Prof. Alessandro Boccanelli

Primario Cardiologo, Clinica Quisisana, Roma

Articolo pubblicato in:

Anno Accademico 2020-2021

Vol. 65, n° 2, Aprile - Giugno 2021

Conferenza: Demografia, Cardiologia e futuro della Medicina

16 febbraio 2021

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Demografia, Cardiologia e futuro della Medicina

A. Boccanelli

Il XX secolo è stato quello in cui si è assistito ai più grandi mutamenti nell’umanità rispetto a tutti i tempi precedenti. Secolo di rivoluzioni politiche, economiche, ambientali, tecnologiche e scientifiche che hanno posto le basi per un XXI secolo inimmaginabile solo fino a poche decadi fa. Le condizioni mutate dell’umanità si accompagnano e reciprocamente determinano in incessante sviluppo le mutate condizioni politiche, economiche, ambientali, tecnologiche e scientifiche.

Primo risultato misurabile è la rapidissima transizione demografica. La storia comincia nel 1928, con la scoperta della Penicillina da parte di Alexander Fleming. L’introduzione degli antibiotici generò il primo grande tsunami epidemiologico, con un aumento, in brevissimo tempo, dell’attesa media di vita di circa 15 anni. Negli anni ‘80 l’attesa di vita di un maschio italiano non era molto superiore a 65 anni ed era l’epoca in cui si cominciava a lanciare l’allarme sulla crescente incidenza delle malattie cardio e cerebrovascolari.

Il secondo balzo in avanti inizia negli anni ‘70 e ‘80 con la lotta alle malattie aterosclerotiche. Gli studi epidemiologici delle ultime decadi del secolo scorso hanno avuto il grande pregio di aver messo a fuoco il rapporto causale tra i fattori di rischio e le malattie cardio e cerebrovascolari (MCV), aprendo la strada alle strategie di intervento, farmacologiche e comportamentali, che hanno radicalmente cambiato, negli ultimi 50 anni, la storia delle MCV e modificato in modo consistente l’attesa di vita.

Parallelamente alla sistematizzazione della ricerca epidemiologica, entravano nella disponibilità della Cardiologia farmaci e procedure destinati a rivoluzionare l’andamento delle MCV. Il Captopril, capostipite degli ACE-inibitori, viene sviluppato nel 1975 e approvato per l’uso clinico nel 19771. Nel 1976 Akira Endo individua la Mevastatina nel riso rosso fermentato, ma è solo nel 1987 che viene approvata la Lovastatina e nel 1988 la Simvastatina2. Si mettevano così a disposizione della classe medica i farmaci che avrebbero rivoluzionato la storia e l’epidemiologia dell’aterosclerosi, abbattendo l’incidenza di ictus cerebrale e di infarto miocardico. La prima angioplastica coronarica risale al 1977, ad opera di Gruntzig3 l’uso della trombolisi con streptochinasi al 19864. A seguire, l’angioplastica primaria nell’infarto miocardico acuto e lo sviluppo della rete organizzativa per la riperfusione precoce dell’infarto. In pochissimi anni si è assistito ad un balzo in avanti di oltre 10 anni nell’insorgenza delle malattie coronariche, alla riduzione della encefalopatia ipertensiva multinfartuale e degli ictus, alla immissione in circolazione di una grande quantità di persone scampate al pericolo della malattia cardio e cerebrovascolare, acuta o cronica.

E come nelle decadi precedenti, problemi nuovi e soluzioni nuove: parallelamente al mutare della epidemiologia, venivano infatti a maturazione le tecniche di sostituzione/riparazione valvolare transcatetere: nel 2002 veniva realizzata la prima sostituzione valvolare aortica transcatetere (TAVI)5 e nel 2011 la MitraClip6 e sono in corso di perfezionamento le tecniche di sostituzione transcatetere della mitrale e della tricuspide.

Quell’onda che si generò in pochissimi anni ha prodotto la riduzione progressiva degli STEMI a favore dei NSTEMI, con un balzo in avanti di oltre 10 anni nell’insorgenza delle malattie coronariche, la riduzione della encefalopatia ipertensiva multinfartuale e degli ictus, la immissione in circolazione di una grande quantità di persone scampate al pericolo della malattia cardio e cerebrovascolare, acuta o cronica.

Fig. 1: Cambiamento dell'attesa di vita in Italia 1985-2015, alla nascita e nelle diverse fasce d'età (Dati ISTAT).

Nei 30 anni che vanno dal 1985 al 2015 l’attesa di vita alla nascita è cresciuta di circa 10 anni (Fig. 1) e parallelamente è cresciuta l’attesa di vita residua per ogni fascia di età (Fig. 1). L’attuale attesa di vita di un maschio italiano è di circa 81 anni e della femmina di circa 84, e cresce di circa 3 mesi ogni anno. Questo balzo in avanti è dovuto soprattutto alla lotta contro l’arteriosclerosi degli ultimi due decenni del secolo scorso, così da poter considerare quella epidemia secolare debellata, come lo erano state nei secoli precedenti peste, sifilide e tubercolosi (ciascuna con il proprio secolo di riferimento).

Se si pensa che l’aumento dell’attesa di vita è dovuto soprattutto alla mutata epidemiologia delle MCV, si comprende l’enorme importanza che la prevenzione cardiovascolare ha assunto nel nostro lavoro di Cardiologi.

La composizione della popolazione per fasce di età va altrettanto rapidamente cambiando. Attualmente la maggior parte della popolazione in Italia si colloca nella fascia di età compresa fra 40 e 50 anni, mentre si prevede che crescerà progressivamente nelle prossime decadi, fino ad arrivare, nel 2050, alla fascia compresa fra 60 e 70 anni.

Cercheremo di accennare alle principali rivoluzioni già in corso o prossime venture all’interno e a causa delle quali si verificherà la transizione demografica e, di conseguenza, epidemiologica.


L’era della Cronicità

Abbiamo ottenuto il risultato dell’aumento dell’attesa di vita e la principale conseguenza, in termini di salute pubblica, è stata quella di vedere apparire e moltiplicarsi condizioni croniche legate soprattutto alla degenerazione di organi e tessuti, le patologie cronico-degenerative. Sono condizioni ben diverse da quelle curabili in Ospedale, perché accompagnano il paziente per tutta la vita e richiedono soluzioni di cura che seguono un paradigma del tutto diverso. Questa è la principale modifica che dovremo apportare ai nostri sistemi sanitari, finalizzandoli non tanto all’aumento della durata (che ovviamente rimane come obbiettivo) quanto alla qualità della vita7.

L’esempio della Cardiologia è sotto gli occhi di tutti: con il ridursi delle cause “vascolari” di cardiopatia, sono emerse quelle più propriamente “tissutali” o degenerative.  Si è dato tempo allo sviluppo di malattie da invecchiamento del sistema cardiovascolare, che riconoscono alla propria base numerosi meccanismi a livello cellulare, che includono la senescenza replicativa, l’apoptosi, processi infiammatori. Le modifiche da invecchiamento si traducono in aumento della massa ventricolare, aumento delle dimensioni atriali, deposizione di collageno miocardico e deposizione di calcio a livello valvolare e coronarico, con aumento di rigidità della parete arteriosa. Le conseguenze di queste alterazioni sono l’ipertensione sistolica isolata, la sclerosi valvolare aortica calcifica con stenosi, l’amiloidosi cardiaca senile, insieme con la coronaropatia calcifica multivasale. Ecco pertanto l’incremento dello scompenso cardiaco, non a caso a sempre più prevalente fisiopatologia diastolica, non legata cioè a fenomeni di perdita di tessuto contrattile necrotico, ma piuttosto a sostituzione fibrotica progressiva e perdita di miociti. Ed ecco quindi l’incremento della fibrillazione atriale, legata a fenomeni degenerativi del tessuto atriale. Queste sono situazioni che interessano una fetta molto importante (fino al 15 %) della popolazione degli ultraottantenni. 

Il trattamento con statine, modificando la biologia di placca, ne ha impedito l’evoluzione verso la rottura, ma non verso l’evoluzione sclerotica. Questa modifica della struttura di placca si è tradotta in una riduzione degli infarti con meccanismo trombotico (STEMI) ed in un aumento degli infarti con meccanismo non trombotico, ma emodinamico (NSTEMI) più tipico della fragilità e comorbilità delle fasce più avanzate della popolazione. Insieme e a causa dell’invecchiamento della popolazione, sono inoltre venute a maturazione in misura epidemiologicamente rilevante, le cosiddette “cardiopatie strutturali”, in particolare le malattie degenerative delle valvole cardiache, per le quali si sta sviluppando una nuova consapevolezza, dovuta anche alle soluzioni interventistiche maturate nelle ultime due decadi.

Le soluzioni organizzative che si stanno prospettando per le patologie croniche sono soprattutto legate alla medicina di comunità e alla prevenzione. In questo settore, un grande aiuto verrà dalla tecnologia digitale e dai sistemi di controllo remoto.


L’evoluzione tecnologica e l’invasione della intelligenza artificiale

Un nuovo tipo di società, costituita da “nativi digitali”, sta sostituendo la generazione precedente, i cosiddetti “immigrati digitali”. Le generazioni successive agli anni '80 interagiscono con la tecnologia fin dalla prima infanzia. I “nativi digitali” non rappresentano solo i pazienti di oggi, ma ritraggono anche i pazienti del futuro.

La tecnologia consente di accorciare i tempi da dedicare ad attività accessorie e che richiedono tempo, come quelle amministrative, di facilitare la diagnosi, di favorire i contatti, di somministrare terapie, di organizzare in modo efficiente l’assistenza.

La telemedicina e il teleconsulto consentono l’accesso a competenze specialistiche a gran parte della popolazione e sono in programma grandi investimenti sulla e-health. I sistemi di controllo remoto e lo sviluppo di piattaforme digitali per la raccolta dati faciliteranno la migliore distribuzione dell’assistenza domiciliare. Le nuove generazioni di medici e infermieri disporranno pertanto di strumenti e metodologie che rivoluzioneranno la pratica medica. Sicuramente l’intelligenza artificiale e la tecnologia non sostituiranno la figura del medico, ma i medici che non sapranno utilizzare la tecnologia saranno sostituiti da quelli che lo sanno fare.


La genetica e la Medicina di precisione

Citeremo gli esempi derivanti dalla Cardiologia, ma che si stanno verificando in tutti i settori della Medicina. Il trattamento di malattie ad enorme impatto sulla popolazione quali le MCV, come sopra riportato, si è dovuto necessariamente servire di un approccio “probabilistico”, come espresso dalle tradizionali carte del rischio. Su di esse si basano a tutt’oggi le indicazioni delle linee guida relativamente al trattamento dei fattori di rischio modificabili, sia in termini di variazioni di stile di vita che di prescrizione di farmaci. Relativamente a quest’ultima, mentre sono abbastanza chiari i benefici nelle persone classificate ad alto rischio o in prevenzione secondaria, nella gran parte della popolazione classificabile a rischio intermedio o basso rimangono molte incertezze sulle indicazioni all’uso di farmaci. Al fine di avvicinarsi per quanto possibile alla pratica di una “Medicina di precisione”, si rende necessario affinare le metodiche di valutazione del rischio individuale. Negli ultimi 15 anni si sono riposte molte speranze sugli studi di Genetica, che hanno portato alla elaborazione di “score” poligenici fortemente predittivi di rischio di ammalare di malattie cardiovascolari. Grazie all'utilizzo di grandi dataset genomici, raccolti in studi longitudinali con follow-up di più di 10 anni, è stato possibile validare la capacità predittiva degli score poligenici. Un esempio di un grande dataset genomico è la UK Biobank8: lo studio, promosso dal governo inglese ed effettuato in Gran Bretagna, che comprende più di 500.000 partecipanti genotipizzati e con la loro storia clinica a disposizione tramite gli electronic health records, ha permesso di accelerare la ricerca nella Medicina di precisione. Gli score poligenici sono basati sul contributo di centinaia di migliaia o addirittura milioni di variazioni genetiche comuni, ognuna con un piccolo effetto nell'aumento del rischio, ma che quando sono considerate nella loro totalità, riescono ad identificare persone con rischio superiore al 300% rispetto al resto della popolazione9. Le variazioni genetiche presenti negli score vengono identificate grazie all'uso di sofisticati algoritmi di machine learning e l'analisi di studi caso controllo chiamati Genome wide association study (GWAS)10. Negli ultimi tre anni la ricerca nel campo della Genetica dell'infarto miocardico ha fatto dei progressi importantissimi, riuscendo a raggiungere valore clinico nell'identificare persone sane a rischio. Il valore è dato dalla possibilità di identificare persone con rischio equivalente ai portatori di ipercolesterolemia familiare9, ma che, a differenza di questi, non hanno livelli di LDL elevati o altri fattori di rischio, risultando quindi invisibili ai modelli di rischio tradizionali. Inoltre lo score poligenico ha dimostrato di poter modulare il rischio di infarto conferito dal colesterolo LDL. Uno studio recentissimo pubblicato su Circulation ha evidenziato come persone con livelli di LDL intermedi (e.g. tra 130 e 160 mg/dL), ma con score elevato, abbiano lo stesso rischio di chi ha ipercolesterolemia11. Lo score poligenico può essere utilizzato come strumento aggiuntivo a quelli in uso nella pratica clinica, come supporto per aiutare nel prendere decisioni terapeutiche in persone a rischio intermedio, spesso difficili da effettuare con gli strumenti a disposizione12. Inoltre, è stato dimostrato che le statine e gli inibitori del PCSK9, sono risultati più efficaci nelle persone con alto score poligenico, apportando benefici più elevati1314.


La prevenzione di precisione e di comunità

Altre ricerche sulla stratificazione o riclassificazione del rischio coronarico si sono focalizzate, oltre che sulla Genetica ed i suoi score, sui biomarcatori, in particolare dell’infiammazione15 sull’imaging sia ultrasonografico1617 che radiologico18 e sulla loro integrazione19, favorita dalle applicazioni di machine learning20, approccio basato su sistemi informatici in grado di apprendere e adattarsi senza seguire istruzioni esplicite, utilizzando algoritmi e modelli statistici per analizzare e trarre inferenze da pattern nei dati.  Infine si stanno studiando fenotipi metabolici “metabotypes” per ottenere una “precision prevention”, prevenzione di precisione soprattutto dal punto di vista alimentare21.

Questi scenari sono certamente interessanti, ma emergono subito due problemi:

1) una volta identificati gli strumenti migliori per una “prevenzione di precisione” vanno valutati il loro costo e la loro reale applicabilità a livello di popolazione, in particolare in prevenzione primaria;

2) parlando di popolazione emerge anche per il futuro il contesto di comunità, soggetto essenziale e non riducibile della prevenzione, come anche la pandemia da Covid-19 sta dimostrando. Gli individui vivono in un contesto comunitario che ne influenza le scelte soprattutto comportamentali e qui rimane ancora molto da fare nonostante le evidenze22 anche italiane sul “basso rischio”2324 e le raccomandazioni, anche recenti, ai due lati dell’Atlantico25, 26


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