Anno Accademico 2021-2022
Vol. 66, n° 2, Aprile - Giugno 2022
Simposio: La Sindrome Long-COVID
25 gennaio 2022
Specializzando in Gastroenterologia, Università Cattolica Sacro Cuore, Roma
Simposio: La Sindrome Long-COVID
25 gennaio 2022
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In particolare nell’ultimo anno, dopo tante ricerche condotte allo scopo di conoscere nei maggiori dettagli quali sono i sintomi dominanti della infezione da SARS-CoV-2, oggi si sa molto di più su quale è l’evoluzione del quadro patologico e quali sono i sintomi che, con una notevole frequenza, possono residuare anche quando la malattia sembra del tutto guarita.
Nel primo anno della pandemia la popolazione non vaccinata ci chiedeva chiarimenti: poteva essere ancora indenne dalla malattia, oppure averla avuta e, a parte coloro che, purtroppo, non potevano più farci domande, un certo numero di pazienti aveva avuto disturbi relativamente lievi e non di lunga durata. Dopo una prima sintomatologia, caratterizzata da insufficienza respiratoria, aveva sofferto di disturbi gastrointestinali (prevalentemente diarrea, meteorismo e dolori), cardiaci (aritmie), sintomi neurologici (perdita del sensorio), poliartralgie, profonda astenia, ecc., che, comunque, non aveva richiesto un ricovero. Infine ve ne era un gruppo, relativamente numeroso, per cui era stato necessario un ricovero per terapia assistita.
In buona parte dei pazienti che avevano sofferto della pandemia alcuni dei sintomi sopra-ricordati, seppure in forma in genere attenuata, persistevano.
In una nostra precedente ricerca abbiamo definito questo quadro come “Sindrome Post-COVID”1. Oggi possiamo senz’altro affermare che, se dopo tre mesi dalla negativizzazione dei tamponi che indicano la presenza del virus, si presenta una sindrome con la compartecipazione di più organi e apparati, tale da far sospettare la cronicizzazione della malattia con un danno irreversibile coinvolgente uno o più organi, questa può essere definita “Sindrome Long-COVID”.
All’inizio di questa pandemia le domande più frequenti erano:
Oggi queste domande non ci vengono più fatte da coloro che non sono stati vaccinati, perché vengono formulate o da pazienti, definiti “NO VAX” che non si sono curati per “paura” dell’insorgenza di altre malattie e della loro evoluzione, oppure perché convintamente “contro il vaccino” per motivi da loro definiti “scientifici e dimostrati”. Tutti questi non fanno domande, ma vogliono, anzi, dare risposte o interpretazioni già a lungo da loro meditate.
Dalla maggior parte dei vaccinati con una o due o tutti i tre richiami, invece, ci vengono fatte altre domande, strettamente correlate con la situazione contingente:
È a queste ultime domande che cerchiamo ora di rispondere in base soprattutto alla nostra esperienza.
Saremo sintetici rispondendo solo a quanto riteniamo sia tutt’oggi scientificamente provato, in particolare, dopo avere avuto un’esperienza tanto vasta da coprire, con la vaccinazione, ormai quasi il 95% della popolazione italiana e gran parte di quella occidentale:
Tutti questi eventi patologici che abbiamo chiamato Post-COVID”, specie se caratterizzati da una discreta continuità, anche per quanto si riferisce alla sua entità, deve essere chiamata “Long-COVID”.
Secondo la nostra esperienza, però, non bisogna trascurare di indagare, sul paziente, se questi sintomi avevano caratterizzato già la loro storia clinica, precedente alla infezione virale. Per questo motivo riteniamo importante raccontare questa nostra esperienza.
In una popolazione affetta da poli-patologia, seppure in particolare gastroenterologia ed epatologica, studiata ambulatorialmente in molte regioni d’Italia, ed in particolare, nell’ordine di frequenza: Lazio, Emilia-Romagna, Abruzzo e Marche, Campania, Umbria, Calabria, Puglie, Veneto, nei due anni caratterizzati dalla infezione pandemica, abbiamo riscontrato sintomatologia caratterizzata da gastralgie, dispepsia iperstenica o ipostenica, reflusso gastro-esofageo (acido o misto), eruttazioni, nausea e vomito, borborigmi, diarrea o stipsi, meteorismo, spesso accompagnati da esami laboratoristici indicativi di: anemia sideropenica o dimorfica, sideropenia, ipofolatemia, lievi ipertransaminasemia e/o colestasi.
Rivalutando i sintomi e richiedendo in particolare l’Urea Breath Test, che riteniamo essenziale in queste patologie, e che non era stato effettuato in particolare perché ritenuto in questi tempi non essenziale, e nel timore, da parte della maggior parte dei laboratori ospedalieri e privati, di dover valutare le caratteristiche dell’aria inspirata, abbiamo riscontrato la presenza di una infezione gastrica da Helicobacter pylori, in ben 325 casi (circa 1/3 della popolazione esaminata), con “indice delta” eguale o superiore a 40, indice valutabile come “alta infettività”. Nella nostra precedente esperienza questo indice si aggirava quasi sempre intorno a 15.
A parte l’importanza di non svalutare sintomi assai comuni, rischiando di non diagnosticare malattie che possono essere assai pericolose se non curate ed eliminate (patologia infiammatoria ed ulcerativa, fino al cancro dello stomaco), abbiamo ricercato ricerche scientifiche che potessero ipotizzare una correlazione fra la malattia virale e quella batterica, come nel caso da noi valutato4.
La nostra esperienza sulle modificazioni morfologiche dell’epitelio digestivo nella infezione da Helicobacter pylori ci ha indicato peculiari modifiche morfologiche sull’apice dei microvilli delle cellule gastriche e duodenali5. In caso di infezione gastrica da parte del germe l’apice dei microvilli si dilata in maniera globosa e perde il “fuzzy coat” di proto-filamenti dove, fra l’altro, sono adesi numerosi degli enzimi utili per la “digestione di parete “(vedi il caso delle lattasi e delle trealasi)6.
Oltre a considerare il fatto che, in questa situazione, spesso si verificano patologie riferibili a riduzione di tali enzimi (vedi l’esempio del malassorbimento del lattosio), vogliamo ricordare che l’apice dei microvilli è la sede di elevati quantitativi di ACE-2, tipici recettori per i virus. Pertanto, dal momento che queste modifiche morfologiche sembrano facilitare l’ancoraggio del batterio con la mucosa, non è da escludere che tale modifica, per una alterata permeabilità del plasmalemma di rivestimento del microvillo, possa interferire sulla protezione della “barriera mucosa”, facilitando o anche permettendo, la penetrazione del virus.
Riteniamo che questa esperienza possa stimolare a non trascurare la ricerca e la diagnosi di malattie importanti sul piano patofisiologico e clinico, anche in periodi di una pandemia così importante e severa come quella della infezione da SARS-CoV-2.
BIBLIOGRAFIA