Anno Accademico 2020-2021
Vol. 65, n° 4, Ottobre - Dicembre 2021
Simposio: Appropriatezza nella diagnostica di laboratorio
11 maggio 2021
Consigliere della Fondazione San Camillo-Forlanini
Simposio: Appropriatezza nella diagnostica di laboratorio
11 maggio 2021
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Il 1978 ha segnato una data importante, o meglio fondamentale, per il mondo della Sanità italiana: infatti la legge 833 del 23/12/1978 ha sancito la nascita del Servizio Sanitario Italiano (S.S.N). Tale legge all’articolo 1 cita testualmente: “la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”.
I principi ispiratori del S.S.N. sono cambiati/modificati nel corso dei decenni trascorsi da tale data.
Negli anni ’80 nella Sanità ha prevalso il principio dell’EQUITÀ, cioè la capacità del sistema di rispondere ai bisogni di gruppi e di singole persone, sulla base dei possibili benefici, fornendo a tutti i cittadini le medesime possibilità di soddisfare i propri reali bisogni di salute indipendentemente da ogni variabile sociale, e tra queste l’età, l’etnia, il genere, la disabilità, il livello socioeconomico e la scolarità.
Negli anni ’90 è stato introdotto il principio dell’EFFICIENZA, cioè è stata valorizzata la capacità di massimizzare il rapporto tra risorse impiegate e intervento erogato, considerando anche le modalità di applicazione delle risorse.
Negli anni 2000 prevalente è stato il principio di EFFICACIA, che a seconda del punto di vista dal quale venga considerata può trovare una definizione diversa. Se parliamo di “efficacia nella pratica clinica” (effectiveness) questa può essere espressa come “grado in cui i miglioramenti di salute raggiungibili sono effettivamente raggiunti”; se parliamo invece di “efficacia teorica” (efficacy) questapuò essere espressa come“l’abilità della scienza e della tecnologia sanitaria di produrre miglioramenti nella salute quando usate nelle condizioni più favorevoli”.
Dal primo decennio degli anni 2000 in poi fondamentale è stato considerato il principio di “APPROPRIATEZZA” nelle sue diverse accezioni.
Appropriatezza
Nel vocabolario della Lingua Italiana Zingarelli la parola “appropriatezza” non compare, è possibile trovare invece la parola “appropriato”, per cui appropriato è ciò che risulta adeguato, preciso, calzante, opportuno.
A parte questa, numerosissime sono le definizioni di “Appropriatezza “che sono state via via coniate nel tempo dalle varie Autorità, Enti ed Associazioni autorevoli in campo sanitario; definizioni in parte sovrapponibili in parte no, ma che comunque prendono in esame il concetto di appropriatezza da diverse angolazioni di visuale.
Secondo il W.H.O. “un trattamento (sanitario) è appropriato se il beneficio atteso è superiore ai possibili effetti negativi previsti, con un margine sufficiente a giustificarne la scelta”.
Ai sensi dell’articolo 14 della legge 501/92 “Appropriatezza in sanità” è realizzazione di servizi e prestazioni qualitativamente aderenti al principio del rispetto dei diritti del cittadino, difesa della salute e buona qualità di vita. La persona assistita è posta al centro dei percorsi assistenziali.
Ancora, secondo una ulteriore definizione, “Appropriatezza in Medicina” è la misura di quanto una scelta o un intervento diagnostico o terapeutico sia adeguato rispetto alle esigenze del singolo paziente e al contesto sanitario/SSN (gli effetti sono considerati anche in termini economici sulla popolazione generale).
Il concetto così espresso appare semplice e chiaro, ma i criteri per definire appropriata/non appropriata una procedura sono meno evidenti e condivisi poiché la “misura degli esiti” rappresenta un problema che richiede approfondimenti e standardizzazioni1. Tuttavia, è importante sottolineare che per creare e documentare il valore dei servizi sanitari, le misure di processo hanno un effetto limitato e non intercettano l’interesse dei pazienti2. Pertanto l’appropriatezza, e l’eliminazione di servizi e procedure che non aggiungono valore per i pazienti, deve essere misurata con indicatori di esito idonei a fotografare l’efficacia degli interventi nei percorsi diagnostico-terapeutici3.
Secondo il Sistema Nazionale delle Linee Guida l’Appropriatezza può essere clinica/professionale o specifica (diagnostica, terapeutica) e organizzativa o generica. La prima, professionale, riguarda “l’intervento giusto al paziente giusto” (health intervention) effettuato “al momento giusto e per la giusta durata” (timing). La seconda, organizzativa, riguarda “il posto giusto” (setting) e “il professionista giusto” (professional).
L’appropriatezza in Medicina riguarda quindi vari ambiti: formativa, prescrittiva, organizzativa, analitica, diagnostica, di ricovero, terapeutica, di luogo di ricovero, e…molto altro.
In Medicina di Laboratorio il tema dell’Appropriatezza si è andato sviluppando a partire dagli anni ’70 come necessario per governare due fenomeni che andavano sviluppandosi velocemente: il continuo e significativo aumento delle richieste di esami di laboratorio associato all’introduzione dell’automazione/informatizzazione dei sistemi diagnostici ed all’introduzione di esami sempre più complessi e rilevanti per il processo decisionale clinico4, 5.
Nella Tab. 1 sono riportate in ordine cronologico alcune definizioni di appropriatezza in Medicina di laboratorio che sono state enunciate nel tempo dagli anni ’70 ad oggi6.
Tab. 1: Definizioni di appropriatezza in Medicina di laboratorio6.
Nel capitolo generale dell’appropriatezza in Medicina diagnostica un ruolo rilevante è quello dell’appropriatezza prescrittiva; questa è fondamentale per poter fornire al paziente il migliore risultato possibile rispetto al quesito clinico specifico, evitando gli sprechi potenziali derivanti da un sovra o sotto-utilizzo delle indagini.
Fig. 1: Appropriatezza prescrittiva: sottoutilizzo e sovrautilizzo. |
Il mancato utilizzo di un dato fornito dal laboratorio o da altro servizio diagnostico, reso disponibile a seguito di una richiesta prescritta ed indicata nello specifico contesto clinico, comporta uno “spreco”. Inoltre diverse altre sono le cause che possono determinare un “uso inappropriato” di risorse: scarsa qualità dell’informazione fornita (metodologica/inadeguatezza professionale), scarsa fruibilità clinica del dato, mancato rispetto del Turn Around Time atteso (TAT) imputabile a fattori intra/extra struttura erogante, ecc…. (Fig. 1).
In più, sempre in tema di “spreco”, importante è tenere a mente che un esame diagnostico “mal richiesto”, se il risultato ottenuto risulta essere al di fuori dei valori di riferimento, genera spesso una serie di altri esami inappropriati, con ricadute di carattere sanitario, economico, legale e sociale7, 8.
Numerose possono essere le cause, i momenti di inappropriatezza in Medicina di Laboratorio; a titolo esemplificativo, ma non esaustivo, di seguito ne vengono riportate alcune: richiesta iniziale inappropriata, frequenza di ripetizione dell’esame, raccolta/manipolazione del campione clinico, tipologia e qualità del processo analitico, validazione dati/refertazione, comunicazione del referto, recepimento/interpretazione dell’informazione clinica ritardati/errati da parte del richiedente (medico/paziente), e molte altre6.
Pare superfluo sottolineare che la “conoscenza” è, e deve essere, alla base dell’appropriatezza prescrittiva.
Per limitare i danni derivanti da una scarsa appropriatezza prescrittiva, anzi per migliorarla, possono essere messe in atto diverse strategie quali interventi educativi, consulenza PoC, LL.GG, reflex /reflective test, dismissione di esami obsoleti, gating (esami costosi/complessi autorizzati solo nel caso di sospetto diagnostico di una serie limitata di condizioni cliniche e solo se corredata da precise indicazioni cliniche), intervallo minimo di tempo fra richieste ripetute, periodici feedback attività/costi9.
Nel riassumere quindi, come appropriatezza in Medicina di Laboratorio si può intendere la ricerca sistematica di prestazioni e servizi efficaci, l’ottimizzazione del rapporto tra costi ed interventi sanitari, la definizione di priorità eque ed eticamente giustificate in ambito assistenziale. Si potrà quindi dire che una indagine diagnostica è appropriata, e quindi utile, quando il suo risultato inciderà sull’outcome del paziente modificandone la terapia e/o la prognosi, tenendo sempre a mente però che in Medicina di Laboratorio nessun test diagnostico è appropriato a priori. Per ottenere questi risultati è necessario sempre di più sottolineare l’importanza del rapporto tra Medicina di Laboratorio e Medicina Clinica e della consulenza degli specialisti di laboratorio per migliorare la richiesta ed interpretazione degli esami (clinical laboratory stewardship).
La tutela della salute è uno dei diritti tutelati dalla Costituzione e rappresenta un indicatore di sviluppo di un Paese.
L’Italia spende per la salute l’8,8 % del Prodotto Interno Lordo (PIL), tuttavia i costi sono in continuo aumento e le risorse destinate alla sanità sempre più insufficienti. In linea di massima le varie proposte elaborate per cercare di porre rimedio al perdurare della crisi del sistema delle cure si concentrano sulla mancanza di risorse, gli assetti istituzionali e le inefficienze organizzative. Raramente si mettono in discussione l’utilità e l’efficacia delle prestazioni erogate, eppure di fronte alla cronica carenza di mezzi e di persone, la prima cosa da fare sarebbe quella di individuare ed eliminare le prestazioni di scarso o nullo valore diagnostico per riallocare le risorse così risparmiate verso cure di riconosciuta efficacia. I dati resi oggi disponibili da varie ricerche calcolano che il 20-30% delle spese sanitarie correnti siano “sprechi”. Secondo un recente rapporto del GIMBE equivarrebbe, per il nostro S.S.N., ad oltre 20 miliardi di euro all’anno10.
Tra i diversi tipi di sprechi la voce più rappresentativa è data dall’effettuazione di prestazioni sanitarie inutili. Tali prestazioni richiedono impiego di tempo uomo e di risorse economiche, quasi sempre a scapito di quelle necessarie, con allungamento delle liste di attesa e riduzione del tempo disponibile per singola consultazione medica.
Una review sistematica di 179 studi condotti in 67 paesi, pubblicata nel 2017 su BMJ open, ha voluto valutare la durata della visita medica nelle strutture di cure primarie sia in paesi sviluppati che in quelli in via di sviluppo per un totale di 28.570.712 visite. La durata media della consultazione medica è risultata estremamente variabile nei vari paesi, con un range variabile tra i 48 secondi in Bangladesh e i 22,5 minuti in Svezia. In 18 paesi, che rappresentano il 50% della popolazione globale studiata, la durata media di una visita con il medico di cure primarie è di 5 minuti, fatto questo che in molti paesi sviluppati comporta stress per medici e pazienti, insoddisfazione per entrambi , frequentemente prescrizione di indagini diagnostiche non appropriate e/o ricorso da parte del paziente al Pronto Soccorso di Ospedali di I e II livello anche per situazioni cliniche che non richiederebbero il ricorso a tali strutture, con una volta in più conseguente ricorso a prestazioni diagnostiche non necessarie11.
Tali situazioni rappresentano l’esemplificazione della “fast Medicine”, situazione assistenziale caratterizzata dalla scarsa disponibilità di tempo per l’accesso alla prestazioni sanitarie ma anche infarcita di luoghi comuni, non suffragati da conoscenze scientifiche, i cosiddetti “sette veleni” per cui 1) tutto ciò che è nuovo è meglio di ciò che non lo è, 2) tutte le procedure utilizzate nella pratica clinica sono efficaci e sicure, 3) l’uso di tecnologie sempre più sofisticate risolverà ogni problema di salute, 4) fare di più aiuta a guarire e migliora la qualità della vita, 5) scoprire una “malattia” prima che si manifesti attraverso i sintomi è sempre utile, 6) i potenziali fattori di rischio devono essere trattati con farmaci, e infine 7) per controllare meglio le emozioni e gli stati d’animo è utile affidarsi alle cure mediche12.
Su queste basi, e per contrastare il dilagare della “fast Medicine” è nato a livello internazionale un movimento denominato “slow Medicine”, versione medica del ben noto movimento “slow food”, che propone lo sviluppo di una Medicina riflessiva, ponderata, che lascia tempo al pensiero, al ragionamento, al giudizio. “Slow Medicine” è quindi una rete di professionisti della salute e di cittadini che si riconoscono nei principi di una Medicina caratterizzata da tre parole chiave: Sobria, Rispettosa, Giusta13.
“Sobria”, vuol dire fare solo le cose utili, che fare di più non vuol dire fare meglio.
Una Medicina sobria implica la capacità di agire con moderazione, gradualità, essenzialità, e di utilizzare in modo appropriato le risorse.
“Rispettosa”, per cui valori, aspettative e desideri delle persone sono inviolabili.
Umberto Veronesi in un suo scritto diceva: “quando un «paziente» vi chiede qualcosa nei corridoi, anche se siete di fretta, fermatevi e rispondete. Certo, forse perderete un po’ di tempo. Ma di tempo…….. ne abbiamo tanto”.
“Giusta”, vuol dire cure appropriate e di buona qualità per tutti. Una Medicina giusta promuove cure adeguate alla persona ed alle circostanze, di dimostrata efficacia ed accettabili sia per i pazienti che per i professionisti della salute”.
Un ostacolo all’applicazione dei principi di “slow Medicine” è rappresentato dalla cosiddetta “Medicina difensiva” cioè quei comportamenti prescrittivi e terapeutici dei medici basati sulla necessità di evitare di andare incontro a problemi legali promossi da pazienti insoddisfatti del loro operato, ritenuto non corrispondente rispetto alle loro aspettative. Fatto questo che induce al ricorso a prestazioni diagnostiche e terapeutiche ridondanti, dettate non solo da scienza e conoscenza ma anche e specialmente dal timore di aver mancato in qualche maniera.
È opinione comune che ridurre la “Medicina difensiva” sicuramente potrebbe concorrere a ridurre di molto i costi di gestione della Sanità.
Come già detto precedentemente, quando c’è sovraconsumo, cioè consumo non giustificato c’è spreco. Per limitare tale spreco le vie da seguire possono essere due. “Disincentivare il sovraconsumo” tramite l’imposizione dall’alto di ticket, tetti di spesa, limitazioni di prescrizioni e introduzione di note limitative alla prescrizione di specifici farmaci. Questa modalità operativa risulta di dubbia applicazione pratica e soggetta a varie possibilità di elusione. Altra via possibile è quella di “moderare la richiesta” con l’introduzione di linee guida definite a livello nazionale e poi adeguate a livello locale/di struttura, e con l’introduzione/applicazione di criteri di appropriatezza. Questo tipo di percorso è stato applicato negli U.S.A dove grande attenzione è sempre stata prestata alla spesa sanitaria da parte del sistema delle assicurazioni che, per gran parte, ne sopportano l’onere e dove quindi era pressante la necessità di raggiungere davvero l’obiettivo del contenimento del consumo di Medicina, senza per questo compromettere la credibilità sociale della Medicina e del medico.
Due momenti importanti hanno dato il via al percorso in tempi in cui la spesa stava aumentando al di fuori di ogni controllo.
Nell’anno 2011, negli US.A., 9 società scientifiche hanno elaborato un progetto comune per cui ciascuna di esse ha prodotto una lista di trattamenti o servizi comunemente utilizzati e successivamente l’impiego di tali trattamenti nella pratica è stato discusso da pazienti e clinici per definirne la reale utilità clinica. Alla fine del processo ciascuna ha prodotto una lista di 5 prestazioni (top five list) il cui utilizzo poteva essere considerato da evitare sulla base di evidenze scientifiche definite secondo una gradualità progressiva.
Nel 2012 il New York Times ha pubblicato un articolo dal titolo “Do you need that test?” per cui secondo l’autore, se è vero che i costi legati all’assistenza sanitaria devono essere riportati sotto controllo, è compito dei medici svolgere un ruolo trainante nell’eliminare i trattamenti non necessari. Quindi i medici venivano chiamati direttamente a rispondere del loro operato e in tal modo responsabilizzati.
Da ciò per iniziativa dell’American Board of Internal Medicine Foundation (ABIM), nasce negli U.S.A. il movimento “Choosing wisely” (CW) che rapidamente si diffonde in Canada e Australia e da qui in Europa ed anche in Italia, dove come progetto operativo viene proposto “fare di più non significa fare meglio”. Il movimento nasce spontaneo, non imposto dall’alto, si basa sulla responsabilità professionale, obiettivo principale è il miglioramento della salute delle persone e non il mero risparmio; sostiene la fondamentale importanza della relazione tra professionisti e pazienti.
In Italia ad oggi hanno aderito al movimento 46 Società scientifiche, sono state messe a punto 250 raccomandazioni su esami, trattamenti, procedure, che spesso non sono necessari e possono provocare danni, 22 schede informativeper i cittadini sono state messe a punto con la collaborazione di Altroconsumo. Recentemente una App (Choosing Wisely Italy), permette di gestire le raccomandazioni e le schede per i cittadini in reparto o al letto del paziente attraverso la visualizzazione diretta sugli smartphone e su altri dispositivi, e di utilizzarle in maniera più agevole tramite le funzioni di filtro e di ricerca.
Una indagine condotta alla fine del 2015 da Choosing Wisely Italy , in collaborazione con la Federazione degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri, su esami diagnostici, trattamenti e procedure non necessari utilizzati nella pratica corrente dai medici italiani, ha riportato come, tra i 4.236 medici che hanno partecipato all’indagine (33% MMG, 40% specialisti, 26% liberi professionisti) su un totale di 354.831 iscritti alla Federazione, il 44% dei rispondenti ha dichiarato di ricevere dai pazienti richieste di esami, trattamenti e procedure non necessari almeno ogni giorno o più volte alla settimana e che il 66% ha affermato che i pazienti seguono sempre, quasi sempre o spesso, il loro consiglio di evitare tali procedure non appropriate.
“Choosing wisely” significa scegliere in modo saggio, e si propone come una rivoluzione copernicana della Medicina, per cui accanto alla razionalità scientifica prende posto la ragione. La “razionalità”, in questa accezione, deve essere intesa come capacità della scienza di demarcare ciò che è razionale da ciò che non lo è, ciò che è vero da ciò che è falso, ciò che bisogna fare da ciò che non bisogna fare. È un comportamento tecnico scientifico, è espressione di una specifica competenza. La “saggezza” nella medesima accezione, deve essere intesa come la capacità di distinguere il bene dal male, di valutare situazioni complesse per decidere non il meglio ma il più conveniente in uno specifico contesto. È un comportamento morale, è espressione di una virtù14.
CW potrebbe essere definita metaforicamente come una “intimidazione bonaria”, cioè non coercitiva, volta a far adempiere al medico un obbligo risultante da una serie di raccomandazioni predefinite (top five list) sulla base di Linee guida e standard nel rispetto dell’autonomia clinica e del malato. Ma la cura, per essere scientifica e rigorosa, può essere appropriata nel modo, ma inadeguata nei risultati, quindi inefficace. Si può parlare di “appropriatezza inadeguata”. Ciò pone però un“problema morale”. Il problema morale riguarda il rischio di curare in modo tanto appropriato quanto adeguato solo le persone che hanno la fortuna di rientrare in uno standard. Questa, che può essere definita come “diseguaglianza clinica per evidenza scientifica”, rappresenta una particolare violazione dell’art.32 della Costituzione (principio di eguaglianza delle persone) e ….quindi? Quindi, quando i medici, per evitare questi due paradossi, violano le procedure e gli standard è perché hanno il dovere non solo deontologico ma anche costituzionale di farlo.
Ma il rischio di incorrere in una situazione di diseguaglianza clinica per evidenza scientifica è reale? Sì, il malato è un individuo singolare, specifico, individuale. La clinica quotidianamente rappresenta una collezione di casi individuali. Dice Cavicchi “I casi clinici sono illimitati, tutti i casi è come se accadessero nelle loro contingenze. La clinica deve imparare ad andare oltre ciò che è osservabile, oltre i fatti misurabili, primo perché non tutto è misurabile, secondo perché il malato non è tutto osservabile. C’è un malato reale che può essere solo asserito. Non si tratta di usare la stessa logica ipotetica deduttiva per tutti i malati ma di ricavare dalla singolarità dei malati la logica più adatta15.
Conclusioni
Appropriatezza in Sanità nelle sue varie accezioni è la parola d’ordine del terzo millennio; diverse sono le strade da percorrere per raggiungere l’obiettivo.
Il movimento “Choosing Wisely” si propone come una rivoluzione copernicana della Medicina, per cui accanto alla razionalità scientifica prende posto la ragione.
“Choosing Wisely” rientra in quelle politiche nelle quali la moderazione dell’offerta modera la domanda, ha gli stessi effetti di un razionamento qualificato del consumo, la novità vera, è come questo viene fatto, cioè tramite un’alleanza tra medici e malati.
Tale alleanza è opportuna ed etica, come non mai in questo attuale periodo in cui la presenza della pandemia causata da SARS-CoV-2, con i relativi rischi di diffusione del contagio e le enormi spese cui è andata incontro la Sanità italiana, rende ancora più necessario limitare le procedure a rischio di inappropriatezza e concentrare tutte le limitate risorse umane ed economiche su quelle di provata efficacia. In più sempre in tema di appropriatezza sarebbe anche auspicabile che si iniziasse un cammino comune verso una comunicazione rivolta al pubblico, ai pazienti, più sobria, rispettosa e giusta.
Per terminare, in attesa di tempi migliori, sembra adeguato citare un pensiero di Nino Cartabellotta che, con il GIMBE da sempre impegnato per diffondere i principi dell’appropriatezza in Medicina, dice: “se non è possibile espandere adeguatamente la capienza del contenitore, cioè aumentare il finanziamento pubblico, con un rubinetto sempre aperto, cioè con la continua immissione sul mercato di innovazioni vere o false che siano, solo uno scarico adeguato, cioè un disinvestimento da prestazioni di basso value , potrà evitare di far traboccare l’acqua”16.
Meditate gente, meditate….
BIBLIOGRAFIA