Anno Accademico 2019-2020

Vol. 64, n° 3, Luglio - Settembre 2020

Simposio: Lebbra

22 settembre 2020

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Origine e diffusione della lebbra in Europa

G. Fornaciari

La maggior parte degli storici della Medicina è concorde nel ritenere che la lebbra sia stata importata in Egitto dall’India dagli eserciti di Alessandro Magno di ritorno dalla spedizione nella Valle dell’Indo nel 327-326 a.C.1. Infatti, fra le migliaia di mummie e di scheletri studiati in Egitto, mancano completamente casi patognomonici di lebbra anteriori al II secolo a.C., ritrovati nell’oasi di Dakleh in Nubia2 (Figg. 1, 2). La malattia è certamente presente nel bacino del Mediterraneo già in epoca ellenistica ma, se dobbiamo dare credito alla testimonianza di Celso (I secolo d.C.), doveva essere piuttosto rara3, e solo in Età tardo antica sembra che abbia avuto una progressiva diffusione, probabilmente in seguito agli apporti di popolazioni provenienti dall’Oriente. La questione della prima diffusione della lebbra in Europa e dei suoi sviluppi tra Tardo antico e Alto medioevo è ancora piuttosto dibattuta, dal momento che gli studiosi devono basarsi su scarse testimonianze storico-letterarie e su pochi reperti osteoarcheologici, cui si sono aggiunti in questi ultimi anni alcuni importanti dati paleomolecolari4, 5.

Il Sushruta Samhita, un testo medico indiano risalente al VI secolo a.C., descrive magistralmente il quadro clinico della lebbra, caratterizzato da “retrazione della cute, anestesia locale, sudorazione abbondante, edema, deformità degli arti e raucedine, caduta delle dita, collasso e caduta del naso e delle orecchie ed arrossamento degli occhi6, 7.

 

 

Il paleopatologo Møller-Christensen, negli anni ’60, studiò per primo i cimiteri di alcuni lebbrosari medievali (1250-1550) della Danimarca, con un totale di 650 individui, individuando la cosiddetta facies leprosa dello scheletro, caratterizzata da trofia delle regioni nasali, da riassorbimento alveolare, con caduta dei denti anteriori-superiori, e da atrofia e riassorbimento delle piccole ossa delle mani e dei piedi89 (Figg. 1, 2).

Solo in questi ultimi anni la moderna paleobiologia molecolare, grazie al sequenziamento completo di ben 16 genomi antichi di Mycobacterium leprae e al loro confronto con i ceppi moderni, ha cominciato a chiarire, almeno in parte, il problema dell’origine della lebbra. È stato visto che i casi medievali di lebbra comprendevano sia ceppi di origine asiatica che africana, ed anche diversi ceppi che attualmente si ritrovano in America, importati dall’Africa in Età moderna in seguito alla tratta degli schiavi (Fig. 3).

Grazie a questi studi, è stato possibile ricostruire l’albero filogenetico dell’agente patogeno della lebbra e stabilire la datazione dell’antenato comune più recente [Most Recent Common Ancestor (tMRCA)], che è risultata risalire a 4031 anni da oggi per l’intero albero di M. leprae, con un possibile range al 95% fra i 3110 e i 5020 anni. Questa datazione coincide in maniera straordinaria con i resti osteoarcheologici di lebbra, ritrovati nella valle dell’Indo e risalenti alla civiltà di Harappa (1990-1300 a.C.)10 e ha fatto rivalutare la vecchia teoria dell’arrivo della lebbra nel bacino del Mediterraneo grazie alle truppe di Alessandro Magno alla fine del IV secolo a.C., anche se non si possono escludere i traffici commerciali per via marittima di Età ellenistica, via che sembrerebbe confermata  anche per la comparsa della lebbra in Cina nel IV-III secolo a.C. (Fig. 4).

Successivamente la “via della lebbra” si estese dall’Egitto, dove sono stati rinvenuti diversi casi tipici nell’oasi di Dakleh in Nubia (Figg. 1, 2), alla Palestina ed alla Siria, per giungere infine in Europa, nella penisola italica al seguito delle campagne militari di Pompeo Magno nel I secolo a.C. (Fig. 4). Con la conquista della Gallia e della Britannia la lebbra si diffuse nell’Europa settentrionale e in tutto il resto dell’impero. I dati paleomolecolari hanno anche dimostrato una possibile recrudescenza della malattia in seguito ai movimenti delle popolazioni delle steppe dell’Est euroasiatico, in particolare degli Avari nel VII-VIII secolo d.C.1112 (Fig. 4).

 Dal punto di vista normativo, già nel 538 d.C. il Concilio di Lione emanò severe disposizioni per limitare i contatti con i lebbrosi13. Nel codice longobardo di Rotari del 643 si stabiliva che: “Chi è affetto da lebbra, riconosciuta dai giudici e dal popolo, venga espulso dalla città” (Fig. 5).

La Chiesa, che si assunse l'onere dell'assistenza, diede il via all’istituzione dei lebbrosari, hospitales deputati all’accoglienza dei lebbrosi. Ai lebbrosi fu proibito di con­tinuare a vivere in famiglia nelle proprie abitazioni e di circolare liberamente fra la popolazione. Forse, gli effetti di queste prime misure di isolamento furono inferiori a quanto si è creduto, va tuttavia ricordato che la lebbra, che era fino a quel mo­mento progredita con estrema rapidità, sembra regredire nel corso del VII secolo (Fig. 6).

A partire dall'VIII secolo, le autorità civili e religiose presero coscienza di una nuova e più grave on­data della malattia; successivamente, tra il IX e l'XI secolo, la lebbra co­nobbe un nuovo periodo di regressione, per poi ricomparire nel corso del XII-XIII secolo in coincidenza con le Crociate14 (Fig. 6). Questo andamento altalenante è ancora difficilmente spiegabile sulla base dei dati epidemiologici in nostro possesso15.

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

La Medicina medievale e le terapie della lebbra

La Scuola Medica Salernitana conosceva molto bene la lebbra e le sue diverse forme16.

I Maestri Salernitani in realtà confondevano fra loro varie malattie della pelle chiamando lepra molte malattie dermatologiche: l'impetigine, la tigna e la stessa lebbra16.

Quanto alla terapia della lebbra, la Medicina scolastica, insieme a tutta una serie di rimedi ovviamente inefficaci, consigliava di cauterizzare le lesioni lepromatose (Fig. 7) e di praticare bagni frequenti, che potevano avere un effetto palliativo. Plateario, molto realisticamente afferma che tutte le spe­cie di lebbra sono incurabili (omnes species lepre sunt incurabiles)17.

Fig. 7: Terapie medievali della lebbra e medico che visita un lebbroso, da un codice inglese del XIII secolo (da Mitchell, 2002)

 

I lebbrosari

I lebbrosari costituiscono i primordi di quel­le forme di controllo della malattia, identificata come devianza, che a partire dalla fine del '300 e, soprattutto nel '400 con la creazione da parte di autorità laiche dei lazza­retti, si caratterizzeranno come luoghi di segregazione e reclusione dei malati ritenuti infettanti. Essi si moltiplicano in Occidente già a partire dal­la fine dell'XI secolo in coincidenza con le Crociate.

Simbolo visibile per eccellenza del peccato e segno esemplare della giustizia di Dio, il lebbroso però diventa anche l’esempio del peccatore che con le sue sofferenze sta già scontando i propri peccati e viene considerato un beato vivente. Questa radicale ambiguità cristiana si riflette soprattutto nella spiritualità dei secoli XII-XIII, a somiglianza dell'im­magine di Cristo che si riveste delle lordure del corpo e che si fa abietto tra gli abietti per salvare l'umanità (Fig. 8). Il bacio al lebbroso di S. Francesco o di S. Luigi è il segno di questa simbolica identificazione: egli è «colui che il Signore ha voluto visitare più intimamente degli altri» - come è det­to negli statuti del lebbrosario di Lille. Contagioso e in­curabile, non può che servire Dio fino alla morte18.

D'al­tra parte, come abbiamo visto, la lebbra era considerata dalla scienza ufficiale una malattia incurabile, anche se la Medicina medievale produce su di essa una vasta trattatistica, proponen­do terapie per lo più di tipo estetico-cosmetico e palliativo. Ma il sapere del medico resta sostanzialmente uno stru­mento di controllo sociale e la sua pratica si riassume e conclude con la diagnosi, mentre le uni­che misure 'sanitarie' adottate da regolamenti e statuti sono quelle igienico-profilattiche. Poi­ché la malattia è vista come ambivalente, queste misure non posso­no che esercitarsi contemporaneamente sul corpo e sull'a­nima e in particolare, essendo diffusa la convinzione del­l'ereditarietà e della trasmissione venerea della lebbra, come punizione di una trasgressione sessuale, sono volte a regolare o reprimere la sessualità, sublimandola spesso in una sorta di voto di castità19.

 

La lebbra e gli Ospitalieri a Gerusalemme

Nel 1153 abbiamo la prima regolamentazione riguardante la lebbra che poteva essere contratta da un membro dell’Ordine degli Ospitalieri, e la stessa valeva anche per gli appartenenti all’ordine del Tempio: «i cavalieri (templari o ospitalieri) affetti da lebbra devono unirsi ai confratelli di S. Lazzaro»20-22. Si tratta di un interessante modo di distinguere i cavalieri colpiti dalla lebbra e di isolarli dagli altri confratelli, relegandoli in un apposito Ordine, fondato intorno al 113022, che non era solo un ordine assistenziale ma un vero e proprio ordine militare, in cui i cavalieri lebbrosi continuavano almeno inizialmente a prestare la propria opera di soldati valorosi, e che svolse un compito importante nella gestione della malattia in Terra Santa, occupandosi soprattutto della gestione dei lebbrosari istituiti in gran numero nel Regno di Gerusalemme e negli altri stati crociati nella fase di maggiore espansione della lebbra.

 

La lebbra nell’Ospedale di Rodi

Nel 1478 il Grande Ospedale di Rodi costituì certamente la più celebre e moderna istituzione ospedaliera dell’epoca, con una grande corsia di ben 51 x 12m, con le relative strutture di servizio.

Secondo la disposizione del Gran Maestro Emery d’Amboise (1503-1512), gli ‘ammalati di San Lazzardevono essere curati nelle proprie case’, anche se soggetti ad alcune restrizioni e controlli23. Queste disposizioni attestano che, sebbene i lebbrosi continuassero ad essere ritenuti una minaccia per la comunità, non erano considerati così infettanti da richiedere la loro reclusione in lebbrosari24. Comunque, quando venivano ammessi in ospedale (la cosiddetta ‘Sacra Infermeria’) i lebbrosi dovevano essere curati in apposite stanzette, isolati dal resto della comunità degli infermi25.

In conclusione le varie disposizioni della fase rodiese dell’Ordine attestano che i lebbrosi non erano ritenuti così infettanti da richiedere la loro reclusione in strutture separate come i lebbrosari, ma potevano essere curati nell’Ospedale o anche a domicilio. La spiegazione potrebbe essere l’esperienza e soprattutto la familiarità con la lebbra acquisita in Palestina, dove la malattia, diffusa ed endemica da sempre, aveva fatto intuire la sua scarsa contagiosità, poi ampiamente dimostrata dalla medicina moderna.

 

La scomparsa della lebbra in Europa

Dopo aver costituito la grande endemia del Medioevo, e aver conosciuto la maggiore espansione in Europa tra l'XI e il XII secolo, la lebbra regredisce lentamente in Europa a partire dal XIV secolo (Fig. 6). Questo declino, piuttosto rego­lare nel tempo, è però irregolare nella sua distribuzione geografica: lentamente si vennero a costituire dei fo­colai di resistenza finché, nel XVIII-XIX secolo, non restarono che alcuni isolotti endemici in Norvegia, Svezia, Finlandia, Islanda, Scozia, Portogallo e sul litorale mediterraneo26.

Numerose ipotesi hanno cercato di spiegare questa re­gressione: alcuni hanno voluto vedervi una tardiva conse­guenza delle misure draconiane prese precocemente fin dall'Alto Medioevo, e poi mantenute e rese più rigide nei secoli successivi. Si è ipotizzata anche una qualche presa di coscienza ri­spetto all'igiene, ma la spiegazione non è certo applicabi­le alle condizioni epidemiche della lebbra, ed è soprattut­to poco conforme alla realtà; infatti, i secoli a cavallo tra il XIV e il XVI secolo non conobbero uno sviluppo particolare dell'igiene.

Il ruolo della grande peste del 1348 è stato molto discusso: secondo alcuni, essa avrebbe provocato fra i leb­brosi una mortalità sufficiente a innescare la regressione della lebbra. È l'ipotesi avanzata da G. Girard, sulla base della sua trentennale esperienza in Madagascar27. Secondo J. Tisseul, la regressione della lebbra è legata ad un insie­me di modificazioni socioeconomiche provocate dall'alta mortalità del periodo della peste nera, che ridusse le possibilità di assistenza anche dei lebbrosi, riducendone il numero28.

Rimane un'ultima ipotesi, forse la più convincente, legata all'immunità crocia­ta fra la lebbra e la tubercolosi: secondo il grande storico della medicina Mirko Grmek, sembra possibile, o anche probabile, che il declino della lebbra in Occidente sia legato all'ascesa della tubercolosi, che coin­cise con le trasformazioni sociali, economiche e demogra­fiche del XV-XVI secolo29.

In conclusione, nessuna delle ipotesi avanzate può spiegare da sola la scomparsa della lebbra dal­l'Europa, ma con tutta probabilità ci fu un’associazione di fattori diversi che ne influenzarono la catena infettiva fino all’estinzione spontanea della malattia nel XIX secolo.


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