Anno Accademico 2021-2022
Vol. 66, n° 1, Gennaio - Marzo 2022
Seduta Inaugurale
09 novembre 2021
Direttore UOC Medicina Trasfusionale, IRCCS Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma
Seduta Inaugurale
09 novembre 2021
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Introduzione
La trasfusione di sangue, cioè il trasferimento di sangue dalla circolazione di un individuo a quella di un altro per scopi terapeutici pratici, è di origine relativamente recente. Sebbene sia diventata una procedura medica di routine solo durante e poco dopo la II guerra mondiale, il concetto della trasfusione di sangue ha una storia molto più lunga. Lo sviluppo della Medicina Trasfusionale è stato in una certa misura parallelo e in molti casi la conseguenza degli sviluppi in altre scienze.
Poiché gli esseri umani devono aver riconosciuto nel tempo che la perdita di sangue era spesso associata a debolezza e morte, le origini della trasfusione di sangue si basano sull'idea tradizionale che il sangue sia la "forza vivente" del corpo. Un esempio pratico di questo è stato dato da alcuni Greci e Romani che si sono suicidati "aprendo una vena". Probabilmente come risultato, si credeva che il sangue avesse numerose proprietà misteriose tra cui quella di trasportare le caratteristiche mentali e fisiche di una persona. I primi tentativi di sostituire il sangue perso comportavano il consumo di sangue da parte del paziente preferibilmente da una persona o da un animale giovane, sano e in forma.
Primi riferimenti all'uso del sangue
I primi riferimenti riguardanti l'uso del sangue a scopi "medicinali" normalmente comportavano la rimozione di sangue vecchio o "cattivo" e la sua sostituzione con qualcos'altro. Nel 7° libro delle Metamorfosi, Ovidio descrive come Medea, la moglie di Giasone (degli Argonauti) rese di nuovo giovane il suocero Aeson rimuovendo il sangue dalle sue vene e sostituendolo con un elisir.
Plinio il Vecchio ha descritto come gli spettatori si siano precipitati nell'arena per bere il sangue dei gladiatori morenti. Queste persone credevano che le qualità di forza e coraggio dei gladiatori fossero presenti nel sangue e potessero essere trasmesse bevendolo. La situazione apparentemente divenne così grave che nel 193 d.C. Settimo Severo emise un decreto che proibiva la pratica.
In quest'epoca Galeno, un importante medico, chirurgo e filosofo romano e uno dei ricercatori medici più esperti dell'antichità, consigliò che bere il sangue di una donnola o di un cane fosse una cura per la rabbia. La comprensione di Galeno dell'Anatomia e del ruolo del sangue si basava principalmente sulle sue dissezioni di animali, ma fu influenzata dalla teoria dell'"umorismo" di Ippocrate, che affermava che il corpo era pieno di quattro sostanze di base, chiamate umori, che sono in equilibrio in una persona sana, ma un deficit o un eccesso di qualcuno era la causa di tutte le malattie e disabilità. I quattro umori erano bile nera, bile gialla, catarro e sangue, ognuno dei quali poteva aumentare o diminuire nel corpo (così come il flusso e il riflusso intorno al corpo) a seconda della dieta o dell'attività, influenzando la personalità e la salute fisica della persona. Questa teoria e gli insegnamenti di Galeno influenzarono la pratica medica occidentale per oltre mille anni.
Gli albori della trasfusione di sangue: l’epoca pre-Landsteiner
Papa Innocenzo VIII
L’inizio della trasfusione di sangue si fa risalire al XV secolo quando a Roma sul soglio pontificio siede Papa Innocenzo VIII. In quei giorni Sua Santità subisce un colpo apoplettico cadendo in uno stato comatoso ed i medici accorsi al suo capezzale disperano ormai di salvarlo.
Tra loro si fa avanti un medico ebreo che memore, forse, degli insegnamenti del contemporaneo Marsilio Ficino che nel suo libro “De le tre vite” riteneva che la pratica di bere il sangue di giovani aiutasse gli anziani ad acquisire vitalità, propone di tentare di trasfondergli sangue prelevato appunto da giovani fanciulli. Vengono presi tre fanciulli ed in sequenza il loro sangue prelevatogli dalle braccia viene somministrato al pontefice morente. Il risultato fu la morte dei tre giovanetti e del Papa che mai si riprese dall’ictus. Nonostante ci siano nella letteratura numerosi riscontri a questo episodio, nessun autore riporta una descrizione precisa del metodo impiegato.
In definitiva quello che possiamo desumere dai resoconti dei vari autori è che fu assai improbabile che tale pratica fu messa realmente in atto considerato anche che la Medicina dell’epoca non era ancora in possesso delle necessarie conoscenze di Anatomia e Fisiologia umana. Probabilmente dobbiamo intendere questo episodio come una semplice somministrazione per bocca di una sorta di pozione costituita da un miscuglio di sostanze più o meno medicamentose a cui era stato aggiunto sangue di provenienza umana.
Dopo l'incidente che coinvolse Papa Innocenzo VIII, ci sono pochi riferimenti riguardanti la somministrazione di sangue fino all'inizio del XVII secolo, quando fu fatta una scoperta fondamentale per il successivo sviluppo della trasfusione di sangue: la teoria della circolazione del sangue.
William Harvey
Il medico inglese William Harvey (1578-1657), che studiò medicina a Padova e poi lavorò al St Bartholomew's Hospital di Londra, fu la prima persona a descrivere in dettaglio che il sangue scorreva attraverso una circolazione sistemica dei vasi sanguigni in una direzione, pompato attraverso il corpo dal cuore. Prima di questa scoperta, si credeva che il sangue "lavasse" avanti e indietro nei vasi come "le maree del mare". Harvey tenne conferenze sul tema della circolazione sanguigna per un certo numero di anni e alla fine pubblicò le sue scoperte in un libro intitolato 'De Motu Cordis' nel 1628. Senza la conoscenza della circolazione sanguigna, si ritiene probabile che i riferimenti alla trasfusione di sangue debbano essere considerati nel migliore dei casi discutibili.
Le scoperte di Harvey avviarono notevoli speculazioni riguardanti non solo la possibilità della trasfusione di sangue, ma anche l'infusione di altri farmaci o pozioni. Si ritiene infatti improbabile che Harvey abbia usato la trasfusione di sangue in relazione alla sua pratica medica, anche se ci sono prove che per testare le sue teorie abbia pompato acqua attraverso la circolazione di un uomo morto.
Richard Lower
Nel 1669 Richard Lower (1631-1691) descrive il primo esperimento di sostituzione totale di sangue su due cani grazie alla tecnica da lui ideata basata sul collegamento (anastomosi) tra una arteria ed una vena. In particolare, afferma di essere stato il primo a praticare con successo la trasfusione di sangue il 15 febbraio 16651.
L’idea gli venne osservando ad Oxford medici che erano soliti iniettare nelle vene dei malati diversi medicamenti. Non essendogli riuscito, nei primi tentativi, di trasfondere sangue dalla giugulare di un cane in quella di un altro, per la veloce coagulazione del sangue venoso, ebbe l’intuito di utilizzare la carotide del donatore riuscendo in tal modo nell’ intento.
Il 23 novembre 1667 Lower, in collaborazione con il collega King esegue, a solo scopo dimostrativo, una trasfusione su un uomo sano, certo Arturo Coga, compensato con una ghinea. Previo salasso di circa 20 cc di sangue, i due medici inglesi trasfusero al volontario 30 cc di sangue prelevato dalla carotide di un agnello; l’uomo reagì talmente bene alla trasfusione che volle essere sottoposto ad una seconda trasfusione che gli fu praticata il 12 dicembre del medesimo anno non accusando altro disturbo se non un po' di febbre.
Jean Baptiste Denis
Jean Baptiste Denis (1643-1704) nel 1667 pubblica una lettera su due esperienze di trasfusione fatte sugli uomini. Denis aveva sviluppato una tecnica trasfusionale propria che, a differenza di quella messa a punto da Lower e King in Inghilterra, non prevedeva il sacrificio dell’animale donatore. Alle 5 del mattino del 15 giugno 1667 Denis prelevò ad un ragazzo tre once di sangue e gliene trasfuse tre volte tanto di agnello. Alle 10 il ragazzo volle alzarsi perché si sentiva bene; alle 16 presentò una lieve epistassi che non ebbe alcuna conseguenza. Anche la seconda trasfusione compiuta su un uomo di 45 anni non ebbe effetti collaterali. Il buon esito di questi due esperimenti fu sufficiente a Denis per rivendicare il fatto di avere effettuato la prima trasfusione umana di successo.
Il primo insuccesso nelle sue esperienze sull’uomo avvenne nel 1667 quando effettuò una trasfusione al primo ministro del Re di Svezia da tre settimane malato di “flusso enterico ed epatico” ed in condizioni assai gravi. Dopo la trasfusione di sangue di vitello l’infermo si sentì meglio ma nel giro di 24 ore le sue condizioni peggiorarono rapidamente fino alla morte.
Il successivo paziente che Denis sottopose a trasfusione nel dicembre del 1667 si chiamava Gollier ed era affetto da gravi turbe psichiche. Dopo aver mostrato chiari segni di una violenta reazione immunitaria in corso, dette però evidenti segni di miglioramento. Ma già dopo qualche giorno le condizioni degenerarono al punto che spinsero la moglie a richiedere un nuovo intervento di Denis. Durante questo nuovo trattamento (secondo Denis prima che esso fosse effettuato), Gollier ebbe una crisi e morì di lì a poco. Denis fu accusato di omicidio e la vicenda esitò in un processo dal quale fu tuttavia liberato da ogni accusa.
La vicenda ebbe vasta risonanza e determinò un grave contraccolpo alla prosecuzione degli esperimenti sulla trasfusione anche perché si verificò in un momento in cui, soprattutto in Francia, era molto attiva una corrente di pensiero ad essa fortemente contraria. Sta di fatto che il 17 aprile 1668 la corte penale di Parigi emise decreto di proibizione in Francia della trasfusione di sangue in assenza di speciale autorizzazione della Facoltà di Medicina di Parigi. La notizia giunse anche a Londra, dove i membri della Royal Society cessarono i propri esperimenti, subito imitati praticamente dalla maggioranza dei ricercatori europei.
Dalla fine del 1600 e per tutto il 1700 la trasfusione di sangue, di cui un tempo inglesi e francesi si disputavano la paternità, non venne più praticata e fu anzi screditata dalla maggioranza delle istituzioni scientifiche. Solo pochi esempi di sperimentazione sopravvissero, ma mai più all’interno di un’attività organizzata e continua.
Si arriva quindi verso la fine del 1700 quando si verifica una ripresa degli esperimenti dapprima in forma isolata poi, soprattutto in virtù dei primi convincenti successi, sempre più in forma diffusa.
James Blundell
James Blundell (1790-1878), noto medico, fisiologo e uno degli eccezionali ostetrici del suo tempo, è accreditato non solo per aver riacceso l'interesse per le trasfusioni di sangue nel secondo decennio del XIX secolo e fornendogli "una parvenza di un approccio razionale", ma fu anche la prima persona a trasfondere il sangue umano. Molti infatti considerano Blundell come "il padre delle moderne trasfusioni di sangue".
La data storica della prima trasfusione documentata di sangue umano è il 22 dicembre 1818. La procedura fu pubblicata nel 1819 con il titolo "Alcuni resoconti di un caso di vomito ostinato in cui fu fatto un tentativo di prolungare la vita con l'iniezione di sangue nelle vene". Questo caso di studio descrive come Blundell, con l'aiuto del chirurgo Henry Cline, trasfuse un uomo con 'scirrhosity of the phylorus' (carcinoma gastrico). Quando fu visto per la prima volta da Blundell, il paziente era vicino alla morte. Circa 14 once di sangue vennero trasfuse con siringa in piccole quantità da diversi donatori a intervalli di circa cinque minuti. Nonostante un temporaneo miglioramento delle sue condizioni, il paziente morì due giorni dopo.
Nell’agosto del 1825 Blundell viene urgentemente convocato al capezzale di una paziente di un suo collega, il Dott. Waller. La donna ha appena partorito ed è in preda ad una forte emorragia. Waller, a conoscenza dell’impegno di Blundell nel campo della trasfusione di sangue, gli chiede di mettere in pratica questa tecnica sulla donna destinata altrimenti a morte certa.
Blundell esegue la trasfusione prelevando 4 once di sangue dalla vena del braccio del marito ed immettendolo nella vena del braccio della moglie utilizzando un dispositivo di sua invenzione che chiamò “gravitator”che consisteva in un imbuto, una pompa per raccogliere il sangue dei donatori e una siringa per iniettarlo nelle vene dei pazienti durante la trasfusione indiretta.
Di questa esperienza Waller ne fece un articolo scientifico che venne pubblicato nell’ottobre dello stesso anno2: esso rappresenta il primo caso di trasfusione interumana coronata da successo.
Tra il 1818 e il 1829 Blundell ed i suoi colleghi eseguirono complessivamente dieci trasfusioni di sangue delle quali soltanto quattro ebbero successo. Di queste ultime, oltre al caso descritto prima, una venne praticata su un’altra giovane donna, anch’essa con grave emorragia post partum in atto; di questo caso venne pubblicato un articolo sulla rivista TheLancet nel 18293.
Blundell con i suoi esperimenti diede nuovo impulso allo studio della trasfusione di sangue e per tutto il secolo XIX si assiste ad un rifiorire di teorie e di invenzioni di strumentazioni sempre più innovative; a tutti era ben chiaro tuttavia che molti punti oscuri lastricavano ancora la strada che doveva condurre verso l’esecuzione in sicurezza di una tecnica che già allora, a dispetto di tutti i limiti che ancora presentava, aveva dato prova delle sue importanti potenzialità in campo terapeutico.
Karl Lansteiner e la scoperta dei gruppi sanguigni
Il 1901 rappresenta una tappa fondamentale per la trasfusione di sangue perché è in questo anno che, per merito degli studi compiuti dall’austriaco Karl Landsteiner, vengono scoperti i gruppi sanguigni e la loro compatibilità relativa. Questa fondamentale scoperta dava quindi una razionale spiegazione ai decessi che, numerosi, si verificavano dopo una trasfusione di sangue (animale-animale, animale-uomo, uomo-uomo). Nel suo libro4 spiega come gli insuccessi erano conseguenza della incompatibilità di alcuni gruppi sanguigni che ora si potevano preventivamente conoscere e confrontare. KarlLandsteiner scoprì che ciascun uomo possiede un particolare tipo di sangue ed i diversi tipi identificati vennero chiamati: gruppo 0 (zero), gruppo A, gruppo B.
In quel periodo venne aggiunto un nuovo gruppo sanguigno ai tre descritti da Landsteiner. Questo venne denominato AB quando fu scoperto da Alfred von Decastello ed Adriano Sturli (1873-1964) nel 19025.
Adriano Sturli nacque a Trieste nel 1873, e studiò all’Università di Vienna laureandosi nel 1899, divenne quindi assistente nell’Istituto di Anatomia Patologica in seguito diretto da Karl Landsteiner, di cui Sturli divenne ben presto amico e allievo. L’incontro tra Sturli e Landsteiner era avvenuto nel 1900: l’invito alla collaborazione era partito da Landsteiner.
Successivamente nel 1940 fu scoperto, dallo stesso KarlLandsteiner e dal collega AlexanderWiener, il fattore RH tramite esperimenti su primati, le scimmie Macacus Rhesus (da cui il nome)6. Questo fattore indica se la persona possiede o meno l’antigene nei globuli rossi. Anche il fattore RH è importante nelle trasfusioni: il donatore se ha RH- può donare a RH+ e RH-, mentre il donatore RH+ può donare solo a RH+. Questa ulteriore conoscenza eliminò del tutto i rischi di rigetto del sangue trasfuso.
La necessità della compatibilità trasfusionale
Le questioni riguardanti l'incompatibilità tra le specie furono risolte dagli esperimenti di Emile Ponfick (1844-1913), patologo dell'Università di Breslavia, che riferì ampiamente sui pericoli della trasfusione tra specie. Fu la prima persona a notare che l'urina scura prodotta dopo quella che ora sarebbe stata riconosciuta come una reazione trasfusionale incompatibile era in realtà emoglobinuria, e non ematuria come precedentemente riportato, derivante dalla distruzione dei globuli rossi del donatore.
Nel 1907 Ludvig Hektoen suggerisce che la sicurezza della trasfusione potrebbe essere migliorata incrociando il sangue tra donatori e pazienti per escludere miscele incompatibili. Il lavoro di Hektoen condusse John Funke del Jefferson Medical College Hospital ad utilizzare il fenomeno dell’iso-agglutinazione come base per i test di cross-agglutinazione, e John Heysham Gibbon iniziò a fare questi test prima di eseguire una trasfusione in modo da assicurare la compatibilità.
Anche Reuben Ottenberg (1882-1959) descrisse nel 1911 il valore di questi test al fine di ridurre l’incidenza delle reazioni da trasfusione. L’evidenza statistica stabilì che la “tipizzazione e la compatibilità” dovessero essere dei requisiti essenziali nelle procedure di trasfusione sanguigna. Ottenberg eseguì nel 1907 presso il Mount Sinai Hospital di New York la prima trasfusione preceduta da prove di compatibilità7.
La nascita della diagnostica immunoematologica
Nel 1908 Moreschi descrive la reazione antiglobuline. L'antiglobulina è un modo diretto di visualizzare una reazione antigene-anticorpo che ha avuto luogo ma non è direttamente visibile. L'antigene e l'anticorpo reagiscono tra loro, quindi, dopo il lavaggio per rimuovere qualsiasi anticorpo non legato, il reagente antiglobulina viene aggiunto e si lega tra le molecole anticorpali che sono bloccate sull'antigene. Questo rende il complesso abbastanza grande da vedere.
Grazie allo spunto degli studi pionieristici di Moreschi, nel 1945 Coombs, Mourant e Race descrivono l'uso della globulina antiumana (in seguito nota come "Test di Coombs") per identificare gli anticorpi "incompleti"8.
La necessità di un anticoagulante
Nel 1914, il medico belga Albert Hustin e il medico e ricercatore argentino Luis Agote utilizzarono con successo il citrato di sodio come anticoagulante nelle trasfusioni, tuttavia la concentrazione utilizzata (4%) risultava troppo tossica. Si deve al chirurgo tedesco-americano Richard Lewisohn nel 19159 la determinazione della corretta concentrazione (0.2%). Permane tuttavia il problema della impossibilità della conservazione del sangue fino a quando nel 1916 Francis Rous e J.R. Turner introducono una soluzione di citrato-glucosio che consente la conservazione del sangue per diversi giorni dopo la raccolta. Consentire al sangue di essere conservato in contenitori per trasfusioni successive aiuta la transizione dal metodo vena- vena alla trasfusione indiretta. Questa scoperta consente anche la creazione del primo deposito di sangue da parte degli inglesi durante la Prima Guerra Mondiale.
Il primo servizio volontario di donazione del sangue
Percy Lane Oliver (1878-1944) è accreditato di aver fondato il primo servizio volontario di donazione di sangue. Nel 1921 Oliver stava lavorando per la divisione Camberwell della Croce Rossa quando rispose a una chiamata di un ospedale locale che chiedeva una donazione urgente di sangue. Questa esperienza lo spinse ad organizzare un panel di donatori i cui gruppi sanguigni erano noti e che erano disponibili a donare su richiesta. I donatori, insolitamente per l'epoca, non furono pagati. Il servizio di donazione di sangue di Oliver, che gestiva dalla sua casa di Londra, sarebbe cresciuto da 20 iniziali volontari a circa 2700 nel 1938. Il suo modello di donazione volontaria di sangue venne adottato in tutta la Gran Bretagna e in altri paesi.
La nascita della banca del sangue
Bernard Fantus (1874-1940) è stato un medico ebreo-americano ungherese. Fondò la prima banca del sangue ospedaliera negli Stati Uniti nel 1937 al Cook County Hospital di Chicago10 mentre prestava servizio come Direttore del Dipartimento di Farmacologia e Terapia. La II guerra mondiale spinse Fantus a voler usare il sangue della gente per salvare la vita dei soldati statunitensi all'estero. Trascorse così anni in laboratorio perfezionando i metodi di trasfusione.
La nascita della plasmaderivazione e della plasmaferesi
Nel 1940 Edwin J. Cohn inventò il processo Cohn o frazionamento a freddo con etanolo, vale a dire una procedura di frazionamento del plasma allo scopo di estrarre albumina dal plasma sanguigno11. Il primo utilizzo clinico di albumina avvenne nelle vittime dell’attacco di Pearl Harbor del 7 dicembre 1941.
Nei primi anni 1950, Dr. Josep Antoni Grifols Lucas perfezionò la tecnica della plasmaferesi. La tecnica fu originariamente proposta da John Jacob Abel nel 1914, che dimostrò, insieme al suo team, che grandi quantità di plasma potevano essere estratte periodicamente dai cani purché i globuli rossi fossero reinfusi. Durante la II guerra mondiale, alcuni ricercatori applicarono la procedura a piccoli gruppi di soggetti umani per la prima volta, tuttavia solo con Josep Antoni Grifols Lucas venne condotto un vero studio, su oltre 350 donatori, con cui venne dimostrata in modo inequivocabile la sicurezza della procedura. Le conclusioni del suo studio furono presentate al IV Congresso Internazionale dei Medici Trasfusionali di Lisbona, nel 1951, e un anno dopo furono pubblicate sul British Medical Journal12, offrendo alla comunità scientifica una tecnica che continua ad essere il metodo più diffuso per ottenere plasma per il processo di frazionamento industriale fino ai giorni nostri.
Il ruolo emostatico della trasfusione piastrinica
L'esistenza delle piastrine e il loro possibile contributo all'emostasi fu evidenziato nel 1870, ma solo nel 1910 le piastrine trasfuse dimostrarono di ridurre il rischio di sanguinamento nei pazienti trombocitopenici. Il primo rapporto di questo tipo, di W.W. Duke13, fu in un uomo di 20 anni che aveva un profondo sanguinamento mucocutaneo associato a una conta piastrinica di soli 6 × 109/L. Quando divenne moribondo a causa di un'epistassi incontrollabile, gli vennero somministrate trasfusioni di sangue intero fresco. La trasfusione di una "grande" quantità di tale sangue è stata associata alla drammatica cessazione del suo sanguinamento, momento in cui il suo conteggio era aumentato a 123 × 109/L.
La scoperta del sistema HLA
Il ruolo dei test di istocompatibilità nel trapianto è ben riconosciuto come fondamentale sia nel trapianto renale che di cellule staminali ematopoietiche, specialmente con donatori completamente HLA compatibili. La scoperta degli antigeni HLA come antigeni più importanti del trapianto ed il loro ruolo nella risposta alloimmune sono risultati cruciali per gli sviluppi che hanno portato all’applicazione routinaria del trapianto clinico.
Uno dei pionieri in questo campo fu certamente Jon Joseph van Rood per aver svolto un ruolo fondamentale con i suoi studi sia nel campo dell’immunogenetica dell’HLA che nella sua applicazione nel trapianto clinico. Il suo team è stato il primo ad iniziare a svelare la complessità del sistema HLA umano attraverso studi collaborativi utilizzando pannelli di sieri e campioni leucocitari.
La sua serie di osservazioni chiave diventò la base stessa della scoperta del sistema genetico HLA. Indipendentemente, e nello stesso lasso di tempo, altri gruppi di ricercatori guidati dal francese Jean Dausset, premio Nobel per la Medicina nel 1980, e dalla statunitense Rose Payne fecero osservazioni simili usando approcci leggermente diversi.
La rapidità sorprendente con cui avvennero le scoperte nel campo degli antigeni HLA è soprattutto legata all’istituzione di un movimento di cooperazione scientifica a livello mondiale.
La coordinazione, la standardizzazione delle tecniche, lo scambio e la revisione dei risultati e la definizione internazionale unificata degli antigeni HLA vennero ottenute mediante una serie di riunioni internazionali periodiche denominate “Workshop” nelle quali si confrontavano i risultati dei lavori compiuti in parallelo dai vari laboratori di istocompatibilità di tutto il mondo.
Il midollo osseo e l’uso terapeutico delle cellule staminali
Gli studi di anatomia e fisiologia condussero alla scoperta del processo di emopoiesi e del ruolo delle cellule staminali, quali precursori “immortali” degli elementi figurati del sangue: si apre pertanto l’epoca del trapianto di cellule staminali.
Edward Donnall Thomas (per gli amici Don) e coautori riportarono nel 1957 il primo studio sul trapianto di midollo osseo negli umani. L’originale interesse di Don Thomas per il trapianto di midollo osseo si era basato, in parte, su eventi successivi alla II guerra mondiale. Come risultato dello sviluppo della bomba atomica, il governo degli Stati Uniti nel 1945 reclutò scienziati presso il National Institutes of Health per determinare i modi per contrastare gli effetti delle radiazioni sugli esseri umani, in particolare l’insufficienza del midollo osseo. Nel 1950, il dr Jacobsen e colleghi riportarono che la schermatura della milza ed in seguito l’iniezione intraperitoneale di cellule di milza potevano “proteggere” un topo sottoposto a radiazioni a dosaggi mortali. L’ipotesi (sbagliata) fu che i “fattori” rilasciati dalle cellule della milza stimolassero il recupero del midollo osseo irradiato. Nel 1952 Lorenz, Congdon e Uphoff mostrarono come l’infusione di cellule del midollo osseo poteva salvare topi e cavie irradiati in maniera letale. Nello stesso anno Main e Prehn mostrarono che un topo chimerico avrebbe accettato un innesto di pelle dal donatore di midollo osseo e Ford usò la citogenetica per dimostrare che il recupero ematopoietico derivava dalle cellule del midollo osseo del donatore.
La strada era stata aperta: Don Thomas raccolse questi dati e trascorse il resto della sua vita a perfezionare questo approccio, prima nei cani e poi nei giovani con leucemia avanzata. Nel loro studio del 1957, Don Thomas e colleghi raccolsero midollo osseo da cadaveri fetali ed adulti, e lo iniettarono in sei pazienti che avevano ricevuto una irradiazione corporea totale. Il midollo osseo ricostituì l’emopoiesi in diversi pazienti. Nel loro articolo pubblicato il 12 settembre 1957 sul New England Journal of Medicine14, intitolato “Intravenous Infusion of Bone Marrow in Patients Receiving Radiation and Chemotherapy”, gli autori affermarono: “Gli studi presentati mostrano che il midollo osseo umano può essere raccolto e conservato in significative quantità e può essere somministrato in sicurezza. Dopo la somministrazione esso può crescere anche in circostanze svantaggiose quali midolli afflitti da neoplasie del midollo sottoposti a radiazioni”.
L’era moderna della Medicina Trasfusionale
Negli ultimi 50 anni numerosi sono i progressi nel campo della Medicina Trasfusionale che hanno condotto, attraverso la combinazione delle scoperte scientifiche e dell’innovazione tecnologica, ad una sempre più efficiente e sicura raccolta di emocomponenti e loro utilizzo clinico nei pazienti, basti pensare ai sempre più sofisticati separatori cellulari, scompositori automatici del sangue intero ed all’utilizzo ormai routinario della biologia molecolare (NAT) per lo screening infettivo degli emocomponenti.
Tuttavia negli ultimi 20-30 anni la Medicina Trasfusionale ha attraversato una fase di rapida e formidabile svolta in un ambito molto più avanzato rispetto alla normale pratica trasfusionale.
Lo sviluppo delle nuove terapie trapiantologiche e cellulari ha creato una sorta di sinergico sviluppo tra l’Ematologia e la Medicina Trasfusionale nell’ambito della raccolta di emocomponenti e loro manipolazione, da minima fino alle cosiddette “terapie avanzate” (CAR-T, terapia genica delle emoglobinopatie).
Il sogno del sangue artificiale
Il progresso scientifico e tecnologico che ha investito la Medicina moderna e quindi anche la Medicina Trasfusionale ha condotto il mondo della ricerca verso il possibile raggiungimento di un traguardo ambizioso e quasi apparentemente impossibile: creare in laboratorio il sangue artificiale. È possibile immaginare in un futuro lontano di potere "fare a meno" del prezioso ed insostituibile sangue umano dei donatori di sangue?
La risposta è che siamo ancora molto lontani da questo incredibile traguardo, tuttavia sono interessanti e in parte promettenti gli studi condotti negli ultimi 20 anni nell’ambito della trasfusione di globuli rossi.
È necessario tuttavia fare prima di tutto chiarezza sulla definizione di sangue artificiale, distinguendo due possibili campi di sviluppo e ricerca:
Generazione ex vivo di globuli rossi
La generazione di globuli rossi in vitro con l'uso di biotecnologie potrebbe rappresentare un'interessante alternativa ai classici prodotti trasfusionali in quanto consentirebbe la produzione specifica di globuli rossi di un particolare fenotipo o anche di fenotipo universale. Diversi sono gli studi15 che dimostrano la possibilità di ottenere la completa maturazione della linea eritroide allo stadio di enucleazione, partendo da cellule staminali da sangue periferico, cordone ombelicale, cellule embrionali, o cellule staminali pluripotenti adulte (cellule staminali pluripotenti indotte). Tuttavia fino ad ora il grande limite è rappresentato dall’impossibilità di ottenere, anche con l’utilizzo dei moderni bioreattori, quantità tali di globuli rossi, necessariamente generati in condizioni di buone pratiche di fabbricazione (GMP), da consentirne l’utilizzo clinico su larga scala. Tuttavia lo studio clinico di Douay del 201116 ha quanto meno dimostrato che tali globuli rossi generati ex vivo sono in grado, dopo trasfusione autologa, di sopravvivere e svolgere le medesime funzioni dei globuli rossi “naturali”.
I sostituti del sangue
Il sangue artificiale è un concetto innovativo di Medicina Trasfusionale in cui composti appositamente progettati svolgono il compito di trasporto e consegna di ossigeno nel corpo per sostituire questa funzione di trasfusione di sangue umano allogenico. Diverse molecole sono state sviluppate negli ultimi decenni per raggiungere questo obiettivo e continui perfezionamenti vengono continuamente fatti nella ricerca del sostituto del sangue ideale. Attualmente, la tecnologia disponibile produce sangue artificiale da emoglobina ottenuto da sangue umano / bovino obsoleto (vettori di ossigeno a base di emoglobina) o utilizzando perfluorocarburi17. Questi sostituti sintetici del sangue sono vantaggiosi in quanto non richiedono test di compatibilità, sono esenti da infezioni trasmesse dal sangue, hanno una durata di conservazione prolungata e non richiedono refrigerazione. Lo scopo principale per il quale sono stati sviluppati è il trattamento dell'anemia postemorragica acuta; non sono indicati per il trattamento di anemie croniche, emofilia, leucemie, etc. Hanno però trovato alcune indicazioni cliniche accessorie: preparazione alla radioterapia dei tumori, perfusione di organi ischemici in corso di infarto, perfusione di organi isolati in attesa di trapianto. Appartengono a tre classi principali: perfluorocarboni, emoglobine modificate, emoglobine incapsulate in vescicole fosfolipidiche.
I perfluorocarboni
I perfluorocarboni sono idrocarburi fluorurati, totalmente estranei all'organismo, che possono essere infusi per via endovenosa nella forma di emulsioni con soluzione fisiologica (con o senza destrano). Trasportano l'ossigeno nella forma di gas fisicamente disciolto e pertanto non sono saturabili. In genere richiedono la somministrazione di aria arricchita di ossigeno e questo, alla lunga, risulta dannoso per l'epitelio polmonare. Poiché alcuni perfluorocarboni sono in uso da oltre quindici anni è disponibile una casistica relativamente estesa.
Le emoglobine modificate
L’emoglobina viene modificata chimicamente (a partire da emoglobina umana preparata da sangue scaduto oppure da emoglobina bovina), oppure viene modificata geneticamente mediante mutagenesi sito-specifica e biosintetizzata in batteri, come si fa da tempo per l'insulina e altri ormoni.
Nonostante i numerosi studi clinici pubblicati e, in alcuni casi, nell’ambito di trials di fase III, nessuno di questi prodotti è approvato per uso clinico con l’eccezione del prodotto Hemopure approvato in Sud Africa per il trattamento dell’anemia acuta nel paziente chirurgico e dall’FDA degli Stati Uniti, nell’ambito di un protocollo di “expanded access”, una sorta di “uso compassionevole”.
Conclusioni
Oltre un secolo è passato dall’inizio dell’era moderna della Medicina Trasfusionale, segnata nel 1901 dalle scoperte di Karl Landsteiner. È indubitabile che il progresso scientifico e tecnologico ci consente ormai di raccogliere e trasfondere un sangue assolutamente sicuro e di potere separare e manipolare i singoli emocomponenti per terapie sempre più avanzate e sofisticate. Tuttavia la fonte inesauribile di tutto questo progresso rimane tuttora, e forse per sempre, il gesto altruistico di milioni di donatori nel mondo, senza il quale nulla sarebbe stato e sarà possibile.
BIBLIOGRAFIA