Anno Accademico 2020-2021

Vol. 65, n° 4, Ottobre - Dicembre 2021

ECM: Reumameeting - Patologie ossee di interesse internistico

12 ottobre 2021

Copertina Atti quarto Trimestre 2021 per sito.jpg

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Terapia dell’Osteoporosi

G. Minisola

L’Osteoporosi (OP), una condizione patologica tipicamente associata alla menopausa e all’età avanzata, è una malattia sottovalutata dalla maggior parte di coloro che ne sono affetti nonostante sia associata a un aumento di morbidità e mortalità1. Ciò determina un mancato o tardivo trattamento che si traduce in un aumento considerevole del rischio di andare incontro una o più fratture, anche soltanto per un minimo sforzo o per un trauma di lieve entità.

Occorre tenere ben presente che l’OP può interessare anche il sesso maschile e che può essere determinata da molti farmaci, primo tra tutti il cortisone, specie se il trattamento è protratto ed alte dosi.  

Poiché l’OP è una condizione molto frequente, rappresenta un problema sociale molto rilevante che ha effetti negativi sulla durata e sulla qualità della vita, specie in caso di episodi fratturativi.

Per meglio mettere a fuoco questo preoccupante scenario si consideri che la frattura vertebrale, una complicanza molto frequente dell’OP, costituisce il primo momento del cosiddetto ‘effetto domino’, che consiste nella probabilità 5 volte maggiore che possano verificarsi altri eventi fratturativi vertebrali o in altre sedi (omero, polso, femore) entro un anno dalla prima frattura vertebrale2.

Nonostante questi dati certi e drammatici, è ancora molto alta la percentuale di donne con fratture vertebrali osteoporotiche non trattate, o trattate impropriamente e tardivamente, esposte a un rilevante e concreto aumento del rischio di nuove fratture, con particolare riferimento a quelle di femore, altamente invalidanti.

Ancora troppo spesso si tende a sottovalutare il dolore nei tratti dorsale e lombare della colonna, considerandolo un fenomeno legato al passare degli anni. È invece fondamentale una maggiore sensibilità verso il sintomo “dolore alla colonna” quale campanello di allarme di un evento fratturativo imminente, recente o passato, da trattare obbligatoriamente con uno dei farmaci oggi disponibili.

Anche la temibile frattura del femore da OP non può considerarsi risolta solo con l’intervento chirurgico, ma necessita, come tutte le fratture, di una terapia farmacologica con finalità preventive di ulteriori fratture.

Occorre promuovere una sempre maggiore consapevolezza nella popolazione, specie in quella femminile e in menopausa, dell’OP, la cui prevenzione e il cui trattamento non possono prescindere da un adeguato stile di vita (evitare il fumo, fare attività fisica, avere un’alimentazione corretta).  

Poiché è ben noto che la predisposizione famigliare alle fratture da fragilità ossea osteoporotica interessa 1 donna italiana su 3, è importante verificare l’eventuale presenza della malattia nel nucleo famigliare e accertare l’esistenza di altri fattori di rischio, come la menopausa precoce o un trattamento, attuale o passato, con farmaci osteopenizzanti (tra i quali cortisone, ormoni tiroidei, anticoagulanti e inibitori dell’aromatasi)3.

La diagnosi di OP si fonda essenzialmente sulla raccolta dei dati anamnestici, sull’esame obiettivo, sulla valutazione densitometrica (MOC) con metodica DEXA a livello del femore prossimale e del rachide lombare (L1-L4) e sull’esecuzione degli esami di laboratorio più indicati per il singolo caso e tra i quali è bene includere il dosaggio della vitamina D. La MOC consente di effettuare una diagnosi densitometrica sia di OP che di osteopenia, una condizione di pre-OP da seguire nel tempo.

Il trattamento oggi può e deve essere attuato nel rispetto e secondo le indicazioni della nuova Nota 79, che individua i soggetti di entrambi i sessi per i quali trattamento avviene in regime di rimborsabilità. La Nota rappresenta uno strumento utile per garantire un uso appropriato dei farmaci prescrivibili per l’OP (sia in prevenzione primaria, sia in prevenzione secondaria) e la sua corretta applicazione consente di contrastare efficacemente non solo la malattia ma anche le sue complicanze fratturative.

I farmaci attualmente utilizzati con successo per il trattamento dell’OP appartengono a due grandi classi che agiscono su differenti fasi del metabolismo osseo: gli antiriassorbitivi, che bloccano l’attività degli osteoclasti, cioè delle cellule che distruggono l’osso, e gli stimolatori della formazione di nuovo osso, che promuovono l’azione degli osteoblasti, cioè delle cellule che costruiscono l’osso4.

Tra gli antiriassorbitivi, quelli maggiormente e da più tempo utilizzati, sono i bisfosfonati, agenti che si oppongono al riassorbimento osseo e che determinano un aumento della massa e della densità ossea. Tra i bisfosfonati più impiegati figurano l’alendronato, il clodronato, il risedronato e lo zoledronato.

Più recentemente è stato commercializzato il denosumab, un anticorpo monoclonale anti-RANKL ad attività antiriassorbitiva.

Tra gli agenti osteoanabolici figura il teriparatide, un farmaco che interviene sulla formazione di nuovo osso e che risulta particolarmente indicato nei soggetti con OP severa.

È verosimile che presto possa essere commercializzato anche in Italia il romosozumab, un farmaco anti-sclerostina che si prospetta come particolarmente indicato nelle forme di OP molto severe. Va peraltro segnalato che uno studio con questo farmaco ha messo in evidenza un possibile aumento del rischio cardiovascolare associato al suo impiego5.

Indipendentemente dal farmaco scelto, risulta essenziale la supplementazione con Calcio e vitamina D giacché la prescrizione di farmaci a soggetti carenti di vitamina D e con insufficiente apporto di calcio può compromettere l’efficacia della terapia e può causare ipocalcemia o iperparatiroidismo secondario.

Occorre sottolineare che la carenza di vitamina D è molto comune in Italia e deve essere corretta mediante supplementazione con colecalciferolo o con il suo metabolita idrossilato in posizione 25 (calcifediolo); l'impiego del metabolita indrossilato in posizione 1 e 25 (calcitriolo) trova indicazioni solo in casi molto selezionati. L’effetto favorevole della vitamina D sulla muscolatura (effetto antisarcopenico) contribuisce a diminuire il rischio di cadute e, quindi, di fratture.

La terapia non farmacologica può prevedere l’impiego di integratori tra i quali l’acido ortosilicico stabilizzato con colina. È bene, inoltre, praticare attività fisica aerobica regolarmente e con modalità compatibili con l’età e con altre patologie eventualmente coesistenti, per favorire il consumo calorico in caso di soprappeso e per il mantenimento di un buon tono muscolare.

L’avanzare dell’età è associato a formazione ossea sbilanciata ed è questo il meccanismo patogenetico principale alla base dell’OP. Gli agenti precedentemente descritti possono interferire con tale meccanismo a vari livelli e diventare, quindi, potenzialmente strategici per un trattamento sempre più efficace dell’OP e, soprattutto, della forma più severa ad alto rischio di frattura. Dovranno, tuttavia, essere valutate nel lungo termine non solo le caratteristiche di efficacia ma anche quelle di sicurezza e tollerabilità, così come è stato fatto con le risorse farmacologiche attualmente disponibili.

Studi e osservazioni sono, inoltre, necessari per definire il grado di interazione dei nuovi agenti antiosteoporotici con altri farmaci impiegati nello stesso individuo per altre patologie e per valutare la possibilità e la validità di trattamenti contro l’OP sequenziali o combinati con altri farmaci emergenti o con quelli attualmente utilizzati.

Il futuro della terapia dell’OP è pieno di aspettative6. Medici e pazienti avvertono la necessità di nuovi farmaci e si augurano che possano essere presto disponibili nuovi agenti in grado di rispondere alle aspettative. Ciò permetterà di migliorare il controllo di una malattia diffusa che, specie se severa o associata a fratture, limita considerevolmente la qualità della vita dei soggetti colpiti e costituisce un fardello socio-economico pesante per la collettività. Una malattia, l’OP, per la quale i programmi di prevenzione e di intervento sono nel nostro Paese ancora insufficienti e insoddisfacenti.


BIBLIOGRAFIA

  1. Barnsley J, Buckland G, Chan PE, et al. Pathophysiology and treatment of osteoporosis: challenges for clinical practice in older people. Aging Clin Exp Res 2021; 33: 759-73.
  2. Barron RL, Oster G, Grauer A, Crittenden DB, Weycker D. Determinants of imminent fracture risk in postmenopausal women with osteoporosis. Osteoporos Int 2020; 31: 2103-11. 
  3. Compston J. Glucocorticoid-induced osteoporosis: an update. Endocrine 2018; 61: 7-16. 
  4. Ayub N, Faraj M, Ghatan S, Reijers JAA, Napoli N, Oei L. The Treatment Gap in Osteoporosis. J Clin Med 2021; 10: 3002.
  5. Saag KG, Petersen J, Brandi ML, et al. Romosozumab or Alendronate for Fracture Prevention in Women with Osteoporosis. N Engl J Med 2017; 377: 1417-27. 
  6. Minisola G, Iuliano A, Prevete I. Emerging therapies for osteoporosis. Reumatismo 2014; 66: 112-24.