Anno Accademico 2020-2021
Vol. 65, n° 1, Gennaio - Marzo 2021
Simposio: Interazione fra Ospite e Microbiota (Batterioma, Viroma, ecc.) Intestinale: l’anello mancante con la Patologia Autoimmune e Neoplastica
19 gennaio 2021
Istituto di Medicina Interna e Gastroenterologia, Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma
Simposio: Interazione fra Ospite e Microbiota (Batterioma, Viroma, ecc.) Intestinale: l’anello mancante con la Patologia Autoimmune e Neoplastica
19 gennaio 2021
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È ormai noto che nel paziente cirrotico la permeabilità della barriera intestinale sia aumentata, principalmente a causa della disfunzione delle giunzioni intercellulari tra gli enterociti (in particolare, le tight junctions). Ciò comporta un incremento della traslocazione di batteri intestinali patogeni e non patogeni e dei loro prodotti come il lipopolisaccaride (PAMPS, Pathogens Associated Molecular Peptides e MAMPS, Microbiota Associated Molecular Peptides), oltre che di frammenti cellulari danneggiati (DAMPs, Damage Associated Molecular Peptides) nella circolazione portale, i quali, raggiungendo il fegato, innescano una risposta infiammatoria patologica1.
I dati riguardanti la composizione del Microbiota (MI) nei pazienti con cirrosi epatica confermano un'indubbia differenza rispetto ai soggetti sani. In particolare, un recentissimo studio di Qin2 ha dimostrato come il MI di pazienti cirrotici sia diverso rispetto a quello di controlli sani e che sia caratterizzato da una maggior prevalenza di batteri derivanti dal cavo orale (Veillonella e Streptococco) e di patogeni (Campylobacter e Haemophilus Parainfluenzae). Inoltre, la maggior parte dei geni di questi batteri codifica per enzimi coinvolti nel metabolismo dell’ammonio e nel trasporto di membrana.
Il MI intestinale subisce modifiche e potrebbe avere un ruolo patogenetico in corso di scompenso epatico (ad es. sviluppo di ascite, encefalopatia). È stato dimostrato che è possibile identificare batteri nell’ascite della maggior parte dei pazienti cirrotici anche in assenza di peritonite batterica spontanea o di infezione locale, e che ciò sia correlato con misure di outcome clinico3. Il gruppo di Bajaj4 ha dimostrato come pazienti cirrotici compensati, scompensati, ricoverati, e soggetti sani presentino una diversa frequenza di specie microbiche autoctone, definite come “buone”, e non autoctone, “cattive”. Un recente studio ha dimostrato che, seppur non ci siano differenze significative tra il MI di pazienti cirrotici con encefalopatia portosistemica e soggetti sani a livello fecale, possano esserci invece differenze significative a livello mucosale. I pazienti cirrotici ed encefalopatici presentano un numero più elevato di genera batterici patogeni e una riduzione di quelli autoctoni, a cui si associano elevati livelli plasmatici di IL-6 ed endotossine rispetto ai soggetti sani5. Il miglioramento dei test cognitivi e dell’endotossiemia nei pazienti cirrotici con encefalopatia epatica minima trattati con rifaximina sembrerebbero correlati ad uno shift verso la produzione di metaboliti “benefici” da parte del MI, più che a modifiche della sua composizione6. Tuttavia, poco è conosciuto riguardo l’effetto specifico della terapia con rifaximina sulla modulazione del MI nel paziente con encefalopatia manifesta e sulla persistenza di questo effetto dopo la sospensione del farmaco.
Infine, le patologie epatiche primitive delle vie biliari come la colangite sclerosante primitiva rappresentano un’ulteriore conferma del ruolo del MI nello sviluppo della cirrosi. Nei pazienti con colangite sclerosante primitiva, il 56.7% delle stenosi dei dotti biliari principali sono associate a infezioni batteriche7. Inoltre, gli anticorpi citoplasmatici perinucleari antineutrofili (p-ANCA), frequente reperto nei pazienti con colangite sclerosante primitiva, cross-reagiscono con un auto antigene, l’isotipo 5 della beta tubulina (TBB-5), e con la proteina batterica FtsZ ad essa affine8.
Tuttavia, i limiti di alcuni di questi studi sono costituiti dall’etnia asiatica dei pazienti arruolati (che quindi condizionano diverse abitudini alimentari), nonché dall'assunzione di farmaci che modulano la composizione del MI, come probiotici, prebiotici e antibiotici, che possono costituire potenziali bias per il risultato.
L’infiammazione cronica del fegato è infine un ben noto fattore di rischio carcinogenetico. L’80% dei casi di HCC sono associati alla presenza di cirrosi epatica, che rappresenta lo stadio finale del perpetuarsi di danno, infiammazione e proliferazione epatocitaria compensatoria. La risposta infiammatoria locale è guidata da cellule immunitarie infiltranti il fegato (monociti/macrofagi, linfociti T e neutrofili) e da cellule residenti come le cellule di Kupffer, le sinusoidali, le dendritiche e le stellate), ciascuna in grado di secernere citochine ed alcune anche di presentare antigeni9. La produzione di TNFα con attivazione del NF-κB e di IL-6 con attivazione di STAT3 sembrano favorire lo sviluppo di un microambiente oncogeno, favorendo lo sviluppo di HCC. Recenti studi hanno dimostrato il coinvolgimento del microbiota intestinale nel processo di epatocarcinogenesi tramite la modulazione della sorveglianza immunologica antitumorale, in modo diretto o attraverso il metabolismo degli acidi biliari10-12. Uno studio clinico recentemente pubblicato dal nostro gruppo di ricerca13 ha dimostrato l'associazione tra la disbiosi intestinale e lo sviluppo di epatocarcinoma (HCC) nei pazienti con cirrosi epatica. Infatti, la mancanza di batteri benefici come Akkermansia e Bifidobacterium sembra favorire lo sviluppo di un ambiente pro-infiammatorio, che potrebbe essere implicato nel processo di epatocarcinogenesi in due modi: causando danni al fegato e producendo una stimolazione cronica del sistema immunitario che nel lungo termine ne determinerebbe una “paralisi” funzionale.
BIBLIOGRAFIA