruzione, Lavoro, Hobby 12
4.Religione 2
5.Situazione economica 2
6.Alimentazione 25
7.Inquadramento fisiologico e familiare 23
8.Patologie pregresse 24
9.Personalità e carattere 21
10.Allegati 5
Totale 141

Tab. 1: le 10 sezioni del questionario.

Vengono di seguito esposte, suddivise nelle varie sezioni, alcune risultanze derivanti dall’analisi mono/bivariata dei dati. Alcune sezioni del questionario, non presenti in questo report, saranno oggetto di successive elaborazioni.

 

1. Dati generali sulla rilevazione

1. Anagrafica

Su un totale di 231 intervistati l’81% è rappresentato da donne, il 19% da uomini.

Il 36% ha un’età di 100 anni; il 91 % ha un’età compresa tra i 100 ed i 104 anni, l’8% ha età tra 105 e 109 anni (semi super centenari), un soggetto è classificabile tra i supercentenari (età > 110 anni) in quanto di 112 anni. L’età media è di 102 anni (D.S. 1,81).

L’82% degli intervistati è vedovo, il 6% ha il coniuge vivente, il 12% celibe o nubile. I maschi hanno il coniuge vivente nel 23% dei casi, le femmine nel 3%; i maschi sono vedovi nel 70% dei casi, le femmine nell’84%. I maschi con il coniuge vivente, come da tradizione consolidata nella maggior parte dei casi, hanno sposato donne più giovani e comunque, come noto, le donne hanno una speranza di vita maggiore.

Il 61% vive presso il proprio domicilio, il 21% presso la casa di un familiare, il resto presso strutture diverse.

Il 44% vive con un figlio/a, il 21% con un/a badante, il 6% con il coniuge, il 7% da solo, il 22% usufruisce di altre e diverse modalità di convivenza.

2. Ambiente di vita

Il 19,9% degli intervistati risiede in Sardegna, il 20,3% in Campania, il 10% in Umbria, il 10,4% nel Lazio, l’10,4% in Puglia, i restanti nelle altre regioni italiane in percentuali minori.

3. Istruzione, Lavoro, Hobby

Il 90% degli intervistati ha frequentato la scuola, il 10% no (ciò non vuol dire che siano necessariamente analfabeti totali, perché una forma di istruzione “privata” alcuni di essi la hanno ricevuta). Il 72% ha frequentato solamente la scuola elementare (ma non tutti per i 5 anni previsti), il 10% le medie inferiori, il 13% le superiori e solo il 5% l’Università. Se questo dato viene stratificato per genere, si può notare che per il 75% delle femmine l’istruzione si è fermata alle scuole elementari e solo il 3% ha conseguito la laurea. Situazione diversa per i maschi, che hanno raggiunto un maggior livello di istruzione: 56% fermo alle elementari e 15% laureati.

Differenze significative circa il livello di scolarizzazione sono state evidenziate nelle varie regioni.

L’83% dei soggetti ha lavorato nel corso della vita, il 17% no, ma queste 39 persone sono solo femmine che hanno inteso il lavoro entro le mura domestiche come un “non lavoro”.

Alla domanda relativa la tipologia di lavoro svolto, i 192 rispondenti in senso positivo hanno dichiarato (Tab. 2):

Professioni Val Ass Val %
Agricoltori e pastori 61 32%
Casalinghe 34 18%
Artigiani e sarti 31 16%
Impiegati 13 7%
Operai 17 9%
Insegnanti 12 6%
Collaboratrici domestiche 6 3%
Funzionari e dirigenti pubblici 6 3%
Cuochi e servizi per la ristorazione 4 2%
Sacerdoti e religiosi 2 1%
Tecnici di laboratorio 2 1%
Personale medico e paramedico 2 1%
Ricercatori 1 1%
Libero professionista o imprenditore 1 1%
Totale 192 100%

Tab. 2: tipologia di lavoro svolto.

Molti hanno svolto un lavoro da agricoltore o pastore (32%), quindi sono vissuti in campagna in un contesto rurale, all’aria aperta e compiendo un certo esercizio fisico, fatto questo che tutto sommato da un certo punto di vista li ha favoriti. Pochi hanno fatto lavori stressanti. Presenti numerosi artigiani e casalinghe.

Il 18% ha cambiato lavoro nel corso della vita, l’82% no.

Il 94% degli intervistati usufruisce di una pensione, il 6% no e anche in questo caso si tratta solo di femmine. Il 34% di questi ha continuato a lavorare dopo il pensionamento e di questi l’83% lo ha fatto per interesse personale, solo il 15% per motivazioni economiche ed il 2% per entrambe le motivazioni.

4. Religione

Tutti gli intervistati sono di religione cattolica; l’80% si dichiara praticante, il 20% no.

5. Situazione economica

La situazione economica attuale è valutata ottima nel 6%, buona nel 43%, soddisfacente nel 43%; solo l’1% la valuta come pessima. Rispetto al passato, la situazione è considerata invariata dal 56% dei soggetti, migliorata dal 33%, peggiorata dall’11%. In questi giudizi non c’è differenza significativa tra maschi e femmine.

6. Alimentazione

A tale riguardo sono state poste alcune domande finalizzate a conoscere le abitudini alimentari dei soggetti nei riguardi dell’assunzione di un certo numero di alimenti nel momento attuale e negli anni precedenti.

In particolare sono stati individuati 3 gruppi di alimenti e ad ogni gruppo è stato assegnato un peso differente. Il primo gruppo è composto da alimenti che hanno un elevato potere nutrizionale per lo stato di equilibrio vitaminico e per il mantenimento della massa magra. Il secondo gruppo è composto da alimenti per i quali, se non vengono rispettate le frequenze di consumo, si hanno maggiori probabilità di essere sovrappeso, ed infine il terzo gruppo composto da alimenti che contribuiscono maggiormente al mantenimento della massa ossea. Su tale base sono state calcolate le percentuali di adesione o lo scostamento rispetto alle raccomandazioni INRAN (Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione) per i tre gruppi (Tab. 3) e per le singole tipologie di alimenti (Tab. 4).

Gruppo Alimenti Aderenza Scostamento
Gruppo I (Frutta, Verdura,Pesce,
Uova, Pollame, Carne)
58% 42%
Gruppo II (Pasta, Riso, Patate, Dolci) 45% 55%
Gruppo III (Yogurt, Latte, Formaggi) 40% 60%

Tab.3: gruppi di alimenti considerati.

 

Gruppo Alimenti Score Aderenza Score Scostamento
Gruppo I Frutta (≥ 7) 89% 11%
Verdura (≥ 7) 68% 32%
Pesce (> 2) 17% 83%
Uova (1 o 2) 77% 23%
Carne (da 1 a 2) 59% 41%
Carne bianca (> 2) 38% 62%
Gruppo II Pasta/Riso (7) 47% 53%
Dolci (≤ 2) 38% 62%
Gruppo III Yogurt (≥ 7) 10% 90%
Latte (≥ 7) 74% 26%
Formaggi (da 1 a 2) 35% 65%

Tab. 4: Indice di aderenza e scostamento per singola tipologia di alimento.

È stato poi valutato lo stato nutrizionale, comunemente misurato attraverso il Body Mass Index (BMI) o Indice di Massa Corporea (IMC) e dato dal rapporto del peso (in Kg) ed il quadrato dell'altezza (in metri). Sulla base di questo indice le persone vengono classificate in 7 categorie (Tab. 5).

Categorie Valore BMI Classificazione BMI
1 < 16,5 Sottopeso di grado severo
2 16.5 < BMI < 18.4 Sottopeso
3 18.5 < BMI < 24.9 Normopeso
4 25 < BMI < 30 Sovrappeso
5 30.1 < BMI < 34.9 Obesità I grado
6 35 < BMI < 40 Obesità II grado
7 >40 Obesità III grado

Tab. 5: categorie in base al BMI.

Per quanto riguarda i rispondenti all’indagine in oggetto, Il BMI risulta composto come illustrato in Tab. 6.

Categorie Classificazione BMI Val Ass Val %
1 Sottopeso severo 3 1%
2 Sottopeso 11 5%
3 Normopeso 133 58%
4 Sovrappeso 62 27%
5 Obesità I grado 18 8%
6 Obesità II grado 2 1%
7 Obesità III grado 2 1%
  Totale 231 100%

Tab. 6: BMI dei rispondenti all’indagine.

Oltre la metà dei rispondenti (58%) riporta una condizione di normopeso, a questi si aggiunge una parte pari al 27% che riporta una condizione di sovrappeso. Il 6% è risultato sottopeso a vari livelli e il 10% mostra un grado variabile di obesità.

Classificazione BMI e genere

Nonostante le rispondenti donne siano in numero maggiore degli uomini, si nota una certa omogeneità nella distribuzione dei valori del BMI rispetto al genere, con una prevalenza delle condizioni di normopeso e sovrappeso per entrambi i generi. Tuttavia, gli uomini risultano più in sovrappeso (41%) rispetto alle donne (24%) (Tab. 7). La condizione di sovrappeso non deve essere considerata completamente negativa, come sostiene uno studio condotto da Flicker et al. (2010) in cui, in un collettivo di anziani di età compresa tra i 70 e i 75 anni, coloro che erano in sovrappeso avevano un minor rischio di mortalità9.

Categorie Classificazione BMI Femmine

Val Ass / Val % 

Maschi

Val Ass / Val % 

1 Sottopeso severo 3 2% 0 0%
2 Sottopeso 11 6% 0 0%
3 Normopeso 111 59% 22 50%
4 Sovrappeso 44 24% 18 41%
5 Obesità I grado 14 7% 4 9%
6 Obesità II grado 2 1% 0 0%
7 Obesità III grado 2 1% 0 0%
  Totale 187 100% 44 100%

Tab. 7: BMI e genere.

Un’altra informazione a corredo dello stato nutrizionale è l’andamento del peso, rilevato in questa indagine chiedendo ai rispondenti di indicare se sono ingrassati o dimagriti negli ultimi 6 mesi. In base alle risposte, è stata creata una tipologia in cui gli intervistati sono stati classificati in: dimagriti, stabili, ingrassati. Osservando le distribuzioni di questa tipologia esposte di seguito si nota che il 74% dei rispondenti è stato stabile nel peso negli ultimi 6 mesi, mentre il 21% è dimagrito (vedi Tab. 8). Questo ultimo dato è rilevante se si pensa che la perdita di peso per gli anziani è considerata un fattore fragilizzante10:

Categorie Andamento del peso

(ultimi 6 mesi) 

Val Ass Val %
1 Dimagriti 49 21%
2 Stabili 172 74%
3 Ingrassati 10 4%
  Totale 231 100%

Tab. 8: variazioni del peso.

Stratificando l’andamento del peso negli ultimi 6 mesi rispetto al genere, si nota una distribuzione omogenea dei valori sia per le femmine (187) che per i maschi (44) (Tab. 9).

Andamento del peso- Val % Femmine Maschi
Dimagriti 20% 25%
Stabili 75% 70%
Ingrassati 5% 5%
Totale 100% 100%

Tab. 9: variazioni del peso secondo il genere.

7. Inquadramento fisiologico e familiare

Su 231 rispondenti l’84% ha avuto figli, il 16% (38) no. Su 193 centenari che hanno avuto figli, il 56% ha avuto tra 1 e 3 figli, il 17% 4-5 figli, l’11% 6 o più figli. Un soggetto maschio ha avuto 14 figli, tutti viventi al momento della rilevazione. Sul totale il numero medio dei figli è pari a 2,5 a persona. Tra coloro che avevano avuto figli, il 4% (9) è sopravvissuto ai propri figli.

Riguardo al numero di gravidanze su 183 donne che hanno risposto, il 16% non ne ha avute, il 16% ha avuto 1 gravidanza, il 34% da 2 a 3, il 15% da 4 a 5, il 13% da 6 a 7, il 4% da 8 a 9, il 2% da 10 a 13.

Solo il 14% ha fumato nel corso della vita; 1 soggetto maschio ha fumato oltre 100 sigarette al giorno per circa 50 anni.

Il ritmo sonno veglia risulta conservato nell’80% dei casi. In media (range 0-13h) i centenari oggetto della rilevazione dormono tra le 6 e le 7 ore per notte; l’81% effettua il riposo pomeridiano.

Il 48% dei rispondenti al questionario (111) ha familiari vissuti più di 90 anni, il 3% (6) familiari vissuti più di 100 anni, il 10% (23) ha sia familiari vissuti più di 90 anni che familiari vissuti più di 100 anni. Tali fenomeni sono presenti specialmente in Campania, Sardegna, Lazio e Puglia. Ipotizzare che a favorire la longevità familiare siano intervenuti fattori genetici oltre che ambientali è lecito, ma con i dati per ora in nostro possesso non possiamo affermarlo con certezza.

8. Patologie pregresse

Sono state considerate 8 variabili volte a rilevare la presenza (in passato/attuale) di: diabete, ipertensione, cardiopatia, vasculopatia cerebrale, tumori, traumi, fratture e “ulteriori infermità”. La voce “ulteriori infermità” comprende: 1) alcune definite infermità che gli intervistati/intervistatori hanno ritenuto di voler aggiungere oltre a quelle già presenti nel questionario e che sono state rilevate a livelli quantitativamente significativi, 2) ulteriori infermità raggruppate sotto la voce “altre patologie” in quanto numericamente poco rappresentate.

Tra le “ulteriori infermità” troviamo rappresentate le seguenti voci: Deficit deambulazione (62), Demenza (34), Deficit vista (12), Altre patologie (34). Considerata la presenza di alcune comorbilità dichiarate, il Deficit della deambulazione in 4 casi può essere messo in relazione a problemi cardiaci, in 26 casi a pregressi episodi di vasculopatie cerebrali, in 20 casi a pregresse fratture. La Demenza in 12 casi può essere messa in relazione a un pregresso episodio di vasculopatia cerebrale.

Passando all’analisi dei risultati, tra tutti i rispondenti, 200 di essi (87%) riportano patologie mentre 31 (13%) dichiarano di non avere nessuna delle patologie indicate nel questionario, né ne hanno aggiunte altre. Invece 9 soggetti hanno riferito unicamente patologie collocate nella categoria “ulteriori infermità”.

In Tabella 10 il dettaglio delle 231 risposte.

Numero di patologie pregresse / attuali Val Ass Val %
Nessuna (delle patologie elencate) 31 13%
Una 42 18%
Due 53 23%
Tre 48 21%
Quattro 34 15%
Cinque 16 7%
Sei 7 3%
Sette 0 0
Otto 0 0
Totale 231 100%

Tab. 10: numero di patologie riferite.

Dal punto di vista qualitativo in generale risultano le patologie descritte in Tabella 11.

Tipo di patologia Val Ass Val %
Ipertensione 134 25%
Ulteriori Infermità 104 19%
Fratture 94 17%
Cardiopatia 60 11%
Vasculopatia cerebrale 61 11%
Traumi 43 8%
Tumori 25 5%
Diabete 22 4%
Totale (frequenza della patologia, non singolo caso) 543 100%

Tab. 11: patologie riferite.

Suddividendo tra soggetti con fino a due patologie e soggetti con comorbilità, le patologie più frequenti tra coloro che dichiarano fino a due patologie sono: Ipertensione (33%), Fratture (22%), “ulteriori infermità” (21%), mentre tra i casi di comorbilità i rapporti cambiano con Ipertensione (21%), “ulteriori infermità” (22%) e Fratture (21%).

Su 231 rispondenti 194 di essi assumono farmaci (84%) e 37 no (16%).

Riguardo al numero dei farmaci che vengono assunti, tra i 194 rispondenti che hanno dichiarato di assumere farmaci solo 187 hanno specificato quali e quanti. Dall’analisi dei dati relativi ai 187 pienamente rispondenti si evince che il 69% non assume più di 3 farmaci (1/2/3 rispettivamente 28%, 22% e 19%), il 12% assume 4 farmaci, l’11% 5 farmaci, il 2% 7 farmaci, e solo l’1% rispettivamente 9 farmaci e 10 farmaci.

Stratificando i dati per genere, i 37 centenari che non prendono farmaci in maniera regolare e costante rappresentano rispettivamente il 17% delle femmine e il 14% dei maschi.

Stratificando i dati riguardo allo stato civile, sui totali delle singole categorie rispettivamente il 14% dei vedovi, il 13% dei coniugati e il 30% degli altri (single/conviventi/altro) non assume farmaci in maniera continuativa.

La classificazione dei farmaci maggiormente utilizzati da costoro è riportata nella Tab. 12.

Categoria Farmaci  Valore Assoluto
Cardiovascolari 305
Gastroprotettori e IPP 38
Integratori e vitamine 20
Antidolorifici 14
SNC 71
Altri 60
Totale 508

Tab. 12: classificazione dei farmaci assunti.

Dall’analisi dei dati sopra riportati sembra lecito affermare che, nonostante la diffusa presenza di limitazioni dell’autonomia funzionale e/o di difficoltà intellettive, i centenari che hanno risposto al questionario sono afflitti da un limitato numero di patologie e in gran parte assumono pochi farmaci (max 3). Importante sottolineare, come riporta il già citato “rapporto Osservasalute 2018”, che gli anziani di oggi, i futuri possibili centenari di domani che ad invecchiare sono stati aiutati dalle nuove scoperte della medicina, sono però affetti da un numero maggiore di patologie con le quali convivono anche grazie ad un più elevato numero di farmaci disponibili ed assunti quotidianamente. L’intervento diagnostico/terapeutico di più medici con diverse specializzazioni sul medesimo paziente determina la politerapia negli anziani di oggi, ma ciascun specialista non sempre tiene in considerazione le possibili interazioni tra i vari farmaci prescritti e quelli già presenti nella terapia del paziente, fatto questo che spesso può causare ulteriori patologie o al meglio la riduzione della capacità terapeutica dei singoli farmaci.

 

9. Personalità e carattere

Sono state considerate 9 variabili relative alla personalità ed al carattere ed il loro opposto. Dall’analisi dei dati ottenuti dai 215 centenari che hanno risposto a questo quesito si può rilevare come i tratti caratteriali positivi, vale a dire ottimismo, generosità, allegria, altruismo, ecc. abbiano caratterizzato tra l’80 e l’85% di queste persone nel corso della loro vita in età adulta e che, anche allo stato attuale sia pure con qualche ragionevole diminuzione in percentuale, la visione positiva, ottimistica della vita continui ad accompagnarli (Tab. 13).

  Età adulta Attualmente
Tratto caratteriale Pol pos-Val % Pol neg-Val % Totale Pol pos-Val % Pol neg-Val % Totale
Ottimista/Pessimista 81% 19% 100% 70% 30% 100%
Estroverso/Introverso 74% 26% 100% 70% 30% 100%
Calmo/Irascibile 66% 34% 100% 69% 31% 100%
Generoso/Avaro 85% 15% 100% 85% 15% 100%
Allegro/Triste 85% 15% 100% 70% 30% 100%
Sereno/Ansioso 67% 33% 100% 65% 35% 100%
Remissivo/Prepotente 49% 51% 100% 56% 44% 100%
Altruista/Egoista 80% 20% 100% 78% 22% 100%
Tollerante/Intollerante 73% 27% 100% 67% 33% 100%

 Tab. 13: tratti caratteriali.

Su 215 centenari che hanno risposto alla domanda se fossero contenti di avere raggiunto la propria ragguardevole età, l’89% (192) ha risposto SÌ, l’11% (23) ha risposto NO.

A tale proposito alla domanda di indicare le motivazioni del SÌ, su 62 che hanno motivato, 25 di essi hanno indicato la gioia di essere circondati dalla presenza e dall’affetto dei familiari, 16 l’amore per la vita, 6 il fatto di esserci arrivati tutto sommato in buona salute, 6 infine lo interpretano come espressione della volontà di Dio.

Tra i 24 che hanno risposto NO, solo 18 hanno fornito le motivazioni della risposta, tra queste: il fatto di avere dei problemi di salute, la noia, la paura di essere di peso per i familiari, il fatto di aver visto morire i propri figli ed i propri amici.

10. Autosufficienza

Alla domanda relativa allo stato della propria vista, su un totale di 213 rispondenti il 32% ha dichiarato di averla in ordine ed il 68% no. In questi ultimi il disturbo nel 43% dei casi è di livello moderato.

Invece per quanto riguarda l’udito il 23% ha dichiarato di sentire abbastanza bene ed il 77% no, e tra questi solo il 9% porta l’apparecchio acustico. Anche in questo caso il disturbo è di livello moderato nel 40% dei casi.

2. Allegati

Nel questionario sono stati inseriti 3 allegati contenenti test attitudinali cui sono stati sottoposti i soggetti centenari quando le condizioni fisiche e mentali lo hanno permesso.

Allegato 1. Indice di Barthel.

Il test è basato su una scala di valutazione della capacità di compiere alcune attività della vita quotidiana - quali ad esempio lavarsi, fare il bagno, vestirsi, mangiare, fare uso dei servizi igienici, continenza urinaria e intestinale, operare trasferimenti letto/poltrona, camminare in piano, salire/scendere le scale - in maniera autonoma, oppure con aiuto, oppure in maniera totalmente dipendente. Per ogni item viene assegnato un punteggio pari a 10, 5, 0 a seconda del livello decrescente di autonomia. La somma determina il punteggio totale e la relativa valutazione.

In Tab. 14 sono riportati i risultati ottenuti dai soggetti per i quali è stato possibile valutare l’indice di Barthel11:

 Punteggio  Valutazione  Val Ass  Val %
<25 Dipendenza completa  63  30%
25-49 Dipendenza grave 37 18%
50-74 Dipendenza moderata 45 21%
75-90 Dipendenza lieve 52 24%
91-99 Quasi autosufficienza 13 6%
100 Indipendenza totale 3 1%
  Totale 213 100%

 Tab. 14: indice di Barthel11

Interessante notare positivamente come sui 213 soggetti per i quali il test è stato effettuato e l’allegato 1 è stato compilato, un 7% abbia dimostrato una indipendenza totale/quasi autosufficienza, cui va aggiunto un 24% con dipendenza lieve.

Volendo mettere in relazione la presenza o meno di patologie con l’Indice di Barthel si può rilevare che, nei soggetti in cui non sono presenti patologie, i valori percentuali di indipendenza totale/quasi autosufficienza e dipendenza lieve descritti nella Tab.14 migliorano con un 14% e 37% rispettivamente (Tab.15).

Con l’aumentare del numero delle patologie tali valori percentuali scendono progressivamente mentre aumentano le percentuali di soggetti con più elevati livelli di dipendenza. Approfondendo l’analisi dei dati si evince che:

A)    Incrocio: Nessuna patologia e Indice di Barthel: N: 27, NR: 4

  Val Ass Val %
Dipendenza completa 6 22%
Dipendenza grave 2 7%
Dipendenza moderata 5 19%
Dipendenza lieve 10 37%
Quasi autosufficienza 2 7%
Indipendenza totale 2 7%
Totale 27 100%

 Tab. 15: relazione tra nessuna patologia e indice di Barthel.

B)    Incrocio: fino a 2 patologie e Indice di Barthel: N: 87, NR:8

Interessante notare che in questo gruppo di soggetti mancano casi di indipendenza totale, dato che si può spiegare con il fatto che questo gruppo di rispondenti riporta il maggior tasso di fratture (22%) e “ulteriori infermità” (21%) (Tab. 16).

N. patologie Dipend. completa Dipend. grave Dipend. moderata Dipend. lieve Quasi autosufficienza Indipendenza totale Totale
 1  21%  10%  21%  36% 13% 0%  100%
2 25% 19% 19% 31% 6% 0% 100%
Totale 23% 15% 20% 33% 9% 0% 100%

 Tab. 16: relazione tra 1-2 patologie e indice di Barthel.

Nonostante l’assenza di soggetti completamente indipendenti, il 42% di coloro che hanno fino a 2 patologie presenta una dipendenza lieve (33%) e una quasi autosufficienza (9%).

C)    Incrocio: Comorbilità (da 3 a 6 patologie) e Indice di Barthel: N: 99; NR: 6 (Tab. 17).

≥3 Patol.                        
Dipend. completa Dipend. grave Dipend. moderata Dipend. lieve Quasi autosufficienza Indipendenza totale Totale
3 Patol. 
 25% 23%  27%  18%  7%  0%  100%
4 Patol.      
38% 25% 25% 13% 0% 0%  100%
5 Patol.  
 56%  13%  19%  6% 0% 6% 100%
6 Patol.
71% 29% 0% 0% 0% 0% 100%
Totale 37% 22% 23% 13% 3% 1% 100%

Tab. 17: relazione tra 3-6 patologie e indice di Barthel.

Si osserva una progressiva diminuzione dei soggetti con indipendenza totale o quasi autosufficienza all’aumentare del numero delle patologie connesse alla comorbilità. L’indice di Barthel in questo caso è quindi coerente e attesta una maggiore presenza dei soggetti con sensibile grado di dipendenza (da moderata a completa) all’aumentare delle patologie.

Analizzando i livelli di dipendenza per genere si può notare che nel genere maschile sono evidenti significativi minori livelli di dipendenza rispetto al femminile (Tab. 18).

  Femmina Maschio Totale
Dipendenza completa 32% 20% 30%
Dipendenza grave 17% 20% 17%
Dipendenza lieve 24% 24% 24%
Dipendenza moderata 23% 15% 21%
Quasi autosufficienza 4% 15% 6%
Indipendenza totale 0% 7% 1%
Totale 100% 100% 100%

 Tab. 18: livello di dipendenza e genere.

Allegato 2. Clock Drawing Test12

Ai soggetti è stato chiesto di disegnare su un foglio di carta un orologio e su questo di posizionare le lancette sulle ore 11,10. Di seguito sono riportati i risultati ottenuti dai 213 che hanno effettuato/provato ad effettuare il test.

Punteggio Valutazione Val Ass       
Val %         
0 Nessuna rappresentazione 108 51%
1 Severo livello di disorganizzazione 22 10%
2 Moderata disorganizzazione spazio temporale 21 10%
3 Inaccurata rappresentazione 19 9%
4 Minori errori di rappresentazione 17 8%
5 Rappresentazione perfetta 26 12%
  Totale 213 100%

Tab. 19: Clock Drawing Test12

Ben il 51% dei soggetti non ha potuto effettuare il test, in molti casi il fatto è stato dovuto alla ridotta capacità visiva e motoria, ciò nonostante un 20% lo ha effettuato correttamente.

Allegato 3. Test Timed Up and Go (TUG)

Il test valuta il livello di mobilità di una persona e richiede abilità di bilanciamento statico e dinamico13. Ai soggetti è stato chiesto, partendo dalla posizione seduta, di alzarsi da una sedia, percorrere 3 metri, rigirarsi, tornare alla sedia e sedersi nuovamente. Durante il test, la persona dovrebbe indossare delle scarpe usate regolarmente e utilizzare ogni ausilio per la mobilità normalmente adoperato14. Mediante un cronometro è stato rilevato il tempo impiegato per effettuare il test.  Il TUG è usato nella popolazione anziana, perché può essere effettuato da gran parte degli anziani15.

Di seguito sono riportati i risultati, ottenuti dai 213 soggetti cui è stato proposto il test, letti secondo i criteri interpretativi qui riportati (Tab. 20).

Punteggio Valutazione Val Ass Val %
≤10 sec. normale mobilità 17 8%
11-20 sec. normali limiti per anziani fragili e disabili 57 27%
21-30 sec. necessità di assistenza esterna e di esami/interventi 41 19%
>30 sec. persona soggetta a cadute (4,5) 29 14%
0 sec impossibilità di fare il test 69 32%
  Totale 213 100%

Tab.20: Test Time Up and Go (TUG)

       In alternativa, un tempo di 12 secondi viene considerato come Cut-off, cioè soglia di riferimento tra normalità e patologia16-19.

       In questa ottica i risultati ottenuti dai soggetti sottoposti al test possono essere così riassunti:

-          soggetti con tempo inferiore a 12 secondi: 30 (14%)

-          soggetti con tempo da 12 secondi in su: 114 (54%)

-          soggetti con tempo uguale a 0 (impossibilitati a fare il test): 69 (32%)

Analizzando i risultati del test suddivisi per genere si può notare che nel genere maschile sono dimostrati minori livelli di dipendenza infatti il 14% degli uomini contro il 6% delle donne ha dimostrato livelli di mobilità normale. A questi in entrambi i sessi va aggiunto un 27% di soggetti con livelli di mobilità entro i limiti normali per anziani fragili e disabili.

 

Conclusioni dello studio

I dati ottenuti ci confermano, che i centenari di oggi sono persone forti, ottimiste, che hanno vissuto in modo positivo la propria esperienza di vita. Sono sopravvissuti a due guerre mondiali e ad una terribile epidemia, alla povertà, alla fatica di un lavoro pesante spesso manuale, ma al tempo stesso vivificante perché svolto spesso all’aperto in un contesto rurale. Sono vissuti tra grandi difficoltà ambientali ed economiche, ma in molti casi sono vissuti circondati da una famiglia molto numerosa, ed ancora oggi in molti casi vivono nella loro casa di sempre, circondati dall’affetto di figli e nipoti.

La gran parte è contenta di essere arrivata oltre la soglia dei 100 anni, solo pochi dichiarano di soffrire per la paura di causare disturbo a chi li accudisce, per la noia o per la perdita dei propri cari, specie i figli.

Molti hanno parenti vissuti più di 90 e/o di 100 anni e questi casi sono più frequenti in percentuale in Sardegna, Campania, Lazio, Puglia. Ipotizzare che a favorire la longevità familiare siano intervenuti fattori genetici, oltre che ambientali e di stili di vita, è lecito, ma con i dati per ora in nostro possesso non possiamo affermarlo con certezza.

Nonostante la presenza di limitazioni dell’autonomia funzionale e/o di difficoltà intellettive, questi centenari sono afflitti da un limitato numero di patologie e assumono pochi farmaci diversamente dagli anziani di oggi, i possibili centenari di domani, che ad invecchiare sono stati aiutati dalle nuove scoperte della medicina, che ha messo a loro disposizione tecnologie e farmaci prima impensabili.

 

L’invecchiamento oggi

Come giustamente affermava Albert Einstein, “tutto è relativo”: infatti anche la disgrazia di rompere uno specchio, foriero di sventure per sette anni secondo le credenze popolari, per un centenario sarebbe comunque una assicurazione di ulteriori sette anni di vita!

Oggi si va sempre più delineando un concetto di invecchiamento non più inteso in senso negativo, ma si cerca di dare il giusto significato ad una età della vita non più breve come nel passato. Secondo Betty Friedan “invecchiamento non è una gioventù persa ma una nuova fase di opportunità e di rinnovata forza; l’unico modo per ritrovare sé stessi, conoscersi come persona, è il proprio lavoro creativo”. Per Norberto Bobbio “la vecchiaia è l’età del tempo libero, bisogna adoperarsi per non renderlo un tempo vuoto, di fatto corrispondente ad una morte precoce”, e ancora Jean-Jacques Rousseau affermava che “la giovinezza è il tempo per studiare la saggezza, la vecchiaia è il tempo di metterla in pratica”. L’unica vera sfida sarebbe quella di imparare ad invecchiare in buona salute, puntando non tanto ad arrivare a 100 anni, ma ad arrivarci in buona forma fisica e mentale. Più semplicemente, per un “invecchiamento attivo” bisognerebbe mantenersi in attività il più possibile, mostrare curiosità ed energia vitale, partecipazione, disponibilità al cambiamento in maniera “critica”, avere comportamenti alimentari e voluttuari adeguati, voglia di apprendere e capacità di autogestire le proprie malattie croniche.

Garantire una vecchiaia in salute è anche una priorità dal punto di vista sociale, nonché economico! A questo scopo molti sono stati gli studiosi che hanno cercato di identificare il segreto della longevità, senza riuscire comunque ad indentificare un singolo fattore responsabile. Come in moltissimi fenomeni della vita, c’è sempre una concomitanza di eventi e di fattori causali. Recentemente gli studi si sono concentrati sulla dieta, argomento di diffuso interesse collettivo, ed è stato conferito il Premio “Lombardia è Ricerca” al Prof. Guido Kroemer, Direttore del team di ricerca “Apoptosis, Cancer and Immunity” per le sue ricerche sull’autofagia, meccanismo con cui le cellule identificano al proprio interno i “rifiuti”, degradano le proteine alterate e le eliminano mantenendo l’organismo più in salute. Sembrerebbe che la riduzione delle calorie assunte quotidianamente attivi il meccanismo dell’autofagia, per cui un periodo di tempo prolungato senza assunzione di cibo permetterebbe l’espressione dei cosiddetti “geni della longevità” che attivano i processi di riparazione delle cellule e ricavano energia dalle riserve di grasso. Quindi tornare alle abitudini degli avi: terminare la cena alle 20 e fare colazione alle 8 del mattino potrebbe essere uno dei segreti della longevità! Resta da capire quanto questa “disciplina” possa essere applicata nella odierna vita quotidiana.

Indubbiamente anche la qualità della dieta avrebbe la sua importanza, tanto che nelle cosiddette “blue zones”, territori nei quali si concentrano popolazioni longeve, vi sarebbe l’abitudine di assumere in prevalenza frutta, verdura e cereali, insieme alla pratica di una attività fisica da moderata in su. Alcune attività fisiche possono essere raccomandate, come l’andare in bicicletta: senza pretendere di gareggiare come l'ultracentenario Roberto Marchand, andare in bici da anziani con cautela e moderazione fa sicuramente bene, aiuta a rimanere in salute, favorisce la circolazione, abbassa la pressione arteriosa, migliora la capacità polmonare, aiuta a perdere peso e tonifica la muscolatura degli arti inferiori prevenendo la sarcopenia, migliora la deambulazione e l’equilibrio, e per non fare troppa fatica si possono utilizzare le biciclette elettriche o con pedalata assistita (e-bike)20.

Ci sono molti esempi di centenari che hanno praticato attività fisica in età adulta e che continuano a praticarla: il bagnino Pio Schiano Moriello, 100 anni nel novembre scorso, che ama ancora oggi definirsi “marinaio di salvataggio” perché il bagnino è altro, toglie ombrelloni e sdraio, o Giuseppe Ottaviani campione di salto in lungo a 103 anni, diventato sportivo agonista dopo la pensione!

Ma basta lo stile di vita per conquistarsi la centenarietà? Sicuramente no, come abbiamo già detto i fattori che contribuiscono alla longevità sono molteplici; lo stile di vita è certamente un elemento importante, così come la genetica, ma non bisogna dimenticare che i progressi della scienza e della medicina hanno sicuramente contribuito all’allungamento della vita media e dell’aspettativa di vita attuale. Oggi, oltre ad aver debellato molte malattie infettive delle quali non ci si ammala più, sopravviviamo a molte altre patologie un tempo inesorabili o con la guarigione o spesso con i reliquati delle stesse, per cui lo spettro del futuro, ma anche già del presente, sarà la cronicità, con i problemi assistenziali che ne derivano e che non siamo preparati a sostenere.

La Medicina oggi, grazie ai trapianti d’organo, di tessuto, di midollo osseo e di cellule staminali da donatori sani ormai anche 88enni, alle terapie genetiche, ai progressi della terapia medica e della chirurgia in generale permette molta sopravvivenza21. Non solo, ma la stessa tecnologia che ha supportato questi progressi scientifici è di aiuto in situazioni in cui, indipendentemente dall’età, si hanno impedimenti anatomici: la sostituzione di arti amputati con arti artificiali ne è una applicazione, permettendo a tali persone una vita quasi normale. Ne è un esempio l’atleta paralimpica di fioretto Bebe Vio che afferma di avere quattro modelli di arti, da passeggio, da corsa, da bagno e con i tacchi.

È chiaro che anche la tecnologia a volte ci pone problemi di liceità delle scelte: non sappiamo mai quanto sia davvero utile l’impiego dell’ultimo modello tecnologico di un sofisticato robot chirurgico, o se si tratti solo della corsa all’ultimo modello che non tiene conto, come spesso accade nel mondo scientifico, di un accurato esame costo/beneficio, rapporto basato non solo sull’economia in senso stretto ma anche sulla valutazione del reale beneficio per il paziente22.

 

Il futuro di una società che invecchia ma “non assiste”

Ma quale sarà il futuro dei centenari di domani? Quali i problemi del futuro in un mondo che invecchia e “non assiste”?  Il fenomeno italiano di una popolazione longeva, fra le più longeve del mondo, è destinato a durare? E come sarà la società che si prenderà cura di loro, tenuto conto che la struttura della famiglia è cambiata e nei prossimi anni è destinata a mutare ancora di più?

I dati Eurostat ci dicono che entro il 2060 gli over 65 saranno 149 milioni, che gli europei vivono più a lungo e quindi emergono nuove sfide sociali, economiche e sanitarie.

Il CESE (Comitato Economico e Sociale Europeo) afferma che invecchiare dignitosamente dovrebbe essere un diritto fondamentale, e gli anziani vogliono vivere il più a lungo possibile nel proprio ambiente. Per il CESE è importante rispettare le loro preferenze, anche con un uso migliore delle tecnologie digitali come la telemedicina, i sensori, le cartelle cliniche elettroniche e la domotica ed una maggiore attenzione alle politiche immobiliari e urbanistiche. Ciò potrebbe avvenire tramite osservatori nazionali e regionali sull'invecchiamento collegati ad una piattaforma europea di coordinamento23.

HelpAge International (organizzazione che certifica la qualità della vita nel mondo) riferisce che l’Italia è al penultimo posto in Europa nell’erogazione di servizi a disposizione della popolazione anziana.

Secondo una ricerca condotta da Auser, l’ADI (Assistenza domiciliare integrata) in Italia è attiva solo nel 40 % dei comuni.

Secondo l’ISTAT nonostante un incremento del 2% dei fondi comunali per i servizi sociali, le risorse per gli anziani diminuiscono (dal 25% del 2003 al 17% del 2016) anche se il numero degli anziani continua ad aumentare. Infatti oggi in Italia sono 3,8 milioni gli over 70 che vivono soli e di questi oltre la metà ha superato gli 85 anni. E questo è un fattore di cui è importante tenere conto oggi ed in futuro.

Marco Trabucchi (Fondazione Leonardo) riporta che numerosi dati epidemiologici sostengono che «la solitudine è associata ad una riduzione della durata della vita» simile a quella provocata dal fumare 15 sigarette al giorno e superiore a quella associata all’obesità». La solitudine è tra le cause più frequenti ed incisive di perdita della salute, svolgendo la sua azione in maniera differenziata nelle diverse età e circostanze della vita. Le persone sole si curano poco di sé stesse. Nessuno si occuperà di indurre chi è solo a sottomettersi a controlli clinici, ed il singolo non sentirà alcuna spinta in tal senso.

Secondo Trabucchi l’azione della solitudine si sviluppa sul confine delicato tra le percezioni somatiche indotte dall’essere soli e gli effetti che queste hanno sul cervello, che a loro volta, portano a reazioni che si riflettono a livello somatico. Il punto centrale è ricostruire la connessione tra corpo e mente. La solitudine è associata con i meccanismi che portano alla demenza. È stato dimostrato un elevato carico di beta-amiloide nel cervello, sostanza che è il marker più noto della malattia di Alzheimer. Non si conoscono le possibili tappe della correlazione tra solitudine e deposito di beta-amiloide, vi è la possibilità che la solitudine non sia solo un fattore di rischio, ma anche un marker precoce di demenza.

I vissuti di solitudine possono segnalare infatti uno stato prodromico di demenza, quando la persona percepisce la propria inadeguatezza nei rapporti sociali e con la famiglia e tende a chiudersi e ad allontanarsi dagli altri. Secondo una recente meta-analisi l’effetto della solitudine, dell’isolamento sociale e del vivere da soli induce un aumento della mortalità del 29%, del 26% e 32% rispettivamente dopo correzione per fattori quali età, sesso, livello di povertà. La solitudine è legata ad un aumento del 29% e del 32% del rischio di malattia coronarica o un ictus, eventi che incidono oltre che sulla durata anche sulla qualità della vita. Le persone sole non sono necessariamente isolate e le persone isolate non sono necessariamente sole. Il problema è la percezione della solitudine!!

In certi casi, anche se la presenza umana è sicuramente insostituibile, la figura dei familiari, del/dei care giver, potrebbe essere affiancata anche da forme di intelligenza artificiale, quale ad esempio un assistente virtuale, un robot con sembianze umanizzate, capace di svolgere funzioni utili come suggerire una passeggiata dopo un periodo lungo in poltrona, ricordare appuntamenti e il momento delle medicine, capace di esprimere e trasmettere sensazioni e ed emozioni, in ultima analisi aiutare gli anziani a non sentirsi soli, abbandonati nei momenti di assenza del familiare/care giver.

Ma è vero, come sostengono alcuni, che Il nostro welfare è un privilegio che non possiamo più permetterci oppure è una conquista della democrazia moderna che va difesa e rinforzata proprio a partire dalla conoscenza dei bisogni delle persone più fragili?

Certamente è una conquista che va difesa, va sostenuta la persona disabile, anziana, ma l’impegno pubblico deve andare oltre, cioè deve prioritariamente sostenere le famiglie, la cui struttura è profondamente cambiata in questi anni, e in rari casi può prendersi cura totalmente dell’anziano come invece avveniva nel pur recente passato.

Una via da seguire potrebbe essere quella di Integrare il sistema informale, ma efficiente, di libere associazioni, del volontariato, di enti con finalità religiosa all’interno di un sistema a rete. Sperimentare formule spendibili di “long term care” ad elevata integrazione socio-sanitaria. Invertire la tendenza odierna che privilegia forme di “long term care” realizzate con un forte investimento sulle strutture residenziali per gli anziani, dove però pochi anziani vivono bene. Spesso in queste strutture gli anziani perdono la voglia di vivere, sentono venir meno la loro dignità, nei loro visi vedi la tristezza e la rassegnazione di aspettare la morte chiedendosi perché non arriva.

Per ottenere risultati positivi sarebbe necessario individuare un'unica regia istituzionale: il mondo del sociale e il mondo sanitario non sono compartimenti stagni.

Ciò permetterebbe ad esempio di portare avanti esperimenti di coabitazione tra anziani, modelli innovativi di welfare, housing sociale ed invecchiamento attivo, intermedio tra assistenza in struttura e a domicilio come avvenuto in un progetto di successo portato avanti nel modenese.

Oppure portare avanti esperienze di “sostegno alla domiciliarità” come quella sperimentata in un paese del Piemonte dove, partendo da un’analisi delle condizioni di vita degli anziani, dei bisogni di salute e non e dei desideri emersi, si è cercato di supportare la domiciliarità per fare in modo che la persona non sia privata del suo abitare sociale, dei propri rapporti, relazioni, legami, cercando di mettersi in ascolto prima e  trovando poi nuove modalità di sostegno coinvolgendo un numero significativo di persone in attività di socializzazione e di volontariato, favorendo così la costruzione di reti di solidarietà e di prossimità.

L’obiettivo 120 anni non è poi un obiettivo impossibile da raggiungere, l’importante è che l’anziano che si avvia a percorrere la lunga strada per raggiungerlo lo possa fare sostenuto dal sociale, privato e pubblico, ed in condizioni di buona salute fisica e mentale, in modo tale che anche questa ultima parte del percorso della vita sia ricca di momenti gratificanti e di soddisfazione affettiva, e quindi valga la pena di essere vissuta.

 


BIBLIOGRAFIA

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