Anno Accademico 2019-2020

Vol. 64, n° 3, Luglio - Settembre 2020

ECM: Innovazione nel trattamento del tromboembolismo venoso e delle arteriopatie

25 febbraio 2020

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Arteriopatie periferiche e cardiopatia

R. Pepe

Le malattie cardiovascolari sono la principale causa di morte e disabilità in Europa1.

In una larga percentuale di individui la malattia coronarica (CAD) è causa di mortalità ma l’ictus, l’insufficienza renale e le complicanze legate alla ischemia severa degli arti inferiori contribuiscono in maniera importante ad una prognosi negativa.

Nel 2007 la pubblicazione del REACH Registry2 evidenziava che una sostanziale percentuale di pazienti con CAD associa patologia cerebrovascolare o degli arti inferiori o entrambe.

Le Linee Guida dell’ESC nel 2011 per la prima volta pongono l’accento sull’importanza che i pazienti coronaropatici vengano valutati anche in altri distretti definiti periferici anche se asintomatici, per la possibilità che tale informazione possa modificare la strategia del trattamento e la prognosi del paziente.

Viene pertanto introdotto il termine di PAD (Peripheral Artery Disease) per includere tutte le localizzazioni vascolari periferiche ad esclusione dell’aorta.

La malattia aterosclerotica degli arti inferiori (LEAD), che colpisce circa 200.000 milioni di persone nel mondo soprattutto di sesso maschile nei paesi a più alto sviluppo socio economico, si manifesta clinicamente intorno ai 50 anni e aumenta numericamente con l’avanzare dell’età.

Lo studio Framingham ha dimostrato infatti che la Claudicatio Intermittens (CI) ha un progressivo incremento dallo 0.4/1000 nei maschi di 35-45 anni allo 0.6/1000 al di sopra dei 65 anni o più3. Ma se dal punto di vista evolutivo l’arteriopatia degli arti inferiori è una malattia relativamente benigna (2/100 con CI saranno amputati a 5 anni) quale marker di rischio cardiovascolare, è invece un potente indicatore sia per morbilità (IMA e Ictus) che mortalità (Fig. 1).

 

 

Fig. 1: Arteriopatia degli arti inferiori, stenosi carotidea e coronaropatia.

(From: 2017 ESC Guidelines on the Diagnosis and Treatment of Peripheral Arterial Diseases, in collaboration with the European Society for Vascular Surgery (ESVS))

 

L’andamento epidemiologico della arteriopatia degli arti inferiori è sicuramente legato ai fattori di rischio, specialmente fumo e diabete, ma anche alle attuali maggiori possibilità di sopravvivenza dei pazienti con CAD e ictus che ne permettono la slatentizzazione nel tempo.

I fattori di rischio della PAD sono quelli propri della malattia aterosclerotica anche se per alcune localizzazioni sono poche le evidenze che permettano di collegare i fattori di rischio allo sviluppo della malattia. Inoltre, anche se specifici fattori di rischio potrebbero essere più importanti per alcune localizzazioni, ci sono pochi studi comparativi che lo possano confermare.

Il fumo ed il diabete hanno dimostrato essere collegati alla comparsa di LEAD, ma soprattutto il diabete e la sua durata correla strettamente con la cardiopatia e l’arteriopatia degli arti inferiori.

Molti studi hanno dimostrato un incremento della morbidità, mortalità cardiovascolare e mortalità totale nei pazienti sia asintomatici che sintomatici per arteriopatia obliterante degli arti inferiori, anche dopo correzione per i convenzionali fattori di rischio. Uno studio di Fowkes pubblicato su JAMA ha infatti dimostrato come un Indice Caviglia/Braccio (ABI) di 0.90 o inferiore associato con uno Framingham score < 10 -19% correla con il doppio della percentuale a 10 anni degli eventi coronarici, mortalità cardiovascolare e mortalità totale4.

Uno studio più recente pubblicato su Vascular Surgery conferma che il 20% dei pazienti sintomatici per claudicatio intermittens a 5 anni avrà un IMA o un Ictus e una mortalità del 10-15%5, confermando che questa popolazione rappresenta un importante sottogruppo sul quale applicare una più severa ed efficace prevenzione secondaria e sottolineando che la rilevazione dell’indice caviglia/braccio fornisce un’informazione aggiuntiva sull’aumentato rischio cardiovascolare.

Da tale studio è emerso inoltre che anche i pazienti coronaropatici che abbiano una arteriopatia degli arti inferiori asintomatica avranno una prognosi peggiore.

In una metanalisi condotta su circa 29.000 pazienti si è evidenziato che LEAD è un fattore predittivo indipendente di outcome peggiore anche nei pazienti già ad alto rischio dopo un infarto miocardico acuto, con disfunzione sistolica del ventricolo sinistro o scompenso o entrambi6.

Il PEGASUS Trial ha dimostrato, in un follow up a tre anni, che pazienti coronaropatici e LEAD hanno una percentuale raddoppiata di morte per tutte le cause, morte cardiovascolare, ictus ed eventi cardiaci maggiori (MACE)7.

Nel CONFIRM registry la TC coronarica ha inoltre confermato la coronaropatia ostruttiva prevalentemente calcifica nel 25% dei 7590 pazienti con LEAD asintomatici per angor8.

Considerata l’evidente coesistenza delle due forme cliniche di aterosclerosi e i vantaggi in termini di prevenzione delle complicanze che si potrebbero trarre, lo screening per la localizzazione a carico degli arti inferiori potrebbe essere eseguita in maniera non invasiva, a basso costo ed estremamente veloce attraverso la rilevazione dell’ABI. Tuttavia un recente trial (AMERICA) avrebbe fallito nel dimostrarne il vantaggio9, ma lo studio era piccolo e con alcune limitazioni e pertanto non si può escludere il ruolo dello screening nella stratificazione prognostica dei pazienti con CAD asintomatici per arteriopatia degli arti inferiori.

L’evoluzione della compromissione coronarica aumenta il rischio di scompenso cardiaco che può associarsi con LEAD, dato peraltro documentato in letteratura10.

Numerose possono essere le cause comuni: i fattori di rischio, l’attivazione di fattori infiammatori, la rigidità parietale aortica che aumenta il postcarico del ventricolo sinistro, l’alterato flusso coronarico, l’ipertensione, l’ipertrofia ventricolare ed infine la disfunzione diastolica e lo scompenso (Fig. 2).

D’altra parte lo scompenso può mascherare i sintomi della claudicatio che comporta una sottovalutazione delle condizioni del paziente.

Studi osservazionali e metanalisi dimostrano come l’arteriopatia degli arti inferiori associata a scompenso cardiaco è un fattore di rischio indipendente per ospedalizzazione e mortalità11.

Il 7% dei pazienti con scompenso cardiaco e frazione di eiezione < 35% sarebbe associato ad un rischio aumentato di circa 1.3 volte di morte per tutte le cause di ospedalizzazione.

Inoltre fra i pazienti ospedalizzati per scompenso cardiaco è stata rilevata una prevalenza di arteriopatia subclinica degli arti inferiori nel 19% dei casi ed una arteriopatia clinicamente manifesta nel 7%.

 

Fig. 2: Scompenso cardiaco e arteriopatia degli arti inferiori.

(From: The Task Force for the Management of Valvular Heart Disease of the European Society of Cardiology (ESC) and the European Association for Cardio- Thoracic Surgery (EACTS).  ESC Cardio Med, Nov 2019)

 

Non si può quindi escludere l’utilità di una valutazione dell’indice caviglia/braccio quale indicatore prognostico anche in questa popolazione.

Nei pazienti arteriopatici che devono essere sottoposti a rivascolarizzazione la valutazione cardiologica è fondamentale per l’esito a breve e lungo termine. È stato infatti dimostrato che nei pazienti con LEAD lo scompenso cardiaco può essere associato ad una peggiore prognosi dell’arto trattato. Un articolo pubblicato su Journal Vascular Surgery conferma che una frazione di eiezione <40%, non è solo indicativa di una riocclusione dopo intervento di rivascolarizzazione per via endovascolare, ma anche e soprattutto è un fattore di rischio indipendente per un outcome peggiore12.

Infine, nei pazienti con ischemia critica degli arti e scompenso cardiaco il follow up a 5 anni ha dimostrato che non c’è differenza, in termini di amputazione o eventi avversi maggiori per l’arto rivascolarizzato, indipendentemente dal valore della frazione di eiezione (FE) (Fig. 3).

 

Fig. 3: Kaplan-Meier survival curves comparing those with no-HF vs HFpEF vs HFrEF in terms of freedom from MALE. (From: Kaira KB, Brinza E, Singh GD et al: Long term outcomes in patients with critical limb ischemia and heart failure with preserved reduced ejection fraction. Vascular Medicine 2017. Vol 22 (4) 307-315).

 

Alla luce delle attuali conoscenze, le possibilità terapeutiche non hanno modificato in maniera significativa la prognosi di tali pazienti ma i risultati del trial COMPASS, condotto nel 2016 su circa 27.000 pazienti, ci ha fornito incoraggianti prospettive.

L’utilizzo di un anticoagulante orale diretto a basso dosaggio, Rivaroxaban 2.5 mg, in associazione con Aspirina 100 mg versus Aspirina 100 mg da sola, ha permesso una RRR del 28% di eventi cardiaci maggiori ed una riduzione del 46% delle amputazioni maggiori.

La possibilità di utilizzare tale trattamento nei pazienti ad alta complessità rappresenta un importante progresso nella loro gestione.


BIBLIOGRAFIA

  1. Fowkes FG, Rudan D, Rudan I, et al. Comparison of global estimates of prevalence and risk factors for peripheral artery disease in 2000 and 2010: a systematic review and analysis. Lancet 2013; 382: 1329-40.
  2. Steg PG, Bhatt DL, Wilson PW, et al. One-year cardiovascular event rates in outpatients with atherothrombosis. JAMA 2007; 297: 1197-206.
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  4. Fowkes FG, Murray GD, Butcher I, et al. Ankle brachial index combined with Framingham Risk Score to predict cardiovascular events and mortality: a meta-analysis. JAMA 2008; 300: 197-208.
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