Anno Accademico 2019-2020
Vol. 64, n° 2, Aprile - Giugno 2020
ECM: Le infezioni del sito chirurgico
21 gennaio 2020
ECM: Le infezioni del sito chirurgico
21 gennaio 2020
Versione PDF dell'articolo: Download
Le infezioni del sito chirurgico sono definite, nelle “global guidelines for the prevention of surgical site infections”, come un'infezione che si verifica entro 30 giorni dall'intervento e coinvolge la cute e il tessuto sottocutaneo e/o i tessuti molli più profondi.
Sono le infezioni nosocomiali più frequenti nel paziente chirurgico, rappresentando quasi il 40% di tutte le complicanze post-operatorie.
Ancora oggi sono la principale causa di riospedalizzazione non pianificata e potenzialmente prevenibile, così come potrebbero essere prevenute le circa 20.000 morti all’anno da esse causate.
Tutto questo si traduce in costi aggiuntivi di assistenza che negli Stati Uniti sono stati calcolati ed ammontano a circa 3 miliardi l’anno1.
In un “Delphy Study”, pubblicato nel 2019, condotto al fine di raggiungere un consenso su quali possano essere considerate complicanze maggiori in chirurgia vascolare, 50 esperti chirurghi vascolari provenienti da diversi Paesi scelti tra i partecipanti al VEITH Symposium, hanno considerato l’infezione del sito chirurgico come una complicanza maggiore degli interventi sia endovascolari che open del distretto periferico2.
In effetti, rispetto ad altri distretti (carotideo, aortico, iliaco), quello periferico è il distretto maggiormente colpito da infezioni del sito chirurgico3. Ciò si verifica principalmente per due motivi. Innanzitutto perché la regione inguinale, sito d’accesso ai vasi femorali nonché sede più comune di incisione in chirurgia vascolare, presenta un tipo di flora difficile da decontaminare per la sua vicinanza al canale anale e ai genitali, la seconda motivazione risiede nel paziente con arteriopatia degli arti inferiori che presenta numerose comorbidità favorenti l’infezione.
Come affermano Hasselmann et al in uno studio del 2020, l’associazione con una degenza più lunga, amputazione maggiore e morte cresce con la gravità dell’infezione e l’entità delle cure da essa richieste4.
Questo concetto è valido anche in chirurgia aortica, sia essa open o endovascolare.
Langenberg at al, infatti, descrivono una differenza statisticamente significativa tra i pazienti con e senza infezione del sito chirurgico per quanto riguarda la durata media del ricovero, i reinterventi a 1 mese ed a 1 anno e le infezioni di protesi5 che a loro volta rappresentano una complicanza devastante, associata ad elevata morbilità e mortalità.
Per tali ragioni, è chiaro come la prevenzione di questa complicanza sia diventata un importante obiettivo della comunità medico-scientifica.
Ed in effetti, la Letteratura è ricca di esperienze positive, metanalisi e revisioni sistematiche che dimostrano una riduzione del rischio di infezione del sito chirurgico con l’utilizzo preventivo della terapia con pressione negativa6, 7.
Qualche autore si è interrogato su quale fosse il paziente che potrebbe trarre maggior beneficio da questa terapia preventiva.
Wiseman3, per esempio, ha proposto uno score di rischio, validato successivamente da Pesonen8.Questi autori hanno dimostrato come, con l’utilizzo della terapia a pressione negativa, sia possibile prevenire le infezioni del sito chirurgico nei pazienti a rischio effettivo, dimezzando i costi relativi alle infezioni del sito chirurgico.
Ove possibile, anche l’utilizzo dell’accesso percutaneo si è dimostrato in grado di abbattere in modo statisticamente significativo le infezioni del sito chirurgico oltre alla durata del ricovero ed alle perdite ematiche9.
Ma, quando non siamo riusciti nella prevenzione, cosa possiamo fare se ci troviamo a dover fronteggiare un’infezione del sito chirurgico?
Della terapia antibiotica e della pressione negativa a scopo terapeutico, sono presenti esaustivamente numerosi contributi.
Porremo quindi l’attenzione su un nuovo device, la cui tecnologia si basa sulla rilevazione e l’analisi del segnale di fluorescenza intrinseco emesso dalle porfirine presenti nei microorganismi, quando sono illuminati da una luce con una specifica lunghezza d’onda: il MolecuLight.
Tale device è in grado di rilevare batteri fluorescenti con concentrazione di 104 CFU/g su scala quantitativa o semi-quantitativa, se è presente una crescita forte moderata10, 11.
Oltre a fornire informazioni immediate sul tipo di Batterio infettante la ferita (Fluorescenza Ciano per Pseudomonas aeruginosa, Fluorescenza Rossa per Staphylococcus aureus, Enterobacter cloacae, Enterococcus faecalis, Proteus mirabilis, Klebsiella pneumoniae ed Escherichia coli) in largo anticipo rispetto all’esame colturale, consente di misurare le dimensioni della ferita, localizzare e quantificare la carica batterica, valutare l’efficacia della detersione, delle medicazioni o dell’antibiotico terapia (topica o sistemica), indirizzare nell’esecuzione del tampone (Fig. 1).
Questi sono 2 casi della nostra esperienza di infezione del sito chirurgico di una ferita addominale (Fig. 2) e di una ferita inguinale (Fig. 3) con esposizione della protesi, trattati con successo con terapia antibiotica mirata e VAC Therapy.
Fig. 1: Tampone di ferita chirurgica inguinale infetta con protesi esposta nel sito di massima carica batterica individuato con MolecuLight.
Fig. 2: Infezione del sito chirurgico di una ferita addominale trattata con successo con terapia antibiotica mirata e VAC Therapy.
Fig. 3: Infezione del sito chirurgico di una ferita inguinale trattata con successo con terapia antibiotica mirata e VAC Therapy.
BIBLIOGRAFIA