Prof. Giovanni Minisola

Presidente Emerito della Società Italiana di Reumatologia

Articolo pubblicato in:

Anno Accademico 2020-2021

Vol. 65, n° 1, Gennaio - Marzo 2021

Conferenza: Il ritorno della gotta. Tra storia e attualità

12 gennaio 2021

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Il ritorno della gotta. Tra storia e attualità

G. Minisola


Cenni storici

Secondo l’ultima e recente (2019) classificazione delle malattie reumatologiche, la gotta (acuta e cronica, inclusa la tofacea) rientra nel gruppo delle artropatie da microcristalli; di tale gruppo fanno parte anche le artropatie da deposito di cristalli di pirofosfato di calcio, di fosfato basico di calcio e di altri microcristalli (come, ad esempio, ossalato di calcio).

Sotto il profilo dell’inquadramento nosografico, la storia della gotta inizia nel 1961, quando Daniel McCarty e Joseph Lee Hollander dimostrarono la presenza di cristalli di urato monosodico nel liquido sinoviale di pazienti gottosi1.

Tuttavia, la gotta è una malattia storica la cui prima identificazione sembra risalire agli antichi Egizi intorno al 2500 AC. Successivamente viene descritta da Ippocrate, Marco Valerio Marziale, Celio Aureliano, Sorano di Efeso e Areteo di Cappadocia. Ippocrate (V° sec. AC) notava che gli eunuchi non ammalano di gotta, mentre gli uomini ammalano dopo la pubertà e le donne dopo la menopausa, Marco Valerio Marziale tratteggiava nelle sue commedie le caratteristiche del gottoso, Celio Aureliano (I° sec. DC) ipotizzava un rapporto tra gotta ed eccessi nel mangiare e nel bere, Sorano di Efeso (II° sec. DC) supponeva una possibile trasmissione della gotta da una generazione all’altra e Areteo di Cappadocia (II° sec. DC) descriveva l’attacco acuto di gotta.

La gotta è stata sempre considerata una malattia prerogativa delle classi abbienti (morbus dominorum) e molte sono le personalità malate di gotta, tra cui re, imperatori, papi (per almeno 16 di essi è stata storicamente accertata la malattia), comandanti, politici, artisti, scrittori, filosofi e scienziati.

Il gottoso è classicamente rappresentato in numerose stampe del passato in sovrappeso, con una bottiglia di vino in mano e in compagnia femminile, a sottolineare la sua forte propensione verso i piaceri di tavola e di letto.

Fino al XIX° secolo i medici hanno pensato che la malattia fosse da attribuire ad abbondanti libagioni e a smodati e incontenibili appetiti sessuali; ritenevano, inoltre, che gli attacchi dolorosi all’alluce dipendessero da traumatismi collegati a una sfrenata e imprudente attività sessuale. Ciò poteva essere causa di imbarazzo per i numerosi papi che hanno sofferto di gotta, specie per quelli non accreditati di una vita poco morigerata.

La relazione tra iperuricemia e gotta fu documentata per la prima volta nel XIX° secolo da Alfred Baring Garrod, che dimostrò depositi di cristalli di urato monosodico su un filo di lino tenuto immerso nel sangue acidificato (il cosiddetto "metodo del filo")2.

Quanto alla cura, si è brancolato nel buio per moltissimi anni. A Costantinopoli, al tempo del Sacro Romano Impero, si scoprì che l'estratto del colchico, una pianta adoperata per preparare clisteri lassativi, era utile per controllare la sintomatologia degli attacchi acuti di gotta, ma non si poteva immaginare che l’effetto dipendesse da una sostanza contenuta nella pianta e oggi nota come colchicina. Si pensava invece che il miglioramento fosse dovuto all’effetto depurativo del lassativo e, pertanto, i gottosi sono stati a lungo curati con abbondanti e ripetuti clisteri. Solo verso la metà dell’ottocento si comprese l’effetto antinfiammatorio della colchicina che da allora viene impiegata con successo per il trattamento degli attacchi acuti di gotta.

Si dovrà invece attendere la metà del secolo scorso per disporre dell'allopurinolo, un farmaco in grado di diminuire la produzione di acido urico e, quindi, di tenere sotto controllo l’iperuricemia. Questa, è bene sottolinearlo ancora una volta, non si identifica con la gotta, ma costituisce la condizione dismetabolica facilitante e promuovente l’insorgenza della malattia.

La gotta oggi non è più appannaggio di pochi ricchi: le condizioni di vita migliorate e un’alimentazione diffusamente scorretta hanno favorito l’aumento dei casi di gotta che da malattia aristocratica del passato è oggi divenuta una malattia molto democratica e popolare, in continua e costante crescita, favorita anche dall’uso di diuretici.

Nel corso degli anni la malattia ha subito non solo una trasformazione “sociale”, ma è cambiata anche sul piano clinico: alla sede classica, l’alluce, si sono aggiunte altre articolazioni degli arti e non sempre i classici segni del’infiammazione sono violenti ed evidenti, come descritti in passato, ma possono essere sfumati e poco chiari, creando per il clinico problemi interpretativi e diagnostici.

Recentemente è stato accertato che l’iperuricemia non è solo una condizione tipicamente associata alla gotta, ma è anche di per sé un importante fattore di rischio per mortalità e patologie cardiovascolari e renali, anche in assenza di gotta. Inoltre, il crescente numero di soggetti con iperuricemia e gotta è associato a un significativo incremento dei costi sociali, assistenziali e di ospedalizzazione per tali condizioni3.

 
La gotta oggi

La gotta (o iperuricemia cronica con depositi di urato) è una malattia dismetabolica caratterizzata da iperuricemia, aumento della quantità di acido urico presente nell’organismo, precipitazione di microcristalli di urato monosodico in sede articolare ed extra-articolare, reazione infiammatoria alla precipitazione dei microcristalli, nefropatia e possibile formazione di tofi4.

Si distingue una forma primaria, se dipendente da un errore metabolico congenito, e una secondaria, se imputabile a malattie acquisite o all’assunzione di farmaci.

L’iperuricemia isolata non coincide con la gotta giacché la prima non è necessariamente associata al quadro clinico della malattia consistente di artropatia, tofi e nefropatia.

La gotta è una malattia sottodiagnosticata e sottotrattata nonostante sia molto più diffusa del passato in ragione dei cambiamenti epidemiologici e demografici della popolazione.

Il rinnovato interesse per questa malattia, che è la più comune forma di artrite degli adulti specie negli uomini sopra i 40 anni, è testimoniato dal numero crescente di pubblicazioni sull’argomento indicizzate su PubMed (Fig. 1)5.

La prevalenza della gotta e dell’iperuricemia sono aumentate notevolmente in Italia e nel mondo negli ultimi anni. L’aumento segue nei due sessi la progressione dell’età6.

 

 

La storia naturale della gotta si sviluppa classicamente in quattro fasi successive:

1)   iperuricemia asintomatica

2)   attacchi di artrite acuta, di frequenza, intensità e durata variabili

3)   intervalli intercritici tra gli attacchi di artrite acuta, sempre più brevi con l’evolversi della malattia

4)   gotta cronica associata ad artropatia, a nefropatia e a possibili tofi.

Pur essendo una patologia prevalente nel sesso maschile, si è registrato negli ultimi anni un progressivo aumento della sua diffusione anche tra le donne sia in menopausa che in età più giovane, verosimilmente a causa di comportamenti e stili di vita in grado di influenzare il metabolismo dell’acido urico.

La gotta esordisce in genere tra i 30 e i 60 anni, inizialmente con un attacco acuto, e tende successivamente a diventare cronica. Più della metà dei pazienti che hanno un primo attacco acuto di gotta ne sviluppa poi un secondo nel giro di un anno.

Durante l’età fertile, le donne sono molto meno colpite rispetto agli uomini; dopo la menopausa, invece, il divario tra i due sessi tende a diminuire, facendo ipotizzare l’esistenza di meccanismi di regolazione di tipo ormonale.

La gotta ha un carattere famigliare e sono molti i gottosi che hanno parenti affetti dalla stessa patologia.

Oltre alla famigliarità, esistono diversi fattori di rischio concomitanti e predisponenti: insufficienza renale, obesità, diabete, ipertensione, dislipidemia, utilizzo di farmaci che possono aumentare l’uricemia (come i diuretici), alimentazione sbagliata e consumo di bevande alcoliche, superalcoliche e contenenti fruttosio7.

La gotta è una malattia caratterizzata da iperuricemia e da episodi ricorrenti di dolore articolare (molto) acuto, dovuti all’infiammazione provocata dal deposito di cristalli di urato monosodico nelle articolazioni, nei tendini e nei tessuti circostanti. Le sedi più frequentemente colpite sono la prima metatarsofalangea, il ginocchio, la caviglia, il tarso, le articolazioni delle mani e il gomito.

L’acido urico è prodotto nei processi di trasformazione delle proteine. Quando, per motivi diversi, la sua eliminazione con le urine si riduce e/o aumenta la sua produzione, si verifica un incremento della sua concentrazione nel sangue (iperuricemia). Essendo scarsamente solubile, l’acido urico può precipitare formando cristalli; quando ciò avviene nelle articolazioni si attiva un processo infiammatorio causa di dolore, rossore, tumefazione e limitazione funzionale.

Gli iperproduttori eliminano >800 mg di acido urico nelle 24 ore; gli ipoescretori, nello stesso intervallo di tempo, eliminano

La fisiopatologia dell’attacco acuto di gotta prevede l’attivazione del complemento e dell’inflammasoma NLRP3, cui fanno seguito fagocitosi dei cristalli, lisi cellulare e rilascio di numerosi mediatori della flogosi; tra questi, un ruolo di primo piano è svolto dall’interleuchina-1.

Spesso l’attacco acuto si verifica di notte o alle prime ore del mattino. Generalmente i sintomi si manifestano improvvisamente e si intensificano rapidamente, nell’arco di un paio d’ore, per poi diminuire e/o scomparire nel giro di pochi giorni, di solito entro due settimane. L’articolazione interessata è calda, arrossata, tumefatta, intensamente dolente; può coesistere prurito (Fig. 2). Gli attacchi, inizialmente monoarticolari e successivamente oligo o poliarticolari, sono talvolta associati a rialzo febbrile e intervallati da periodi intercritici pauci o asintomatici di durata variabile. Alla fine dell’attacco acuto la cute corrispondente e adiacente alla/e sede/i interessata/e può desquamarsi. Gli attacchi di gotta sono generalmente più frequenti nell’anno successivo al primo episodio.

A prescindere dalla predisposizione individuale, sono noti fattori scatenanti l’attacco acuto di gotta, come traumi e attività fisica eccessiva (Tab. 1).

      

EVENTI SCATENANTI L’ATTACCO ACUTO DI GOTTA
• Ingestione di alcool
• Iperalimentazione
• Dieta ricca di purine
• Emorragia
• Esercizio fisico eccessivo
• Traumi
• Farmaci (diuretici, eparina, ciclosporina, ....)
• Disidratazione
• Infezioni
• Terapia radiante
• Interventi chirurgici (3-5 giorni dopo)

Tabella I: L’attacco acuto di gotta avviene spesso in modo capriccioso e indipendentemente dalle circostanze riportate in tabella4.

 

Anche se l’iperuricemia può manifestarsi in maniera acuta e improvvisa (attacchi artritici acuti), per la sua natura cronica tende a evolvere in maniera silente e subdola verso un quadro clinico gottoso contrassegnato da artrite acuta, subacuta o cronica, nefrolitiasi e nefropatia.

Quando la malattia diventa cronica, i sintomi diventano persistenti e aumenta la possibilità di danni permanenti legati alla formazione di tofi, piccoli noduli di colore giallastro contenenti aggregati di acido urico, localizzati solitamente in corrispondenza di dita, orecchio, e tessuto sottocutaneo.

L’impegno renale è molto frequente nei gottosi. Si manifesta sotto forma di nefropatia uratica (o rene gottoso), nefropatia da acido urico e nefrolitiasi. La nefropatia uratica è un esito tardivo della malattia ed è dovuta alla deposizione di cristalli di urato monosodico nell’interstizio; può portare all’insufficienza renale. La nefropatia da acido urico è una forma reversibile di insufficienza renale in corso di gotta secondaria all’impiego di dosi elevate di chemioterapici. La nefrolitiasi correla con l’entità dell’uricuria ed è molto più frequente rispetto alla popolazione sana. 

La diagnosi della malattia, non sempre facile, si basa su una corretta analisi della storia clinica del paziente e su una serie di esami di laboratorio.

La diagnosi di certezza fonda sul riscontro di tofi e di cristalli di urato monosodico nel liquido articolare e nei tofi. I tipici cristalli di urato monosodico, visibili mediante osservazione al microscopio a luce polarizzata, sono aghiformi, intra ed extracellulari, con forte birifrangenza negativa (Fig. 3). La loro individuazione consente di escludere altre cause di artrite.

La diagnosi presuntiva fonda sulla presenza della caratteristica triade di:

          • iperuricemia
    • artrite monoarticolare acuta
    • risposta clinica alla terapia con colchicina, consistente in risoluzione completa dei sintomi entro 48 ore e assenza di nuovi episodi per una settimana.

Nelle fasi iniziali della malattia non si evidenziano anomalie radiografiche, mentre nella fase dell’artrite acuta la radiologia tradizionale può evidenziare la tumefazione dei tessuti molli.

Dopo alcuni attacchi acuti possono comparire erosioni ossee accompagnate da una reazione osteoproduttiva. Più tardive sono le anomalie ossee indicative di depositi tofacei; esse sono asimmetriche e localizzate nelle articolazioni precedentemente e ripetutamente interessate da attacchi acuti.

L’ecografia, una metodica diagnostica di recente impiego nella gotta, consente di evidenziare depositi articolari di acido urico che danno immagini caratteristiche (doppio contorno, tempesta di neve) (Fig. 4).  

Obiettivi del trattamento sono il controllo dei sintomi dell’attacco acuto, la sua prevenzione e il mantenimento di livelli di acido urico nella norma (≤6,0 mg/dl).

I FANS tradizionali, i COXIB e la colchicina per via orale costituiscono il trattamento di elezione per il trattamento dell’attacco acuto di gotta, in associazione a riposo.

Se il trattamento non è intrapreso immediatamente, la sintomatologia può protrarsi invariata per più giorni. Quando i sintomi sono scomparsi, il farmaco utilizzato può essere somministrato, a dosi ridotte, per altri tre giorni.

I FANS tradizionali e i COXIB devono essere impiegati alla dose massima giornaliera prevista per il singolo prodotto, la loro azione anti-infiammatoria è aspecifica e il trattamento deve essere attuato tenendo conto del loro profilo di sicurezza, specie gastrointestinale.

La colchicina, disponibile in granuli da 1 mg per via orale, deve essere impiegata il più precocemente possibile alla dose di 1 mg ogni due-tre ore fino a un massimo di 6 mg al giorno. Se il trattamento viene iniziato in ritardo può risultare meno efficace. Il farmaco viene interrotto quando cessa la sintomatologia.

La colchicina agisce inibendo numerose funzioni leucocitarie indispensabili per la fagocitosi dei cristalli di urato monosodico da parte dei leucociti del liquido sinoviale.

La tollerabilità della colchicina è soggetta ad ampia variabilità individuale. Gli effetti collaterali più frequenti sono la nausea, il vomito e la diarrea; quest’ultima obbliga alla sospensione del farmaco. Solitamente il dosaggio massimo non viene raggiunto per la comparsa di diarrea.

La mancata risposta al trattamento con colchicina (fatti salvi i casi in cui viene sospeso precocemente per intolleranza) mette in dubbio la diagnosi di gotta.

I glucocorticoidi per via orale, a dosi variabili da caso a caso, sono riservati ai pazienti nei quali FANS tradizionali, COXIB e colchicina sono inefficaci o controindicati per ragioni di sicurezza o per intolleranza.

Le iniezioni intra-articolari o intrabursali di cortisone (desametasone, metilprednisolone con lidocaina, triamcinolone acetonide), precedute da aspirazione del liquido sinoviale, possono risultare estremamente efficaci. Le iniezioni intra-articolari di steroide devono essere limitate a una-due sedi e risultano tanto più efficaci quanto più prontamente eseguite.

È stata evidenziata la particolare efficacia sulla sintomatologia dell’attacco acuto di gotta di farmaci biotecnologici in grado di neutralizzare l’interleuchina-1.

Il trattamento con ipouricemizzanti (uricoinibitori o uricosurici) non va sospeso se era già in atto all’inizio dell’attacco acuto.

Il rischio di ulteriori attacchi di gotta può essere ridotto mediante la somministrazione per periodi prolungati di basse dosi giornaliere profilattiche di FANS tradizionali, COXIB o colchicina, in aggiunta alla terapia ipouricemizzante.

L’uso dei predetti farmaci a scopo profilattico di ulteriori attacchi permette di instaurare, dopo un paio di settimane dalla fine dell’attacco, la terapia ipouricemizzante nei casi precedentemente non trattati con uricoinibitori o uricosurici. L’impiego protratto e profilattico della colchicina alla dose di 1 mg al giorno non è generalmente associato alla comparsa di eventi avversi gastrointestinali.

Superato l’attacco acuto, e non mentre è in corso, dovrà essere intrapreso un percorso terapeutico finalizzato a ottenere valori di uricemia persistentemente ≤6,0 mg/dl, per agevolare la dissoluzione dei cristalli di urato monosodico e prevenire la formazione di nuovi cristalli e di tofi.

Il monitoraggio dell’uricemia è essenziale per verificare l'efficacia della terapia ipouricemizzante, per garantire che l’obiettivo terapeutico di valori di uricemia ≤6,0 mg/dl venga raggiunto e per verificare nel tempo l’aderenza al trattamento.

Il trattamento ipouricemizzante viene generalmente effettuato con l’allopurinolo, da iniziare a basse dosi (100 mg al giorno), per raggiungere progressivamente e se necessario la dose giornaliera di 300 mg. L’allopurinolo viene metabolizzato a ossipurinolo, metabolita attivo che viene eliminato dal rene; pertanto è opportuno che il farmaco non venga utilizzato in caso di insufficienza renale.

Nei casi di intolleranza all’allopurinolo o quando questo non consenta di ottenere una riduzione dell’uricemia ≤6 mg/dl, è possibile ricorrere al febuxostat (80-120 mg al giorno), un potente inibitore selettivo, non purinico, della xantino-ossidasi.

A differenza dell’allopurinolo e del suo metabolita attivo ossipurinolo, il febuxostat non è un analogo delle purine e, pertanto, inibisce soltanto la xantino-ossidasi e non altri enzimi coinvolti nel metabolismo delle purine e delle pirimidine.

Febuxostat, inoltre, viene metabolizzato principalmente a livello epatico mediante glucuronidazione e presenta una doppia via di eliminazione, epatica e renale. Ciò consente di impiegarlo senza dover prevedere aggiustamenti posologici anche nei pazienti con insufficienza renale di grado moderato e negli anziani.

Recentemente, tuttavia, l’impiego di febuxostat è stato associato a un aumento del rischio di mortalità per tutte le cause, compresa quella cardiovascolare; pertanto, il suo impiego deve avvenire con cautela9.

Come per l’allopurinolo, anche per il febuxostat va considerata la possibilità di un’interazione con la 6-mercaptopurina e l’azatioprina in ragione della metabolizzazione di questi farmaci attraverso la xantino-ossidasi.

Anche gli uricosurici sono utili per ridurre i livelli di uricemia. I pazienti nei quali si rivelano più efficaci sono quelli di età 60 ml/min), senza nefrolitiasi (la formazione di calcoli è facilitata dal transito di urine ricche di acido urico) e che non assumono aspirina a basse dosi (l’aspirina interferisce con l’efficacia degli uricosurici, inibendo l’eliminazione dell’acido urico).

Gli uricosurici sono controindicati se l’eliminazione quotidiana di acido urico è >800 mg. Durante il loro impiego è bene assicurare un buon flusso urinario e l’alcalinizzazione delle urine (mediante la piperazina alla dose massima giornaliera di 240 mg per via orale), al fine di ridurre il rischio di nefropatia gottosa e nefrolitiasi.

L’impiego degli uricosurici è controindicato in corso di attacco acuto di gotta e può essere intrapreso progressivamente dopo almeno quindici giorni dalla fine.

Il successo che si consegue con la terapia ipouricemizzante permette di evitare regimi dietetici rigidi che prevedano una drastica riduzione dell’apporto purinico.

Poiché l’iperuricemia e la gotta cronica sono generalmente asintomatiche, l’aderenza al trattamento ipouricemizzante è scarsa8.

Il trattamento dell’iperuricemia e della gotta non può comunque prescindere da stili di vita e comportamenti alimentari corretti (Tab. 2, 3, 4).

Occorre evitare alimenti ricchi di purine, quali animelle, fegato, rene, frutti di mare, acciughe, sardine, asparagi, funghi, piselli e fagioli. Ed è altresì necessario evitare bevande edulcorate con fruttosio o alcoliche perché possono scatenare l’attacco acuto. L’alcol, in particolare, aumenta la produzione di acido lattico, che riduce l’escrezione renale di acido urico, e accelera la degradazione dell’ATP, aumentando la sintesi di purine e urato.

In caso di eccesso ponderale, frequente nei gottosi, la riduzione graduale e controllata del peso contribuisce non solo alla normalizzazione di uricemia e uricuria, ma anche al controllo di altre condizioni dismetaboliche spesso presenti.

 

ALIMENTI CONSIGLIATI
• Latte scremato (di vacca o di capra), yogurt, latticini, formaggi freschi e poco grassi (mozzarella, scamorza, fior di latte, fontina, bel paese, pastorello, robiola), burro e uova.
• Pane abbrustolito, grissini, gallette, biscotti, fette biscottate, pane integrale.
• Minestre di riso (o pasta, semolino, fiocchi d’avena) preferibilmente semiliquide (con brodo vegetale o zuppa di verdura fresca).
• Riso o pasta asciutta (condimento a base di olio crudo, burro e formaggio parmigiano).
• Patate, carote, cavoli, sedano rape, barbabietole, cicoria, coste, cetrioli, invidia, insalata riccia, scarola, cipolle, fagiolini, zucchini, carciofi, finocchi, pomodori, lattuga, legumi freschi.
• Agrumi in genere, ciliegie, pesche, albicocche.
• Marmellate, non eccessivamente zuccherate, gelatine di frutta, miele.
• Ammessi aglio, prezzemolo, basilico, rosmarino, origano.
• Acque oligominerali alcaline (fino a 2-3 litri al giorno, specie in presenza di calcolosi renale), possibilmente addizionate di abbondante succo di limone.

Tabella II: Per condire usare olio extravergine d’oliva, preferibilmente crudo4.

 

ALIMENTI DA CONSUMARE CON MODERAZIONE
• Carne (manzo, pollo, coniglio), non oltre 100 g al giorno, magra, lessata e senza brodo; (nella preparazione del lesso mettere la carne in acqua fredda in modo da agevolare il passaggio nel brodo delle sostanze da evitare).
• Pesce magro (sogliola, nasello, dentice, triglia, branzino, spigola, orata, trota) lessato e condito con olio d’oliva e limone.
• Fagioli secchi e freschi, carciofi sott’olio, sott’aceti, funghi freschi, conserve di pomodoro, marmellate di frutta molto dolci, canditi, dolciumi.
• Vini leggeri asciutti.
• Tè leggero (5%), caffè leggero (meglio decaffeinato), infusi aromatici.

Tabella III: È bene associare quotidianamente una terapia idropinica, come riportato nella tabella 24.

 

ALIMENTI SCONSIGLIATI
• Animelle, cervella, fegato, trippa, rognoni, carni di maiale, oca, anatra, selvaggina, cacciagione stagionata, piccione.
• Insaccati (salsicce, zampone, cotechino) e salumi vari.
• Pesci grassi (salmone, anguilla, palombo, tinca, carpa) e pesci salati (aringhe, sardine, acciughe, stoccafisso, baccalà).
• Crostacei  (aragosta, gamberi, scampi).
• Molluschi (calamari, polipi, seppie).
• Frutti di mare (ostriche, vongole e cozze).
• Caviale.
• Alimenti conservati in genere.
• Brodi di carne ristretti, estratti di carne, carni in umido.
• Formaggi fermentati e piccanti (gorgonzola, pecorino, parmigiano, provolone).
• Formaggi molto grassi(caciocavallo, mascarpone, groviera, emmenthal).
• Uova fritte.
• Oli cucinati, grassi animali cotti e crudi (strutto e lardo).
• Fritture in genere, salse piccanti, sughi con spezie ed elementi molto aromatici.
• Maionese, mostarda, senape, zafferano, paprica, pepe e noce moscata.
• Lenticchie, piselli, spinaci, cavolfiore, asparagi, funghi secchi, tartufi, peperoni, melanzane.
• Frutta secca, castagne, datteri, frutti oleosi (noci, nocciole, mandorle).
• Frutta fresca (tranne quella permessa e riportata in tab. 2).
• Caffè forte, tè forte, cacao, cioccolato.
• Vini forti e dolci, birra, liquori, aperitivi, bevande edulcorate con fruttosio.

Tabella IV: Non usare il dado e non fare uso eccessivo di sale da cucina, sia nella cottura degli alimenti, sia come condimento di pietanze4.

 


BIBLIOGRAFIA

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  2. Marson P, Pasero G. Some historical remarks on microcrystalline arthritis (gout and chondrocalcinosis). Reumatismo 2012; 63: 199-206.
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  4. Minisola G. Gotta. In: Negri M. Terapia Medica. Torino: UTET, 2011; 1203-8.
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