Anno Accademico 2020-2021
Vol. 65, n° 4, Ottobre - Dicembre 2021
Conferenza: Le grandi epidemie: tra pelle e storia dell’arte
08 giugno 2021
Responsabile Naz. ADOI Gruppo di studio Ulcere e Dermatologia vascolare, Coordinatore Dermatologia LILT, Roma
Conferenza: Le grandi epidemie: tra pelle e storia dell’arte
08 giugno 2021
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La drammatica pandemia che stiamo vivendo ci fa riconsiderare la nostra condizione di individui fragili, spesso insidiati da virus e batteri, come ci ricorda la storia anche recente dei nostri nonni (es: influenza Spagnola di inizio ‘900).
Tuttavia, le epidemie hanno sempre rappresentato una spada di Damocle che ha fatto selezione degli esseri umani e indotto, spesso, cambiamenti e adattamenti forzati. Anche noi, forse, vi saremo chiamati. Virus in latino significa succo, umore. Poteva essere vitale, ma spesso era mortiferum, cioè veleno.
La cute è stata per molte epidemie (vaiolo, peste, sifilide, lebbra, AIDS….) la vetrina della malattia. Le immagini pittoriche hanno descritto le lesioni cutanee per informare i contemporanei, così come oggi fanno le immagini dei nostri strumenti tecnologici di comunicazione.
Perciò, rivedere insieme le esperienze del passato, centrando l’attenzione su pelle e immagini dell’arte, può suggerirci riflessioni e vie d’uscita dall’attuale dramma, così come è accaduto ai nostri antenati.
Con la convinzione che, anche questa volta riusciremo a sconfiggere il virus, magari con i necessari cambiamenti richiesti per adattarci.
Fig. 1: P. Bruegel il vecchio, Il trionfo della morte, 1562. |
La maggior parte delle pandemie ha origine animale. Sono zoonosi che derivano dalla convivenza tra persone e animali da allevamento, favorite dall’affollamento urbano, dall’elevata densità abitativa e dalla promiscuità comportamentale. Le pandemie che hanno colpito gli esseri umani nel corso dei secoli, hanno talvolta trasformato le società in cui sono comparse e cambiato o influenzato in modo decisivo il corso della storia1, 2. Quelle più note sono le epidemie comparse in Europa durante il periodo medievale. Infatti, le città del medioevo europeo, sporche e sovrappopolate, diventarono serbatoi periodici di focolai epidemici di variabile gravità. Le epidemie di peste per esempio, erano frequenti seppure con diffusione variabile, al punto di essere riportate in una singola città ogni 10-15 anni. La parola peste (pestis in latino), non indicava la malattia che noi oggi conosciamo bene, ma una condizione contagiosa rappresentata da una malattia mortale. Quindi pestis indicava il contagio e il rischio di morte per un’intera comunità (Fig. 1). Erano le vie del commercio i principali percorsi attraverso i quali si diffondevano le epidemie. Viaggiatori e commercianti avevano il ruolo di preziosi informatori per le città dell'epoca medievale. I medici e i funzionari, avevano il ruolo a turno, di inviati speciali in città vicine o zone sospette, per avere informazioni attendibili su malattie contagiose in atto.
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Le grandi infezioni epidemiche della storia hanno avuto molto a che fare con la pelle. Infatti, le manifestazioni cutanee erano fondamentali per scoprire le malattie contagiose, per la loro individuazione precoce e perché le persone sane potessero evitarle. Venivano dipinte e rappresentate graficamente perché le persone le riconoscessero precocemente.
Il termine di origine biblica piaga indica le principali epidemie e enfatizza il segno cutaneo sottoforma di ferita persistente causata dalla malattia. Tra le più importanti patologie epidemiche che si sono espresse con lesioni cutanee e che sono state rappresentate nella storia dell'arte troviamo: vaiolo, peste, lebbra, sifilide e tubercolosi (Fig. 2).
La grande “epidemia” dell'epoca medievale è stata la peste. Ma episodi epidemici di peste sono noti nella storia, basti pensare alla peste di Atene (429 a.C.) nel corso della quale morì Pericle e alla peste di Giustiniano (541 d. C.), pandemia che uccise milioni di persone e che ridusse quasi a metà la popolazione di Costantinopoli (da 800mila a 450mila). La peste era la “morte nera”, trasmessa dai ratti attraverso le pulci che li parassitano e che trasportano sulla cute dell’uomo le Yersinie. Tali germi furono identificati come responsabili della malattia soltanto alla fine del 1800. Nella sua forma più nota e drammatica, la peste bubbonica, responsabile di lesioni cutanee purulente e maleodoranti, è stata descritta magistralmente da Jacopo Tintoretto in occasione della peste veneziana del 1549 (Fig. 3). Come noto, è San Rocco il protettore/guaritore dalla malattia, rappresentato anche nel bel ritratto di Parmigianino, con il fido amico cane che gli portava giornalmente un pezzo di pane per sopravvivere e contribuiva a far guarire le ferite cutanee tramite la saliva, leccandogliele (Fig. 4). La peste uccide centinaia di milioni di persone e si diffonde anche attraverso le navi e i ratti in esse contenute. Numerose rappresentazioni dell’arte la descrivono in maniera dettagliata, con l'intento di far conoscere alla gente la drammaticità della malattia, il rischio mortale per ciascun individuo ricco o povero che sia, e il dramma che si realizza nelle città. Con le epidemie medievali di peste, vengono messi in atto i sistemi di prevenzione che anche noi moderni utilizziamo. Si realizza in maniera concreta e sistematica, la messa al bando delle città cioè la chiusura totale in entrata e in uscita della città interessata. Viene istituita la quarantena per le navi all'inizio del ‘300: 30 giorni a Dubrovnik per le navi messe alla fonda per il rischio peste, che diventano 40 all'inizio del ‘400 a Venezia. L'isolamento dei malati, avviene se possibile in luoghi completamente separati, come le isole lagunari a Venezia: nasce il termine di lazzaretto dall'isola di Santa Maria di Nazareth dove fu creato il primo. Il termine è stato poi storpiato e semplificato in lazzaretto. A Roma si utilizza l’isola Tiberina.
Fig. 3: J. Tintoretto, San Rocco risana gli appestati a Venezia, 1549. |
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La lebbra è malattia presente in maniera endemica da migliaia di anni. Gli episodi epidemici sono stati meno frequenti e drammatici. È stata, tuttavia, una delle patologie più diffuse e severe nel corso dei secoli e anche tra le più temute. Le manifestazioni cutanee sono frequenti e ben conosciute: chiazze ipocromiche, orticarioidi, noduli rosso-giallastri, segni di neuropatia periferica quali perdita della sensibilità e forme focali di paralisi che danno luogo a deformazioni e frequenti mutilazioni. Nel corso dell’XI secolo vengono realizzati luoghi e edifici dove raccogliere i lebbrosi, quasi sempre fuori delle mura delle città, con lo scopo di separare i malati dai sani. Tutte le città importanti possiedono un lebbrosario. Una veste speciale identificava il lebbroso e spesso una campanella che portava costantemente con sé permetteva di avvisarne l'avvicinamento. La contagiosità della lebbra in caso di contatto diretto con lesioni cutanee non ulcerate, è meno elevata di quanto si pensi. Il materiale emesso attraverso i secreti nasali risulta più altamente contagioso. I codici miniati e numerose opere d'arte segnalano le lesioni cutanee della lebbra e indicano il rischio esteso sia ai re, come Baldovino IV di Gerusalemme (Fig. 5), che ai sudditi.
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Grande epidemia a partire dalla fine del secolo XVII è stata la sifilide. È verosimile l'origine legata al viaggio di Colombo e la sua diffusione è riportata inizialmente in Spagna e in maniera progressiva nel corso di pochi anni, in Europa e nel mondo. Il carattere drammatico di pandemia, fa sì che venga rappresentata in molte opere, alcune delle quali di grandi maestri quali Albrecht Dührer e Hans Holbein il giovane (Figg. 6, 7). La sifilide miete vittime per secoli in grandissimo numero fino alla scoperta degli antibiotici e, in particolare, della penicillina. Momenti di gravi epidemie sono stati legati soprattutto ai viaggi e alla scoperta di terre e popolazioni non conosciute, dove soprattutto gli Europei hanno introdotto inizialmente la malattia. La sifilide nota anche come grande vaiolo e più tardi come lebbra venerea, non era nota se non in maniera molto approssimativa, per ciò che riguarda le modalità di contagio, che a noi oggi sembrano scontate.
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Minore carattere epidemico, tra queste gravi patologie, ha forse avuto la tubercolosi3. Il numero dei morti dovuti alla malattia è stato però altissimo, fino agli anni '50 quando l'uso di rifampicina e isoniazide, ha ridotto drasticamente il contagio in Europa. È tuttavia malattia ancora viva e presente in Asia e in Africa. Negli ultimi anni, è stata segnalata in aumento nei paesi industrializzati in seguito alle migrazioni e all'uso di farmaci immunosoppressori che ne hanno facilitato la riattivazione. L'opera di Hans Holbein il giovane, il ritratto di sir Richard Southwell, descrive una tipica localizzazione cutanea della TBC definita anche scrofuloderma (Fig. 8). La tubercolosi è stata grande calamità sanitaria delle città industrializzate europee dove la miseria, la fame e la vita promiscua ne hanno favorito la diffusione; soprattutto all'inizio del XVIII secolo, quando in seguito alla rivoluzione industriale grandi quantità di contadini sono andati a vivere nelle città, spesso in condizioni di estrema povertà.
Una nota finale su una patologia che ha avuto carattere epidemico tragico in Europa e nel mondo.
L’influenza spagnola dell'inizio del XX secolo è stata forse la più grave pandemia della storia. Il ricordo è spesso legato ai racconti dei nostri nonni che avevano perduto i loro congiunti in quella pandemia. Ne è stato affetto circa un quinto della popolazione mondiale e ha causato tra i 20 e 50 milioni di vittime. La malattia, di origine virale e a probabile trasmissione aviaria, è stata favorita da particolari condizioni quali: I guerra mondiale, fame e grande miseria. Ha colpito di più i giovani rispetto agli anziani e con i giovani è stata più aggressiva. È stata definita spagnola perché ne parlavano i giornali spagnoli, non sottoposti a censura di guerra in quanto la Spagna non partecipava al conflitto. Nasce proprio in quegli anni, tra il 1915 e 1920, l'uso della mascherina per ridurre il rischio di contagio attraverso le particelle di Flügge4.
BIBLIOGRAFIA