Dott.ssa Patrizia Mattacola

U.O.C. Medicina Interna, Az. Osp. San Camillo-Forlanini, Roma

Articolo pubblicato in:

Anno Accademico 2020-2021

Vol. 65, n° 2, Aprile - Giugno 2021

Simposio: Cuore Polmone e la pandemia COVID-19

02 febbraio 2021

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SARS-CoV-2 e malattie cardiovascolari

P. Mattacola, G. Minardi


Introduzione

Alla fine di dicembre 2019, un nuovo coronavirus, denominato SARS‐CoV‐2, è emerso a Wuhan (RPC) e si è rapidamente diffuso in tutto il mondo, causando una malattia chiamata COVID-19. L'epidemia è stata dichiarata dall'OMS una emergenza di sanità pubblica di rilevanza internazionale il 30/1/2020 e definita pandemia il 11/3/20201, 2. Attualmente nel mondo risultano contagiati circa 108 milioni di persone e si contano circa 2.400.000 morti per COVID-19.


Considerazioni epidemiologiche e patogentetiche

I danni associati alla SARS‐CoV‐2 possono essere di 2 tipi:

    1. danni acuti citotossici, causati dalla infiltrazione virale nelle cellule che hanno recettori ACE2, cioè pneumociti, cellule endoteliali, cellule miocardiche, cellule nervose, con conseguenti lesioni acute a livello polmonare, vascolare, miocardico e cerebrale3;
    2. danni da progressione della malattia, causati da ipossiemia, infiammazione, trombosi vasale, con conseguenti sindromi da distress respiratorio, lesioni multiorgano di natura non ischemica (da tempesta citochinica), come cardiomiopatie, miocarditi, vasculiti, sindromi ischemiche da instabilizzazione di placche e ipercoagulabilità come IMA, tromboembolie etc.4.

Nella maggior parte dei casi, l'infezione da SARS‐CoV‐2 causa una lieve infezione delle vie respiratorie superiori e, in alcuni casi, può essere asintomatica o paucisintomatica5, ma il principale sito di coinvolgimento è il tratto respiratorio inferiore6. In un sottogruppo di pazienti, il virus provoca una polmonite grave, che può progredire rapidamente fino alla sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS) causando insufficienza respiratoria, shock settico, insufficienza multiorgano e infine morte7.

Il COVID-19 ha tassi di infezione simili in entrambi i sessi; tuttavia, i tassi di mortalità sono più alti negli uomini e nelle fasce di età più avanzate. L’età è uno dei più importanti fattori di rischio cardiovascolare e allo stesso tempo può essere implicato nella maggiore suscettibilità al COVID-19, nella maggiore frequenza di eventi avversi cardiovascolari e in una peggiore prognosi, similmente a quanto succede per altre virosi come l’influenza, con una sinergia “multifattoriale” di complessi meccanismi. In Italia la mortalità dei casi al 27/1/2021 va dal 1,1% per i pazienti di età< 50 anni (941 casi su 85418 positivi) al 40% circa per i pazienti di età> 80 anni (INSTAT). 

Numerosi studi e diverse meta-analisi suggeriscono una stretta correlazione tra patologie cardiovascolari pre-esistenti e COVID-198, 9, con una elevata prevalenza di ipertensione, diabete e patologie cerebro- e cardio-vascolari. Uno studio che ha incluso 5700 pazienti di New York City, Long Island e Westchester County (USA) ha evidenziato che ipertensione (56,6%), obesità (41,7%), diabete (33,8%), coronaropatia (11,1%) e insufficienza cardiaca congestizia (6,9%) erano le comorbidità più comuni10. Nella coorte italiana dei pazienti 1/3 aveva una cardiopatia ischemica, o un diabete mellito, 1/4 soffriva di FA e 1/10 aveva una storia di ictus cerebri11.

Inoltre le persone anziane e quelle con comorbilità come il diabete, l’IRC, l’ipertensione arteriosa, la BPCO, l’obesità, le neoplasie e le malattie cardiovascolari (MCV) sembrano sviluppare forme più gravi della malattia e sembrano essere a maggior rischio di morte12, 13. I pazienti positivi al COVID-19 con tali comorbilità necessitano di terapia intensiva molto più frequentemente rispetto alla popolazione “sana”. Il tasso di mortalità, di conseguenza, è nettamente più alto nei pazienti affetti da malattie cardiovascolari (10.5%), diabete (7.3%) ed ipertensione (6.0%) rispetto alla media (2.3%).

I meccanismi implicati nell’aumentata suscettibilità alle MCV sembrano essere in larga parte sovrapponibili a quelli che regolano le funzioni immunitarie. Inoltre il COVID-19 potrebbe innescare percorsi peculiari rispetto ad altri patogeni: ad esempio, una maggiore espressione dei recettori ACE2 nei pazienti ipertesi potrebbe essere correlata ad una aumentata suscettibilità al SARS-CoV2, ma i dati sono tuttora contrastanti.

Nel decorso del COVID-19 si osservano molte manifestazioni cardiache simili a quelle di altre infezioni da coronavirus come SARS e MERS: ipotensione, M.I. cardiaca, alterazioni ECGrafiche, insufficienza ventricolare sinistra  sub-clinica da disfunzione diastolica, scompenso cardiaco conclamato, aumento della Troponina, complicanze trombotiche arteriose e venose (SCA14, trombosi venose o TEP), mio-pericardite15, aritmie primitive o secondarie agli effetti pro-aritmici del trattamento medico mirato al COVID-19 e alle malattie associate16. Le complicanze cardiovascolari sembrano più frequenti nei pazienti più gravi17 e sono associate ad una prognosi peggiore18.

Nel coinvolgimento cardiaco sono stati ipotizzati vari meccanismi patogenetici:

    1. invasione diretta del miocardio da parte del virus e quindi danno di tipo I (per esempio una miocardite): sebbene ciò non sia stato dimostrato nel COVID-19, questo potenziale meccanismo viene suggerito sulla base di un modello murino che ha dimostrato che l'infezione respiratoria da SARS‐ CoV-2 potrebbe precipitare un'infezione miocardica ACE 2‐dipendente3. Inoltre le autopsie di pazienti con COVID-19 hanno rivelato l'infiltrazione del miocardio da parte di cellule infiammatorie mononucleate interstiziali19;
    2. lesione miocardica conseguente a infiammazione originata dallo squilibrio dell'attivazione dei linfociti T con il rilascio disregolato di IL6, IL2, IL17 e altre citochine (danno di tipo II)4;
    3. ischemia / infarto miocardico di tipo II a causa dell'aumentata richiesta di O2 nei pazienti critici (danno di tipo II);
    4. formazione di microtrombi nel microcircolo coronarico, causata da uno stato di ipercoagulabilità (danno di tipo II)20, 21;
    5. il danno miocardico e/o l'infiammazione indotta dalle citochine possono compromettere ulteriormente il rilassamento miocardico nei pazienti con preesistente disfunzione diastolica, in particolare se infusi da grandi volumi di liquidi o trattati con farmaci antinfiammatori non steroidei. Questo alterato rilassamento potrebbe aumentare le pressioni di riempimento ventricolare, con un contributo anche cardiogeno all'edema polmonare esistente, determinando un aggravamento dello stato di ipossia (danno di tipo II);
    6. negli anziani e nei pazienti con diabete, malattia coronarica, malattia cardiaca strutturale, ipertensione arteriosa, le anomalie della funzione diastolica possono subire modificazioni di varia entità che vanno da condizioni di irrilevanza clinica a quadri di scompenso cardiaco conclamato con funzione sistolica preservata (HFpEF). Queste ipotesi patogenetiche potrebbero, almeno in una certa misura, spiegare la gravità e il più alto tasso di mortalità tra gli anziani e tra i pazienti ipertesi, e potrebbero fornire elementi interpretativi al significato prognostico di un NT pro-BNP elevato, nonostante la normale sistolica funzione;
    7. l'ACE 2, che si esprime nei polmoni, nel cuore e nei vasi, fa parte del RAS, importante nella fisiopatologia delle MCV; la MCV associata a COVID-19, probabilmente comporta una disregolazione del sistema RAS/ACE 2 sia a causa dell'infezione che a causa di comorbidità, come l'ipertensione. Inoltre un alterato rapporto ACE/ACE2 potrebbe portare ad una maggiore attività dell’Angiotensina II, che ha effetto vasocostrittore, pro-ossidante e pro-infiammatorio ed una minore attività dell’Angiotensina 1-7, che ha effetto vasodilatatore, anti-ossidante e anti-infiammatorio22. Si è paventato che la terapia con ACE inibitori o con ARB potessero influenzare la suscettibilità al COVID-19 o a determinarne un decorso più sfavorevole23. Al momento non vi è una chiara evidenza che l'uso di tali farmaci portino ad up-regolazione ACE2 nei tessuti umani e a conseguenze tipo ipertensione arteriosa, aumento di mortalità o maggiore tendenza all’infezione da SARS CoV-2;
    8. la MCV può essere un fenomeno primario nel COVID-19 (danno di tipo I), ma può essere secondario a danno polmonare acuto, che porta ad un aumento del carico di lavoro cardiaco, potenzialmente problematico nei pazienti con SC preesistente (danno di tipo II);
    9. l'attivazione del sistema immunitario e le alterazioni immunometaboliche possono provocare instabilità della placca, contribuendo allo sviluppo di eventi coronarici acuti (danno di tipo II).


Tipologia delle manifestazioni cardiovascolari

Danno miocardico

Il danno miocardico acuto, definito come un incremento dei valori sierici di troponina, rappresenta l’evento più frequente. Esso può essere conseguenza di un’ischemia miocardica o di un processo non-ischemico, come una miocardite. Il meccanismo eziopatogenetico di base è correlato alla grave insufficienza respiratoria con conseguente ipossia. Il danno miocardico può essere correlato anche alla sovraregolazione dell'ACE2 nel cuore e nei vasi coronarici e a meccanismi immunitari attivati con rilascio di citochine proinfiammatorie.

Dolore toracico

Il dolore toracico o un senso di oppressione toracica è comune nei pazienti con infezione da COVID-19. Di solito è scarsamente localizzato e può essere associato a mancanza di respiro a causa della polmonite sottostante. L'ipossiemia profonda associata alla tachicardia può provocare dolore toracico e alterazioni elettrocardiografiche indicative di ischemia miocardica.  Quando i biomarcatori sono alterati, può essere ipotizzato un IMA di tipo 2. I pazienti con SCA, tuttavia, sperimentano sintomi più tipici legati all'ischemia come la modalità di comparsa, la sede, l’irradiazione, i sintomi concomitanti etc. In alcuni casi la presenza di un'infezione da COVID-19 può rendere più difficile la diagnosi differenziale, perché i disturbi respiratori possono precedere o precipitare segni e sintomi cardiaci.

Infarto miocardico acuto (IMA)

Si definisce come IMA senza aterosclerosi coronarica ostruttiva (MINOCA) quell’infarto miocardico acuto in cui la CVG evidenza al massimo delle irregolarità parietali endoluminali, senza stenosi >50%. Non è ancora del tutto chiaro il motivo per cui alcuni pazienti con COVID-19 presentano segni di infarto miocardico in assenza di ostruzione coronarica. I meccanismi fisiopatologici che possono causare MINOCA includono rottura della placca, spasmo delle arterie coronarie, dissezione coronarica spontanea, cardiomiopatia di Takotsubo24, tromboembolia coronarica, miocardite. Un IMA di tipo 2 può derivare da una grave discrepanza tra domanda e offerta di O2 a livello miocardico, conseguente alla infezione da COVID-19 e alle conseguenti insufficienza respiratoria ipossica e shock settico. L’IMA nei pazienti con COVID-1914 fa ipotizzare il possibile ruolo delle citochine e dell'infiammazione sistemica nella genesi della rottura di placca o dell'infiammazione del miocardio; di conseguenza si può osservare un aumento dei biomarcatori e, in particolare, del D-Dimero, che è correlabile ad uno stato pro-trombotico, e si può evidenziare un innalzamento del segmento ST all’ECG. Tuttavia sono necessarie ulteriori ricerche per capire se e come l‘IMA di tipo 2, la miocardite e la tempesta di citochine giocano un ruolo nell'infezione da COVID-19 che si presenta come MINOCA.

Miocardite

Il termine "miocardite" dovrebbe essere utilizzato solo per una diagnosi comprovata da biopsia endomiocardica (EMB) o da autopsia. Nella pandemia COVID-19 la maggior parte delle segnalazioni di miocardite si è basata invece sul rilievo di una diminuzione della funzione sistolica del VS. Sono stati riportati casi di miocardite supportati da CardioRM nel contesto della normale funzione sistolica VS o supportati dal riscontro di infiammazione miocardica all'EMB. In che misura questa infiammazione coinvolga l'interstizio cardiaco rispetto ai miociti cardiaci è ancora da chiarire. Ulteriori studi patologici sono necessari per determinare se COVID-19 è veramente un virus cardiotropico. La miocardite compare nei pazienti COVID-19 diversi giorni dopo l'inizio della febbre; ciò indicherebbe un danno miocardico causato da un'infezione virale15. In pazienti con compromissione respiratoria può verificarsi una miocardite fulminante25, 26.

Aritmie

Le aritmie cardiache rappresentano un’altra possibile manifestazione cardiovascolare. Esse possono essere correlate alla coesistenza di disordini metabolici, di ipossia, di stress neuro-ormonale, di un processo infiammatorio, ma anche alla particolare suscettibilità delle fibre nervose simpatiche e parasimpatiche che sono presenti a livello del miocardio comune e del tessuto di conduzione, con i loro recettori ACE2, sensibili al SARS-CoV-212. La presentazione clinica di bradiaritmie o tachiaritmie nel contesto del COVID-19 non differisce da quelle abituali, potendo manifestarsi come palpitazioni, dispnea, vertigini, dolore toracico, sincope, ecc. È disponibile una letteratura limitata sull'insorgenza di tali aritmie. In uno studio su 138 pz. ospedalizzati a Wuhan, è stata segnalata aritmia nel 16,7% dei pz. totali e in 16 dei 36 pz. ricoverati in TI. Nel 5.9% dei pz. sono stati rilevati TV ed TVS, con una incidenza significativamente più alta nei pz. con Troponina T elevata27 o nei paz. in uno stadio più avanzato di malattia28. L’ipossiemia e uno stato di iperinfiammazione sistemica possono portare a FA di nuova insorgenza, sebbene non ci siano dati pubblicati finora. Nei pazienti con aritmie è necessario valutare attentamente la gestione del ritmo, tenendo altresì conto delle possibili interazioni farmacologiche con i farmaci utilizzati per il trattamento del COVID-19 e con i farmaci utilizzati nella anticoagulazione.

Scompenso cardiaco (SC)

Lo SC risulta molto frequente nei pazienti affetti da COVID-19. Sarebbe ancora da chiarire se l’insufficienza cardiaca sia maggiormente correlata ad una esacerbazione di una preesistente disfunzione ventricolare sinistra o all’insorgenza di una cardiomiopatia de novo, causata da miocardite o da stress29. Nella gestione e nel monitoraggio dello SC si utilizzano tra l’altro alcuni biomarcatori come il BNP/NT-proBNP.  

Quadri clinici di particolare gravità.

Durante un’insufficienza respiratoria acuta da COVID-19 possono insorgere e poi coesistere quadri di edema polmonare e/o shock cardiogeno acuto730 e di TEP. In questi casi è essenziale una diagnosi precoce, accurata e rapida. La durata mediana tra l'insorgenza dei sintomi e il ricovero in T.I. dei pazienti in condizioni critiche è di 9-10 giorni, suggerendo un graduale deterioramento respiratorio nella maggior parte di essi. Nei pazienti critici a rischio di SC, come i pazienti con IMA esteso o con Scompenso cardiaco acuto o con sepsi, dovrebbe essere considerata un'eziologia mista di SC e shock settico e fatta una valutazione dei parametri che consentono una diagnosi differenziale, come la presenza/assenza di vasodilatazione e valori di saturazione dell'O2 venoso centrale; in casi selezionati occorre un monitoraggio emodinamico con catetere arterioso polmonare.


Esami

In corso di COVID-19 si possono osservare aumenti della troponina T/I (espressione di danno dei cardiomiociti) o del BNP o NT-proBNP (espressione delle sollecitazioni emodinamiche) o dei D-Dimeri (che quantificano la coagulazione attivata). Lievi aumenti di troponina T/I e / o BNP/ NT-proBNP sono in generale il risultato di una malattia cardiaca preesistente, ma possono essere correlati anche al danno acuto conseguente a COVID-19.

Troponine

In assenza del tipico dolore anginoso e/o di alterazioni ischemiche all'ECG, gli aumenti lievi ( < 2-3 volte il limite superiore della norma) non richiedono un work-up e/o un trattamento per l‘IMA; il monitoraggio va fatto solo se la diagnosi di IMA viene fatta anche su basi cliniche, o in caso di disfunzione ventricolare sinistra di nuova insorgenza. Marcati aumenti delle concentrazioni di troponina T/I possono indicare: la presenza di shock come parte di COVID-19, una grave insufficienza respiratoria, una tachicardia persistente, una ipossiemia sistemica, una miocardite, una sindrome di Takotsubo o un IMA causato da COVID-19.

BNP e NT-proBNP

Questi biomarcatori, oltre che nelle situazioni di sovraccarico emodinamico del cuore o di evidente scompenso cardiaco, sono spesso elevati tra i pazienti con malattie infiammatorie e/o respiratorie gravi, come in altre polmoniti. Se utilizzati come marcatori quantitativi di stress emodinamico e di SC in un paziente con COVID-19 le concentrazioni di BNP/NT-proBNP vanno viste come la combinazione della presenza e dell’estensione di una malattia cardiaca (o aggravamento di una preesistente) e dello stress emodinamico acuto correlato al COVID-19. Almeno in una certa misura, il rilascio di BNP/NT-proBNP potrebbe essere correlato anche all'entità dello stress emodinamico del ventricolo destro.

D-Dimeri

Sono generati dalla scissione dei monomeri di fibrina da parte della protrombina; indicano la presenza di formazione di trombina o sono espressione di una risposta aspecifica di fase acuta da infezione o infiammazione31. I D-Dimeri possono indicare la presenza di una CID associata a shock. Si ipotizza che i markers di coagulazione attivata o di fibrinolisi compromessa possano contribuire al danno miocardico acuto, che alla fine colpisce anche i capillari coronarici. Pertanto, i markers di emostasi, inclusi il PTT attivato, il PT, i prodotti di degradazione della fibrina e i D-Dimeri devono essere monitorati regolarmente. Gli aumenti dei D-Dimeri sono stati associati a risultati sfavorevoli. 

ECG  

Nei pazienti affetti da infezione da SARS-CoV-2 si applicano gli stessi criteri ECGrafici, interpretativi e diagnostici, che si utilizzano nella popolazione generale e nei pazienti con le diverse condizioni cardiache32. Finora non sono state descritte alterazioni specifiche del COVID-19.


Implicazioni terapeutiche

Molteplici sono le possibili implicazioni cardiovascolari delle terapie finora utilizzate nell’infezione da COVID-198, 33. Numerosi antivirali, l’idrossiclorochina e gli anticorpi monoclonali mostrano interazioni importanti con gli anticoagulanti ed antiaritmici, potendo modificare la loro efficacia o causando effetti tossici diretti. È opportuno modificare i dosaggi, ove necessario, ed effettuare uno stretto monitoraggio. Naturalmente è da raccomandare con forza la vaccinazione che va effettuata il prima possibile, in tutte le categorie individuate secondo le priorità e i rischi, e, possibilmente, nella maggior parte della popolazione italiana, europea e mondiale, eliminando gli ostacoli di tipo economico, sociale, razziale e di marketing, mettendo così, a disposizione di tutti, questa terapia, che, al momento, si dimostra la più efficace nel contenimento della diffusione del virus e delle sue varianti.


Considerazioni prognostiche

Oltre alle complicanze acute, va ricordato che l'infezione da COVID-19 può essere collegata anche ad un elevato rischio cardiovascolare a lungo termine. È ben noto che nei pazienti con varie forme di polmoniti, l’ipercoagulabilità e l’attività infiammatoria sistemica possono persistere per un lungo periodo. Studi di follow-up dell'epidemia di SARS hanno dimostrato che i pazienti con una storia di infezione da SARS-coronavirus spesso avevano iperlipidemia, anomalie del sistema cardiovascolare o disturbi del metabolismo del glucosio.  I dati di follow-up del COVID-19 non sono ancora noti. Osservazioni preliminari evidenziano la presenza/persistenza di implicazioni di vario tipo: psicologico (ansia, paura, depressione, accentuata emotività etc.) e fisico (astenia, dispnea, dolori osteo-muscolari, disturbi del sonno). In aggiunta vengono riferiti disturbi cardiaci tipo aritmie, dolori toracici, facile stancabilità e difficoltà respiratoria. Spesso si rilevano esiti di pericardite o di disfunzione ventricolare sinistra all’ecocardiogramma o alterazioni della fase di ripolarizzazione e/o aritmie all’ECG. In un recente studio con CardioRM34 su 148 soggetti ricoverati per una forma grave di COVID-19 (con un significativo aumento della Troponina e con il 32% di casi di necessità di un supporto ventilatorio) è stato evidenziato come, a distanza di 2 mesi, il 54% dei soggetti presentava un danno cardiaco: il 26% segni di una patologia non ischemica, il 22% segni di una patologia ischemica (infarto o ischemia inducibile), il 6% segni di entrambe le patologie. Il danno cardiaco era simile a quello che si rileva nei casi di miocardite, ma limitato a solo 3 segmenti miocardici e senza compromissione della funzione globale del VS; tuttavia il 30% presentava segni di miocardite attiva. Verosimilmente la percentuale dei soggetti con danno cardiaco residuo è sottostimata perché è stata calcolata solo sui soggetti sopravvissuti; va tuttavia sottolineato che anche tra i soggetti con forma grave di COVID-19 e Troponina alta sono stati rilevati casi senza un evidente danno cardiaco.


Conclusioni

COVID-19 è una malattia multisistemica, che colpisce i polmoni, ma spesso anche l’apparato cardiovascolare. L’interessamento cardiaco si riscontra più frequentemente nei soggetti con fattori di rischio cardiovascolare o con malattie cardio-cerebrovascolari pre-esistenti e comporta un aumentato rischio di morbidità e di mortalità. Tale rischio è ancora più alto quando, in seguito a meccanismi multifattoriali, si determina un ulteriore danno cardiaco, di tipo ischemico, trombotico, aritmico o un danno acuto grave e mortale, come una miocardite fulminante. Importante è anche la problematica relativa alle interazioni farmacologiche tra i trattamenti per COVID-19 e quelli per le malattie di base, che spesso rende necessari opportuni adeguamenti terapeutici. L’esperienza comune nella gestione del COVID-19 ha messo in evidenza la necessità di una gestione multidisciplinare e l’opportunità di valutare la prognosi a distanza dei pazienti sopravvissuti alle forme più gravi e complicate della malattia.         

 


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