Prof. Luca Di Lullo

U.O.C. Nefrologia - Dialisi, Ospedale “L. Parodi – Delfino”, Colleferro

Articolo pubblicato in:

Anno Accademico 2021-2022

Vol. 66, n° 2, Aprile - Giugno 2022

ECM: Cuore Polmone 2021-2022 - V Edizione

01 febbraio 2022

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La Sindrome cardiorenale

L. Di Lullo


Introduzione

Le interazioni tra cuore e rene ed i meccanismi coinvolti nell'insufficienza cardiaca e renale sono complessi e vengono raggruppati sotto il termine di "asse cardio-renale". In questo capitolo descriveremo le principali caratteristiche dell'asse cardiorenale e della sindrome cardiorenale.

Con il termine di Sindrome cardiorenale si definiscono quelle condizioni in cui le disfunzioni acute o croniche di un organo si ripercuotono sull’altro e viceversa. Cardiologi e Nefrologi dovrebbero interagire nella pratica clinica quotidiana per fornire una migliore gestione dei pazienti che ne sono affetti.


Meccanismi fisiopatologici e fattori di rischio

In passato si riteneva che la disfunzione renale nei pazienti con insufficienza cardiaca fosse causata esclusivamente dal basso flusso plasmatico renale derivante dalla ridotta gittata cardiaca. Oggi sappiamo che questa visione è fortemente riduttiva e che nella genesi del danno renale secondario allo scompenso cardiaco sono coinvolti molteplici meccanismi.

Nei pazienti con insufficienza cardiaca cronica, la risposta renale è inizialmente caratterizzata da un meccanismo compensatorio in cui la frazione di filtrazione glomerulare (GFR) è conservata fino all’insorgenza di una grave disfunzione cardiaca che causa un aumento della pressione idrostatica glomerulare e della resistenza arteriolare afferente con declino del filtrato glomerulare. Allo stesso tempo, il riassorbimento di sodio a livello dell'ansa di Henle e diversi fattori neuro-ormonali giocano un ruolo cruciale nel mantenimento dell'emodinamica renale; l'attivazione del sistema nervoso simpatico (SNS) e del sistema renina-angiotensina-aldosterone (RAAS) rappresentano i principali fattori ormonali e portano al rilascio di arginina, vasopressina ed endotelina con conseguente vasocostrizione sistemica, mantenimento della filtrazione glomerulare e ritenzione di sodio e acqua. Tali meccanismi rappresentano una risposta compensatoria al fine di preservare la gittata cardiaca, la pressione sanguigna e la stessa filtrazione glomerulare12 (Fig. 1).

 

 


Fig. 1. L’asse cardiorenale (NO: ossido nitrico; ROS: specie reattive dell’ossigeno; SNS: sistema nervoso simpatico; RAAS: sistema renina angiotensina aldosterone).

 

È importante tener presente che la Sindrome cardiorenale si manifesta, in larga parte, all'interno di un contesto clinico di predisposizione alla malattia renale cronica dovuta a diversi fattori di rischio. Diverse malattie croniche tra cui l’obesità, il diabete mellito di tipo 2, l’ipertensione arteriosa, le apnee ostruttiva del sonno, la fibrillazione atriale, l’insufficienza cardiaca, l’iperuricemia e la stessa malattia renale, contribuiscono all’attivazione di uno stato infiammatorio cronico e portano alla produzione di citochine pro-infiammatorie specifiche (IL-6 e fattore di necrosi tumorale-alfa TNF-α) in grado di amplificare l'infiammazione a carico sia del cuore che dei reni3, 4. L'ipertensione e il diabete mellito di tipo 2 rappresentano i principali fattori di rischio per lo sviluppo della malattia renale cronica (MRC) nei paesi occidentali. Il mancato controllo della pressione arteriosa è direttamente correlato alla perdita accelerata di nefroni e alla ridotta frazione di filtrazione glomerulare. Il diabete, attraverso molteplici meccanismi, contribuisce alla disfunzione glomerulare accelerando la progressione verso la MRC e verso l’insufficienza renale cronica terminale.

La proteinuria rappresenta un altro fattore di rischio per l'evoluzione verso la Sindrome cardiorenale. Le lesioni endoteliali, mesangiali e podocitarie sono frequenti nei pazienti ipertesi e diabetici; il rilascio di albumina nello spazio di Bowman determina un aumento del carico di lavoro per le cellule tubulari prossimali che possono andare incontro ad apoptosi con ulteriore perdita di massa nefronica e progressione della stessa malattia renale. L'albuminuria è inoltre un predittore dello sviluppo di scompenso cardiaco nella popolazione generale, specialmente nei pazienti con scompenso cardiaco preesistente; inoltre, la microalbuminuria è, a sua volta, un marker di rischio per la disfunzione cardiovascolare e per la progressione della MRC.

L'uremia può avere un impatto diretto sulla disfunzione dei cardiomiociti a causa dello shift di calcio nel citosol con conseguente perdita della capacità contrattile delle cellule miocardiche. L'uremia può anche contribuire alla perdita di miociti scheletrici e cardiaci contribuendo alla fibrosi e al rimodellamento cardiaco sfavorevole post-infarto miocardico. Dopo il trapianto renale, infatti, si assiste sia ad un miglioramento della funzione sistolica ventricolare sinistra che alla riduzione della massa ventricolare sinistra. L’iperuricemia si configura come fattore di rischio cardiovascolare in quanto strettamente correlata ai processi di aterosclerosi accelerata e al rischio di morte per cause cardiovascolari. Per questo la riduzione dei livelli di acido urico può influenzare il decorso della MRC e la storia naturale delle malattie cardiovascolari3, 4.

L'anemia è abbastanza comune in corso di insufficienza cardiaca (Sindrome dell'anemia cardiorenale) ed è associata ad un aumento della mortalità, morbilità ed al peggioramento della funzione renale; è probabilmente correlata all'emodiluizione, al trasporto alterato del ferro, all'infiammazione cronica, alla carenza di eritropoietina indotta dalle citochine ed alla resistenza all’eritropoietina. Altre cause di anemia sono la malnutrizione, la cachessia e la carenza di vitamine. Livelli elevati di epcidina-25 potrebbero essere responsabili della resistenza all'eritropoietina, mentre livelli aumentati di citochine pro-infiammatorie potrebbero influenzare negativamente l'utilizzo del ferro aumentando la produzione di epcidina-25 dal fegato, che blocca il recettore della ferroportina e compromette sia l'assorbimento gastrointestinale del ferro che il rilascio di ferro da specifici tipi cellulari (es. macrofagi ed epatociti)3.


Sindrome cardiorenale

La classificazione definitiva della Sindrome cardiorenale è stata stabilita in una Consensus Conference del 2008 in cui sono stati individuati due gruppi principali: la forma cardiorenale e quella renocardiaca a seconda del coinvolgimento iniziale d’organo. Le diverse forme di Sindrome cardiorenale sono state poi ulteriormente classificate come acute o croniche a seconda dell'insorgenza e della durata della disfunzione d'organo sottostante. La Sindrome cardiorenale di tipo 5 comprende, invece, tutte quelle patologie in cui il coinvolgimento cardio-renale, indotto da una malattia sistemica, si manifesta con la disfunzione contemporanea di entrambi gli organi5 (Tab. 1).

Gli adattamenti emodinamici del rene e i relativi meccanismi fisiopatologici possono essere indipendenti dall'emodinamica cardiaca. La filtrazione glomerulare può essere preservata fino a quando la compromissione della funzione cardiaca, determina un aumento della resistenza dell’arteriola efferente e un aumento della pressione idrostatica capillare glomerulare. Allo stesso tempo, l'aumentato riassorbimento tubulare di sodio, l'attivazione del sistema nervoso simpatico e del sistema renina-angiotensina-aldosterone portano a vasocostrizione sistemica, mantenimento della capacità di filtrazione glomerulare, ritenzione di sale e di acqua come risposta compensatoria per ottimizzare la gittata cardiaca, la pressione sanguigna e la velocità di filtrazione glomerulare stessa3-5.

 

 

SINDROME CARDIORENALE (CRS)


Sindrome cardiorenale di tipo 1 (Sindrome cardiorenale acuta, CRS1)


Disfunzione cardiaca acuta (es. shock cardiogeno o insufficienza cardiaca acuta) che porta ad un danno renale acuto (Acute kidney injury o AKI)


Sindrome cardiorenale di tipo 2 (Sindrome cardiorenale cronica, CRS2)


Disfunzione cardiaca cronica (es. insufficienza cardiaca cronica) che determina progressiva e permanente disfunzione renale cronica

 


Sindrome cardiorenale di tipo 3 (Sindrome reno-cardiaca acuta, CRS3)


Un danno renale acuto (es. ischemia acuta, necrosi tubulare o glomerulonefrite acuta) contribuisce e/o accelera lo sviluppo di un danno cardiaco acuto

 


Sindrome cardiorenale di tipo 4 (Sindrome reno-cardiaca cronica, CRS4)


Malattia renale cronica che contribuisce ad una disfunzione cardiaca cronica (aumentato rischio di eventi cardiovascolari)

 

 


Sindrome cardiorenale di tipo 5 (Sindrome cardiorenale secondaria, CRS5)


Malattia sistemica (es. sepsi, diabete) che causa contemporanea disfunzione renale e cardiaca


Tab. 1. Classificazione della Sindrome cardiorenale.

 

Nei pazienti affetti da scompenso cardiaco, un'attivazione neuro-ormonale alterata e un’inappropriata attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone porterebbero ad uno stato congestizio ed all'attivazione dell’enzima nicotinammide-adenina-dinucleotide fosfato ossidasi (NADPH) da parte dell'angiotensina II, contribuendo alla formazione di specie reattive dell'ossigeno. La produzione dell'ossido nitrico (NO) determina vasodilatazione, natriuresi ed inibizione del meccanismo di feedback tubuloglomerulare insieme ad una disfunzione dell’attività piastrinica ed all'inibizione dell'espressione della molecola di adesione/interazione endoteliale tra leucociti e cellule endoteliali. La diminuzione dell'ossido nitrico e l'aumento dello stress ossidativo potrebbero quindi spiegare la maggiore incidenza di eventi cardiovascolari dovuti all'aterosclerosi. Nella malattia renale allo stadio terminale sono inoltre elevati anche i livelli plasmatici della proteina C-reattiva, contribuendo in tal modo alla progressione del rischio aterosclerotico renale e cardiaco. Il sistema nervoso simpatico stimola il rilascio di renina con conseguenti alterazioni emodinamiche glomerulari dovute al rilascio di catecolamine (elevata resistenza vascolare sistemica e ritenzione di sodio)5, 6.


Sindrome cardiorenale di tipo 1 o CRS1 (Sindrome cardiorenale acuta)

La CRS1 (Sindrome cardiorenale di tipo 1 o Sindrome cardiorenale acuta) è caratterizzata da un peggioramento improvviso della funzione cardiaca che porta ad un danno renale acuto (Acute kidney injury o AKI). La CRS1 di solito si verifica nel contesto di una malattia cardiaca acuta come l'insufficienza cardiaca acuta scompensata (Acute Decompensated Heart Failure, ADHF) ed interessa il 25% dei pazienti ospedalizzati per ADHF, spesso a seguito di danno ischemico (Sindrome coronarica acuta, complicanze cardiochirurgiche) o cardiopatia non ischemica (malattia valvolare, embolia polmonare). La presentazione clinica è varia e può manifestarsi con il peggioramento dell'insufficienza cardiaca cronica o con un quadro di edema polmonare, sino alla crisi ipertensiva o allo shock cardiogeno5, 7.

L'obesità e la Sindrome metabolica rappresentano dei fattori di rischio per lo sviluppo di malattie cardiache e renali. Nei pazienti obesi, la dislipidemia può contribuire al danno endoteliale a carico delle arterie coronarie epicardiche con conseguente progressione della malattia renale cronica.

Meccanismi emodinamici e non emodinamici (iperattivazione del sistema nervoso simpatico, attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone, l’infiammazione cronica ed uno squilibrio nella produzione di specie reattive dell'ossigeno (ROS)/ossido nitrico) svolgono un ruolo importante nella definizione della Sindrome cardiorenale di tipo 1 in corso di insufficienza cardiaca acuta scompensata, portando ad una diminuzione del flusso arterioso renale ed alla diminuzione della capacità di filtrazione glomerulare. Nei pazienti con scompenso cardiaco acuto sono stati proposti quattro diversi profili emodinamici: freddo/caldo e secco/umido. In quelli con un pattern "freddo", una riduzione del volume extracellulare rappresenta il principale cambiamento emodinamico insieme a una diminuzione del flusso sanguigno renale correlato all’attivazione del RAAS ed all'attivazione del sistema nervoso simpatico che causa vasocostrizione efferente. I pazienti con profilo emodinamico "umido" mostrano un aumento della congestione polmonare e/o sistemica. In questi pazienti, pressioni venose centrali elevate (CVP) influenzano direttamente la pressione venosa renale e la pressione di perfusione renale. L'aumento della pressione venosa centrale determina anche un aumento della pressione interstiziale con collasso tubulare e progressivo declino della filtrazione glomerulare7 (Fig. 2).

 


Fig. 2. Scompenso cardiaco e coinvolgimento renale (SNS: sistema nervoso simpatico; RAAS: sistema renina - angiotensina - aldosterone; AVP: arginin - vasopressina; ANP: peptide natruretico atriale; HF: scompenso cardiaco).

 

La diagnosi precoce di danno renale acuto (AKI) in corso di Sindrome cardiorenale di tipo 1 (come in corso di Sindrome cardiorenale di tipo 3) rimane ancora una sfida, sebbene nuovi biomarcatori come la lipocalina associata alla gelatinasi neutrofila (NGAL), la cistatina-C, kidney injury molecule-1 (KIM-1), l'interleuchina-18 (IL-18) e la proteina legante gli acidi grassi (L-FABP) siano oggi piuttosto promettenti7.

L'indagine ecocardiografia potrebbe rivelare una cinetica miocardica alterata, un’ipertrofia ventricolare sinistra, una stenosi valvolare e/o rigurgito, versamenti pericardici, normale collasso inspiratorio della vena cava inferiore (esclusa la condizione di ipervolemia grave), aneurismi o dissezione aortica. All’ecografia i reni di dimensioni normali o aumentate (a causa dell'edema) con indice di resistenza elevato (> 0,8 cm/sec) alla valutazione Color-Doppler7, 8.


Sindrome cardiorenale tipo 2 o CRS2 (Sindrome cardiorenale cronica)

La Sindrome cardiorenale di tipo 2 (CRS2) o Sindrome cardiorenale cronica è caratterizzata dalla presenza di coinvolgimento renale cronico nei pazienti con malattia cardiaca cronica, sebbene sia difficile stabilire quale delle due patologie sia primaria o secondaria. La malattia renale cronica è stata osservata nel 45-63% dei pazienti con scompenso cardiaco cronico e non è facile differenziare questi pazienti da quelli con Sindrome cardiorenale di tipo 47-9.

Nei pazienti con CRS2 la congestione renale, l'ipoperfusione e l'aumento della pressione atriale destra rappresentano le caratteristiche principali. Recentemente c'è stato un crescente interesse riguardo al ruolo del deficit di eritropoietina che in questi pazienti determinerebbe una forma di anemia più marcata rispetto a quella attesa in corso di sola insufficienza renale cronica. La terapia con agenti stimolanti l'eritropoiesi (ESA) nei pazienti con scompenso cardiaco cronico, insufficienza renale cronica e anemia è controversa; secondo precedenti evidenze, determinerebbe un miglioramento della funzione cardiaca con riduzione dell'ipertrofia ventricolare sinistra e un miglioramento della classe NYHA. Tuttavia, uno studio randomizzato sull'insufficienza cardiaca (RED-HF) condotto con Darbopoetina non ha riscontrato differenze nell'endpoint primario (un endpoint composito di morte per qualsiasi causa o ospedalizzazione per peggioramento dell'insufficienza cardiaca)7, 9.


Sindrome cardiorenale di tipo 3 o CRS3 (Sindrome reno-cardiaca acuta)

La Sindrome reno-cardiaca acuta o CRS3 si verifica quando l'insorgenza di danno renale acuto (AKI) contribuisce e/o accelera lo sviluppo di un danno cardiaco acuto dovuto generalmente a condizioni quali sovraccarico di volume, acidosi metabolica e/o disturbi elettrolitici (es. iperkaliemia e/o ipocalcemia); in corso di danno renale acuto sono state inoltre descritte forme di malattia coronarica acuta ed ipertrofia ventricolare sinistra con effetti diretti sull’outcome cardiaco910 (Fig. 3).

 

Fig. 3. La Sindrome cardiorenale di tipo 1 (SNS: sistema nervoso simpatico; AKI: danno renale acuto).

 

 

Definire l'incidenza e la prevalenza della Sindrome cardiorenale di tipo 3 è difficile a causa della mancanza di dati epidemiologici. In uno studio di popolazione condotto in Scozia, l'incidenza di danno renale acuto e di insufficienza renale acuta su cronica sono state rispettivamente di 1811 e 336 per milione di abitanti. Un altro studio prospettico, multicentrico, condotto su un gruppo di 748 pazienti con AKI ha riportato i seguenti tassi di incidenza per cause di morte: infezione (48%), shock ipovolemico (45,9%), distress respiratorio (22,2%), malattie cardiache (15%), coagulazione intravascolare disseminata (6,3%), sanguinamento gastrointestinale (4,5%) e ictus (2,7%)9, 10.

Le interazioni fisiopatologiche tra rene e cuore in corso di danno renale acuto sono state definite "cardio-renal connectors". Si veda, ad esempio, l'attivazione di citochine e chemochine pro- ed anti-infiammatorie, l’attivazione del sistema nervoso simpatico, del sistema renina angiotensina aldosterone o della cascata emocoagulativa. L'iperkaliemia può contribuire al rischio di aritmie fatali e morte cardiaca improvvisa, mentre in corso di acidosi metabolica si può verificare vasocostrizione polmonare, aumento del postcarico ventricolare destro ed effetto inotropo negativo10.

Nella definizione della CRS3 può essere di ausilio l’imaging ecografico. Le dimensioni e l'ecogenicità dei reni forniscono informazioni per porre diagnosi differenziale tra malattia renale acuta e cronica. Una corticale renale iperecogena con ridotto rapporto cortico-midollare è indicativa di malattia renale conica. Il quadro ecocardiografico non è diagnostico, ma può mostrare volumi atriali aumentati, versamento pleurico e/o pericardico, ed è spesso associato alla presenza di "comete polmonari" o "linee B" all'esame ecografico del torace. Comete polmonari, ecograficamente, si presentano come strie ipercogene (simili alle code di una stella cometa) che originano dai setti interlobulari ispessiti d'acqua e che si estendono a ventaglio dalla superficie polmonare e sono indice di imbibizione umida del polmone6, 10.

Negli ultimi 5-10 anni, sono stati proposti diversi potenziali biomarcatori per la diagnosi di danno renale acuto: lipocalina associata alla gelatinasi dei neutrofili (NGAL), KIM-1, interleuchina-18 (IL-18), interleuchina-6 (IL-6), cistatina C (CysC), N-acetil-β-d-glucosamide, la proteina legante gli acidi grassi (L-FABP), Netrina-1, Klotho e Midkine (neurite growth promoting factor- NEGF2), ma nessuna di esse è validata e di comune uso nella pratica clinica. Invece, gli indici di miocardionecrosi (le troponine T e I) e i marcatori di insufficienza cardiaca come il peptide natriuretico di tipo B (BNP) e il suo frammento inattivo N-terminale (NT-proBNP) sono comunemente usati e convalidati dai cardiologi10.

Per una corretta gestione dei pazienti affetti da SCR di tipo 3, è stata proposta una classificazione clinica che tenesse conto dello stadio di malattia in accordo con i criteri RIFLE/AKIN)11:


a) Pazienti ad elevato rischio di sviluppare AKI.

Evitare l’impiego di procedure e terapia potenzialmente nefrotossiche rappresenta una delle migliori strategie per prevenire l’AKI: antibiotici (ad es. aminoglicosidi) e mezzi di contrasto iodato rappresentano i migliori esempi in tal senso. La terapia di combinazione con vancomicina ed aminoglicosidi ovvero ACE-inibitori, antiinfiammatori non steroidei (FANS) e diuretici può comportare lo sviluppo di danno tubulare renale e deplezione di volume. Prevenire l’ipoperfusione diventa presidio fondamentale per evitare l’insorgenza di AKI e deve, quindi, essere corretta l’eventuale deplezione di volume allo scopo di mantenere un corretto bilanciamento dei fluidi tra entrate e uscite11.


b) Stadio 1 (rischio di AKI).

I pazienti che si riconoscono nei criteri AKI possono svilupparne una forma severa con insufficienza renale acuta conseguente. Questi pazienti vanno trattati come gli omologhi del gruppo precedente ma, in aggiunta, necessitano di esami più approfonditi (esame urine, esami ematici di routine ma anche biomarcatori di danno renale ed indagini ecografiche). Questa popolazione richiede uno stretto monitoraggio delle condizioni cliniche e terapie di supporto standard11.


c) Stadio 2 (danno renale).

Si tratta di pazienti ad elevato rischio di morbidità/mortalità dovuto alla presenza di un danno renale acuto. Necessitano di terapia conservativa e di monitoraggio funzionale emodinamico anche in funzione di eventuali manovre di rianimazione. Va assolutamente assicurato il mantenimento dell’equilibrio acido-base e dell’assetto elettrolitico con un’attenzione particolare ai livelli ematici dei farmaci assunti11.


d) Stadio 3 (insufficienza renale).

Si tratta dello stadio clinico in cui il paziente presente il più elevato rischio di morte e l’incidenza maggiore di complicazioni extra-renali come, ad esempio, l’insorgenza di una patologia cardiovascolare. Nel caso in cui la terapia farmacologica non dovesse essere sufficiente e ci si trovi in presenza di una severa compromissione della funzione renale, vanno considerate le terapie sostitutive della funzione renale e, nel contempo, prevenire il sovraccarico di volume a carico del ventricolo sinistro allo scopo di mantenere una corretta gittata cardiaca. L’infusione continua di furosemide e l’eventuale combinazione con i tiazidici rappresentano un cardine per la prevenzione del sovraccarico di volume11.


Sindrome cardiorenale tipo 4 o CRS4 (Sindrome reno-cardiaca cronica)

La Sindrome cardiorenale di tipo 4 o CRS4 si caratterizza per la presenza di malattia renale cronica e conseguente malattia cardiovascolare, con rischio di eventi cardiovascolari che aumenta in maniera proporzionale al grado di insufficienza renale. Il filtrato glomerulare (GFR) è un fattore di rischio cardiovascolare indipendente di morbilità e mortalità, specialmente nei pazienti con malattia renale cronica a partire dallo stadio 3B secondo la classificazione KDOQI6, 10.

Una metanalisi di Tonelli condotta su circa 1.5 milioni di pazienti ha documentato tassi di mortalità per tutte le cause progressivamente più elevati con andamento direttamente proporzionale alla caduta dei valori di eGFR12.

Lo studio CRIC (Chronic Renal Insufficeincy Cohort) è stato, invece, condotto, su 190 pazienti con quadro di CKD in stadio 3 – 5D sottoposti ad esami ecocardiografici seriali per 2 anni osservando come si perdessero ben 3 punti medi di frazione di eiezione ventricolare sinistra nel passaggio da stadio 5 a stadio 5D (ovvero trattamento dialitico)13.

L'iperfosforemia e l'iperparatiroidismo secondario che si manifestano in corso di insufficienza renale cronica sono associati sia alle calcificazioni vascolari che delle valvole cardiache a causa della trasformazione "osteoblastica" delle cellule muscolari lisce vascolari. L'ipertensione invece contribuisce al sovraccarico cardiaco ed all’ipertrofia ventricolare. L’infiammazione cronica, l’insulino-resistenza, l’iperomocisteinemia e la dislipidemia contribuiscono all’insorgenza di malattia cardiovascolare nei pazienti con IRC a causa dell'accumulo di diverse molecole quali la β2 microglobulina, guanidine, fenoli, indoli, ammine alifatiche, furani, polioli, nucleosidi, leptina, ormone paratiroideo e fattori inibenti l'eritropoiesi10.

L'iperkaliemia cronica, se non trattata, è la principale responsabile di morte cardiaca improvvisa (SCD), mentre al diminuire del filtrato glomerulare si assiste all’aumento dei valori plasmatici di diversi biomarcatori associati a danno cardiaco: troponina, dimetilarginina asimmetrica (ADMA), inibitore dell'attivatore del plasminogeno di tipo I, omocisteina, peptidi natriuretici, proteina C-reattiva amiloide AA e albumina modificata dall'ischemia (MIA)9, 10.

Nei pazienti con Sindrome cardiorenale di tipo 4 l'ecografia renale mostra la presenza di malattia renale cronica; i reni appaiono di dimensioni ridotte, con corticale sottile ed iperecogena, ridotto rapporto corticale-midollare, spesso sono presenti anche cisti parapieliche o sottocorticali9, 10.

L'ecocardiografia può rivelare segni di sovraccarico di volume e disfunzione ventricolare destra e sinistra, specialmente nei pazienti sottoposti a terapia sostitutiva renale. È comune osservare calcificazioni valvolari insieme a disfunzione del cuore destro (elevata pressione arteriosa polmonare, ridotta escursione sistolica dell'anello tricuspide (TAPSE), dilatazione atriale destra8.

In merito al trattamento della CRS di tipo 4, pensando al ruolo del RAAS, gli studi RENAAL e IDNT (che hanno evidenziato la superiorità di Losartan rispetto al placebo ovvero di Irbesartan rispetto ad amlodipina nel ridurre l’incidenza, rispettivamente, di insufficienza renale e scompenso cardiaco nei pazienti trattati) rappresentano i punti fondamentali dai quali partire per la gestione dei pazienti affetti da CRS di tipo 414, 15. Nello studio EVOLVE16, l’impiego di cinacalcet è stato associato ad una riduzione della percentuale di un primo episodio di scompenso cardiaco, mentre in altro studio osservazionale, la terapia con Sevelamer, chelante del fosforo per via orale, ha dimostrato di poter ridurre la progressione delle calcificazioni cardiovascolari e della CKD stessa17.


Sindrome cardiorenale tipo 5 o CRS5 (Sindrome cardiorenale secondaria)

La Sindrome cardiorenale di tipo 5 o CRS5 coinvolge simultaneamente cuore e reni all'interno di quadri clinici differenti con interessamento multisistemico (esempio in corso di sepsi, Sindrome epatorenale, malattia di Fabry, malattie autoimmuni). Nei pazienti settici, l’infiammazione ed il coinvolgimento vascolare, in particolare a carico dei piccoli vasi capillari, portano al danno ultrastrutturale cellulare ed alla disfunzione d'organo. Come avviene nel danno renale acuto correlato alla sepsi, in corso di CRS5 l’ischemia ed i mediatori infiammatori sono responsabili dello sviluppo della malattia: livelli plasmatici elevati di trombossano e/o prostaciclina potrebbero influenzare la circolazione coronarica e la funzione endoteliale insieme a livelli elevati di TNF (fattore di necrosi tumorale) e interleuchina-1 (IL- 1). L'AKI si verifica nel 20% dei pazienti critici e nel 51% dei pazienti con shock settico ed emocolture positive ed era precedentemente considerata secondaria all'ischemia renale dovuta allo shock settico. L'opinione corrente, tuttavia, suggerisce che la patogenesi del danno renale acuto nel paziente settico sia basata su fattori emodinamici e sul rilascio di mediatori infiammatori10.

La diagnosi di CRS5 si basa principalmente sul quadro clinico e sul quadro laboratoristico: proteina legante i lipopolisaccaridi, procalcitonina, proteina C-reattiva, citochine proinfiammatorie (IL-6, TGF-β) sono spesso elevate fin dalle prime fasi del danno settico. I livelli di peptide natriuretico e troponina forniscono informazioni sulla funzione cardiaca (soprattutto riguardo alla funzione sinistra), mentre l'ecocardiografia di solito mostra un'elevata gittata cardiaca, anomalie cinetiche regionali del ventricolo sinistro e dilatazione delle camere cardiache sinistre10.

L’inquadramento della Sindrome cardiorenale di tipo 5 prevede un approccio multidisciplinare che possa portare alla diagnosi ed alla terapia mirata della malattia sistemica di base10.

In merito al trattamento dei pazienti affetti da CRS di tipo 5, i punti chiave sono rappresentati dal mantenimento della stabilità emodinamica e delle pressioni di perfusione a livello tissutale, soprattutto nelle prime fasi di un processo settico. La terapia infusionale deve essere condotta con particolare attenzione allo scopo di evitare un sovraccarico di liquidi18.

Dal momento che infiammazione ed alterazioni del sistema immunitario giocano un ruolo fondamentale nella patogenesi della sepsi, la rimozione di citochine ad azione anti-infiammatoria può avvenire con l’impiego di membrane dialitiche ad elevata permeabilità.  Per il trattamento delle complicanze di natura cardiaca, può essere indicato un approccio integrato con terapia infusionale, agenti vasopressori, vasodilatatori ed inotropi allo scopo di mantenere adeguate pressioni di riempimento19.

Di recente, l’impiego di levosimendan è risultato efficace in pazienti affetti da scompenso cardiaco allo scopo di incrementare la diuresi e la frazione di eiezione ventricolare sinistra ma ancora non vi sono prove in merito ad un eventuale ruolo nella prevenzione della SCR di tipo 519.

La terapia dialitica di supporto può rendersi necessaria per la rimozione di mezzi di contrasto e di ogni eventuale sostanza farmacologica ad azione nefrotossica, nonché per il mantenimento di un’adeguata pressione di perfusione. Non vi è, al momento, nessuna evidenza per un ruolo della dopamina nel migliorare l’emodinamica renale, così come non vi sono studi in merito con fenoldopam19.

In condizioni normali la noradrenalina riduce la perfusione a livello renale ma incrementa la pressione arteriosa sistolica nei pazienti settici, mentre l’impiego di vasopressina incrementa diuresi ed eGFR nei pazienti con sepsi19.

I diuretici giocano un ruolo contenuto nella gestione della Sindrome cardiorenale nei pazienti settici e, quindi, si raccomanda un inizio precoce del trattamento sostitutivo della funzione renale con tecniche continue. L’inizio precoce del trattamento dialitico sembra essere associato ad outcomes migliori nei pazienti con shock settico anche se questi dati necessitano tuttora di conferme da trials clinici randomizzati condotti su larga scala19.


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